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Nel 1960 la Corte si trovò ad affrontare un caso di grande importanza nel panorama politico ed internazionale; dobbiamo collocare questa sentenza nell’anno in cui gran

parte dei paesi africani stavano raggiungendo

l’indipendenza politica, e i governi di Liberia ed Etiopia citarono in giudizio il Sudafrica per aver mancato di ottemperare agli obblighi di corretta amministrazione che gli spettavano in base al mandato ottenuto nel 1920 sul territorio dell’ Africa Sud-Ovest.

Questa regione aveva un particolare status giuridico dal momento che l’ONU non aveva accettato la proposta del governo di Pretoria di incorporare il territorio nello Stato sudafricano.

Come già accennato in precedenza, con il parere consultivo del 1950, la Corte internazionale aveva stabilito che il Sudafrica continuava ad essere soggetto agli obblighi

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internazionali previsti dal regime mandato e non poteva incorporare il territorio senza il consenso delle Nazioni Unite.

La citazione in giudizio da parte di Etiopia e Liberia, aveva una duplice valenza politica, ovvero quella di aprire la strada all’indipendenza del paese e quello di attaccare il regime di apartheid.

Come si evince facilmente, la questione aveva una carica politica dirompente, proprio perché si manifestava come il tentativo di attaccare un regime di apartheid scavalcando gli organi politici dell’ONU , dove fino a quel momento i paesi filooccidentali erano riusciti ad evitare la condanna del Sudafrica.

Questo tentativo si palesava anche come una sfida alla Corte stessa, la quale era composta per la maggior parte da giudici bianchi e in larga misura occidentali.

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Si diffuse il timore tra i giuristi occidentali, che il diritto internazionale fosse giudicato troppo occidentale per risultare affidabile e al tempo stesso che fosse non adeguatamente sviluppato per venire incontro ai problemi dei paesi di nuova indipendenza. I giudici della Corte internazionale erano ben consapevoli dell’importanza della questione e la trattazione del caso si protrasse per quasi sei anni, un tempo molto lungo che ebbe come conseguenza , di congelare una parte delle iniziative africane ed asiatiche che si voleva mettere in atto contro il Sudafrica. Quest’ultimo accetto di partecipare al giudizio, «esponendo così le proprie ragioni; l’attività della Corte si svolse in due parti: dapprima la verifica della competenza della Corte e del diritto dei ricorrenti a stare in giudizio , infine il parere sulla comunità del regime dei mandati».62

Il 19 luglio 1966 la Corte dichiarò che la Liberia ed Etiopia mancavano di un interesse giuridicamente rilevante ad agire

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contro il Sudafrica e quindi annullava il procedimento, rendendo nulli così anni di lavori e di sedute pubbliche . Questa decisione della Corte non mancò di suscitare molte critiche, alcune delle quali si riflettono ancora in tempi a noi vicini; il presidente in carica della Corte ha ricordato recentemente come la decisione presa dalla stessa nel 1966 , sia da identificarsi come un‘ ombra sull’attività della Corte in quanto essa , ancora oggi, viene considerata come una decisione di natura politica, «favorevole ad un Occidente bianco , incalzato dalla marea dei popoli ex coloniali reclamanti giustizia63».

La questione dell’ africa del Sud-Ovest imboccò una via chiara solo nel 1970, quando il Consiglio di sicurezza, con la

risoluzione n. 276, dichiarò giuridicamente nulla

l’amministrazione del Sudafrica in Namibia, nome da quel momento utilizzato ufficialmente per denominare il paese.

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A partire però dal 1966 la Corte attraversò un periodo di quasi completa inattività per mancanza di cause e per mancanza di richieste di pareri; questa situazione fornì l’occasione per avviare un processo di revisione della procedure per rilanciare la Corte internazionale di giustizia. Lo stato di inattività della Corte fu oggetto di discussione da parte dell’ Assemblea generale nel 1970 , e gli Stati Uniti , assieme ad altri 11 Stati, tra cui presente era anche l’Italia, avanzarono la proposta di nominare un comitato ad hoc incaricato di studiare i mezzi per rendere più efficace il lavoro della Corte.

Una volta istituito un comitato dell’Assemblea generale nel novembre del 1971, si avviarono le proposte di riforma, le quali intervenivano su tre aspetti della procedura, semplificando e restringendo la facoltà delle parti di produrre memorie scritte, snellendo le procedure degli interventi orali.

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In conseguenza delle modifiche apportate nel 1972 alla procedura della Corte, l’ Assemblea generale dell’ONU approvò nel novembre del 1974 una risoluzione che invitava gli Stati e le agenzie delle Nazioni Unite a fare maggiore uso della Corte e raccomandava agli stati di inserire nei trattati internazionali la previsione del ricorso alla Corte per la soluzione delle dispute.

Qualche anno più tardi nel 1979 gli Stati Uniti ricorsero alla Corte perché sanzionasse il comportamento del governo iraniano sulla questione degli ostaggi trattenuti contro loro volontà nell’ambasciata americana.

In questo caso risultava facilmente dimostrabile la violazione di trattati e convenzioni internazionali ma l’unico dubbio che poteva sorgere, riguardava la giurisdizione della Corte in almeno due sensi : la facoltà di occuparsi di un caso pendente presso il Consiglio di sicurezza e l’atteggiamento di non collaborazione dell’Iran, che pur avendo aderito a

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suo tempo alla clausola opzionale, non rispose alle contestazioni, né mandò i propri rappresentanti facendosi giudicare in contumacia .64

La Corte espresse una prima pronuncia provvisoria in cui si chiedeva al governo iraniano di assicurare l’immediata restituzione della sede diplomatica agli Stati Uniti, il rilascio degli ostaggi e la protezione del personale diplomatico.

Inoltre con la sentenza del 24 maggio 1980 la Corte giudicava il governo iraniano responsabile dei fatti, non per la presa degli ostaggi in sé, ma per il palese appoggio dato nei giorni seguenti all’iniziativa degli studenti islamici.

L’Iran era quindi condannato a corrispondere un indennizzo per l’episodio accaduto, ma la crisi trovò soluzione soltanto l’anno successivo nel 1981, a seguito di un accordo fra i due Stati ottenuto grazie alle ritorsioni USA applicate ai beni dell’Iran. Questo episodio insieme a quelli avvenuti in

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L. Ferrari Bravo, La Corte Internazionale di Giustizia e la questione degli “ ostaggi” americani a Teheran, in “ La Comunità Internazionale”, 3, 1981, p, 377-94.

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Nicaragua e in Libia, rappresentarono un momento di ritorno alla visibilità e soprattutto ritorno all’attività della Corte dopo un periodo di inattività.

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CAPITOLO III

3.1. Istituzione e funzionamento della Corte penale