À LA RECHERCHE DU TEMPS PERDU
2.1. I drammaturghi della tradizione nella vita di Marcel Proust
La vera e propria passione dell’autore per i drammaturghi della tradizione, sembra emergere sin dall’età dell’infanzia, soprattutto grazie a due figure cruciali nell’esistenza del giovane Marcel: la nonna materna e la madre.
Sono proprio queste due donne, dalla profonda cultura, ad introdurre il piccolo nel fantastico mondo dei classici, di cui entrambe sono cultrici e di cui amano spesso fare citazioni dirette.
Come confermato da Pietro Citati: “la signora Proust ricordava spesso una sentenza di
Molière, un verso di Racine […]”148 e come ricordato da Jean-Yves Tadié, la madre di
145 Pietro Citati, op. cit., p. 243.
146
AA.VV., Proust face à l’héritage du XIXe siècle: tradition et métamorphose, Presses Sorbonne Nouvelle, Paris 2012, p. 167.
147 Antoine Compagnon, Proust, la mémoire et la littérature: Séminaire 2006-2007 au Collège de France, Éditions Odile Jacob, Paris 2009, p. 220.
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Proust prediligeva, in particolare, l’espressione raciniana: « Ah, que ce temps est long
à mon impatience! »,149 estrapolata dalla tragedia biblica di Esther (Atto II, Scena II).
Inoltre, secondo i biografi più accreditati, Madame Proust prima di esalare l’ultimo respiro, sul letto di morte, avrebbe rivolto al figlio un verso pregnante, estratto dalla tragedia di Corneille Horace (1639): « Si vous n'êtes Romain, soyez digne de l'être » (Atto II, Scena III).
Ecco, quindi, come l’amore per i classici sia stato naturalmente instillato nel giovane Marcel, che poi poté alimentare tale sua inclinazione durante gli anni liceali trascorsi al Condorcet, in cui conobbe il professore di profonda fede raciniana Maxime Gaucher, insegnate di retorica, greco e francese.
Perciò, grazie alle appassionate lezioni di Gaucher, il ragazzo poté conoscere ancora più approfonditamente il pensiero e le opere dei grandi drammaturghi francesi del XVII secolo, tanto da indicare Racine tra le letture preferite della « classe de seconde », stando a quanto riportato da Ferré nell’opera Les Années de collège de Marcel Proust.
In aggiunta, attorno al 1890, è lo stesso Proust diciottenne a compilare un nuovo questionario, rispondendo ad alcune domande basate sui suoi interessi e gusti; rispetto alla voce « Mes héroïnes favorites dans la fiction »,150 il responso del giovane « Bérénice » cadde sulla protagonista dell’omonima tragedia raciniana, redatta nel 1671.
Un vero e proprio amore incondizionato nei confronti del maggiore tragediografo francese del
149 Jean-Yves Tadié, Lectures de Proust, Librairie Armand Colin, Paris 1971, p. 42.
150
AA.VV., Album Proust, a cura di Luciano De Maria, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano 1987, p. 53.
Fig. 35 Foglio autografo dell’album
compilato da Proust nel 1890.
Immagine scannerizzata dall’opera Album
Proust a cura di Luciano De Maria, Arnoldo
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XVII secolo, soggetto principale di numerosi compiti di retorica del giovane Marcel, il quale affermò: « […] aimer passionnément Racine, c’est risquer d’avoir trop de ce
qu’on appelle en France le goût et qui rend parfois si dégoûtés ».151
Tuttavia, da queste prime constatazioni, Proust iniziò a palesare il proprio distacco
dalla critica raciniana più tradizionale (incarnata dal celebre Sainte-Beuve),152 che
tendeva a definire il maestro francese come « trop délicat » ed a ridimensionare il suo genio letterario, riducendolo ad un esponente di spicco delle teorie proprie del giansenismo.153
Al contrario, Proust amò, innanzitutto, lo stile superbo di Racine, caratterizzato da:
« zigzags de l’expression »154 e da « une audace familière de langage jetée comme un
pont hardi entre deux rives de douceur ».155
Inoltre, riportando le parole di René de Chantal, Marcel sin dalle prime letture raciniane: « Il n’ignorait pas les “égarements” de Racine, est persuadé qu’il y a dans ses tragédies un accent de vérité qui ne trompe pas; cette vérité transcende les siècles et Proust a pu en vérifier l’authenticité dans sa vie et en faire la démonstration dans ses
œuvres ».156
A fianco del tragediografo, anche Corneille occupa un ruolo primario nell’esistenza di Proust, influenzando profondamente la sua scrittura; è sempre René de Chantal a riportare l’ammirazione nutrita dal romanziere, nei confronti dell’autore seicentesco: « […] aimer passionnément Corneille, ce serait aimer dans toute son intègre beauté,
dans sa fierté inaltérable, la plus haute réalisation d’un idéal héroïque ».157
In aggiunta, in maniera davvero curiosa, Giovanni Macchia, in un saggio dedicato a Proust e dal titolo evocativo Il lamento di Andromeda, costruisce un bizzarro
151
René De Chantal, op. cit., II, p. 386.
152 Charles Augustin de Sainte-Beuve (1804-1869) fu una delle figure di spicco della critica letteraria in Francia, oltre che scrittore ed aforista.
153 Il giansenismo è una dottrina teologica che tentò di modificare il cattolicesimo, elaborata nel XVII secolo da Giansenio (1585-1638); in Francia ebbe la propria sede nel monastero di Port-Royal, raso al suolo nel 1709 per volere regio, durante le persecuzioni gianseniste.
154 René De Chantal, op. cit., II, p. 390.
155 Ibidem
156
Ibidem
157
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Fig. 37 Anonimo, Fotografia di Bertrand de
Salignac-Fénelon, 1905.
http://www.marcelproust.it/gallery/salignacfénelon _a.htm
parallelismo tra la figura di Marcel e la tragica protagonista dell’omonima opera di Corneille, scritta nel 1650.
In particolare, Macchia riporta i seguenti versi estrapolati dalla I scena del III atto, in cui Andromède è rassegnata al proprio tragico destino, in attesa del mostro che verrà a porre fine alla propria esistenza, secondo il volere degli dei, decisi a vendicarsi di un affronto subito dalla madre della giovane:
Je pâme au moindre vent, je meurs au moindre bruit, Et mes espérances éteintes
n’attendent la fin de mes craintes
que du monstre qui les produit.158
Si tratta di versi, che secondo il critico, alludono al funesto concludersi del sentimento d’amicizia nutrito da Proust nei confronti di Antoine Bibesco (1878-1951), definito dallo stesso: « Un titan formidable et charmant, dont les paroles distillent un miel
délicieux et ne manquent pas, malgré cela, d'un certain aiguillon […] »159 e di Bertrand
de Salignac-Fénelon (1878-1914), a lui affezionatissimo.
158
Giovanni Macchia, Tutti gli scritti su Proust, Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino 1997, p. 32.
159
Jean-Yves Tadié, Lectures de Proust, Librairie Armand Colin, Paris 1971, p. 459. Fig. 36 Anonimo, Fotografia di Antoine Bibesco, 1925
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Questi, adeguatisi per un certo periodo alle bizzarre abitudini di Marcel, formarono un trio esclusivo e trascorsero diverse giornate trattando di letteratura e di altre passioni comuni; tuttavia, in seguito ad un lungo periodo di malattia di Proust, i due “superstiti” decisero di continuare comunque a frequentarsi, nei locali più alla moda della Parigi dell’epoca, dimenticandosi del compagno costretto a letto.
A quel punto Proust, solo, roso dalla gelosia ed amareggiato, considerando tale atteggiamento un vero e proprio tradimento,
scelse di interrompere bruscamente la
frequentazione degli amici di un tempo; decisione necessaria, ma di certo sofferta e foriera di profonde riflessioni, che stando anche alla corrispodenza di quel periodo, lo portarono ad identificarsi col personaggio di Andromeda.
Macchia scrive in merito: “Egli è Andromeda che lancia le sue grida, il suo lamento. È Andromeda in attesa del mostro, la morte, legata alla roccia del suo letto, tormentata dall’immagine di Antoine e di Bertrand che si allontanano e ch’egli non può inseguire”.160
Ecco quindi conclusi i rimandi a Corneille, protagonista del teatro seicentesco assieme a Molière, altro autore prediletto da Proust, in quanto ideatore di commedie memorabili e di un nuovo linguaggio, il cosiddetto “patois molieresco”, arricchito dalle colorite espressioni tratte dalla lingua vernacolare del popolo.
Ultimo “idolo” di Marcel risultò essere il drammaturgo inglese William Shakespeare, del quale apprezzò soprattutto le tragedie ed in particolare il personaggio sconvolgente di Amleto, come indicato da lui stesso nelle risposte dell’album risalente
al 1890: « Mes héros dans la fiction…Hamlet ».161
160 Giovanni Macchia, Tutti gli scritti su Proust, Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino 1997, p. 38.
161
AA.VV., Album Proust, a cura di Luciano De Maria, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano 1987, p. 53.
Fig. 38 Gustave Doré, Andromède, 1862. Incisione.
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Si evidenzia, perciò, come sottolineato da André Maurois, una profonda influenza esercitata da Shakespeare sul romanziere francese: « Proust comme Shakespeare a été jusqu’au fond de la douleur humaine, mais, comme Shakespeare, il l’a surmontée par
l’humour, et, comme Shakespeare, il a retrouvé, avec le Temps, la sérénité ».162
2.1.1. L’idea di classicismo propria di Marcel Proust
Se da un lato l’attaccamento di Proust ai classici della tradizione letteraria è stato già ampiamente sottolineato, dall’altro è opportuno evidenziare come l’autore non si limitò mai ad una pedissequa citazione delle opere della tradizione.
Al contrario, egli seppe reinterpretarle e rivitalizzarle nel contesto della moderna Francia dell’epoca, soprattutto attraverso l’elaborazione di un’originalissima idea di classicismo.
In particolare, è in una lettera scritta il 2 dicembre 1920 e destinata all’amico e scrittore Émile Henriot (1889-1961), che Proust affermò: « Je crois que tout art véritable est classique, mais les lois de l'esprit permettent rarement qu'il soit, à son
apparition, reconnu pour tel ».163
Tale concetto è alla base della nuova concezione di classicismo propria del romanziere, che identifica nella figura del pittore Manet, l’esempio di un artista profondamente classico, ma non riconosciuto come tale dalla contemporaneità:
162
André Maurois, À la recherche de Marcel Proust, Hachette, Paris 1949, p. 259.
163
Philip Kolb, Correspondance, 21 vol., Plon, Paris 1970-1993, IV, p. 120. Fig. 39 Édouard Manet, Olympia, 1863. Olio su tela, 130x190 cm, Parigi, Museo d’Orsay.
http://it.wikipedia.org/wiki/OlympiaManet
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Manet avait beau soutenir que son Olympia était classique et dire à ceux qui la regardaient : « Voilà justement ce que vous admirez chez les Maîtres », le public ne voyait là qu'une dérision. Mais aujourd'hui on goûte devant l'Olympia le même genre de plaisir que donnent les chefs-d'œuvre plus anciens qui l'entourent - et dans la lecture de Baudelaire [le même] que dans celle de Racine.164
E ancora, continuò: « Ces grands novateurs sont les seuls vrais classiques et forment une suite presque continue. Mais justement parce que leur architecture est nouvelle, il
arrive qu'on reste longtemps sans la discerner ».165
Quindi, secondo Proust, tutta la vera letteratura non può che essere classica: « En résumé, les grands artistes qui furent appelés romantiques, réalistes, décadents, etc.
tant qu'ils ne furent pas compris, voilà ceux que j'appellerais classiques »,166 ma come
precisa Antoine Compagnon: « […] classique, mais au sens d’impure, complexe, profonde, vitale, intégrale, ouverte, et aussi d’internationale, cosmopolite, russe et
anglaise, enfin comme antiscolaire ».167
Inoltre, l’eclettico Marcel riuscì a scardinare la tradizionale e netta opposizione tra
classicismo e romanticismo, parlando di « romantisme des classiques »168 e di
« classicisme des romantiques »,169 come illustrato dalle parole di Compagnon: « […]
son Racine est baudelairien, violent, excessif, immoral, pervers, et son Baudelaire est racinien ».170
A questo punto, è facile comprendere la ventata d’innovazione apportata da tali teorie elaborate dallo scrittore, che certamente sconvolsero i critici più conservatori del
tempo, attuando una vera e propria « révolution proustienne ».171
164
Philip Kolb, op. cit., IV, p. 120.
165 Ibidem
166
Ibidem
167
Antoine Compagnon, Proust, la mémoire et la littérature: Séminaire 2006-2007 au Collège de France, Éditions Odile Jacob, Paris 2009, p. 42.
168 Ibidem 169 Ibidem 170 Ibidem 171
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