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La robotica educativa: genesi storica e background pe dagogico

di Stefano Calabrese, Valentina Cont

8.1. La robotica educativa: genesi storica e background pe dagogico

La nascita della robotica educativa coincide con la creazione nel 1967 del prototipo LOGO Turtle, ideato da Seymour Papert all’interno del MIT (Mas- sachusetts Institute of Tecnology) per agevolare e migliorare l’apprendi- mento. Si tratta di un grosso macchinario simile a una semisfera, dotato di ruote e pennarelli posti sulla parte inferiore, che permette di disegnare su fogli di carta collocati su una superfice piana: prima tramite un’apposita con- solle e successivamente per mezzo di un computer, l’utente impartiva dei comandi al robot usando il linguaggio LOGO, per farlo muovere e fare ab- bassare i pennarelli fino a toccare il foglio così da realizzare un disegno o una figura. Dall’evoluzione di LOGO Turtle deriva LEGO Mindstorms: ro- botics invention system (RIS), il primo vero e proprio kit robotico introdotto sul mercato da LEGO nel 1998, composto da un mattoncino programmabile, l’RCX (Robotic Control eXplorer), sensori di luce e di contatto, e circa 700 pezzi meccanici; disponibile in una duplice versione: la retail, pensato per un’utenza generica, e l’educational, rivolto alle scuole o alle università. Si- milmente ai kit robotici moderni, LEGO Mindstorms prevedeva una scatola contenente i pezzi da assemblare che costituiranno il corpo del robot, motori in grado di produrre azioni e una centralina di comando programmabile at- traverso l’utilizzo di un apposito software; così l’utente poteva assemblare il robot grazie a una diversa combinazione di pezzi e poteva programmarlo tale da fargli compiere molteplici movimenti. Per questo motivo, il kit Mind- storms ebbe un immediato successo nelle università che avevano bisogno di piattaforme robuste e riutilizzabili per i laboratori didattici di robotica. Solo nel 2006, LEGO aggiornò in modo radicale kit Mindstorms, sostituendo l’RCX con il brick programmabile NXT e introducendo motori e sensori do- tati una maggiore precisione e il nuovo software di programmazione grafica NXT-G. Oggi troviamo sul mercato numerosi kit o singoli robot didattici: i kit VEX, i kit OWI, i kit INEX, i kit Parallax, i kit di Geogia Robotics, Beebot, i Roamer di Valiant, i kit di robot umanoidi come Kondo, Bioloid, Robonova e Robovie-X di Vstone, i kit basati sulla scheda Arduino, solo per citarne alcuni (Moro et al., 2011, pp. 18-19).

Ma vediamo nello specifico qual è la motivazione pedagogica sottostante l’adozione dei robot come strumenti didattici. Innanzitutto la robotica edu- cativa trova il suo fondamento teorico sia nel costruttivismo di Jean Piaget che nel costruzionismo di Seymour Papert. Entrambe le teorie vertono sull’idea di un apprendimento attivo da parte dell’utente, che costruisce e ri- costruisce il proprio sapere attingendo alle sue conoscenze pregresse e attra-

verso una costante interazione con l’ambiente e gli oggetti fisici di cui è co- stituito; ma se il costruttivismo sottolinea come l’individuo debba allonta- narsi dalla situazione dell’apprendimento per essere in grado di generalizzare le regole ricavate dall’esperienza, il costruzionismo si focalizza sulla speci- fica situazione di apprendimento, intesa quale focus dell’apprendimento stesso. Secondo il costruttivismo interazionista di Piaget la conoscenza è suddivisa tra ciò che l’individuo conosce e l’esperienza di apprendimento che compie, ossia i dati provenienti dall’esterno. Piaget considera il rapporto individuo-ambiente come unica possibilità di sviluppo del bambino: ciò che mette in relazione l’ambiente e l’organismo è l’esperienza. È solo attraverso i due processi di assimilazione e di accomodamento che l’individuo conosce la realtà investendola con i propri schemi mentali (assimilazione) e poi valu- tandola in base alle occorrenze esterne (accomodamento) (Piaget, 1954). Il bambino è impegnato in un tentativo continuo di costruire una teoria del mondo, e allo stesso tempo, lo interpreta alla luce delle nuove informazioni; si crea dunque un continuo scambio reciproco tra la teoria che il bambino si è costruito e l’informazione nuova. In sintesi, la premessa fondamentale del costruttivismo è che il bambino costruisce attivamente il proprio bagaglio conoscitivo attraverso una continua interazione con l’ambiente e il contesto sociale (Spinelli, 2009, p. 5).

Successivamente, riprendendo questi principi, Papert elabora la propria teoria dell’apprendimento in prospettiva costruzionista, in base alla quale l’apprendimento è considerato più proficuo e efficiente se avviene mediante la produzione di oggetti concreti e reali (artefatti cognitivi) da parte di chi apprende, in quanto vengono concretizzati gli aspetti formali (Papert, 1980, pp. 414-415). In altri termini, secondo Papert, la costruzione mentale deve essere supportata da oggetti e dispositivi concreti e reali (Deplano & Ecca, 1999, pp. 1-2). In questi tentativi di rappresentazione del mondo che ci cir- conda, si procede per prove ed errori e l’apprendimento si sviluppa tramite la discussione, l’analisi, il confronto, l’esposizione e tramite la costruzione, lo smontaggio e la ricostruzione degli artefatti cognitivi. La scuola è consi- derata un luogo di costruzione e non di trasmissione della conoscenza e il computer diventa uno strumento di apprendimento che permette agli studenti di formare le proprie conoscenze e idee in modo attivo e partecipe. I bambini devono essere indipendenti, responsabili del proprio apprendimento e de- vono scoprire da soli le conoscenze di cui hanno bisogno. Papert considera il computer, non una macchina con cui elaborare informazioni, ma uno stru- mento per costruire, apprendere, scoprire e sbagliare, perché l’errore non ha nulla di negativo, ma è una componente costruttiva del processo di appren- dimento. In tal senso, “sbagliare” significa cercare soluzioni alternative al problema, per cui viene stimolata una completa accettazione dell’errore e

un’eliminazione della classica dicotomia giusto/sbagliato (Marcianò & Siega, 2005). In breve, si tratta di “pensare al come pensare”, dato che il bambino assume il ruolo di epistemologo che utilizza lo stile cognitivo adatto alla situazione. Infine, analizzando il ruolo della robotica educativa nel pro- cesso di apprendimento, è inevitabile anche un riferimento al costruttivismo sociale di Lev Vygotskij (Vygotskij, 1978), in base a cui, spinti dai propri interessi e situati in uno specifico contesto educativo, gli individui appren- dono attraverso un processo di elaborazione e integrazione di molteplici pro- spettive, informazioni e esperienze offerte dal confronto e dalla collabora- zione con i pari o con un gruppo di esperti (Goussot & Zucchi, 2015, p. 83). In questo avvicinarsi gradualmente alla meta procedendo per tentativi e cor- rezione degli errori, l’esperienza della programmazione robotica si rivela uno strumento eccellente. Papert ha inventato il linguaggio di programmazione LOGO proprio per questo fine, o meglio, per stimolare quello che per la prima volta in Mindstorms: children, computers, and powerful ideas (1980) definisce come pensiero computazionale, riferendosi a quel processo men- tale che consente di risolvere un problema complesso, scomponendolo in di- verse parti, più gestibili se affrontate una per volta, e trovando una soluzione intuitiva a ciascuna di esse è possibile risolvere il problema generale (Friendly, 2009, pp. 4-5). In che modo? Attraverso il coding – termine in- glese che in italiano si traduce con “programmazione” – che consiste nella stesura di un programma o di una sequenza di istruzioni (Duncan, Bell & Tanimoto, 2014). In breve, il coding è l’applicazione pratica del pensiero computazionale: attraverso la programmazione e lo svolgimento di esercizi, giochi, rappresentazioni e animazioni gli studenti imparano a programmare e di conseguenza a pensare per obiettivi. La robotica educativa è in grado di stimolare questo tipo di pensiero, infatti in commercio esistono ormai molti robot specificamente pensati per avvicinare bambini e adulti al mondo del

coding: ad esempio, Codeybot – prodotto da Makeblock, l’azienda cinese

specializzata nello sviluppo di piattaforme robotiche basate su Arduino – è un robot programmabile su due ruote in grado di camminare su pavimenti e superfici dure. Alto 16 centimetri per mezzo chilo di peso, Codeybot può muoversi in avanti, girare e ruotare su stesso, mantenendo sempre l’equili- brio grazie a un giroscopio interno, ha un display a led che cambia colore e riproduce emoticon diverse: a seconda delle situazioni, può simulare rabbia, felicità o tristezza; è dotato di connettività wifi e dispone di una docking sta-

tion per la ricarica (fig. 1). Codeybot balla fino a cinque coreografie diverse

– tutte preimpostate – riproduce file musicali, registra le voci e le ripete in modo buffo come un cartoon e con l’aggiunta di un accessorio può inoltre trasformarsi in un robot da combattimento che “spara” raggi laser. Trattan-

dosi di un robot per il coding, per sfruttare tutte le sue potenzialità ovvia- mente è necessario “addestrarlo”, programmandolo direttamente da iPad – che funge anche da telecomando – usando mBlockly, ambiente per la pro- grammazione a blocchi simile a Scratch, basato su Blockly, e scaricabile gra- tuitamente su iTunes (https://www.robotiko.it/codeybot-robot-coding/).

Fig. 1 - Codeybot. Fonte: https://www.robotiko.it/codeybot-robot-coding/

Altri esempi di robot che insegnano le basi del coding ai bambini, sono Doc della Clementoni oppure Bee Bot. Il primo è un piccolo robot umanoide che insegna a contare, a riconoscere le lettere e i colori a bambini dai cinque agli otto. È alto trentuno centimetri, sulla testa ha una pulsantiera con alcuni tasti direzionali che servono per farlo muovere, ha occhi a led e si muove su ruote. Il bambino dovrà aiutare DOC a raggiungere degli obiettivi sul grande tabel- lone doubleface, pescando dal mazzo una delle carte-sfida (fig. 2).

Il secondo è un robot a forma di ape creato dalla TTS Group per bambini della scuola primaria e dell’infanzia, per imparare a contare e le lettere dell’alfabeto, sviluppare la logica, apprendere le basi dei linguaggi di pro- grammazione. Sul dorso in plastica resistente ci sono quattro tasti freccia che consentono di dare i comandi a questa piccola ape robot che può memoriz- zare fino a quaranta comandi e muoversi lungo un percorso predefinito ed è ricaricabile grazie a un cavo USB che collega ai pc. Suoni e luci consentono ai bambini di capire se i comandi sono stati memorizzati (fig. 3).

Fig. 3 - Bee Bot. Fonte: https://www.sammat.education/shop/bee-bot/

Quando tali operazioni vengono svolte non per puro divertimento, ma per realizzare un determinato progetto, i robot possono assumere una rilevanza dal punto di vista educativo e didattico, senza perdere però la loro connota- zione ludica. In Imparare con la robotica. Applicazioni di problem solving (2011) Michele Moro e i suoi collaboratori riportano l’esempio dei kit robo- tici da costruzione – come LEGO Mindstorms Ev3, terza generazione della piattaforma tecnologica della Lego rivolto a studenti di tutte le età, grazie a cui è possibile dar vita a diciassette diversi robot (fig. 4) – immaginando la situazione in cui uno studente debba ragionare su quale sia il modo migliore di sfruttare il suo kit di pezzi per realizzare una piccola gru in grado di alzare oggetti il più pesanti possibile. In questo caso, in un primo momento l’alunno sfrutterà le sue conoscenze sulla realtà fisica per immaginare la gru con le caratteristiche più appropriate che le permettano di sollevare il maggior ca- rico possibile; in un secondo momento, realizzerà il robot assemblando e programmandolo nei movimenti e infine, testerà le proprie congetture rela- tive al massimo carico di peso che la gru potrà sopportare. In altri termini, si innesca un processo che iniziando nella cognizione del soggetto, passa per la realtà fisica attraverso la manipolazione degli oggetti, per poi tornare alla sfera del ragionamento (Moro et al., 2011, pp. 20 ss.).

Fig. 4 - Track3r, un robot cingolato con un bazooka o un gigantesco martello, è soltanto una delle possibili creature robotiche del kit LEGO Mindstorms Ev3.

Fonte: https://www.lego.com/en-us/mindstorms/products/mindstorms-ev3- 31313

Riassumendo, è possibile individuare quattro principi fondamentali che caratterizzano l’approccio costruzionista alla robotica educativa applicata a tutti contesti scolastici, da quello per l’infanzia a quello accademico, ossia (Bottino, 2015, pp. 288-289; Midoro, 1994, pp. 5-6; Moro et al., 2011, p. 20):

(i) l’individuo come conoscitore attivo, nel senso che diviene consape- vole del processo di apprendimento costruendo (o ricostruendo) la cono- scenza in base all’esperienza pregressa, alle aspettative, agli interessi perso- nali ecc.;

(ii) l’imparare facendo (learning by doing), che avviene grazie alla crea- zione e alla manipolazione di oggetti con cui ragionare, stimolando un ap- prendimento per prove ed errori;

(iii) l’apprendimento situato e legato all’esperienza diretta, dato che i pro- blemi posti da una specifica didattica della robotica consentono di rispondere a quesiti realistici attraverso l’utilizzo pratico di nozioni derivanti da altre materie (come la fisica, la matematica ecc.);

(iv) la condivisione dell’apprendimento sia con i compagni di classe che con l’insegnante, che ricopre il ruolo di supervisore e guida.

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