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I modelli di apprendimento nell’era dell’Università 4

di Fedela Feldia Loperfido

4.1. I modelli di apprendimento nell’era dell’Università 4

Il panorama odierno della formazione propone sempre più ambienti e strumenti di apprendimento innovativi e capaci di integrare esperienze for- mali, informali e non formali. Si pensi, ad esempio, al largo uso dei contesti digitali per l’apprendimento, al diffondersi di pratiche di gamification (Clark, Tanner-Smith & Killingsworth, 2016), all’integrazione delle learning analytics (Rienties & Rivers, 2014) come strategie di personalizzazione dell’apprendimento o al crescente interesse nello sviluppo di competenze tra-

sversali problem oriented (Lotti, 2018). In questo scenario, uno degli inter- rogativi cardine della psicopedagogia resta intatto: quale teoria per guidare quale azione didattica? Interrogativo che porta con sé altre questioni cruciali necessarie per interventi formativi efficaci all’epoca del 4.0. Ad esempio, ci si chiede se le teorie classiche dell’apprendimento siano ancora funzionali e capaci di spiegare il modo in cui lo studente apprende, se i processi di svi- luppo psichico stiano mutando in relazione al variare dei contesti di appren- dimento, se e come la teoria possa essere modificata dalla pratica didattica. Lungi dal rispondere pedissequamente a tali domande, in questo capitolo si presenteranno le teorie classiche dell’apprendimento quali chiavi di lettura e di progettazione delle esperienze formative, dando particolare rilievo a quei modelli di apprendimento che sembrano rispondere maggiormente alle ri- chieste dell’era del 4.0.

In primis, tuttavia, è necessario risalire ad alcune domande di natura scientifico-filosofica che restano immutabili nel tempo e che continuano a garantire una bussola per orientarsi tra la scelta di un approccio piuttosto che di un altro, la definizione di obiettivi di apprendimento, la selezione di un metodo specifico per il contesto in cui si opera. In ogni proposta di appren- dimento e, dunque, anche nell’ambito della formazione universitaria, infatti, il primo metodo che il docente dovrebbe utilizzare è quello di provare a ri- spondere alla seguente domanda: chi è la persona? L’intento non è tanto quello di rispolverare millenni di dibattito in merito a tale questione ontolo- gica, ma avere a mente che una buona progettazione didattica ed una efficace implementazione della stessa possono derivare dalla capacità, come inse- gnanti, di rispondere a questa domanda. Infatti, le scelte didattiche andranno in una direzione piuttosto che in un’altra a seconda che sposiamo l’idea che lo studente sia un concentrato di comportamenti manifesti piuttosto che di risposte inconsce.

Come si struttura, dunque, la nostra psiche e come si determinano i nostri comportamenti? La psicologia dell’educazione e la pedagogia hanno dibat- tuto per lungo tempo rispetto a tale argomento e, di seguito, si riportano in estrema sintesi i principali approcci teorici, le risposte che ciascuno di essi ha proposto alla domanda ontologica per eccellenza (appunto, chi è la per- sona?), le conseguenti metodologie di insegnamento. La connessione, infatti, tra l’idea di come si sviluppi e strutturi la mente è fortemente connessa con la concezione di come avvengano i processi di apprendimento. Con riferi- mento a ciò, nella prima metà del ‘900, gli studiosi (Pavlov, 1927; Skinner, 1953; Watson, 1913;) proposero l’idea che l’essere umano fosse un insieme di comportamenti manifesti ottenuti in reazione a stimoli esterni piuttosto che alla presenza di una mente, descritta, invece, in termini di scatola nera. L’insegnamento, dunque, sarebbe basato su un impianto di rinforzi di diversa

natura necessari per potenziare o meno un comportamento. L’approccio co- gnitivista (Atkinson & Shiffrin, 1968; Baddeley & Hitch, 1974; Broadbent, 1958), invece, ha introdotto l’idea della mente non più come scatola imper- scrutabile, ma come un sistema di schemi, algoritmi e mappe mentali capace di elaborare l’informazione e di restituire output in termini di pensieri, azioni, comportamenti. L’insegnamento, pertanto, dovrebbe far leva proprio sull’utilizzo di schemi per assecondare e stimolare la fisiologica struttura mentale. Il cognitivismo sociale (Bandura, 1977) ha poi proposto l’idea di una mente che si definisce anche attraverso le esperienze sociali che la per- sona fa, i modelli che osserva, i feedback che gli vengono restituiti. Al tempo stesso, il costruttivismo ha sottolineato proprio la prospettiva per cui la mente si struttura nella costante interazione con la realtà. A cavallo tra il cognitivi- smo ed il costruttivismo, si colloca, ad esempio, la proposta piagetiana (Grossen & Perret-Clermont, 1991; Piaget, 1975), secondo cui la psiche si sviluppa grazie all’alternarsi di processi di assimilazione e di accomoda- mento. Nel primo caso, la mente assimila gli stimoli provenienti dall’esterno attraverso gli schemi già posseduti; nel secondo caso, strutture mentali già costruite vengono adattate e modificate in risposta a stimoli non gestibili con gli schemi vecchi. Lo sviluppo psichico, pertanto, avviene per stadi che si susseguono grazie a tali processi e, dunque, all’interazione che la mente ha con l’ambiente. Nel versante di quegli approcci che danno piena rilevanza al ruolo della relazione nel processo di sviluppo, si colloca la proposta storico- culturale di Vygotskij (1978, 1987), secondo cui l’apprendimento può anti- cipare l’attuazione delle cosiddette Zone di Sviluppo Prossimali (ZSP). Que- ste si definiscono grazie all’interiorizzazione di esperienze intersoggettive significative, che alimentano lo sviluppo intrasoggettivo. L’apprendimento, dunque, consisterebbe nello stimolare la ZSP dello studente grazie ad attività mediate dall’uso di strumenti e ad una attenzione ai processi storico-cultu- rali. Infine, l’approccio psicodinamico (Pergola, 2017) considera la psiche umana come costituita anche da quella dimensione inconscia che si definisce attraverso le esperienze che la persona fa nella sua vita. In tal senso, anche nei processi di apprendimento vi sarebbero manifestazioni di quegli aspetti inconsci, transferali e controtransferali che il docente deve avere a mente perché possano diventare risorse per lo sviluppo dello studente.

Nei paragrafi seguenti si descriveranno in maniera più dettagliata proprio l’approccio storico-culturale con le sue successive derivazioni e due modelli possibili per la didattica universitaria capaci di integrare le diverse prospet- tive storico-culturali. Infine, si avanzerà una proposta di integrazione della prospettiva psicodinamica in questo modello, con il fine di sottolineare quelle modalità di insegnamento che danno pieno valore al ruolo della rela- zione (con l’insegnante, con i pari, ecc.), quale aspetto non soltanto capace

di stimolare dall’esterno i processi di apprendimento, ma come vero e pro- prio costituente della dimensione psichica. Nell’epoca dell’Industria 4.0 e della realtà aumentata, peraltro, si ritiene che i modelli di apprendimento che fanno leva sulla relazione possano essere particolarmente efficaci, se non necessari. Lo sviluppo tecnologico, infatti, spinge per la costruzione di stru- menti in rete, che dialoghino tra di loro, che scambino informazioni per pro- porre maggiori prestazioni agli utenti. Non è ben chiaro se vi sia un pensiero psicopedagogico e/o un approccio più economico a monte di tali sviluppi del digitale. Tuttavia, si ritiene importante recuperare proprio quei modelli edu- cativi che fanno leva sull’importanza dell’interazione, sia per potenziare ul- teriormente processi di apprendimento efficace che per formare gli studenti in maniera sistemica, consapevole, critica a quell’idea di rete che mette in comunicazione gli strumenti. In altre parole, alla domanda “Chi è la per- sona?”, si ritiene utile rispondere dando spazio a quegli approcci che sottoli- neano l’importanza della relazione come elemento che può costituire la psi- che. Tale scelta non vuole sottolineare la presenza di prospettive teoriche migliori o peggiori; piuttosto, vuole evidenziare la necessità di orchestrare esperienze di apprendimento che facciano leva sull’esperienza di relazione e che restituiscano allo studente la possibilità di dare senso agli strumenti piut- tosto che di esserne utente passivo.

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