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La riscoperta di Jean Racine nella Francia dell’epoca

À LA RECHERCHE DU TEMPS PERDU

2.2. I drammaturghi della tradizione in

2.2.1. Jean Racine

2.2.1.1. La riscoperta di Jean Racine nella Francia dell’epoca

In generale, a partire dal 1880, si ebbe in Francia una vera e propria rivalutazione delle opere di Jean Racine, protagonista di un acceso dibattito letterario agli inizi del Nuovo Secolo.

Anche la scena teatrale contemporanea fu dominata dalla figura di Racine, le cui tragedie bibliche Esther ed Athalie vennero rappresentate con grande costanza ed enorme successo di pubblico.

In particolare, da ricordare, fu la messa in scena di Esther (con musiche di Reynaldo Hahn, l’amante di Proust) nel 1905, curata dalla sublime attrice Sara Bernhardt (1844-1923), la quale evidenziò l’ambiguità insita nell’opera di Racine, tra genuinità ed impurità di sentimenti in essa raffigurati.

Inoltre, tale rappresentazione, divisa tra purismo e verismo, coincise con la realizzazione di un’altra Esther, non di Racine, allestita all’Odéon secondo le volontà lasciate dal drammaturgo Alexandre Dumas fils (1824-1895): Esther, princesse d’Israël, una tragedia ebraico-persiana con musica russa ed elementi decorativi archeologici.

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A. D., p. 58.

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Quindi, tra il Racine di Sarah Bernhardt e la parodia orientale dell’Odéon, si può collocare il dilemma dell’interpretazione critica delle tragedie bibliche del maestro seicentesco, divisa tra una tradizionale visione classica ed una nuova rilettura in chiave romantica, ambiguità condivisa anche da Paul de Saint-Victor (1821-1881).

Egli, infatti, se da un lato contribuì alla moda di un’Esther orientaleggiante, che apprezzò negli ultimi articoli della sua brillante carriera di commentatore, dall’altro non rinunciò mai a lodare la pia soavità del dramma originale, sviluppando l’idea, tanto apprezzata alla fine del secolo, di una coesistenza di pietà e crudeltà nelle opere del tragediografo.

Per quanto riguarda invece la celebrazione di Racine quale esponente del romanticismo, il primo da ricordare è Stendhal, che nello scritto del 1823 Racine et Shakespeare affermò: « Je n'hésite pas à avancer que Racine a été romantique ».220 Ecco, quindi, le prime e bizzarre riletture del maggiore tragediografo del Seicento francese, considerato a lungo campione indiscusso del Classicismo, ma destinato ad una sconvolgente reinterpretazione nello scritto redatto da Ferdinand de Brunetière (1849-1906) Le naturalisme au XVIIème siècle nel 1884.

Qui, l’autore non solo sviluppò la tesi di un Racine moderno e pittore della gelosia sensuale, ma definì lo stesso uno spiccato rappresentante del realismo: « le naturalisme de Racine n’est pas lié à la vraisemblance de son théatre aux coutumes de

la cour, mais il est lié à la description de la femme et de son immoralisme ».221

Dopo Brunetière, dunque, Racine divenne un naturalista forsennato ed immorale, concezione condivisa anche da Jules Lemaître (1853-1914), il quale affermò con forza:

Une conséquence de la méthode racinienne, c’est que les sentiments et les passions, saisis d’abord à une très petite distance de la catastrophe, sont violents dès le début, et que cette violence ne peut qu’aller croissant. C’est une nécessité du système, et en même temps cela est conforme au goût de Racine, qui est lui-même une âme extraordinairement sensible et violente et qui, nous l’avons vu, fit souvent à ses contemporains l’effet d’un brutal. […] Une autre conséquence de ce système dramatique, le plus capable de rendre les

220 Stendhal, Racine et Shakespeare, in Œuvres complètes, 37 voll., a cura di P. Martino, Cercle du Bibliophile, Paris 1970, XXXVII, p. 40.

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Ferdinand de Brunetière, Le naturalisme au XVIIème siècle, in Études critiques sur l’histoire de la

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démarches de l’instinct et de la passion dans leur mouvement accéléré ; c’est que, les femmes passant pour être en général plus serves de l’instinct et de la passion que les hommes, « le théâtre de Racine sera féminin, comme celui de Corneille était viril » (Lanson).222

Così, se Brunetière (citando l’affermazione propria di Gustave Lanson) evidenziò in maniera risoluta la femminilità insita nelle tragedie dell’autore seicentesco, al contrario Charles Péguy (1873-1914) definì Racine « Maître de la cruauté ».

Si trattava, però, di una crudeltà soprattutto fanciullesca e spiccatamente femminile (basti pensare al personaggio di Œnone in Phèdre, calunniatrice di Hippolyte) e che lo portò ad affermare: « Les jeunes victimes de Racine sont elles-mêmes plus cruelles que les bourreaux de Corneille. Ces pauvres bourreaux de Corneille ne réussissent point à être réellement cruels. Ils ignorent le raffinement, qui est toute la cruauté des femmes de Racine. » 223

A questo punto, è facile comprendere come il Racine proustiano debba certamente molto a queste peculiari riletture del maestro del Seicento francese, interpretazioni a cui però Proust seppe aggiungere una nuova sfumatura, associando la figura dell’amato poeta maledetto Charles Baudelaire (1821-1867), artefice della raccolta poetica Les Fleurs du Mal, a quella di Jean Racine.

Stando ai biografi più accreditati, lo scrittore della Recherche paragonò i due poeti con frequenza crescente, a partire dall’autunno del 1920, ma già nell’aprile del 1905 scrisse in una lettera a Madame Fourtoul: « Baudelaire n'est pas même un romantique. Il écrit

comme Racine […] ».224

Inoltre, nel saggio Classicisme et Romantisme, prefazione all’opera di Paul Morand, Tendres Stocks attorno agli anni Venti, affermò non solo di poter provare nella lettura di Baudelaire lo stesso piacere che in quella di Racine, ma anche che: « le style des

222 Jules Lemaître, Jean Racine, Calmann-Lévy Éditeurs, Paris 1908, pp. 313-315.

223 Charles Péguy, Victor-Marie, comte Hugo, in Œuvres en prose (1909-1914), Bibliothèque de la Pléiade, Gallimard, Paris 1961, pp. 777-781.

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poèmes condamnés, qui est exactement celui des tragédies de Racine, le surpasse

peut-être encore en noblesse ».225

Infine, secondo Proust, la differenza sostanziale tra i due autori si ha nella presa di

coscienza che: « Racine est plus immoral ».226

Terminando, tale breve riflessione sulla variegata gamma di ritratti, dipinti dai letterati dell’epoca rispetto alla figura di Jean Racine, è cruciale per comprendere come la passione proustiana nei confronti del drammaturgo del XVII secolo non fosse solo una sua peculiarità, ma si inserisse in un preciso contesto culturale, in cui Racine fu effettivamente alla moda.

2.2.2. Molière

(1622-1673)

Si tratta del secondo drammaturgo maggiormente citato da Marcel Proust, all’interno della Recherche.

225 Paul Morand, Tendres Stocks, 3 nouvelles, préface de Marcel Proust, La Nouvelle Revue Française (n° 805), Gallimard, Paris 15-11-1920, p. 153.

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Antoine Compagnon, Proust entre deux siècles, Seuil, Paris 1989, p. 92.

Fig. 41 Anonimo, Molière, metà XVII secolo. Incisione

http://www.notablebiographies.com/Ma-Mo/Moli-re.html

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Un importante riferimento ad alcuni tratti più tipici dell’attorialità e della comicità propria delle opere del celebre commediografo seicentesco, si ha nel secondo volume, in cui il narratore costruisce un divertente paragone, in occasione dell’incontro rocambolesco tra la nonna e Madame de Villeparisis:

À la fin nous aussi, nous fîmes une relation, malgré mais par ma grand’mère, car elle et Mme de Villeparisis tombèrent un matin l’une sur l’autre dans une porte et furent obligées de s’aborder non sans échanger au préalable des gestes de surprise, d’hésitation, exécuter des mouvements de recul, de doute et enfin des protestations de politesse et de joie comme dans certaines pièces de Molière où deux acteurs monologuant depuis longtemps chacun de son côté à quelques pas l’un de l’autre, sont censés ne pas s’être vus encore, et tout à coup s’aperçoivent, n’en peuvent croire leurs yeux, entrecoupent leurs propos, finalement parlent ensemble, le cœur ayant suivi le dialogue, et se jettent dans les bras l’un de l’autre.227

Tuttavia, l’attenzione di Marcel si concentra soprattutto sulle caratteristiche proprie del linguaggio tradizionalmente espresso dai personaggi molieriani, definito dal

narratore: « le patois moliéresque ».228

Si tratta di un lingua colorita, in cui le battute spesso si confondono per ricreare l’illusione di una vera conversazione, « ce bruit confus, produit dans les comédies de

Molière par plusieurs personnes qui disent ensemble des choses différentes »229 ed

arricchita da termini un po’ « grossiers », ma divertenti ed entrati nel parlato quotidiano della gente comune.

Si ricordi, ad esempio, il vocabolo carogne,230 impiegato da Charlus per riferirsi alla madre dell’ebreo Bloch ed estratto dalla commedia Sganarelle ou le Cocu imaginaire (1660), in cui il protagonista afferma: « Tu ne m’entends pas trop, Madame la corogne » (Atto V, Scena VI, Verso 190).

227 J. F., p. 262. 228 C. G., p. 279. 229 S. G., p. 39. 230 C. G., p. 278.

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Inoltre, sempre estratto da Sganarelle, è il termine cocu (in italiano corrisponde a “cornuto”), ampiamente utilizzato nella Francia dell’epoca ed impiegato anche nella commedia L’École des femmes (1662) nell’Atto V, Scena IX, Verso 1762.

Quindi, anche nella Recherche, vi sono rimandi a tale colorita espressione, che però non viene mai impiegata in maniera diretta; i vari personaggi ne fanno solo allusione e per ragioni di « bienséance » la censurano.

Ad esempio: « On ne demandait certes pas que, plus ou moins conscient d’être…(vous savez le mot de Molière), il allât le proclamer urbi et orbi; n’empêche qu’on le trouve

exagéré quand il dit que sa femme est une excellente épouse […] »231 ed ancora: « […]

– Vous avez, dit Cottard, une veine de... turlututu, mot qu’il répétait volontiers pour esquiver celui de Molière ».232

Oltre a ciò, riferimenti ad altre parole tipiche del gergo molieriano, si ritrovano nel passaggio sotto riportato, in cui il barone di Charlus si riferisce ad alcuni stereotipi, falsamente attribuiti alla classe contadina, da persone estranee alla loro cerchia: « […] comme ils croient qu’un paysan ne dit pas deux mots sans ajouter jarniguié; c’est de la

conversation pour théâtre des boulevards ».233

In particolare, jarniguié (je renie Dieu) ricorda la scena II dell’atto III di Molière nel Dom Juan (1665); qui, Pierrot, il contadino a cui l’autore fa parlare uno pseudo dialetto da lui inventato, impiega costantemente il termine in questione nelle sue più disparate varianti (jerniguié, jerniguienne, jerni, jarni).

Inoltre, i riferimenti proustiani riguardano anche altre fortunate commedie di Molière; in primis, costantemente citata è la celeberrima « pièce » Le Malade Immaginaire (1673), ultima fatica dell’autore che, come ricordato dallo stesso narratore, morì sul palcoscenico, proprio mentre pronunciava una battuta del protagonista Argan.

È ovvio, quindi, che tale celeberrima opera venga spesso rievocata in episodi del romanzo, in cui è il complesso e curioso mondo dei medici ad essere protagonista; basti pensare al luminare chiamato per assistere la nonna del giovane Marcel, ormai moribonda: 231 J. F., p. 38. 232 S. G., p. 354. 233 P., p. 285.

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À ce moment, mon père se précipita, je crus qu’il y avait du mieux ou du pire.

C’était seulement le docteur Dieulafoy234 qui venait d’arriver. Mon père alla le

recevoir dans le salon voisin, comme l’acteur qui doit venir jouer. On l’avait fait demander non pour soigner, mais pour constater, en espèce de notaire. Le docteur Dieulafoy a pu en effet être un grand médecin, un professeur merveilleux; à ces rôles divers où il excella, il en joignait un autre dans lequel il fut pendant quarante ans sans rival, un rôle aussi original que le raisonneur, le Scaramouche ou le père noble, et qui était de venir constater l’agonie ou la mort. Son nom déjà présageait la dignité avec laquelle il tiendrait l’emploi, et

quand la servante disait: M. Dieulafoy, on se croyait chez Molière.235

Inoltre, grande estimatore del commediografo, risulta essere il barone di Charlus, che ama citare versi di Molière, per riferirsi a persone da lui conosciute, reminiscenze che però non vengono colte dal suo amato, Morel:

[…] Mais il ne pouvait s’attarder à ces réflexions, car M. de Charlus lui disait impérieusement: «Demandez au maître d’hôtel s’il a du bon chrétien. – Du bon chrétien? je ne comprends pas. – Vous voyez bien que nous sommes au fruit, c’est une poire. Soyez sûr que Mme de Cambremer en a chez elle, car la comtesse d’Escarbagnas, qu’elle est, en avait. M. Thibaudier la lui envoie et elle dit: “Voilà du bon chrétien qui est fort beau.” – Non, je ne savais pas. – Je vois,

du reste, que vous ne savez rien. Si vous n’avez même pas lu Molière...236

Si ha, in questo caso, un’allusione diretta alla commedia La Comtesse d'Escarbagnas (1671) ed una citazione, seppure approssimativa, di alcune battute scambiate tra la contessa e l’innamorato M. Tibaudier, il quale ha appunto regalato delle pere alla nobildonna (Atto I , Scena IV e V).

In particolare, è lo stesso Charlus, con i propri atteggiamenti teatrali e le proprie reazioni focose, a ricordare al narratore un passaggio della commedia Le Bourgeois Gentilhomme (1670), in cui il protagonista è impegnato in una lezione di scherma (Atto II, Scena II):

234 Il cognome Dieulafoy è particolarmente interessante, in quanto appare come una sorta di fusione tra i nomi di due personaggi del Malade Immaginaire: si tratta del medico Diafoirus e del notaio Bonnefoy.

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C. G., p. 332.

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Et à cette seule pensée, M. de Charlus, ne se tenant pas de joie, se mit à faire des contre-de-quarte qui, rappelant Molière, nous firent rapprocher prudemment de nous nos bocks, et craindre que les premiers croisements de

fer blessassent les adversaires, le médecin et les témoins.237

Altra rievocazione molieriana è, invece, affidata al nonno del narratore, il quale allude ad un passaggio dell’Amphitryon (1668), di cui modifica una coppia di versi, affermando: « Dans ces affaires / Le mieux est de ne rien voir »,238 invece degli originali: « Sur telles affaires, toujours / Le meilleur est de ne rien dire ».239

Concludendo, un ultimo rimando alle commedie di Molière, lascia intendere la familiarità con cui i contemporanei di Proust si riferissero all’autore seicentesco, decisamente in voga all’epoca:

Par exemple il fallait dire Le Malade, Le Bourgeois; et ceux qui auraient ajouté « imaginaire » ou « gentilhomme » eussent témoigné qu’ils n’étaient pas de la « boutique », de même que, dans un salon, quelqu’un prouve qu’il n’est pas du

monde en disant : M. de Montesquiou-Fezensac pour M. de Montesquiou.240

237 S. G., p. 457.

238 Sw., p. 287.

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Amphitryon, Atto III, Scena X, Versi 1942-1943.

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