di Stefano Calabrese, Valentina Cont
8.3. Robot come oggetti di apprendimento
L’utilizzo di strumenti robotici all’interno dell’ambiente universitario e scolastico offre agli insegnanti la possibilità di realizzare un ambiente “com- pleto”, trasformando le attività in aula da pratiche brevi, monodisciplinari e per così dire teacher-oriented a un set di pratiche a lungo termine, interdisci- plinari e student-oriented (Benitti, 2012). Non solo. Grazie ai robot gli inse- gnati sono facilitati a mettere in pratica un modello di apprendimento che vede l’allievo come un soggetto attivo, interprete dell’esperienza contrappo- sto al modello semplicistico del ‘travaso’, secondo il quale l’allievo è un contenitore vuoto, in cui vanno travasate le conoscenze (Gardner, 1993), mi- gliorando così anche il rapporto educatore/educando (Han & Bhattacharya, 2001). Vediamo più nello specifico quali sono le peculiarità dei robot in quanto objects learning. Innanzitutto, l’applicazione di tecnologie robotiche in contesti educativi rispecchia a pieno i principi dell’edutainment, ossia per- mette di creare percorsi educativi che ottimizzano i risultati, unendo il gioco (entertainment) all’educazione (education) (Moro et al., 2011, pp. 25 ss.). Infatti i robot forniscono una certa flessibilità, contribuendo a colmare il gap tra teoria e pratica, e generando un’atmosfera di apprendimento come sco- perta: in breve, di fronte a un problema che varia a seconda di una determi- nata situazione, gli studenti sono di volta in volta sollecitati a elaborare ipo- tesi, esaminarle e valutarne l’esito, giungendo così a una soluzione (Han & Bhattacharya, 2001).
Attualmente, sulla base di determinati obiettivi educativi, gli insegnanti possono ideare diversi curricula nella progettazione di vari tipi di robot, seb- bene tale scelta non possa prescindere da un aspetto fondamentale da tenere in considerazione, cioè le caratteristiche degli studenti in termini di età, sesso, conoscenze di base della robotica e dell’informatica e il profilo sociale e culturale. Per tale motivo, di seguito è riportato una sintesi, ma non esau- stiva, della classificazione dei robot commerciali sviluppati per scopi didat- tici, in base alle loro caratteristiche di progettazione. Secondo il resoconto di Mohammad Ehsanul Karim, Séverin Lemaignan, Francesco Mondada ap- parso in A review: Can robots reshape K-12 STEM education? (2015) è pos- sibile suddividere le piattaforme robotiche in (1) kit di assemblaggio di robot basati su mattoncini (Mind-storms, VEX IQ ecc.), (2) kit di progettazione di un robot mobile minimale (Arduino Starter Kit, Boe-Bot ecc.), (3) robot ma- nipolatori programmabili (Servorobotics RA-02, Lynx AL5x, ecc.), (4) piat- taforme mobili open-source costituite da componenti commerciali prefabbri- cate (MIT SEG , Harvard Kilobot, ecc.), (5) robot mobili completamente as- semblati (Thymio, iRobot Create, ecc.); (6) sciami (swarm) di robot minia- turizzati open source (Robomote, Alice ecc.) e (7) robot umanoidi (Karim, Lemaignan & Mondada, 2015, pp. 2 ss.). Tuttavia, una tassonomia più gene- rale e generica dei robot educativi può altresì delinearsi a partire dal ruolo che essi possono svolgere all’interno contesto educativo, sia scolastico che universitario, segnatamente come (Miller & Nourbakhsh, 2016, pp. 2116- 2117):
(i) progetto di programmazione: che si riferisce ai robot già assemblati che devono essere programmati; tale attività può introdurre problemi di codi- fica nel mondo reale, facendo in modo che le competenze acquisite nel momento del hic et nunc rimandino e si colleghino a situazioni di vita quotidiana e conseguentemente raggiungano un livello di significato e in- teresse che, ad esempio, la proiezione del calcolo della Sequenza di Fibo- nacci sullo schermo di un computer non può raggiungere;
(ii) focus di apprendimento: ossia quando robot vengono progettati tramite i kit di montaggio fisici – ad esempio i kit LEGO –, facendo sì che l’inse- gnamento si focalizzi non esclusivamente sull’oggetto in quanto tale (ob-
ject-oriented), ma altresì sull’applicazione dei robot (application-orien- ted);
(iii) collaboratore di apprendimento: in questo caso, si tratta dei cosiddetti robot sociali – cioè robot autonomi o semi-autonomi capaci di interagire e comunicare con gli esseri umani o con altri agenti fisici autonomi se- guendo comportamenti sociali e regole legate al loro ruolo specifico (Pa- chidis et al., 2018, p. 696) – che supportano l’apprendimento in tre diversi modi a seconda del ruolo che rivestono in rapporto agli studenti e al loro
apprendimento. Così troviamo (Belpaeme et al., 2018, pp. 5-7; Mubin et
al., 2013, pp. 3 ss.; Sharkey, 2016, pp. 285 ss.):
(a) robot nel ruolo tradizionale di insegnante o di tutor: può dare consigli, suggerimenti e supervisionare la situazione illustrando come devono es- sere svolte le attività, ad esempio Martin Saerbeck e i suoi collaboratori hanno condotto uno studio pilota dove hanno utilizzato il robot Icat nel ruolo di tutor per insegnare il Toki Pona, una nuova lingua per il web composta da appena 120 parole inventata da una traduttrice canadese, So- nja Elen Kisa, a un gruppo di alunni di età compresa tra i 10 e gli 11 anni di una classe della Primary International School Eindhoven in Olanda (Saerbeck et al., 2010, pp. 1615 ss.).
(b) robot che ricoprono quello di compagno di apprendimento alla pari (peer-
to-peer): può fungere da guida nello svolgimento delle attività e nell’ap-
prendimento di nuove competenze mostrando oppure descrivendo quello che deve essere fatto, come nel caso del robot Rubi, che nel 2008 è stato utilizzato da Janvier Movellan e i suoi collaboratori presso l’Early Chil- dhood Education Center dell’Università della California di San Diego su un campione di nove bambini dell’età media di 20,4 mesi, per migliorare le loro capacità lessicali. Robi ha funzionato e interagito con i bambini autonomamente per due settimane, cantando, ballando, poteva cantare e ballare, prendendo e restituendo oggetti grazie ai suoi attuatori fisici, e giocando a giochi educativi basati su Flash per lo sviluppo del vocabola- rio. Questo dispositivo robotico riesce a passare da un gioco all’altro a seconda di uno “stimatore di interesse” che tiene conto della serie di volti rilevati e del numero di tocchi ricevuti nel minuto passato. I risultati mo- strano che i bambini delle parole target insegnate dal robot rispetto hanno migliorato la loro conoscenza del 27% (Movellan et al., 2009, pp. 307- 308).
(c) robot che agiscono come principianti: in questo caso lo studente assume il ruolo di istruttore, ossia viene coinvolto nell’apprendimento nello sforzo di “insegnare” al robot una particolare attività, di cui esempio em- blematico è rappresentato da due studi svolti dai ricercatori del Compu- ter-Human Interaction in Learning and Instruction Laboratory dell’École Polytechnique Fédérale di Losanna, dove quattro gruppi di 8 bambini di lingua inglese, ciascuno di età compresa tra 6-7 anni (studio 1) e 21 stu- denti di lingua francese di età compresa tra 7 e 8 anni (studio 2) hanno interagito con il robot Nao accompagnandolo nei movimenti per inse- gnargli a scrivere alcune lettere dell’alfabeto e parole, facendo leva sulla grafia simulata su un tablet sincronizzato che comunica tramite ROS (Ro-
bot Operating System), un insieme di framework per lo sviluppo e la pro- grammazione di robot (Hood, Lemaignan & Dillenbourg, 2015, pp. 87- 90).
(d) robot in telepresenza: questa è la categoria che attualmente è più diffusa in ambito universitario-ospedaliero dove, tramite l’utilizzo di robot, la te- lepresenza consente agli studenti di essere presente in qualunque posto del mondo, in tempo reale, anche se si trovano a migliaia di chilometri di distanza. Ad esempio, la Duke University School of Nursing (DUSON) della California utilizza il robot Double, che si presenta come “tablet su ruote”, per fare assistere agli studenti le simulazioni cliniche (https://www.doublerobotics.com/stories/?story=true&id=40).