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La Corte penale internazionale e la punizione dei crimini internazionali alla luce dello Statuto di Roma

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INDICE

INTRODUZIONE ... 4

CAPITOLO I ... 14

1.1. Alle origini di una giustizia internazionale. ...14

1.2. Nascita dei primi tribunali internazionali. ...29

1.3. Primi tentativi centroamericani ...37

1.4. La conferenza dell’Aia e la nascita della nozione di crimini di guerra. ...41

1.5. Premesse alla Corte permanente di giustizia internazionale e attività conseguenti. ...51

1.6. L’istituzione della Corte internazionale di giustizia. ...58

1.7. Le attività della Corte internazionale di giustizia. ...61

CAPITOLO II ... 67

2.1. La trasformazione del diritto internazionale. ...67

2.2. Dalla preparazione dei Tribunali internazionali al processo di Norimberga. ...77

2.3. Il processo di Norimberga. ...83

2.4. Il processo di Tokyo. ...90

2.5. Dopo Norimberga : Il lascito e gli sviluppi. ...92

2.6.Istituzione della Corte internazionale di giustizia. ...98

2.7. I primi casi della Corte internazionale di giustizia. ...109

2.8. La sentenza sull’ Africa del Sud-Ovest. ...114

CAPITOLO III ... 122

3.1. Istituzione e funzionamento della Corte penale internazionale: lo Statuto di Roma. ...122

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CAPITOLO IV ... 139

4.1. La Corte penale internazionale: struttura e competenze. ...139

4.2. Il Principio di complementarietà. ...153

4.3. Le precondizioni per l’esercizio della giurisdizione. ...155

4.4. I crimini di competenza della Corte penale internazionale. ...158

4.5. Norme sulla cooperazione e sull’immunità. ...166

4.6. Il rapporto tra la Corte penale internazionale e il Consiglio di sicurezza alla luce dello Statuto di Roma. ...169

4.7. Un funzionamento a doppio binario. ...173

4.8. Da Roma a Kampala: i primi anni di attività della Corte penale internazionale. ...174

4.9. L’adesione allo statuto e la posizione degli Stati Uniti. ...192

4.10. La prima conferenza di revisione dello statuto di Roma. ...197

4.11. Osservazioni conclusive. ...200

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INTRODUZIONE

Il tema dell'istituzione di una Corte Penale Internazionale a carattere permanente ha percorso a fasi alterne la storia del diritto internazionale sin dalla seconda metà del XIX secolo.

Com’è noto infatti, la storia della giustizia internazionale, risente di una condivisa sensazione di sconforto di fronte alle innumerevoli prove di fallimento, e sia, ad oggi, piena di interrogativi; la questione più spinosa risiede nel tentativo di definire se in realtà si può parlare di una giurisdizione, oppure si deve parlare di una idea politica prevalentemente utopistica. La comunità internazionale ha cercato di percorrere due strade differenti per raggiungere l’obiettivo d’identificare una giustizia internazionale che abbia come fine la creazione di una Corte penale internazionale. Essa infatti da un lato ha cercato di individuare una serie di regole di protezione della persona, accettate da tutti gli Stati, inserendo delle norme nell'ordinamento internazionale,

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volte quindi a riconoscere dati comportamenti di individui come crimini. Ebbene questi reati individuali che si sono venuti a formare, sono convenzionalmente qualificati come "crimini di diritto internazionale", a differenza dei "crimini internazionali" che si identificano invece come illeciti commessi dagli Stati nei confronti di altri Stati o dell’intera comunità internazionale. L’altra strada intrapresa dalla comunità internazionale invece riguarda l’individuazione degli obblighi e dei meccanismi che garantissero in qualche modo la punizione dei colpevoli, e di conseguenza anche il processo dinnanzi ad una Corte dei responsabili dei suddetti crimini , mediante sia l'inserimento nell'ordinamento internazionale, del principi di responsabilità individuale, sia il condizionamento della sovranità degli Stati per quanto riguarda l'esercizio della giurisdizione penale.

Le proposte per la creazione di un tribunali internazionale, furono avanzate già prima del secondo conflitto mondiale , mediante la proposta di istituire un tribunale internazionale

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contro i crimini di guerra dallo svizzero Gustav Moynier all'indomani del conflitto franco-prussiano del 1870; questo tribunale avrebbe dovuto giudicare le violazioni del trattato sulla protezione delle vittime militari della guerra elaborato e firmato a Ginevra nel 1864. Il tema dell'istituzione di una Corte internazionale di giustizia penale riemerse poi al termine della prima guerra mondiale, quando su proposta avanzata dalle potenze vincitrici fu creata la prima commissione internazionale di inchiesta : "La Commissione

sulle responsabilità degli Autori della Guerra e

sull'applicazione delle Sanzioni", alla quale fu affidato il compito di svolgere attività investigative circa le violazioni dei trattati elaborati e firmati rispettivamente a Ginevra e all'Aia nel 1864 e nel 1899, commesse dai militari tedeschi e turchi nel corso del conflitto.

Le inconcepibili atrocità commesse durante la Seconda Guerra Mondiale spinsero ancora una volta le potenze vincitrici ad istituire due tribunali militari speciali che

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giudicassero dei crimini di guerra, contro la pace e contro l'umanità, perpetrati dai nazisti e dai loro alleati: furono creati quindi il Tribunale Internazionale Militare di Norimberga, stabilito nel quadro dell'Accordo di Pace di Londra dell'8 agosto 1945, e il Tribunale Internazionale Militare per l'Estremo Oriente(Tribunale di Tokyo), istituito il 19 gennaio 1946. Questi tribunali hanno rappresentato una pietra miliare nell'attestazione ,direi avvenuta con successo, di alcuni fondamentali principi di giustizia penale internazionale, come ad esempio l’affermazione del principio di responsabilità penale individuale, riconosciuto per le più gravi violazioni del diritto internazionale umanitario, anche quando tale comportamento non sia interdetto dalla normativa nazionale. Un principio che ha grande valenza nel diritto internazionale, proprio perché con la sua affermazione sul piano internazionale, in effetti si supera quello che è lo schema classico della responsabilità interstatuale, e questo aspetto significò riconoscere come

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criminosi alcuni comportamenti individuali che sino allora si mostravano sostanzialmente, molto spesso collegati con un apparato statale. I tribunali ad hoc non si identificano , in vero, dal punto di vista giuridico, come una soluzione ottimale per garantire la punizione di fatti di rilevanza penale, perché si configura come una giustizia ex post facto, istituita cioè dopo l’attuazione dei fatti. La giustizia internazionale penale non può essere costruita attraverso eccezioni al principio di "irretroattività della legge penale": l’ istituzione della Corte Penale Internazionale riesce a sorpassare questi difficili dubbi. Dal 1° luglio 2002 la Corte Penale Internazionale è una realtà e la Convenzione contenente lo Statuto della Corte è entrata in vigore; dal preambolo dello Statuto di Roma e dal testo dell'art. 1 si evince che la Corte Penale Internazionale è un'istituzione internazionale permanente che può esercitare il suo potere giurisdizionale in modo complementare alle giurisdizioni penali nazionali degli Stati membri, ragion per cui la Corte

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Penale Internazionale non è stata concepita nello Statuto di Roma quale organo che eserciti secondo una giurisdizione esclusiva nella repressione dei crimini di competenza, né in modo concorrente con i tribunali interni come invece operano i due Tribunali penali istituiti dal Consiglio di Sicurezza, il Tribunale internazionale della ex Yugoslavia e il Tribunale internazionale per il Ruanda.

La giurisdizione della Corte quindi interviene allorquando lo Stato si mostri incapace di punire e di reprimere crimini gravi che quindi resterebbero impuniti.

Considerato quanto detto in precedenza rimane ancora il dubbio su come alcuni Stati siano ancora oggi restii a ratificare lo Statuto, essendo chiaro che nessuno Stato deve temere l'usurpazione da parte della Corte delle prerogative sovrane, al sesto punto del preambolo dello Statuto è infatti rammentato che è dovere di ciascuno Stato esercitare la propria giurisdizione .L'intervento della Corte sarà legittimo solo nel caso in cui, per reprime gravi reati , lo Stato abbia

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un sistema interno carente e non idoneo a soddisfare e tutelare la collettività internazionale nel suo complesso.

E’ quello che accade con i territori dell’Africa. In vero L'Africa ha svolto un ruolo chiave nella creazione della Corte penale internazionale nel 1998. È tuttora il continente con il maggior numero di paesi aderenti allo Statuto di Roma, infatti su 122 Stati che ne hanno adottato la giurisdizione, 34 sono Stati Africani. I rapporti tra la Corte penale Internazionale e l’Africa sono stati sempre caratterizzati da un certo grado di ambiguità: un rapporto che sta diventando ancora più difficile negli ultimi anni. È ormai da tempo che stiamo assistendo ad un drammatico cambiamento nelle relazioni tra i paesi del continente africano e la Corte dell’Aia. L’iniziale entusiasmo di molti paesi africani si è trasformato in crescente frustrazione, critiche serrate e, in tempi più recenti, ad un’ aperta battaglia contro l’operato della Corte. Ora l’ Unione Africana minaccia dimissioni di massa , una prospettiva questa

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davvero tragica per la Corte penale internazionale , considerando l’alto numero dei paesi africani che ne hanno ratificato lo Statuto.

I segnali di insofferenza nei confronti della Corte penale internazionale sono stati palesati dal 2013: il 6 settembre il parlamento del Kenya ha votato una mozione per disconoscerne la giurisdizione. Dall'Aia è arrivata prontamente una precisazione: la procedura per uscire dalla Corte richiederà almeno un anno e non avrà valenza retroattiva, quindi non sortirebbe conseguenze sui casi in corso. I rapporti tra la Cpi e l'Unione Africana si sono inaspriti da quando la Corte ha emesso il mandato di cattura internazionale per Bashir. In quell’occasione tutti i paesi dell'Unione Africana furono infatti invitati a ignorare la richiesta di arresto: si diceva che il processo avrebbe potuto indebolire gli sforzi di pace in Darfur. Il motivo di tale malcontento si percepisce nel fatto che l’Unione Africana ritenga che ormai la Corte penale internazionale sarebbe

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divenuta uno “strumento politico”. Non a caso è il Kenya a guidare la campagna contro la Corte: due processi riguardanti la leadership politica keniota si trovano al momento in fase di dibattimento all’Aia. Il primo vede imputato l’attuale presidente Uhuru Kenyatta; il secondo, il suo vice William Ruto. Entrambi gli imputati sono accusati di crimini contro l’umanità per avere giocato un ruolo decisivo nelle gravissime violenze post-elettorali avvenute in Kenya del 2007-2008. I processi si celebrano all’Aia, sebbene il Kenya avesse fatto istanza per il trasferimento degli stessi sul proprio territorio ,ufficialmente per facilitare la presenza degli imputati, e stanno avanzando a rilento e tra mille difficoltà. In particolare l’accusa si sta trovando a fronteggiare una vera e propria emergenza riguardo ai testimoni, molti dei quali si sono ritirati dopo essere stati pesantemente minacciati nel loro paese. La Procuratrice della Corte, Fatou Bensouda, lo scorso 11 marzo ha annunciato di avere deciso di chiudere il procedimento nei

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confronti del co-imputato del presidente Kenyatta, Francis Kirimi Muthauara, per sopravvenuta mancanza di prove, poiché i pochi testimoni sui quali si basava la tesi accusatoria, essendo minacciati, se non addirittura morti, non sono più in grado di testimoniare. Il Kenya sta ovviamente facendo di tutto per bloccare i processi all’Aia, ma non è solo questo caso specifico a rendere i rapporti tra Stati africani e Corte così tesi. È da tempo che i paesi africani, e non solo, lamentano un’eccessiva attenzione della Corte Penale Internazionale nei confronti dell’Africa. Si parla ormai in modo ironico di Corte penale africana, la African Criminal Court, al posto della International Criminal Court. Innegabilmente, a dieci anni dall’entrata in funzione della Corte, tutte e otto le situazioni oggetto d’indagine sono relative a paesi africani: Uganda,

Repubblica Democratica del Congo, Repubblica

Centrafricana, Darfur (Sudan), Kenya, Libia, Costa d’Avorio e Mali.

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CAPITOLO I

1.1. Alle origini di una giustizia internazionale.

E’ largamente condiviso dalla maggior parte della dottrina che la storia della giustizia internazionale, sia da trattare come una tematica estremamente attuale e come una questione grandemente problematica.

Com’è noto infatti, la storia della giustizia internazionale, risente di una condivisa sensazione di sconforto di fronte alle innumerevoli prove di fallimento, e sia, ad oggi, piena di interrogativi1; la questione più spinosa risiede nel tentativo di definire se in realtà si può parlare di una giurisdizione, oppure si deve parlare di una idea politica prevalentemente utopistica.

1 L . Tedoldi, La giustizia internazionale. Un profilo storico-politico dell’arbitrato della Corte

penale; con testi di Patrizio gonnella, Elisa Orrù, Alessandro Polsi e Pier paolo Portinaro , Carocci, Roma, 2012, p. 11-13.

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Per quanto concerne le origini della giustizia internazionale, la parte maggiore della dottrina concorda nel'individuare l'origine della società internazionale nel periodo fra il XV e XVII secolo, ossia nel passaggio dallo stato patrimoniale allo stato assoluto con il consolidamento di una pluralità di monarchie nazionali in particolar modo in Europa. Tale configurazione di diverse sovranità, combinatasi con lo sviluppo delle comunicazioni fra le nazioni che diventerà sempre più necessario tanto più si realizzerà la trasformazione dell'economia da agricola pastorale a industriale, renderà naturale il verificarsi di stabili rapporti fra le diverse comunità. Tutto ciò in un preciso quadro culturale che prende atto di tale situazione. Altra parte della dottrina invero ha cercato di fare risalire le origini della società internazionale all'alto medioevo, considerando l’evoluzione dal feudalesimo allo stato assoluto come un processo di continuità nell'ambito di una originaria comunità cristiana. Ma rimane una differenza essenziale che

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rappresenta poi un punto di svolta. Prima il rapporto è sempre gerarchico (e la grande lotta fra stato e chiesa è per stabilire il primato assoluto), poi il rapporto diviene paritario. E' con tale rapporto paritario che veramente si può parlare di comunità internazionale di tipo moderno. Infatti altrimenti bisognerebbe risalire fino all'antichità classica perché i rapporti fra imperi vi sono sempre stati (si pensi ai rapporti fra le polis greche). Ma fra questi tipi di rapporti e l'odierna realtà internazionale non si potrebbe rintracciare alcun nesso di continuità.

Anche se non si può parlare, di ricorso ad una giurisdizione internazionale, forse il primo processo di fronte ad una corte formata da giudici provenienti da più paesi, può essere ritenuto quello che vide imputato per crimini contro l’umanità, come «si definirebbero ai giorni nostri, il balivo dei territori dell’ Alto Reno, in nome di Carlo, duca di Borbogna, Peter von Hagenbach, di fronte ad un tribunale ad hoc; cioè a una corte composta da ventotto giudici designati

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dalle città di Alsazia, dell’alto Reno alleate alla Confederazione Svizzera. Era il 9 maggio 1474»2.

In questo processo, si mostrò subito che l’obiettivo primario da salvaguardare era l’affermazione della giustizia dei vincitori.

In realtà le vere prime mosse per impostare un discorso circa la giustizia internazionale, sono da ricercare negli ambiti più squisitamente intellettuali settecenteschi, ove nacque un filone di pensiero che inneggiava al raggiungimento di una pace duratura ( il cosi detto “pacifismo settecentesco”) in opposizione con la strategia maggiormente adottata dagli Stati del ricorso al conflitto bellico per regolare esattamente i rapporti tra Stato e Stato; questi’ultimo infatti riteneva lo jus gentium, ovvero il diritto dei popoli e delle genti, un fragile

fondamento che minava alla stabilità e alla sicurezza dei rapporti interstatali3. Salvo alcuni casi accertati dalla

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Ivi, p.12.

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storiografia, più in generale le forme della giustizia internazionale presero vita a partire dalla lenta introduzione per tutto l’Ottocento di strumenti negoziali pacifici in grado di risolvere le controversie fra gli Stati, sempre insieme all’irrobustimento del diritto internazionale, che riconosceva lo Stato come soggetto esclusivo.

Fino alla metà dell’Ottocento in vero il discorso politico orientato al perseguimento della “ giustizia internazionale” non ebbe un reale e concreto svolgimento; Ebbene l’introduzione della Santa Alleanza, e la sua trasformazione in una “federazione internazionale” che operava per il bene comune, e soprattutto per il fatto che essa sia stata costituita con finalità del mantenimento della pace tra gli Stati, è stata considerata il primo tentativo politico di dare vita ad un sistema di istituzioni internazionali poste a garanzia dell’ordine e della pace, ed invero l’intensità delle “guerre di potenza” europee si ridusse in maniera notevole almeno in tutto il continente europeo.

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Assistiamo quindi, in questa fase storica ad un nuovo modo di concepire il diritto internazionale soprattutto, in riferimento allo jus ad bellum, ovvero la legittimità del ricorso alla guerra, si avviò un processo di codificazione dello jus in bello, dove non si discuteva della legittimità del ricorso alla guerra, quanto piuttosto al modo di regolare lo scontro bellico, che veniva quindi identificato come uno strumento coercitivo per garantire sul piano internazionale la legittimità delle esigenze politiche degli Stati4.

Maturò quindi la convinzione, tutta politica, che la pacifica convivenza tra i popoli e le controversie fra gli Stati , sarebbero state risolte, o arginate, attraverso l’introduzione dello strumento dell’arbitrato internazionale, il quale unito allo sviluppo economico e al progresso in campo sociale,

doveva portare all’introduzione dei conflitti e

all’emarginazione di quelle élite dominanti animate da spirito militaristico. L’ arbitrato internazionale diventava in

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questo modo, lo strumento che per eccellenza poteva ridurre sensibilmente i conflitti armati tra gli Stati, ed anche per la risoluzione di dispute; le parti in contrasto infatti si rivolgevano ad una terza parte ritenuta imparziale e autorevole.

Fino agli inizi del XIX secolo, la risoluzione arbitrale tra Stati era una pratica quasi totalmente sconosciuta o ignorata e così la stipula di trattati internazionali non era una pratica diffusa, ma già dagli anni trenta dell’Ottocento i temi dell’introduzione dell’arbitrato e della costituzione di un’ Alta corte delle nazioni erano dibattuti soprattutto nei parlamenti degli Stati federali americani.

Tutto questo non significa che negli Stati europei dell’antico regime non si sentisse l’esigenza di ricorrere all’arbitrato, e non significa che essi non fossero mai ricorsi a queste forme, ma risulta essere molto evidente che nessun monarca si sarebbe mai sottoposto con una certa facilità a un giudizio di un terzo.

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Alcuni giuristi dell’Ottocento ricordavano alcuni casi molto noti nella storia politica del continente europeo che coinvolsero monarchie europee di primo piano5.

Il momento di passaggio verso una fase di ripresa, seppure inizialmente molto debole, del modello arbitrato identificato come strumento giuridico – internazionale, fu rappresentato dal buon esito avuto da alcuni importanti accordi come ad esempio il trattato di Londra ( meglio conosciuto come Joy Treaty ) del 1794 tra Stati Uniti e Gran Bretagna6. In vero,

durante il percorso di preparazione del trattato londinese, gli Stati Uniti acconsentirono alla formazione di tre commissioni di studio sulle controversie derivate dalle dispute pendenti dalla guerra di indipendenza americana. Ebbene, tali commissioni, con metodo diplomatico,

5

Uno di questi riguardava il conflitto tra Francia e Inghilterra del 1546 in cui i sovrani delle più importanti monarchie d’ Europa, convenirono di sottomettersi alla decisione di quattro giureconsulti, riconosciuti come parti terze. Gli arbitri intervenuti in questa causa interstatale inflissero alla Francia il pagamento di un indennizzo all’Inghilterra , calcolato in 512.000 lire torinesi. Allo stesso modo nel 1570, il re di Spagna e la Repubblica svizzera decisero di affidarsi ad arbitri per regolare la contesa confinaria con la Franca Contea. Crf. M. E. Rouard De Card, L’arbitrage internazionale dans le passé, le présente t l’avenir, Durand et Pedone – Lauriel, Paris 1877, pp. 19-20.

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raggiunsero un accordo che limitava, in un periodo di tempo fissato in dieci anni, l’ azione bellica e incentivava gli scambi commerciali; inoltre la Gran Bretagna accettò anche di sottoporre ad arbitrato le richieste americane di indennizzo. Nonostante le svariate critiche politiche che coinvolsero soprattutto il capo della delegazione americana John Jay, questo trattato mostrò l’efficacia dello strumento giuridico dell’arbitrato di tradizione romano- canonica.

Le modalità di risoluzione, applicato durante quell’incontro londinese, furono però in seguito utilizzate anche dalle autorità politiche degli Stati membri degli Stati Uniti nei casi di contesa territoriale7.

Dobbiamo attendere la seconda metà dell’Ottocento, per assistere ad una reale e percepibile accelerazione degli arbitrati, soprattutto riguardo ad alcune questioni specifiche che hanno ad oggetto il conflitto tra gli Stati.

7L . Tedoldi, La giustizia internazionale. Un profilo storico-politico dell’arbitrato della Corte penale;

con testi di Patrizio gonnella, Elisa Orrù, Alessandro Polsi e Pier paolo Portinaro , Carocci, Roma, 2012, p.28

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Il consolidamento di questa fase di transizione si ebbe in particolar modo a partire dagli anni settanta del

secolo, dove assistiamo alla partecipazione della

redazione degli arbitrati internazionale di alcuni network transnazionali di “esperti” .

Assistiamo in questi anni alla formazione di diverse reti associative transnazionali di giuristi che crebbero quando si avviò una lunga serie, che non ha precedenti nella storia europea, di conferenze sulla pace universale.

In vero in questo particolare periodo storico, si poteva prendere atto del diffondersi su larga banda, dei “movimenti pacifisti”, i quali hanno avuto il merito di far emergere quello che stava diventando un vero e “proprio partito della pace” composto da una pluralità di organizzazioni per la maggior parte di provenienza inglese, ma anche con una notevole partecipazione di componenti nordamericane francesi. Ebbene, quello che risulta tra il confronto tra il movimento che si stava consolidando con il

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nome di Peace Societies negli Stati Uniti e in Gran

Bretagna, e le nuove associazioni internazionali di “ esperti” ,8 rafforzò il sostegno politico alla richiesta di utilizzo dello strumento dell’arbitrato internazionale e al processo, sempre più strutturato, di un futuro tribunale che intervenisse nei conflitti internazionali. Fu proprio durante la General peace Convention di Londra del 18439 , che venne promossa una risoluzione che proponeva l’istituzione di una Corte suprema di arbitrato e ancora più avanti , durante le conferenze di pace di Bruxelles e Parigi, tenutesi rispettivamente ne 1848 e nel 1849, e ancora durante quelle di Francoforte nel 1850 e di Londra nel 1851, gli inviti

8 Probabilmente, le prime Peace Societies, si costituirono in America intorno al 1814, e un

precoce tentativo di organizzazione di gruppi pacifisti si diffuse rapidamente in Inghilterra, in seguito alle rimostranze contro la guerra con la Francia e soprattutto dopo due meeting tenutisi a Londra nel 1814 e nel 1815, in cui si gettarono le basi per la costituzione di un ‘ associazione per la pace. La Peace Societies, che rimase attiva per circa un secolo, diventando forse la più importante organizzazione di questo tipo nel continente europeo. La prima associazione non anglosassone nacque a Ginevra nel 1830, e da questo momento in poi sorsero a catena anche in Francia associazioni di questo tipo. Cfr M. Ceadel, The origins of war prevention,. The British Peace movement and International Relations ( 1730-1854 ) Ivi, pp. 29.

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Cfr. The proceedings of the Second General Peace Congress, Gilpin, London 1852, cit. pp. 19-32.

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all’istituzione di un’Alta corte internazionale (delle nazioni) di arbitrato si fecero incessanti.10

Si stava quindi irrobustendo il confronto sui caratteri politico-istituzionali della giustizia internazionale attraverso il dialogo tra giuristi ed intellettuali, nonché il confronto tra politici e associazioni pacifiste, le quali proponevano una politica che focalizzi la sua attenzione su questi temi .11 L’idea chi si stava propinando in questi ambienti era quella fondata sull’immagine di un diritto internazionale non più vincolato alla sovranità degli Stati, e fu anche grazie al ruolo sempre più attivo dell’Istitut de droit International, una rivista di riferimento per un intera generazioni di giuristi e uomini politici ,12 che si gettarono le concrete basi per l’individuazione di un luogo di discussione che abbia

10 Ivi p.31.

11 L . Tedoldi, La giustizia internazionale. Un profilo storico-politico dell’arbitrato della Corte

penale; con testi di Patrizio gonnella, Elisa Orrù, Alessandro Polsi e Pier paolo Portinaro , Carocci, Roma, 2012, p 32.

12 L. Nuzzo , Un mondo senza nemici. La costituzione del diritto internazionale e controllo delle

differenze , in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno , 28, 2009, pp. 13-14.

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avuto ad oggetto proprio l’istituzione di tribunali internazionali .13

L’atteggiamento di politica internazionale degli Stati , rafforzo sicuramente anche la partecipazione sempre più attiva di giuristi in vista nel mondo accademici alla redazione degli arbitrati internazionali, atteggiamento che risultava difficile potersi verificare qualche decennio prima. L’ anno successivo, nel 1872, durante la conferenza per la pace universale, celebrata a Ginevra, forse sulla scia di questo nuovo clima, Gustave Moynier, uno dei fondatori della Croce rossa, tornava a proporre con forza l’istituzione di una corte pensale internazionale che sanzionasse gli Stati che avessero violato le risoluzioni approvate dalla convenzione per il miglioramento delle condizioni dei feriti sui campi di guerra dl 1864.

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L.Tedoldi, La giustizia internazionale. Un profilo storico-politico dell’arbitrato della Corte penale; con testi di Patrizio gonnella, Elisa Orrù, Alessandro Polsi e Pier paolo Portinaro , Carocci, Roma, 2012, p.32

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Questa proposta, poi abbandonata in fretta per le pressioni politiche e le perplessità dei giuristi internazionali , prevedeva una corte composta da due giudici scelti dalle parti belligeranti e tre dei paesi neutrali. Mentre la corte avrebbe emanato la sentenza, la sua attuazione sarebbe stata lasciata alla decisione degli Stati.14

Seppure molto fragile, questo progetto introdusse tuttavia un forte elemento di novità che diventerà centrale agli inizi del secolo successivo: «una corte “ minima” o leggera, che intervenisse contro i crimini di guerra, riconosciuti tali da una convenzione internazionale firmata dalle potenze partecipanti».15

I dibattiti degli anno settanta , però stavano già mostrando ad alcuni esperti i limiti e le debolezze dell’arbitrato; in vero, sebbene l’ arbitrato si fosse mostrato come uno strumento efficace per la risoluzione dei conflitti , meno

14

Ibidem.

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efficacemente poteva convertirsi nell’unico fondamento di una futura giustizia internazionale “ organizzata” .

A partire dalla prima metà degli anni sessanta, assistiamo ad un complesso articolarsi delle analisi intorno a questo argomento, il quale aveva creato una serie di topoi comuni , come appunto le indicazioni intorno ai criteri di nomina dei giudici, ancora poco definiti, l’organizzazione e la composizione della corte stessa e le modalità di sanzione nei confronti di Stati che non rispettassero le decisioni prese. Ciò che preoccupava e ciò sul quale si focalizzava maggiormente l’attenzione erano ovviamente i caratteri della giurisdizione internazionale che avrebbero sostanziato la legittimità della Corte.

Assistiamo a questo punto alla piena e complessa istituzionalizzazione della giustizia internazionale che superava quindi il modello arbitrale e arrivava alla formulazione più completa di tribunale internazionale.

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1.2. Nascita dei primi tribunali internazionali.

Il dibattito che ruotava intorno ad una definizione più completa di giustizia internazionale non venne influenzata in nessun modo dagli eventi bellici che si stavano verificando nell’ Italia austriaca e nel resto d’ Europa con la guerra franco- prussiana negli anni 1870- 1871.

Queste guerre ebbero però il merito di manifestare le atrocità commesse nel corso degli scontri, agli occhi della società europea, la quale non poteva più rimanere indifferente di fronte ad una cospicua perdita di vite umane; la presa di coscienza delle atrocità della guerra sollecitò la nascita delle prime organizzazioni di assistenza sul campo di battaglia, e alimentarono il discorso politico e sociale prettamente ottocentesco che ruotava intorno ai diritti umani e favorendo in questo modo la diffusione del diritto internazionale umanitario.

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Questi eventi bellici segnarono una fase di passaggio molto significativa che innesco una serie di risoluzioni, conferenze internazionali e convenzioni , le «quali potenziarono lo sforzo di codificazione del diritto bellico fino alla conferenza internazionale di Bruxelles tenutasi nel 1874».16

Dopo numerosi insuccessi, il primo tentativo riuscito di istituire un organismo in cui risolvere, attraverso «interventi arbitrali, le controversie internazionali fu rappresentato dalla conferenza di pace dell’ Aia tenutasi nel 1899»17.

Ebbene questo tentativo non fu privo d’importanza, dato che ricevette successivamente una riconferma nella seconda conferenza svoltasi nel 1907, in cui trovarono spazio le prime prese di posizione, nel campo della tutela dell’integrità e della dignità degli individui, attraverso la limitazione della violenza bellica e la difesa delle vittime di guerra, con l’introduzione di varie risoluzioni che

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Ivi.p.43

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stabilivano trattamenti umanitari dei prigionieri e la protezione delle popolazioni civili.18

Durante la prima conferenza si formò un comitato d’esame dei progetti di tribunale arbitrale, in cui vennero discusse e decostruite tre proposte di corte internazionale fornite dalle delegazioni intervenute nella capitale olandese; erano tutti progetti che partivano da un punto comune ovvero l’introduzione dell’arbitrato, ma si concludevano tutte e tre con una configurazione diversa di corte internazionale.

Tutte e tre le proposte però avevano avanzato la proposta comune di costituire un bureau internazionale permanente in grado di saper organizzare una struttura, seppur minima, d’intervento nel caso veniva richiesta da parte di uno Stato una risoluzione arbitrale di un conflitto non più sostenibile dalla rete diplomatica19. La bozza emersa dall’incontro dell’ Aia , si avvicinava maggiormente ala modello proposto

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Ivi, pp. 44.

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dalla delegazione britannica, e quindi affiorava la proposta istitutiva di una corte internazionale composta da una “ lista” di giudici nominati dalle potenze firmatarie; la corte doveva essere inoltre composta da un bureau con sede all’Aia ed doveva necessariamente possedere una giurisdizione “ speciale”, mantenendo sempre viva l’idea di risolvere in modo pacifico i conflitti tra gli Stati.

Nonostante l’impulso decisivo fornito dai dibattiti dell’ Aia, grazie anche al dinamismo diplomatico del presidente americano Theodore Roosvelt, l’assemblea della prima conferenza dell’ Aia, seppure da un lato approvava la proposta di costituzione di una corte di arbitrato internazionale, dall’altro lato e parallelamente, congelò l’istituzione della stessa corte e della su a giurisdizione, avvallando l’introduzione di una procedura “speciale” arbitrale che gli Stati potevano applicare, qualora lo avessero ritenuto opportuno sul piano politico. Sarà poi durante i lavori della seconda conferenza sempre tenutasi nella città

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olandese, che il ruolo preciso della nuova corte arbitrale internazionale nascente, verrà definito.20

Infatti come descritto l’art. 41 della convenzione del 1907, quindi la convenzione che tratta in primo luogo sul funzionamento della corte stessa, le potenze che in quel momento contraevano l’accordo, e quindi i 45 Stati, s’impegnavano a mantenere operante la Corte permanente di arbitrato, configurata già dalla convenzione precedente.21 Il tribunale arbitrale, quindi, si componeva di tre organismi : uno che si andava a configurare con la “lista “ di giudici, l’altro era un bureau internazionale ed infine un consiglio amministrativo composto dai diplomatici degli Stati firmatari. L’azione della Corte si configurava come un’azione molto flessibile, e si focalizzava su due modalità d’intervento che conducevano quindi ad una sentenza, la quale, secondo la Convenzione dell’Aia, era definitiva e vincolante per le parti in conflitto. La prima modalità

20 Ivi.pp. 47 21

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utilizzate per la risoluzione dei conflitti, si esercitava quando le parti, che avevano in precedenza stipulato un compromesso arbitrale, e quindi «avendo ammesso la volontà di ricorrere alla Corte, su una o più controversie che potevano potenzialmente sorgere in futuro, e in

quest’ultimo caso le parti dovevano arrivare

precedentemente alla stipula di un trattato generale di arbitrato»22.

La seconda modalità invece si esercitava quando «le parti

avendo introdotto in un trattato una clausola

compromissoria, potevano sottoporre alla Corte una controversia relativa all’interpretazione e all’applicazione del trattato stesso»23.

Nonostante gli Statu Uniti abbiano con forza sostenuto con abili azioni diplomatiche, la Corte permanente di arbitrato, attraverso la stipula di 25 trattati di arbitrato, effettuati tra il

22

Ibidem.

23

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1908 e 1909, la lotta politica in favore della sua affermazione definitiva subiva una forte battuta di arresto.

A testimonianza di questa nuova tendenza politica, il numero degli Stati che decisero di firmare trattati in cui si prevedeva l’utilizzo dell’arbitrato obbligatorio, era molto esiguo. La suddetta Corte in realtà intervenne in circa 23 casi, tra il 1903 e il 1940, nel corso di quarant’anni, ed alcune sentenze costituirono giurisprudenza nei decenni successivi. Quello che più attira l’attenzione scorrendo la lista delle sentenze arbitrali della quale la Corte si è occupata, è la varietà dei temi sui quali i collegi erano chiamati a intervenire, ovvero temi riguardanti il blocco dei porti per pagamenti non avvenuti, questioni che concernano arresti illegittimi di individui e di militari, inoltre sequestro di navi durante i conflitti bellici.

Tra questi casi spiccano alcuni conflitti la cui risoluzione arbitrale costruì un punto di riferimento , come ad esempio la decisione della Corte sul caso denominato Desertes of

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Casablanca del 1909, in cui si vedono coinvolte la Germania e la Francia, provocato da un incidente diplomatico a seguito di un tentativo fallito di diserzione di sei soldati della legione straniera di stanza a Casablanca che si rifugiarono nel consolato tedesco; infatti una volta accordato loro il salvacondotto diplomatico per il rimpatrio dalle autorità diplomatico-consolari tedesche, furono arrestati dai militari francesi prima dell’imbarco su una nave che li trasferiva in Europa.

Ebbene la Corte, pur deprecando l’uso della forza da parte francese, riconobbe la precedenza della giurisdizione militare francese sulla giurisdizione extraterritoriale del consolato tedesco.24

24

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1.3. Primi tentativi centroamericani

Tra il 14 e il 20 dicembre 1907, venne istituita la prima corte internazionale permanente per i conflitti tra Stati, denominata Corte di giustizia dell’ America Centrale; la Corte nascente coinvolgeva vari paesi come ad esempio Costa Rica, El Salvador, Guatemala, Honduras ed infine Nicaragua.

Come è evidente, questi sono tutti Stati che s’impongono lungo lo scenario internazionale del processo di decolonizzazione , il quale ha condotti questi paesi lungo il percorso dell’ indipendenza.

Nel 1902 , durante le fasi di redazione del trattato di Corinto, quattro di questi stati, Guatemala escluso, arrivarono a firmare un accordo che prevedeva anche l’introduzione dell’arbitrato obbligatorio e di una corte permanente di arbitrato , la quale era composta da arbitri nominati direttamente dagli Stati.

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Il tribunale arbitrale fu istituito a San Josè e prevedeva che ogni Stato nominasse un arbitro con mandato a annuale; purtroppo le difficoltà che sopraggiunsero tra Guatemala ed El Salvador, accelerarono la proposta degli Stati Uniti e Messico di insediare anche una corte giudiziaria interstatale. Nel settembre dello stesso anno, gli Stati Uniti, siglarono una nuova convenzione che avrebbe dovuto istituire un ufficio internazionale centro-americano che fungesse da osservatorio circa i conflitti interstatali.

Ma le nuovi azioni belliche tra Honduras e Nicaragua del 1907 spinsero nuovamente gli Stati Uniti e il Messico a proporre l ‘organizzazione di una conferenza di pace da tenersi a Washington .

Durante questa conferenza di pace, che si svolse nella capitale statunitense tra il 14 novembre e il 20 dicembre 1907, senza la presenza attiva dei delegati del Messico e Stati Uniti, la proposta di ravvivare l ‘unione del Centro America , creò una divisione tra le delegazioni di Honduras e

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Nicaragua che spinse i rappresentanti di El Salvador a rilanciare il rafforzamento della corte di arbitrato.

La conferenza di Washington si concluse con la firma di un trattato generale di pace e di amicizia che conteneva due convenzioni, una istitutiva di una corte e l’altra che regolamentava la normativa sull’estradizione , sull’ufficio internazionale centroamericano .

Negli anni immediatamente successivi , il trattato venne rispettato e si procedette all’istituzione di una corte a seguito della convenzione siglata durante la conferenza di Washington .

Questa convenzione era composta da 28 articoli più una clausola opzionale relativa alla giurisdizione di questa corte, in cui si stabiliva, con una certa foratura che la corte avrebbe potuto intervenire anche nei conflitti tra i poteri di ogni singolo Stato, nei casi di mancato rispetto delle sentenze dei tribunali e delle decisioni del parlamento nazionale.

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Dopo dieci anni , nel 1918 la corte chiuse la sua attività con l’attivo una decina di casi tra ricorsi di privati cittadini contro la violazione dei diritti legati alla persona su modello della Corte suprema statunitense e i conflitti tra Stati; di questi però solo due si conclusero con una sentenza della corte mentre cinque furono dichiarati inammissibile tre possono essere definiti interventi diretti di mediazione della corte in casi specifici di conflitto, anche militare.

Dopo questa esperienza giudiziaria interstatale, tramontata per l’accentuarsi dei conflitti tra gli stessi Stati, gli stessi cinque Stati decisero di firmare nel 1923 un trattato che prevedeva la costituzione di un Tribunale internazionale centroamericano non permanente , ma costituito ad hoc, senza sede fissa e privo di una qualsiasi struttura burocratica, il quale poteva intervenire in situazioni di conflitto.

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1.4. La conferenza dell’Aia e la nascita della nozione

di crimini di guerra.

Nella prima decade del Novecento, seppure si respirava ancora un clima di fiducioso ottimismo legato all’idea che la pace fosse un’acquisizione imprescindibile della modernità, le forme giudiziarie internazionali e così l’istituzione di una Corte internazionale di giustizia, stavano subendo un forte arresto, arresto che stava diventando evidente.

La conclusione della conferenza dell’Aia del 1907 aveva messo in chiaro che rimanevano ancora irrisolte e aperte due grandi questioni giudiziarie, nonostante era visibile l’avvio di un proto-tribunale arbitrale, sotto la forma di una lista di esperti ai quali ci si poteva rivolgere per la risoluzione dei conflitti.

Le due grandi questioni giudiziarie che erano state messe in evidenza dalla conclusione della conferenza erano

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dell’obbligatorietà dell’ arbitrato , e dall’altro rimaneva aperto la questione circa il ricorso esclusivo al Tribunale internazionale di arbitrato.

Se però queste questioni internazionali erano rimaste irrisolte, su un altro versante si può notare il consolidamento di alcune conquiste come la giuridicizzazione delle relazioni internazionali, il rafforzamento del diritto di guerra che veniva definito “ più umanitario” , il riconoscimento di una formale uguaglianza di tutti i paesi sovrani e l’ avvio di un processo di istituzionalizzazione delle conferenze internazionali .25

Le conferenze dell’ Aia avevano inoltre affrontato anche i casi di uso indiscriminato della forza e della violenza nei conflitti bellici, con l’intento di tutelare tutte le popolazioni civili e i militari non più in grado di difendersi.

25 L . Tedoldi, La giustizia internazionale. Un profilo storico-politico dell’arbitrato della Corte

penale; con testi di Patrizio gonnella, Elisa Orrù, Alessandro Polsi e Pier paolo Portinaro , Carocci, Roma, 2012, p. 73-75.

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Si era ormai consolidata la nozione dei crimini di guerra, crimini contro l’umanità tanto che venne ripresa più avanti dai lavori di una commissione istituita dai vincitori della prima guerra mondiale con il compito di riesaminare e perfezionare sul piano normativo internazionale i risultati della conferenza del 1907, di fronte alla resistenza culturale e politica di alcuni governi.

Ad esempio, gli Statu Uniti consideravano i crimini contro l’umanità alla stregua di violazioni delle leggi morali, ma non del diritto positivo. Si evince che se la convenzione dell’Aia del 1907 codificò le principali leggi di guerra e servì come base normativa per la persecuzione dei reati durante il periodo successivo alla prima guerra mondiale, la comunità internazionale, che raggiunse un accordo multilaterale in merito alla redazione di una convenzione sulla condotta della guerra, accettò con estrema difficoltà i principi di responsabilità individuale nelle violazioni del diritto internazionale riguardi ai crimini di guerra.

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In realtà però i confronti politici riguardo le leggi di guerra, che vennero rafforzati durante la conferenza dell’Aia , non fecero grossi passi avanti , anche se proprio in queste sedi , per la prima volta, venne a potenziarsi il termine “war crime” ovvero crimine di guerra in sostituzione ad altre locuzioni.

Ciò ha determinato che nel corso dei primi anni del Novecento il dibattito sul perseguimento dei crimini di guerra o sulla violazione di leggi sulla guerra, e quindi su una eventuale punibilità mediante un Tribunale incaricato di giudicare di tali crimini, divenne molto frequente negli ambienti internazionali, tra i giuristi che auspicavano il miglioramento del codice umanitario internazionale .

Già dalla guerra franco-prussiana fino alla prima guerra mondiale, un numero elevato di governi si era assunto il diritto di giudicare i soldati stranieri catturati, sebbene le conferenze dell’ Aia non avessero chiarito , né affermato, i

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principi basilari sulla responsabilità penale dei crimini di guerra .

Nello stesso tempo però , la punibilità di questo tipo di reato avrebbe sollevato , un nuovo quesito tecnico- politico ed avrebbe posto nuovi interrogativi, ovvero : potevano gli individui essere soggetti di diritto internazionale mentre la dottrina aveva sempre ritenuto che fosse lo Stato responsabile dei reati degli individui? 26.

Nella realtà, questa tipologia di crimine, la quale rimaneva fortemente circoscritta al diritto bellico , non sembrò ottenere un’ attenzione particolare degli accademici occidentali.

In vero infatti, alla fine della prima decade del Novecento, il tema della punizione dei crimini di guerra fu soppiantato dal problema dell’arbitrato internazionale, che dominò la

26 L . Tedoldi, La giustizia internazionale. Un profilo storico-politico dell’arbitrato della Corte

penale; con testi di Patrizio gonnella, Elisa Orrù, Alessandro Polsi e Pier paolo Portinaro , Carocci, Roma, 2012, p. 73-75.

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scena internazionale circa dibattito sul consolidamento del diritto umanitario internazionale.

In ogni caso ben poco si venne a conoscere nel cuore dell’Europa dei crimini perpetrati nei confronti della popolazione civile dalle truppe sul fronte orientale e balcanico durante la prima guerra mondiale, sebbene su quegli scenari drammatici si verificassero perfino fenomeni di genocidio, con crimini devastanti contro la popolazione inerme e incoraggiati, in alcuni casi, dalle stesse gerarchie militari, come nel caso della deportazione degli armeni e dell’espulsione degli ebrei dalle regioni occidentali della Russia.

In risposta però ai numerosi rapporti sulle violazioni delle leggi di guerra, tra il 1915 e il 1919, vennero avviate alcune inchieste condotte da singoli esperti o da commissioni internazionali.

Il dibattito tra i giuristi si concentrò intorno alla questione delle condizioni disumane della guerra al fronte: uso del

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gas, trattamento dei prigionieri e più in generale introduzione di tecnologie belliche avanzate.

In questi stessi anni però la comunità internazionale non era concorde nell’affermare in modo unanime che i crimini di guerra dovessero essere repressi con il perseguimento giudiziario dei responsabili, né nell’accusare eventualmente un capo di Stato di crimini internazionali.

Ebbene, si possono citare vari esempi storici, soprattutto durante i periodi bellici, uno di questi è riconducibile al periodo immediatamente posteriore alla fine della prima guerra mondiale.

Infatti durante le fasi preliminari della conferenza di Parigi del 1919, i governi dei paesi vincitori, e quindi il Regno Unito, Francia, Italia Stati Uniti e Giappone, crearono una commissione d’indagine in merito alla responsabilità sull‘avvio della crisi bellica e sulle violazioni della law of war, la quale aveva il compito di raccogliere la documentazione

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sui vari casi di war crimes e di valutare le sanzioni da comminare per punire, il reato di aggressione bellica.

Il risultato che scaturì dal lavoro di questa commissione d’indagine, è stato sempre quello di ritornare a discutere sui grandi temi ormai molto dibattuti dalla maggior parte della dottrina internazionale, concentrandosi in particolar modo sulla responsabilità penale dei crimini di guerra che riguardavano la Germania.

Tale commissione d’indagine sostenne che la Germania fosse così responsabile dello scoppio della guerra , mentre la Turchia e la Bulgaria dovevano essere perseguite , a livello internazionale, per aver avuto la colpa di aver condotto una guerra con l’uso di mezzi non “ appropriati” come ad esempio l’uso del gas contro i combattenti nemici,e perseguendo la guerra attraverso metodi illegali che avevano violato le leggi e le consuetudini di guerra, ma soprattutto violando i principi di umanità.

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Il perseguimento di questi crimini avrebbe dovuto essere condotto base alla convenzione dell’ Aia del 1907 che costituiva l’unico riferimento giuridico sul piano internazionale su cui fondare una sorta di legittimità a perseguire questo tipo di violazioni .

Il tema, e quindi il conseguente nodo politico circa la punibilità di tali reati, dei crimini di guerra per l’appunto, stava attraversando e coinvolgendo l’Europa intera; così anche «all’atto di stipula del trattato di Sèvres del 1920 i rappresentanti delle potenze alleate, e dell‘ impero ottomano trovarono un accordo per l’inserimento di cinque articoli , in cui veniva imposto al governo turco di riconoscere alle potenze alleate il diritto a condurre innanzi a tribunali militari alleati persone accusate di violazione delle leggi e delle usanze di guerra»27.

27 A. Lepore , C. Petraccone, La Storia, Zanichelli, Bologna , 2009, p. 399. « Il trattato di Sèvres,

firmato il 10 agosto del 1920 era un accordo tra gli stati dell’Intesa e la Turchia che aveva partecipato alla prima guerra mondiale combattendo insieme agli Imperi centrali. Le clausole territoriali del trattato furono durissime e sottraevano all’ex impero ottomano circa quattro quinti del suo territorio. Esso prevedeva quindi la cessione della Tracia alla Grecia e il controllo alleato su una vasta zona degli stretti, Istanbul compresa ; inoltre l’istituzione di un regime

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Purtroppo però questo trattato non fu mai ratificato dalle istituzioni e dal governo dei turchi, mentre nel 1923 si procedette alla firma di un nuovo trattato, quello di Losanna,il quale conteneva una dichiarazione di concessione dell’amnistia estesa a tutti coloro che si erano resi responsabili di crimini di guerra tra il 1904 e il 1922.

Da questo si capisce bene come il tentativo di punire l’impero turco per il genocidio armeno non venne portato avanti , perché le scelte diplomatico- militari ebbero di ridefinizione dei confini e dei territori dell’ ex impero ottomani prevalsero, portando così l’attenzione politica ad

allontanarsi definitivamente dal problema della

perseguibilità dei responsabili del genocidio.

speciale per Smirne e il suo retroterra, affidati alla Grecia; il riconoscimento dell’indipendenza dell’ Armenia entro i confini da stabilire ; la concessione di un’anatomia locale al Kurdistan e l’assegnazione a Francia Gran Bretagna e Italia di sfere d’influenza economica in Anatolia.

Di particolare importanza era la formale rinunc9ia della Turchia a ogni pretesa territoriale oltre le proprio frontiere. L’impero ottomano usciva dunque ridotto a un territorio più piccolo della Turchia attuale, a vantaggio soprattutto della Grecia nella sua parte europea e di Grecia , Siria , Iraq e Armenia in quella asiatica. Il trattato si rivelò tuttavia fragile di fronte al risveglio nazionalista promosso da Mustafa Kemal Ataturk, risveglio che condusse poi alla stipula del Trattato di Losanna , molto più vantaggioso per la Turchia di quello di Sèvres».

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1.5. Premesse alla Corte permanente di giustizia

internazionale e attività conseguenti.

Negli anni precedenti alla scoppio della Grande guerra tra gli ambienti internazionale, si ebbe la sensazione che si stesse delineando,un’insieme giudiziario internazionale, che avrebbe finalmente risposto alle attese dei più convinti sostenitori di una giustizia internazionale.

Il processo evolutivo di tale giustizia si arrestò bruscamente di fronte a un più forte indirizzo politico orientato alla

costituzione di un unico organismo giudiziario

internazionale, il quale riverberava gli intendimenti solo di alcuni settori .

Nonostante la nota avversione politica del presidente americano Wilson, per la costituzione di una sola Corte mondiale, la World Court, essa divenne il vero pilastro della pace e rimase il modello giudiziario internazionale di riferimento per gran parte dei politici e dei diplomatici americani, i quali, com’è noto, erano divisi tra coloro che

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pensavano ad una corte mondiale autonoma, come appunto i conservatori, e coloro invece che prefiguravano una futura organizzazione internazionale dove la Corte mondiale rientrava a pieno titolo a fianco di altre istituzioni, come fu appunto la Società delle nazioni, tanto sostenuta dal presidente Wilson, a cui però gli Statu Uniti non aderiranno.

Decisiva in questa frangente, fu l’esperienza della prima guerra mondiale, che aveva mostrato come «il perseguimento degli interessi della politica degli Stati aveva fatto si che si sgretolassero definitivamente le istanze della giustizia internazionale, e inoltre mostrava come la guerra dopo la stipula del trattato di Versailles, aveva imposto una netta asimmetria politica- culturale, tra chi agiva nel nome del diritto e chi invece era chiamato a giudizio e che tendenzialmente assumeva i caratteri sempre più marcati di

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governo di uno Stato “ ingiusto”, destinato a violare i diritti degli individui»28.

Ebbene la Grande guerra, portò al disfacimento dei rapporti di potere tra gli Stati nazionali coinvolti, e si fece ancora più impellente l’idea e l’esigenza politica di considerare l’istituzione di un ordinamento internazionale al disopra degli stati, che doveva adoperarsi per contrastare le guerre di aggressione , considerate un vero crimine , sancito addirittura dall’ art. 227 proprio del trattato di Versailles, che dichiarava ormai «l’avvenuto ripensamento e superamento dei principi di repressione dei tradizionali crimini in bello , ovvero crimini relativi esclusivamente alla condotta della guerra e al rispetto dei prigionieri»29.

Considerare il concetto di guerra come atto meramente criminale, e quindi ritenerla come una vera e propria

28 L . Tedoldi, La giustizia internazionale. Un profilo storico-politico dell’arbitrato della Corte

penale; con testi di Patrizio gonnella, Elisa Orrù, Alessandro Polsi e Pier paolo Portinaro , Carocci, Roma, 2012, p. 73-75.

29 Cfr. G. Gozzi , Diritti e civiltà. Storia e filosofia del dirito internazionale, Il Mulino, Bologna ,

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violazione dell’ordine internazionale, faceva in modo che l’esigenza della costituzione di una più robusta e articolata corte internazionale si manifestasse come una condizione improrogabile ormai.

Com’è noto, in questo contesto intervenne l’attività politica del presidente Wilson; l’azione di quest’ultimo proponeva il superamento dell’equilibri di potere con l’istituzione di una comunità di potere organizzata e soprattutto legittimata dal consenso.

La comunità di potere ideata da Wilson era rivolta al raggiungimento di obiettivi politici più ampi, come ad

esempio il perseguimento e il rafforzamento

dell’internazionalismo di democrazia, di libertà e di libero scambio che doveva essere quindi esteso in tutto il mondo e garantito soprattutto dalla costruzione di un governo mondiale.

Queste furono le premesse che poi condurranno il presidente americano a rivolgere i propri sforzi in politica

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estera all’organizzazione di un’ associazione generale delle nazioni, approvata dalla pace di Parigi del 1919, che sarebbe stata istituita allo scopo di garantire, attraverso la difesa dell’indipendenza politica e dell’integrità territoriale per tutti i paesi grandi e piccoli, il rafforzamento di una duratura sicurezza collettiva.

Questa associazione così desiderata era la Società delle Nazioni, la cui data di nascita, il 10 gennaio 1920, corrispose al giorno dell’entrata in vigore del trattato di Versailles. Il processo che portò alla creazione della Corte internazionale, peraltro prevista dall’ art. 14 del trattato, s’irrobustì durante il biennio 1918-19, proprio all’interno del confronto internazionale sull’istituzione della Società delle Nazioni.

La proposta più incisiva però pervenne al presidente degli Stati Uniti, dalle osservazioni proposte dal regno Unito , che trovarono luogo nel documento che vi emerse, ovvero un

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documento sul Patto della Società delle Nazioni, stilato dal ministro Cecil.

In vero, in questo documento trovano poste alcune proposte che diventeranno terreno di confronto aperto e diventeranno matrice stessa della Corte : la creazione di una Corte di diritto internazionale, nominata dal Consiglio della Società , la quale doveva ratificare le decisioni nei casi in cui la Corte riteneva di procedere.

Quasi un anno dopo , il secondo incontro del Consiglio della Società delle nazioni diede il via a un comitato di giuristi con il compito di preparare un progetto di Corte permanente di giustizia internazionale.; Tra giugno e luglio del 1920 il comitato discusse di svariati temi affrontando questioni che erano considerate come grandi quesiti sottesi alla cultura giuridica internazionale del tempo, con una grande professionalità.

Le discussioni quindi riguardavano, in particolar modo, i rapporti tra politica e diritto , tra giustizia ed equità, tra

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arbitrato e decisone giudiziaria, i quali costituivano gli elementi del tessuto giurisprudenziale posto a fondamento della carta statuaria della futura Corte.

In questa sede quindi si focalizzo l ‘attenzione attorno ai complessi nodi teorici e politici legato alla’istituzione della Corte internazionale.

Per queste nascenti ed imminenti motivazioni il comitati decise di riprendere la discussione delle valutazioni sulle risoluzioni della conferenza di pace del 1907, per ripensare anche al rafforzamento del principio dell’uguaglianza giuridica degli Stati e della giurisdizione obbligatoria della Corte, sempre rifiutata dalla grandi potenze.

Il testo proposto dal comitato all’ Assemblea della Società delle nazioni «proponeva la nascita di un vasto organismo giudiziario unitario, in ottemperanza all’art. 14 del trattato di Versailles, e quindi configurava la nascita di una Corte

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Internazionale competente per giudicare i crimini contro l’ordine pubblico internazionale.»30

Sebbene la proposta fu deposta con una certa velocità innanzi all’ Assemblea della Società delle nazioni, nel 1920 questa la respinse giudicandola troppo “ prematura”.

Infine la bozza dello statuto della Corte permanete , venne in seguito approvata unanimemente nella sessione plenaria dell’ assemblea della Società delle Nazioni il 13 dicembre dello stesso anno.

1.6. L’istituzione della Corte internazionale di

giustizia.

Lo statuto della Corte internazionale di giustizia fu varato il 24 luglio del 1920 e posto in essere successivamente, nel 1922.

30

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La carte costitutiva affermava il ruolo di intervento della Corte internazionale nel giudicare i capi di crimini contro l’ordine pubblico internazionale e in particolar modo attribuiva alla Corte il compito di preservare quello che era il diritto delle genti universale, questioni che gli sarebbero stati sottoposti dall’Assemblea plenaria della Società delle nazioni oppure dal Consiglio della Società stessa.

Per motivi legati ancora una volta all’ostilità degli Stati nell’accettare una giurisdizione internazionale permanente, lo statuto della Corte «non poté rientrare a pieno titolo nelle parti integranti dell’accordo che costituiva l’atto fondativo della Società delle nazioni»31.

C’è da sottolineare un altro aspetto importante: il secondo comma dell’ ‘art. 36 dello statuto stabiliva che gli stati potevano accettare la giurisdizione della Corte in maniera condizionata, o limitata, ragion per cui questa si identificava come una scelta politica dettata dal mero compromesso fra

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gli Stati più piccoli, i quali si mostravano tendenzialmente più favorevoli ad una giurisdizione obbligatoria , e invece le grandi potenze erano riluttanti ad accettare l’intervento giudiziario della Corte .

L’azione della Corte poteva dispiegarsi anche sul «controllo delle norme inserite all’interno dei trattati , soprattutto quelle che prevedevano che le nuove nazioni dovessero garantire alle minoranze i diritti di organizzazione e di rappresentanza politica, l’uso della propria lingua nelle aule dei tribunali, il rispetto delle compensazioni o risarcimenti, per le espropriazioni fondiarie e risorse adeguate per la formazione scolastica »32.

Lo statuto della stessa, prevedeva inoltre che la Corte potesse intervenire facendo riferimento a tre tipologie di azione giudiziaria , associate a differenti casi giudiziari. In generale la procedura della Corte si divideva in due fasi distinte: una fase che era prettamente scritta e un ‘altra in

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forma orale; una volta pervenuta la notifica del cancelliere della causa, con l’indicazione degli estremi del caso e delle parti in conflitto, gli uffici della Corte dovevano provvedere

a raccogliere tutta la documentazione che poi

successivamente veniva resa disponibile alle parti coinvolte nel procedimento giudiziario.

1.7. Le attività della Corte internazionale di giustizia.

Per spiegare in modo dettagliato e preciso quali sono state le attività della Corte , possiamo prendere spunto dalla periodizzazione proposta da Ole Spiermann.

Lo studioso dei processi internazionali del diritto infatti sostiene che è possibile dividere le fasi storiche della Corte permanente in tre parti distinte.

La prima parte dell’attività della Corte copre l’arco temporale che dal 1921 al 1924, che è stata definita come

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“periodo di fondazione”; la seconda tappa invece è identificabile con l’arco temporale che va dal 1925 al 1930, mentre la terza fase copre gli anni dal 1931 al 1945, fase quest’ultima definita come “giuridico-nazionale” più attenta al tema della salvaguardia della Sovranità degli Stati.

Tentando di dare un quadro il più possibile esaustivo e completo e analizzando l’attività della Corte , lo studioso analizza i problemi più importanti per la giurisprudenza internazionale; ebbene , la Corte prese in esame 65 procedimenti ed espresse 32 giudizi , 27 consulti ed infine 137 ordini.

Il caso più significativo per l’attività della Corte fu quello relativo ai Nationality Decrees In Tunis and Marocco, riguardanti le competenze del Consiglio della Società delle Nazioni, in merito ad un conflitto tra Francia e Gran Bretagna che vedeva quest’ultima contestare la legittimità dell’imposizione della nazionalità francese ai soggetti di

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origine britannica nei protettorati francesi di Tunisia e Marocco.

Il parere della Corte in questo caso si mosse su due pian distinti: nel primo, veniva affermato che il diritto dello Stato di utilizzare la propria discrezionalità sulla concessione della cittadinanza era ristretto dagli obblighi assunti dallo stesso Stato verso altri Stati , e il secondo che qualificava il caso sottoposto a giudizio come non esclusivamente “ interno” e quindi esso non era di giurisdizione domestica. A questo punto le parti avviarono i negoziati , i quali si conclusero con lo scambio di note del 24 maggio 1923, con il quale il governo francese si impegnava a riconoscere ai cittadini britannici sul suolo tunisino il diritto di optare per la nazionalità d’origine .

La Nationality Decrees Opinion, è invero considerata un punto di riferimento rilevante per il diritto internazionale, tanto che anche l’Italia, a sua volta, decise di negoziare con la Francia un nuovo accordo sul riconoscimento della

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