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I PROFILI DELLA MOBILITÀ NELLA POLICE MUNICIPALE ET

CORRECTIONNELLE (1791)

Lo scarto tra uguaglianza di diritto e di fatto rilevato da Condorcet ha reso intellegibile un campo di rapporti sociali fluido, “perfettibile” fino all’eliminazione delle sue disparità. Le inchieste del Comitato di Mendicità si collocano all’interno di questo ampio progetto di costruzione di un sapere attraverso l’induzione di dati direttamente osservabili. Per i membri dell’Assemblea Nazionale resta tuttavia problematico definire la forma di intervento di cui lo Stato può legittimamente dotarsi di fronte a questi disequilibri. La fine delle corporazioni e del sistema di corpi di Antico Regime non ha direttamente lasciato il posto a una società formata da “individui” uniti in un “popolo” attraverso la Costituzione, bensì a gruppi che minacciano l’unità del popolo presentandosi come contro-società ad esso interne. Queste tensioni si presentano agli attori storici nel momento della definizione di un Codice Penale e di un apparato di polizia che costituiscono la seconda grande posta in gioco del

97 Condorcet, “Essai sur la Constitution et les Fonctions des Assemblées Provinciales” citato in P.Napoli, Naissance de

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problema della mobilità. La legge sulla polizia municipale e correzionale riprende direttamente i profili del sospetto legati al dibattito sul passaporto, facendo della mobilità un punto di vista particolare per comprendere la riforma del codice penale e la critica dell’arbitrarietà dell’Antico Regime. Quello poliziesco è un apparato che, non solo giudica in fase istruttoria (operando un triage precedente a quello propriamente giuridico), ma anche definisce in maniera fluida le figure della criminalità, in opposizione ai princìpi illuministici che avevano animato i progetti di riforma penale.

3.1 Il Codice Penale e la polizia

Abbiamo rimarcato che esistevano un tempo, nell’origine dei passaporti, un grande numero di abusi; al fine di evitarli è stato spesso necessario allontanarci dalle vecchie forme per adattare queste misure alle circostanze, per spaventare i malintenzionati senza turbare le persone oneste. Il vostro comitato [che rappresento] ha trovato in proposito grandi risorse nei decreti dell’Assemblea Nazionale Costituente, principalmente nella legge sulla polizia municipale, in data 19 Luglio 1791.98

Se i passaporti portano con sé il ricordo infamante della monarchia, gli abusi e l’arbitrarietà devono essere regolamentati nel quadro della riforma rivoluzionaria del diritto di punire. La legge sulla polizia municipale fa parte di quell’insieme di leggi penali varate nel 1791 per rispondere alle rivendicazioni dei cahiers de doléance. La critica al sistema repressivo di Antico Regime caratterizzava in maniera omogenea le richieste portate agli Stati Generali, orientando i dibattiti verso una riforma della giustizia e del diritto criminale attraverso secondo un principio di legalità che sancisse pene eguali e moderate. Alla marchiatura e alle pene perpetue viene opposto un carattere retributivo della pena, proporzionata al danno arrecato alla società da parte dell’individuo. In questo senso la codificazione rivoluzionaria rileva di una serie di istanze portate dal dibattito illuministico, soprattutto a partire dalla circolazione dell’opuscolo di Cesare Beccaria Dei delitti e delle pene (1764). Il testo di Beccaria muoveva da una forte critica di “quell’assioma comune [secondo il quale] bisogna consultare lo spirito della legge”99. Le leggi vanno interpretate il meno

possibile poiché la loro oscurità è il vero fondamento del dispotismo arbitrario. A partire da questo punto concettuale, possiamo derivare due conseguenze importanti. La prima conseguenza riguarda l’impatto sulla polizia. Alla partizione che Le Maire traeva da Montesquieu tra i grandi esempi della

98 AP, vol. 37, p. 692.

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legge e la minuzia degli atti di polizia, Beccaria sostituisce una completa subordinazione di ogni azione al diritto. L’esercizio dell’autorità pubblica “che i francesi chiamano police” scrive Beccaria “apre la porta alla tirannia” se non viene definito da un codice preciso100. Per questo motivo la

reclusione negli Asili è un ostacolo all’unità della sovranità e deve essere eliminata101. La seconda

conseguenza riguarda la necessità di riformulare la concezione penale stessa, eliminando l’economia del supplizio che stava alla base della vendetta sovrana. “In un corpo politico che, ben lungi di agire per passione, è il tranquillo moderatore delle passioni particolari” continua il trattato “il fine delle pene non è di tormentare ed affliggere un essere sensibile, né di disfare un delitto già commesso”102. Non dunque vendetta sovrana, che suppliziando il corpo del condannato o

marchiando il recidivo con il simbolo del giglio, “disfa” il delitto commesso riaffermando il proprio potere103. Le pene dovranno invece essere tanto più moderate nella loro forza, quanto più è

sviluppato il grado di civiltà che le impiega secondo criteri di pubblicità, legalità e proporzionalità ai delitti104. Alla base del ragionamento di Beccaria sta, come per Condorcet, la consapevolezza di

una forte storicità delle relazioni umane e la coscienza che l’incriminazione definisce qualcosa che varia storicamente nei suoi contenuti. Scrive Beccaria: “all’esattezza matematica bisogna sostituire l’aritmetica politica del calcolo delle probabilità”105.

L’enorme circolazione del testo di Beccaria presso gli ambienti illuministici francesi è destinata a influenzare fortemente il pensiero politico rivoluzionario. Possiamo sentirla risuonare il 22 Dicembre 1789, quando Adrien Duport espone all’Assemblea un rapporto redatto dal Comitato di Costituzione sotto il titolo di Princìpes Fondamentaux de la Police et de la Justice. Anche per il Comitato di Costituzione le leggi sono “eguali per tutti, fatte e dirette interamente per il bene comune”, volte a sancire che “le pene debbano essere uguali per tutti i cittadini”. In particolare,

100

Ivi, p. 29.

101 “Moltiplicare gli asili è il formare tante piccole sovranità, perché dove non vi sono leggi che comandano, ivi possono formarsene delle nuove e opposte alle comuni, e però uno spirito opposto a quello del corpo intero della società.” Ivi, p. 96.

102

Ivi, p. 31.

103 “Lo spirito della legge sarebbe dunque il risultato di una buona o cattiva logica di un giudice, di una facile o malsana digestione, dipenderebbe dalla violenza delle sue passioni, dalla debolezza di chi soffre, dalle relazioni del giudice coll’offeso e da tutte quelle minime forze che cangiano le apparenze di ogni oggetto nell’animo fluttuante dell’uomo.” Ivi, p. 13.

104 “Perché ogni pena non sia una violenza di uno o di molti contro un privato cittadino, dev’essere essenzialmente pubblica, pronta, necessaria, la minima delle possibili nelle date circostanze, proporzionata a’ delitti, dettata dalle leggi.” Ivi, p. 117.

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“due istituzioni distinte racchiudono i mezzi per garantire agli uomini la libertà, la proprietà, l’onore e la vita. Queste due istituzioni sono la polizia e la giustizia”106. Se la polizia ha lo scopo di

“prevenire i delitti, di agire prontamente”, solo la giustizia può “verificare i fatti e dare luogo alla persecuzione”. Si tratta di garantire la formalizzazione dell’azione di polizia il cui abuso (autonomia dalla giustizia) implica il crimine di “lesa-nazione” di fronte al popolo sovrano. Il potere di polizia si presenta infatti come un “potere di caccia”, strumento cieco della legge che tuttavia non può che dispiegarsi nello spazio della “cattura”, precedente all’intervento della giustizia. La ri-trascrizione della polizia nel quadro della garanzia rivoluzionaria dei diritti individuali risulta problematica ai riformatori stessi, che arrivano in questo rapporto a proporre due soluzioni: l’elezione degli agenti tra il popolo o la consegna sul posto dell’individuo alla giustizia107. In conclusione, da un punto di

vista teorico, alla base della codificazione penale risiede la domanda di quali siano i termini del contratto sociale e quali diritti e doveri li leghi. Il 1791 segna il tentativo di traduzione politica della complementarietà tra la Dichiarazione del 1789 e l’esercizio di una “forza pubblica” che possa punire in modo non arbitrario. Se i limiti alla libertà individuale possono essere definiti unicamente dalla legge (art.4) in virtù della loro nocività alla società (art.5), “la garanzia dei diritti dell’uomo e del cittadino necessita una forza pubblica; questa forza è dunque istituita per il vantaggio di tutti, e non per l’utilità particolare di coloro ai quali essa è affidata” (art.12)108. Gli abusi che da sempre

avevano caratterizzato la pratica poliziesca vengono in questo modo implicitamente posti al centro della trasparenza rivoluzionaria, proprio nel momento in cui l’abolizione della marchiatura impone un forte potenziamento della sorveglianza. Come fa notare Lepelletier de Saint-Fargeau all’Assemblea durante la discussione della legge sulla polizia municipale: “avete abolito la pena della marchiatura, non avete voluto che nessuna ferita indelebile ostacolasse in un colpevole l’interesse di tornare alla virtù, il solo mezzo che vi resta di conoscere i malfattori, è di ostacolare la loro possibilità di sottrarsi in alcuna parte della loro vita alla vigilanza dei magistrati”109.

L’implementazione del controllo porta una tensione che, ad esempio, spacca i membri dell’Assemblea nei riguardi dell’autorizzazione agli ufficiali di polizia di “entrare nelle case dei cittadini”. Se Robespierre vi identifica “l’antico uso e lo spirito della vecchia polizia”, Legrand nota

106 Rapport du Comité de Constitution, Princìpes Fondamentaux de la Police et de la Justice, Paris, 1790, p. 9.

107 “Affinché il diritto di fermare un uomo, prima che sia stato condannato, non nuoccia alla libertà individuale, bisogna scegliere tra due cose: la prima, che questo potere sia affidato a uomini scelti tra il popolo, integri e umani, e che sia organizzato nella maniera più appropriata per garantire gli abusi. La seconda, che un uomo arrestato sia, sul campo, consegnato alla giustizia. (…) [Solamente in questo modo] l’arresto provvisorio di un privato non è più un attentato alla libertà individuale.” Ivi, p. 11.

108 J.Godechot, Les Constitutions de la France depuis 1789, Flammarion, Paris, 1994, p. 34 – 35.

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che senza una “polizia sistematicamente esercitata” non può essere garantita alcuna pienezza di libertà110. Il rischio della tenuta costituzionale è alto: la sicurezza viene doppiata da un’ombra della

servitù, la libertà del cittadino si riavvicina alla soggezione del suddito.

3.2 Fisiologia, patologia, crimine: slittamenti nel Codice Penale

Tre categorie di “opacità” appaiono iscritte nei registri voluti dal comitato di costituzione111,

espresse all’articolo 3 della legge sulla polizia municipale (adottata tra il 19 e 22 Luglio 1790) e riprese poi agli articoli 3 e 4 della legge sui passaporti dell’anno seguente.

Art.3 – Coloro i quali, nel fiore degli anni, non avranno né mezzi di sussistenza, né mestiere, né garanti, né designati, saranno iscritti con la nota gens sans aveu.

Coloro i quali rifiuteranno ogni dichiarazione saranno iscritti sotto il loro segnalamento e dimora, con la nota

gens suspects.

Coloro i quali saranno accertati aver fatto false dichiarazioni saranno inscritti con la nota gens

malintentionnés.112

Categorie sia economiche (sans aveu) sia politiche (suspects e malintentionnés) strutturano le leggi sulla polizia, che di poco precedono il Codice Penale e ne condividono la razionalità politica. La polizia municipale “ha l’oggetto di mantenimento ordinario dell’ordine e della tranquillità in ogni luogo”, mentre la polizia correzionale “ha per oggetto la repressione dei delitti che, senza meritare pene afflittive o infamanti, disturbano la società e dispongono al crimine”113. La logica punitiva può

dunque essere posta su una sorta di continuum che va dalla fisiologia degli scambi sociali (polizia municipale) alla patologizzazione delle condotte (polizia correzionale) al codice criminale (sicurezza generale). Le pene criminali riguardano i delitti propriamente detti e prevedono una molteplicità di forme (dalla morte ai lavori forzati, dalla reclusione alla degradazione civile) cui aggiungono eventualmente pene complementari (esposizione pubblica, decadenza cittadini attivi,

110 Ivi, p. 747.

111 Gli articoli 1 e 2 del progetto di decreto proposto dal Comitato di Costituzione riguardano la compilazione di registri municipali con nome, età, luogo di nascita, professione, mestiere e altri mezzi di sussistenza dell’individuo. Chi risultasse privo di mezzi di sussistenza “designerà i cittadini domiciliati della città dove sarà conosciuto e chi potrà rendere buona testimonianza della sua condotta.” AP, tomo 28, p. 721.

112 Ibidem.

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deportazione)114. Diversamente dalla categoria propriamente criminale, la polizia municipale e

correzionale riguarda infrazioni di gravità minore che non prevedono fissità di pena. In primo luogo, perché nella proposta di decreto non c’è un corrispettivo temporale definito di detenzione, ma solo una durata massima, e variabile a seconda che il reato sia commesso in città o in campagna (art.19). Ma soprattutto, perché queste tre categorie di individui “mobili” emergono come maggiormente esposte a uno slittamento verso la dimensione criminale. Come recita ad esempio l’articolo 4, “queste tre classi appena enunciate, se prendono parte a una rissa, un raduno sedizioso, uno scontro fisico o atto violento, incorreranno in pene di polizia correzionale”115. In questo

secondo stadio del continuum penale troviamo infatti i crimini legati alle vecchie conoscenze della sorveglianza poliziesca di Antico Regime: dalla polizia dei costumi e delle case da gioco, ai disturbi arrecati alla tranquillità pubblica dal vagabondaggio e dalle adunate sediziose. Il progetto di decreto non si limita però a spingere le tre classi di “soggetti mobili” verso questo piano correzionale- patologico. Fa di più: aumenta le pene in base ai soggetti. I tre mesi di pena previsti in caso di troubles, ad esempio, sono qui elevati ad un anno se recidivi. In uno stesso paradossale movimento, la riforma della polizia, sia garantisce l’ordine costituzionale giusnaturalistico, sia ritaglia profili socio-giuridici che sfuggono al diritto comune. Per cominciare a prendere dimestichezza con questa contraddittorietà vale la pena soffermarsi proprio sul caso dei “costumi”, perché indicativo di una tendenza che si dispiegherà pienamente nel corso del XIX secolo.

3.3 Che cos’è il lavoro? L’esempio della police des moeurs.

L’evoluzione della police des moeurs e della police du travail sono sintomatiche di un mutamento del rapporto tra governanti e governati che emerge ben prima della Rivoluzione. Si tratta in primo luogo di una crisi della figura “tutelare” del potere reale, che si esprime nelle tensioni interne alla società dei corpi. Dal punto di vista dell’organizzazione del lavoro, il XVIII secolo integrava la police du travail all’interno della struttura socio-professionale. Complementare al ruolo di polizia della corporazione stessa, essa era esposta a insubordinazioni e cabales permanenti. I primi livrets e congedi, antecedenti al libretto operaio del XIX secolo, compaiono già all’interno di questa logica verticale di classificazione e di governo degli uomini, costruiti su una relazione di “superiorità” e

114 Per un’analisi dettagliata della redistribuzione della razionalità delle pene tra il Codice del 1791 e il Codice Napoleonico si veda P.Lascoumes, P.Poncela, P.Lenoël, Au Nom de l’Ordre. Une Histoire Politique du Code Penal, Hachette, Paris, 1989.

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“inferiorità” tra figure del lavoro116. Sarà appunto la “liberazione” dei soggetti sul mercato del

lavoro attraverso la critica della tutela giuridico-amministrativa, a porre il problema di definire la “forza pubblica” indicata dalla Dichiarazione in un quadro di eguaglianza formale. Ovviamente, l’eliminazione giuridica delle corporazioni (che formalizzava un dato di fatto già acquisito) non impedì la continuità di uno “spirito di associazione” che legasse i lavoratori. La Legge Le Chapelier del 17 Giugno 1791 risponde appunto a queste contro-società che, paradossalmente, sembrano rafforzarsi proprio quando l’ordine politico viene formalizzato a partire dai singoli individui anziché dai corpi. Gli slittamenti delle figure individuate come “sans aveu”, “suspects” e “malintentionnés” verso quella del “criminale” o “nemico della patria” vanno dunque compresi alla luce di questa metamorfosi della ragion di Stato, nel corso del quale il concetto di polizia cessa di indicare l’interezza della vita materiale dello Stato e si restringe alla funzione di garanzia dei reciproci diritti e doveri di cittadini.

All’interno dei profili giuridici “mobili” è interessante soffermarsi sulla figura riproduttiva della donna, madre, moglie e prostituta. Si tratta in effetti dell’unica figura il cui corpo è fin da subito considerato come produttore di ricchezza (per il mercantilismo, di quantità di sudditi) e di stabilità sociale. Da un lato, la produzione garantisce braccia alla forza dello Stato. Le nourrices, donne povere che si recano a vendere il proprio latte alle famiglie ricche, sono infatti oggetto di particolare attenzione. Per il commissario Guillauté “i bambini devono apparire come vere e proprie ricchezze del reame”117. Per Mercier, l’istituzione di bureaux des nourrices, consiste per “il giardiniere, cioè il

governo, avere cura del suo grano, e occuparsi delle generazioni future” 118. Dall’altro lato, il corpo femminile non produce solo popolosità dello Stato, ma police sociale: la prostituzione svolge un ruolo fondamentale come punto di sfogo della rabbia operaia maschile preservando “la sicurezza delle donne oneste”119. L’attenzione che la “storia della polizia” rivolge alla materialità della vita

116 Il contenimento corporativo delle istanze presenti nel tessuto sociale era già percorso da uno “spirito di associazione” che identificava un campo di interessi comune in quanto “lavoratori”. Tanto Turgot quanto Lenoir temevano la proliferazione di contro-società interne, indipendentemente dalla logica governamentale che informava le loro diverse posizioni. Si veda in proposito S.Kaplan, “Réflexions sur la Police du Travail, 1700-1815”, Revue Historique, p.17-77, 1979, nonché l’imponente volume S.Kaplan, La Fin des Corporations, Fayard, Paris, 2001.

117 Analogamente, “tutti gli enfants trouvés appartengono a tutta la società”. Guillauté, Mémoire sur la Réformation de

la Police en France, cit. p. 80 e 82.

118 L-S.Mercier, Le Tableau de Paris, tomo IV, chap.329, Amsterdam, 1788, p. 146.

119 Il commissario LeMaire argomenta così la necessità di tollerare un certo grado di prostituzione: “Una delle principali considerazioni che hanno dovuto determinare questa tolleranza è la sicurezza delle donne oneste, che [la prostituzione] garantisce dalla violenza alla quale esse sarebbero altrimenti esposte da parte dei libertini e degli hommes de débauche la cui depravazione conduce dalle prostitute dove trovano in tutta facilità la possibilità di soddisfare la loro brutalità. Così questa stessa tolleranza riguarda essenzialmente la tranquillità pubblica, l’onore delle famiglie, la tranquillità dei cittadini.” J.-B.-Ch.Le Maire, La Police de Paris en 1770, cit. p. 89.

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dello Stato mostra dunque quali effetti eterogenei abbia la progressiva monetizzazione dei rapporti sociali120. La possibilità di accrescere la forza dello Stato non risiede unicamente nella crescita dei

consumi, ma anche nella crescita del numero di individui che lavorano e consumano in modo disciplinato. Questa stessa funzione di riproduzione e sicurezza sarà oggetto di progetti utopici verso la fine del secolo, volti a saldare i due volti della riproduzione e prostituzione alla ricchezza dello Stato. Restif de la Bretonne propone a questo scopo il Parthenion, visionaria architettura che è insieme “maison de plaisir” e “maison de peuplement”, sfogo della violenza sociale e controllo della circolazione di malattie veneree121.

Alle soglie della Rivoluzione giunge dunque anche questa doppia genealogia della funzione riproduttiva, la sola a costringere i liberali a considerare la doppiezza del corpo (femminile): sia come cittadino (passivo, privo di diritti politici), sia come fonte produttiva di lavoratori122. Il tema

120 L’accumulazione feudale non prevedeva una separazione sociale tra produzione e riproduzione, ma unicamente un rapporto di forze grazie al quale il signore poteva imporre la riscossione del prodotto del lavoro del servo. Come ha mostrato Silvia Federici, la monetizzazione può essere letta come risposta a questa relativa autonomia riproduttiva che permetteva ai servi di opporsi a lavori di corvée e contrattare l’accesso a carte e diritti. Ancora una volta, la peste costituisce una congiuntura fondamentale, nella quale la crisi demografica e l’aumento del prezzo dei salari spingerà a un tentativo da parte dei signori feudali di ristabilire il controllo sul lavoro. Lo Stato si inserisce così come attore fondamentale nelle politiche demografiche, perseguendo le pratiche abortive e ostacolando il potere femminile sulla riproduzione attraverso la caccia alle streghe, organizzando una vera e propria “divisione sessuale del lavoro”. È in questo contesto di statalizzazione del discorso riproduttivo, fino ad allora oggetto dell’Inquisizione, che avviene la prima decriminalizzazione della violenza sessuale e l’apertura dei bordelli municipali, la cui logica vediamo compiersi alle soglie della Rivoluzione del 1789. Sul tema si veda S.Federici, Calibano e la Strega. Le Donne, il Corpo e

l’Accumulazione Originaria, Mimesis, Milano, 2015.

121 Nel 1769 veniva pubblicato a Londra Le Pornographe des idées d’un honnête homme sur le projet de règlement

pour le prostituées propre à prévenir les malheurs le publicisme des femmes di Restif, accolto favorevolmente dal

luogotenente generale di polizia Sartine. Il progetto dei “parthenions” consiste nella costruzione di stabilimenti a conduzione statale all’interno dei quali le prostitute lavoreranno in condizioni mediche controllate e, Restif tiene a sottolinearlo, con la possibilità da parte delle giovani di rifiutare i clienti. A gradi di bellezza corrispondono tariffe