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le sCelte Delle region

4.1 lo schema di analisi delle leggi regional

4.2.2 i distretti industriali e i distretti produtt

Le Regioni che disciplinano DIND e DISP stabiliscono la loro finalità, sintetizzate nella tabella 4.1, con riferimento all’insieme delle PMI regionali che possono aggregarsi in or- ganizzazioni di tipo distrettuale, tra le quali si collocano anche le imprese agroindustriali.

È il caso del Friuli Venezia Giulia che «riconosce il ruolo rilevante delle piccole e medie imprese (PMI) nello sviluppo economico e sociale del territorio» e che inserisce i distretti in un articolato quadro di finalità volte al rafforzamento della loro competitività, riconoscendo loro un ruolo rilevante nei processi di governance. Il distretto persegue anche finalità rivolte al miglioramento delle condizioni di vita e del clima distrettuale, perciò è investito anche del coordinamento per il riordino delle politiche territoriali.

Il Veneto regola i distretti con l’intento di promuovere azioni di sostegno allo sviluppo del sistema produttivo regionale, «tenendo conto del principio di concertazione», e discipli- na anche le modalità di attuazione degli interventi per lo sviluppo locale. Il Veneto sottolinea il valore della governance, riconoscendo che solo i distretti produttivi che riescono a darsi una strategia di sviluppo, attraverso una coalizione istituzionale che sottoscrive un Patto, diventano potenziali destinatari delle risorse regionali.

Per la Sicilia il distretto produttivo è anzitutto uno strumento per rafforzale l’organiz- zazione delle filiere produttive, diffondere l’innovazione tecnologica nel sistema produttivo regionale e sostenere processi di internazionalizzazione. La Regione identifica il distretto produttivo nel patto tra soggetti pubblici e privati finalizzato a realizzare una progettazione che dovrà essere integrata anche con tutte le iniziative per lo sviluppo del territorio previ- ste dai programmi di sviluppo locale (Asi, Pit, Patti territoriali, Contratti d’area, LEADER e altri strumenti di programmazione negoziata) e di internazionalizzazione dell’economia siciliana, nonché con le strategie territoriali dei programmi regionali finanziate dall’UE e dal Fondo Aree Sottoutilizzate (FAS).

Puglia e Lombardia disciplinano DISP e con successivi atti raccordano questa discipli- na al D. Lgs. 228/2001 per individuare i distretti rurali e agroalimentari di qualità e distretti di filiera (la sola Lombardia). Perciò il primo inquadramento giuridico destina i loro distretti alle medesime finalità dei distretti industriali, puntando soprattutto all’innovazione e inter- nazionalizzazione dei sistemi di imprese di diversi settori.

La Puglia riconosce che il distretto è espressione della capacità del sistema delle imprese e istituzioni locali di sviluppare una progettualità strategica comune, che assume la forma di programma. In forza di ciò, ne riconosce la capacità di perseguire gli obiettivi sintetizzati nella tabella 4.1. A tale scopo, la Regione adegua le proprie normative per of- frire ai distretti produttivi strumenti per il loro sviluppo e li include i nei suoi programmi di intervento.

La Lombardia, nell’ambito della propria legge «strumenti di competitività per le im- prese e per il territorio della Lombardia», disciplina i distretti produttivi, che trovano poi una specifica declinazione con un successivo atto normativo58 che regola i distretti rurali

e agroalimentari di qualità e i distretti di filiera. L’iniziativa lombarda è finalizzata a iden- tificare e sostenere nuovi fattori di competitività per il settore agricolo e agroindustriale, individuando anche strumenti per «contrastare la marginalizzazione territoriale e la perdita di competitività subita dal settore e dalle filiere produttive di fronte alla crescente apertura dei mercati». I distretti agricoli lombardi sono disciplinati tra gli strumenti per sostenere la competitività delle imprese e, accanto alle azioni volte a favorire l’internazionalizzazione, sostengono anche la competitività del territorio attraverso lo sviluppo di reti di servizio (in- frastrutturali, informatiche, energetiche ecc.) e l’attrazione di investimenti e iniziative fina- lizzate a consolidare i sistemi territoriali. Inoltre, la Lombardia dichiara di perseguire uno sviluppo sostenibile dal punto di vista ambientale e sociale e promuove una governance del sistema economico rispetto al quale assume un ruolo «partenariale e concertativo» volendo anche contribuire a migliorare i rapporti tra imprese e pubblica amministrazione.

4.3 individuazione

In rapporto alla diversa tipologia di distretti disciplinata, le Regioni stabiliscono diffe- renti requisiti per la loro individuazione e assegnano un diverso significato alla loro dimen- sione spaziale e territoriale.

Le Regioni hanno invece adottato scelte più omogenee per definire le modalità di svol- gimento del processo di individuazione che, in rapporto al ruolo che in esso devono svolgere i diversi attori in gioco, può rispondere a un approccio ascendente (bottom up) o discendente (top down).

4.3.1 i requisiti

Ai fini della lettura comparativa delle normative regionali è stato necessario adot- tare dei criteri per aggregare la varietà di formulazioni adottate dalle Regioni in gruppi di requisiti omogenei da indicare con locuzioni che ne sintetizzino il significato. Quelle di seguito proposte, perciò, tengono in considerazione sia le specificità di ciascuna tipologia distrettuale di cui la legislazione detta le caratteristiche - essendo stata il primo punto di riferimento per i legislatori regionali - sia di dover mantenere la necessaria coerenza con la generalità dei provvedimenti regionali esaminati. Perciò, anche in questo tipo di analisi, è utile distinguere tra distretti industriali e distretti rurali e agroalimentari di qualità.

Nel caso dei DIND disciplinati con riferimento alla L. 317/1991, le modalità di indivi- duazione dovevano attenersi alla verifica della sussistenza di predefiniti parametri stati- stici (par. 1.2.1), ma le Regioni che hanno formulato o adeguato la propria disciplina alla L.

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140/1999 sui sistemi produttivi locali, hanno potuto integrare tali criteri con altri anche di tipo qualitativo per meglio adattarsi alle concrete situazioni distrettuali locali (tabella 4.2). È questo, ad esempio, il caso del Friuli Venezia Giulia che, per il distretto agroalimentare di San Daniele, adatta a quella realtà il parametro della densità imprenditoriale e aggiunge altri requisiti qualitativi come l’omogeneità di filiera e l’equilibrata composizione societaria del soggetto gestore.

Quanto ai distretti disciplinati con riferimento alla finanziaria 2006 (DISP), viste anche le leggi regionali che vi fanno riferimento, i requisiti per la loro individuazione sono stati sintetizzati nei seguenti:

• Rilevanza economica del distretto, nel contesto locale o regionale, da dimostrare at- traverso indicatori statistici, nello spirito delle normative antecedenti;

• Integrazione di filiera, si tratta di un parametro utile a identificare il distretto produt- tivo anche in termini di filiera, agricola ma (più frequentemente) agroalimentare; Innovazione, che rappresenta l’aspetto caratteristico e saliente di questa più recente

tipologia di distretto;

Governance: è il termine sintetico con cui si indica in questo testo un requisito costan- temente richiesto dalle Regioni per consentire l’individuazione di un distretto. Le Regioni, infatti, chiedono prova del coinvolgimento, più o meno ampio, degli attori locali rispetto a fasi diverse della formazione del distretto: la preliminare manifestazione d’interesse da parte degli Enti locali dell’area distrettuale o il preliminare coinvolgimento degli attori loca- li, privati e istituzionali, all’avvio della procedura di costituzione del distretto o del suo sog- getto di rappresentanza, o la fase di attuazione del progetto. Si tratta di un parametro che non è riconducibile a una sola specifica definizione di distretto, ma che interpreta lo spirito che accomuna tutta la legislazione sui distretti.

Occorre distinguere tra i diversi distretti produttivi disciplinati da Lombardia, Puglia e Veneto, Sicilia.

Puglia e Lombardia indicano i requisiti per l’individuazione dei DISP nell’ambito di una legge generale che interessa più settori produttivi, per poi specificare i caratteri dei distretti ru- rali e agroalimentari di qualità con successivi atti dispositivi, con riferimento al D. Lgs. 228/2001.

Nella normativa veneta e siciliana59, invece, non si fa alcun riferimento alla legisla-

zione sui distretti rurali e agroalimentari di qualità. Una peculiarità di queste Regioni, è che la realizzazione della progettazione strategica, come frutto dell’azione di concertazione, è elevata al ruolo di elemento che identifica e definisce il distretto, e conseguentemente è anche requisito necessario per la sua individuazione. Infatti, queste Regioni riconoscono contestualmente il distretto, il suo progetto strategico e le azioni da finanziare.

Le Regioni che hanno scelto di disciplinare distretti rurali e agroalimentari di qualità (DRAQ) hanno creato un’ampia casistica di elementi economici, demografici, geografici e sociali atti a identificare e qualificare la natura distrettuale, rurale o agroalimentare di qua- lità (o di filiera), dell’istituendo distretto in stretto riferimento, anzitutto, alle definizioni che di queste tipologie di distretti ha offerto il D. Lgs. 228/2001.

In particolare, in base alla definizione, i distretti rurali sono: • caratterizzati da un’ identità storica e territoriale omogenea,

• derivante dall’integrazione fra attività agricole e altre attività locali,

• nonché dalla produzione di beni o servizi di particolare specificità, coerenti con le tradizioni e le vocazioni naturali e territoriali.

59 Quanto alla Sicilia, ci si riferisce alla normativa che è stata effettivamente applicata (cfr. schede di analisi delle leggi regionali). In effetti il Decreto Assessore dell’Agricoltura 99092/2006 stabilisce una disciplina per i distretti produttivi agroalimentari di qualità, che però non ha trovato applicazione.

Perciò, i requisiti indicati dalle Regioni in rapporto a tali aspetti definitori, sono qui (e nelle schede in Appendice, cui si rinvia per maggiori dettagli) stati indicati sinteticamente come: • ruralità e omogeneità del territorio rurale che corrisponde al primo punto della defi-

nizione;

integrazione multisettoriale, che corrisponde al secondo punto della definizione; • integrazione con il territorio che corrisponde, in modo ampio, al terzo punto della

definizione;

• governance, con lo stesso significato sopra indicato.

Analogamente, per i distretti agroalimentari di qualità le Regioni hanno definito re- quisiti capaci anzitutto di stabilire la corrispondenza dei territori alla definizione legislativa che li indica caratterizzati da:

• significativa presenza economica,

• interrelazione e interdipendenza produttiva delle imprese agricole e agroalimentari, • una o più produzioni certificate e tutelate ai sensi della vigente normativa comunitaria

o nazionale,

• oppure da produzioni tradizionali o tipiche.

Conseguentemente, i requisiti sono stati qui sintetizzati nelle seguenti tipologie: • Integrazione di filiera, che racchiude i requisiti rispondenti al primo e secondo punto; • Qualità delle produzioni, con riferimento al secondo punto;

• Integrazione con il territorio con riferimento all’ultimo punto; • Governance anche in questo caso, valga quanto detto sopra.

Tabella 4.2 - Requisiti per l’individuazione dei distretti produttivi e dei distretti rurali e agroalimentari di qualità

Distretti produttivi Distretti rurali Distretti agroalimentari di qualità

Rilevanza economica Ruralità e omogeneità del territorio -

- - Qualità delle produzioni

Integrazione di filiera Integrazione multisettoriale Integrazione di filiera

Integrazione con il territorio Integrazione con il territorio

Innovazione - Innovazione

Governance Governance Governance

Fonte: ns elaborazione su normative regionali vigenti.

Nella tabella tabella 4.3 è riepilogato il quadro delle scelte operate dalle Regioni e sono indicate sinteticamente anche quelle che formulano requisiti aggiuntivi per il cui ap- profondimento comunque si rinvia alle specifiche schede di analisi.

La Toscana distingue la natura necessaria, qualificante o aggiuntiva dei molteplici requisiti per l’individuazione dei suoi distretti rurali. Il Lazio indica requisiti aggiuntivi per l’individuazione di distretti rurali nelle aree rurali periurbane. La Lombardia formula re- quisiti specifici per l’individuazione dei distretti di filiera. Il Piemonte elabora i requisiti per l’individuazione dei distretti rurali, salvo poi osservare che sussistono condizioni di sovrap- posizione territoriale e di ambito d’azione con l’azione del programma LEADER. Il Veneto indica anche i parametri per l’individuazione dei meta-distretti (distretti diffusi sul territorio regionale) e delle più semplici aggregazioni di filiera. Si segnalano anche che la Liguria e la Provincia Autonoma di Trento, che individuano un solo distretto ciascuna ma, pur model- lando i requisiti su tale specifica realtà, mantengono la coerenza con i criteri generali qui schematizzati.

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Tabella 4.3 - Le scelte delle Regioni per individuare i distretti in agricoltura

Regioni Requisiti

DiND DRaQ aggiuntivi

Friuli V.G. X

Veneto X Meta-distretto e aggregazioni di filiera

Sicilia X

Puglia X X

Lombardia X X Di Filiera

Lazio X Aree peri-urbane

Basilicata X

Calabria X

Abruzzo X

Toscana X Necessari, qualificanti, aggiuntivi

Piemonte X LEADER/ distretti rurali

Liguria X

Trento X

Fonte: ns elaborazione su normative regionali vigenti.