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IL REGIME GLOBALE DELLA MOBILITÀ: LA FORZA-LAVORO OLTRE “IL CAPITALE”

PER UNA CRITICA DEL REGIME DI MOBILITÀ

3. IL REGIME GLOBALE DELLA MOBILITÀ: LA FORZA-LAVORO OLTRE “IL CAPITALE”

Il tornante storico del 1848 è fondamentale tanto in Francia quanto nelle colonie. L’elaborazione del discorso di classe e del radicalismo repubblicano si incrocia con il movimento abolizionista, avendo un comune terreno di scontro intorno alla definizione materiale della cittadinanza. Come vedremo dettagliatamente nel prossimo capitolo, i concetti di libertà e schiavitù sono storicamente costruiti in un rapporto di co-implicazione. Da un lato essi fanno parte di una territorialità giuridica, mobilitano istituzioni che forgiano i comportamenti degli attori. Dall’altro lato è necessario render conto dei criteri di articolazione tra territorialità differenti, individuando più chiaramente la scala globale descritta dai flussi di denaro. In questo paragrafo cerchiamo dunque di mettere in evidenza le conseguenze implicite alla critica dell’economia politica a partire dalla volatilità del denaro. Concludendo il confronto tra l’economia politica classica e la critica marxiana individueremo la cornice del “mercato mondiale”. Indipendentemente dagli esiti cui giunge Marx ci troveremo logicamente a dover proseguire l’analisi del regime di mobilità al di là della normatività che è sembrata (almeno teoricamente) affermarsi in Europa. I concetti relazionali di lavoro libero e non libero appariranno pienamente solo guardando la Francia attraverso il prisma coloniale.

3.1 Denaro e “commercio estero” nell’economia politica classica

L’inserimento del concetto di forza-lavoro all’interno della genealogia della mobilità ha portato al doppio carattere della moneta, insieme misura e comando. Parlare di una “sovranità del denaro” parallela a quella statuale significa fare della moneta uno strumento eminentemente politico, parte integrante del processo di produzione delle soggettività e delle norme giuridiche. Smith stesso nota come il denaro svolga la doppia funzione di strumento di commercio necessario ad acquistare altri beni, e misura di valore delle merci che acquistiamo in termini di quantità di moneta79. Al tempo stesso, abbiamo mostrato come sia necessario avere da parte nostra un certo sospetto riguardo a ciò che si presenta come semplice instrumentum: introducendo il termine di “tecnologia politica” abbiamo inteso piuttosto dirigere l’attenzione sui rapporti sociali impliciti all’emergenza di concetti apparentemente autonomi, che l’economia prende come dati. In altre parole, non si tratta di affrontare il problema delle “politiche monetarie” adottando quello che abbiamo definito come

79 “Che la ricchezza consista di moneta, o di oro e argento, è una nozione comune che proviene naturalmente dalla doppia funzione della moneta, come strumento di commercio e come misura di valore.” A.Smith, La Ricchezza delle

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“sguardo dello Stato”. Piuttosto, intendiamo risalire alla necessaria co-implicazione di “sguardo dello Stato” e “sguardo del Denaro” come ambito della modernità politica, mai completamente riducibile né all’ordine giuridico territoriale del primo né alla pura astrazione del valore incarnato dal secondo.

La stesura de La Ricchezza delle Nazioni è contemporanea a un dibattito che attraversa già il mercantilismo inglese, animato dalla necessità di far fronte alla mancanza di numerario. Alla base di questa preoccupazione risiede la dottrina della bilancia commerciale, frutto delle pressioni dei commercianti sui governi di Francia ed Inghilterra che impedivano le esportazioni di denaro. I commercianti avevano giustamente realizzato che l’esportazione di oro e argento non diminuiva necessariamente le riserve e che, in ogni caso, il contrabbando era difficilmente limitabile. Il problema sollevato da Smith riguarda se il governo debba effettivamente preoccuparsi di importare moneta più di qualsiasi altra merce. La risposta è ovviamente negativa. In merito alla natura della moneta Smith non introduce cambiamenti significativi rispetto a pensatori precedenti come Cantillon o l’abate Galiani80

. Essa è una merce come le altre, generalizzata come misura di tutte le merci dopo diversi tentativi per la sua durevolezza materiale e la possibilità di essere divisa in più parti: per questo semplice motivo è divenuta “universale strumento di commercio”81

. La rivoluzione smithiana che porta all’apertura della disciplina classica riguarda piuttosto la dicotomia che abbiamo già visto tra valore d’uso reale delle merci (utilità) e il loro valore di scambio (loro “potere di acquistare altri beni”). L’oro non si mangia, esso è ricchezza solo in quanto permette di acquistare beni utili. La merce-moneta segue le leggi di domanda e offerta così come fanno il vino o il grano, e di conseguenza non avrebbe alcun senso controllarne l’importazione ed esportazione più di ogni altra merce secondo la bilancia commerciale. Per Smith il capitale non aumenta con l’incremento del volume di moneta ma con il risparmio da parte del prudent man sulle rendite e i profitti, una volta aver ripagato il prezzo del lavoro. La critica del primo volume de Il Capitale parte infatti da qui: dal fatto che la merce per quanto apparentemente indipendente dagli individui, li presuppone all’interno di una relazione sociale specificamente capitalistica. Vi è tuttavia una seconda conseguenza, che si tratta di mettere in evidenza al di là dell’obbiettivo primario della critica dell’economia politica classica svolta ne Il Capitale: la geografia espansiva dell’accumulazione di denaro.

80 Su questo punto si veda ad esempio C.Tutin, Les Grands Textes de la Pensée Monétaire, Flammarion, Paris, 2014. 81

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Smith nota fin da subito che la relativa facilità di trasporto è l’elemento fondamentale nel rendere il valore di scambio dell’oro e dell’argento relativamente stabili rispetto ad altre merci. Fatta eccezione di eventi particolari come la scoperta delle Americhe, “le variazioni di prezzo sono generalmente lente, graduali e uniformi”, in Europa principalmente legate alle continue importazioni dalle Indie occidentali spagnole82. Fatto ancor più importante, l’oro e l’argento hanno il vantaggio di essere sostituibili.

[Se oro e argento] dovessero in qualsiasi momento scarseggiare in un paese che dispone di che acquistarli, vi sarebbero più espedienti per surrogarli, che per qualsiasi altra merce. Se mancano le materie prime delle manifatture, l’industria deve fermarsi. Se mancano i viveri, la gente deve morire di fame. Ma se manca il denaro, lo sostituirà il baratto, benché con notevoli inconvenienti. Con minori inconvenienti lo surrogherà l’acquisto e la vendita a credito e la reciproca compensazione dei crediti fra i commercianti una volta al mese o all’anno. Una carta moneta ben regolata lo surrogherà non solo senza inconvenienti, ma in qualche caso con qualche vantaggio. Perciò, sotto ogni aspetto, l’attenzione del governo non sarebbe mai impiegata così inutilmente come quando fosse diretta a vigilare sulla conservazione o sull’aumento della quantità di moneta di un paese.83

Per Smith i governi non devono preoccuparsi di aumentare la quantità di moneta perché essa non è che strumento di misura rimpiazzabile. Tra moneta metallica fisica e credito della carta moneta non vi sarebbe distinzione qualitativa84. Accumulare moneta, sostiene Smith, sarebbe come accumulare padelle indipendentemente dal cibo di cui si dispone. Oro e argento “sono utensili tanto quanto l’attrezzatura da cucina”85

, destinati ad aumentare e diminuire in base alle merci, ma in nessun modo produttivi di capitale. Per questo motivo, e a differenza della dottrina della bilancia commerciale, il “commercio estero” può arricchire in maniera differente entrambe le nazioni in scambio: “esso dà valore alle loro cose superflue, scambiandole con qualcos’altro che può soddisfare parte dei loro bisogni” facendo sì che “la divisione del lavoro in ogni ramo delle arti e delle manifatture venga perfezionata al massimo”86. Per riprendere la formulazione già presente nelle Lezioni di Glasgow, il denaro è per Smith una infrastruttura paragonabile alle strade:

Come il valore di un pezzo di terra non è determinato dal numero di strade maestre che lo attraversano, così la ricchezza di una nazione non consiste nella quantità di moneta utilizzata per far circolare commerci, bensì nella grande abbondanza delle cose necessarie alla vita. Se perciò riuscissimo ad escogitare un sistema per mandare metà della nostra moneta all’estero ed ottenerne in cambio merci e riuscissimo al contempo a finanziare il

82 Ivi, p. 563. 83

Ivi, p. 564.

84 Vedremo presto come tale differenza si incarni invece in istituti giuridici differenti, ponendosi al centro della nostra genealogia.

85 Ivi, p. 567. 86

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canale della circolazione in patria, si accrescerebbe notevolmente la ricchezza del paese. Di qui gli effetti benefici che derivano dall’istituzione delle banche e del credito cartaceo documentario.87

Le Lezioni difendono la carta moneta dalle critiche mercantiliste rifacendosi al funzionamento della Banca di Amsterdam; in essa, trovano un modo di superare quella “fiducia sulla parola al mercante” causa di tante frodi. Pacta sunt servanda dunque, ma l’istituto creditizio bancario permette all’immaginazione di Smith di superare ancora una volta l’obbligazione in senso utilitaristico: avendo garantito un medio pagamento dei depositi grazie alla moltiplicazione delle banche (all’assenza di monopolio), si è al tempo stesso spinti a mantenerlo nelle loro casse in vista di un interesse personale che al tempo stesso inietta liquidità nel commercio88.

Concludendo, il denaro è per Smith merce particolare dotata di un prezzo e misura di tutte le merci, ma non ricchezza di per sé. Pura infrastruttura, la moneta metallica può essere addirittura virtuosamente sostituita dalla carta delle lettere di cambio, senza che ci sia alcuna differenza qualitativa tra credito e moneta. L’istituzione bancaria permette anzi di migliorare l’infrastruttura della circolazione rendendo il deposito tanto utile al singolo individuo quanto stimolante per il “commercio estero” che aumenta la ricchezza delle nazioni, massimizzandone la divisione del lavoro. Vedremo nella conclusione della tesi emergere imponente l’integrazione tra credito bancario e comando statale proprio intorno alla costruzione di infrastrutture da parte di Napoleone III: dalla rete ferroviaria, al canale di Suez, alla Parigi di Hausmann. È del resto in quegli anni di crisi che Marx inizia lo studio sistematico dell’economia politica. Il denaro e il credito aprono un campo di ricerca immensa, i cui appunti sono pubblicati postumi nei Grundrisse, e che avrà nel primo libro de

Il Capitale solo una particolare e mirata esposizione. A differenza di Smith, ripartiamo allora dalla

politicità del denaro, facendo risuonare il comando che gli è implicito in questa dimensione globale del “commercio estero”: cosa ne sarà della costruzione europea del concetto di “lavoro libero”?

87 A.Smith, Lezioni di Glasgow, cit. p. 663.

88 “Si deposita presso la banca una certa somma di denaro e la banca consegna una ricevuta per quell’ammontare. Questo denaro è sicuro e non viene mai ritirato, in quanto l’effetto si vende generalmente ad un valore superiore al suo valore nominale e perciò è vantaggioso lasciarlo in deposito”. E ancora: “Il solo sistema per evitare le conseguenze negative dovute al fallimento delle banche consiste nel non concedere monopoli a nessuno e nell’incoraggiare piuttosto l’istituzione di quante più banche possibile. Quando in una nazione ne esistono diverse, prevale un sentimento reciproco di diffidenza e tutte effettuano controlli reciproci e inaspettati.” Ivi, pp. 665, 666.

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3.2 Denaro e “mercato mondiale”: l’accumulazione originaria di differenze

Il denaro rientra nella critica regime di mobilità non come valutazione di differenti politiche monetarie, ma come parte di un’economia politica della circolazione di merci ed esseri umani. Di nuovo, non si tratta per noi di valutare il modo in cui viene gestita la moneta da parte degli istituti giuridici statali al fine di calcolare un “giusto prezzo” (l’equivalenza tra valori e prezzi che anima gli istituti giurisprudenziali del XIX secolo). Piuttosto, da uno sguardo subalterno emerge che questo calcolo non è che calcolo di un certo grado di sfruttamento. In questo senso è interessante muovere dai primi appunti di Marx sul denaro: per comprendere il rapporto sociale su cui si fonda un particolare regime di mobilità alla luce del momento in cui esso entra in crisi. L’evidenza storica ha mostrato che le crisi non sono coincise con la fine del modo di produzione capitalistico nonostante le cadenze regolari tra il 1825 e il 1882. Parlare di crisi significa osservare il medio raggio del cambiamento ancora in corso, in cui l’assetto precedente non è ancora dissolto e quello successivo è ancora in fase di formazione. Parlare di crisi, per Marx, nel 1857, significa anche comprendere una tendenza generale dello sviluppo per attivare la soggettività politica nel momento

stesso in cui avviene il cambiamento.

I Grundrisse aprono l’analisi con il quaderno sul denaro. Marx sta iniziando a raccogliere materiale e solo anni dopo pubblicherà il primo volume de Il Capitale. Scrive come corrispondente del New

York Daily Tribune, dove pubblica riflessioni sul credito mobiliare francese e la crisi finanziaria che

apre il Secondo Impero89. È il periodo in cui i proudhoniani come Alfred Darimon propongono le cedole orario come strumento volto a ristabilire la buona circolazione del capitale anche tra le fasce più povere della popolazione. Marx annota critiche formali e matematiche a Darimon, ma subito il tema gli appare come ben più generale: è possibile modificare i rapporti di produzione agendo unicamente sulla circolazione? Per Marx la risposta è ovviamente negativa90. Darimon e Prudhon possono pensare a una soluzione alla crisi in termini di credito solo considerando la moneta al pari di Smith, cioè come puro strumento di equivalenza. Al contrario, nel momento in cui consideriamo la divisione del lavoro come esercizio di un comando che prescinde dall’etica del singolo individuo e lo assegna a “posizioni sociali” da esso autonome, l’impalcatura prudhoniana cade. Nello schema proposto nel paragrafo precedente abbiamo evidenziato che il denaro è sia la misura del rapporto

89 Su questo punto si veda soprattutto il primo capitolo di S.Bologna, Banche e Crisi. Dal Petrolio al Container, Derive Approdi, Roma, 2013.

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“Le differenti forme del denaro possono corrispondere meglio alla produzione sociale ai diversi livelli; una forma può eliminare degli inconvenienti ai quali l’altra non è in grado di far fronte. Ma finché esse rimangono forme del denaro, e finché il denaro rimane un rapporto di produzione essenziale, nessuna può superare le contraddizioni inerenti al rapporto di denaro; può tutt’al più rappresentarle nell’una o nell’altra forma.” K.Marx, Grundrisse. Lineamenti

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tra capitale e lavoro, sia un singolo polo di questo rapporto (il capitale). Questa doppiezza risiede del resto alla base del problema che i dibattiti sul libretto operaio avevano presentato come disciplina della concorrenza tra singoli capitalisti. I singoli capitalisti detengono infatti monete: pezzi di oro e argento che incarnano un dato valore all’interno di un sistema giuridico territoriale. Al tempo stesso il denaro deve essere pensato come valore al di là dei confini giuridici di un singolo Stato per poter circolare nel commercio estero: in questo senso esso è anche “flusso di segni” immateriale che circola perché “nega il suo carattere di moneta” finché non si territorializza in un conio locale.

Come moneta [il denaro] perde (…) il suo carattere universale, e ne assume uno nazionale, locale. Si divide in moneta di diversi tipi, a seconda del materiale di cui è fatto: oro, rame, argento, ecc. Riceve un titolo politico e parla – per così dire – un linguaggio differente nei differenti paesi.91

Da questo punto vista, allargare il credito (agendo sulla circolazione) non significa altro che differire la crisi aumentando il volume di “flusso di denaro”. L’aumento della circolazione non produce certo pluslavoro, non aumenta la ricchezza, ma moltiplica i punti in cui il capitale può

aprirsi una strada. Eccoci giunti al punto fondamentale: l’orizzonte dell’accumulazione di capitale

è fin da subito il Weltmarkt, il “mercato mondiale”. Per Smith il “commercio estero” impiega il denaro come infrastruttura per far circolare beni prodotti dal lavoro. Ricardo svilupperà questa intuizione nella sua teoria dei vantaggi comparati: l’esportazione dei beni prodotti a minor costo porta al reciproco vantaggio di ciascuno Stato, come nell’esempio tra Portogallo e Inghilterra92

. In ogni caso l’unità di misura attraverso cui è espresso il “commercio estero” si risolve nelle unità nazionali. Diversamente è per il “mercato mondiale” in Marx: la logica espansiva del denaro-credito non riguarda una giustapposizione di unità discrete, ma l’apertura stessa di una interconnessione su una scala parallela a quella dello Stato.

La tendenza a creare il mercato mondiale è data immediatamente nel concetto del capitale stesso. Ogni limite si presenta come un ostacolo da superare. [Il capitale tende] anzitutto a subordinare ogni momento della produzione stessa allo scambio, e a sopprimere la produzione di valori d’uso immediati che non entrano nello scambio, ossia appunto a sostituire la produzione fondata sul capitale ai modi di produzione precedenti, e dal suo punto di vista, primitivi. Qui il commercio non si presenta più come funzione che ha luogo tra le produzioni autonome per lo scambio dell’eccedenza, bensì come suo presupposto sostanzialmente universale e momento della produzione stessa.93

91 Ivi, p. 166.

92 Si veda il capitolo 7 “On Foreign Trade” dei Principles of Political Economy and Taxation (1817) di David Ricardo. 93

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Stato e Capitale proiettano geografie che si implicano a vicenda senza tuttavia essere sovrapponibili. Come hanno argomentato Mezzadra e Neilson, se il primo si sviluppa secondo i confini giuridici associati a delle linee, il secondo incede attraverso lo spazio poroso delle frontiere94. Il regime di mobilità rende conto di questa multi-scalarità nella sua evoluzione storica. Il credito amplia al di là dei confini territoriali la circolazione di denaro per mezzo di flussi di valore che, per territorializzarsi in monete fisicamente e giuridicamente specifiche, devono prima aprirsi una strada. “Aprire una strada” non significa altro che distruggere le unità comunitarie che non si fondano sullo scambio e che allo “sguardo del Denaro” appaiono perciò “primitive”. Ne Il Capitale la violenza di questa apertura è chiaramente descritta nel capitolo sulla “cosiddetta accumulazione originaria” in Inghilterra. Scopo di Marx è mostrare che la produzione dei soggetti che costituiranno le parti giuridiche del contratto di lavoro non avviene secondo i modi “idillici” prospettati dall’individuo prudente e risparmiatore di Smith. La violenza, “levatrice di ogni vecchia società gravida di una società nuova”95

, è la condizione di possibilità di ogni cambiamento. L’economicismo e la teleologia risultano da questo punto di vista interamente spiazzate dalle sanguinarie “leggi contro il grottesco e il terroristico”96

volte a disciplinare il vagabondaggio per condurlo alla “stretta via che conduce al mercato del lavoro”97

. Diversamente da quanto sostengono i classici, bisogna produrre artificialmente e violentemente i soggetti come portatori di denaro e di

forza lavoro e tale violenza rimarrà centrale anche in seguito, ad esempio nella disciplina di

fabbrica. Questo sostiene Marx ne Il Capitale, con un preciso obbiettivo polemico rivolto alle manifatture europee.

È al tempo stesso vero che l’analisi appare, allo stesso Marx, parziale e incompiuta se limitata all’Europa. Nei quaderni di lavoro relativi alle “Forme che Precedono la Produzione Capitalistica” l’accumulazione originaria si mostra come processo in due tempi: prima di distruzione delle unità sociali precedenti in unità autonome (moneta, merce, mezzi di produzione…), poi di composizione da parte del capitale di queste unità secondo rapporti sociali nuovi98. Se dunque è vero che per Marx il “mercato mondiale” ripropone continuamente questa distruzione violenta volta ad aprire nuove frontiere di valorizzazione, dall’altro lato ciò che viene ricomposto non è necessariamente la formazione sociale individuata in Inghilterra. La distruzione di unità sociali cosiddette “primitive” (dal punto di vista del capitale) non porta al medesimo esito in tutti i punti del “mercato mondiale”.

94 Si veda l’introduzione al già citato S. Mezzadra, B. Neilson, Confini e Frontiere, op. cit. 95

K. Marx, Il Capitale, Vol.1, cit. p. 939. 96 Ivi, p. 949.

97 K. Marx, Grundrisse, Vol.1, cit. p. 754.

98 Sul Die Formen si vedano le sesta lezione in A. Negri, Marx Oltre Marx, Manifestolibri, Roma, 1998 e il primo capitolo di J. Read, The Micro-Politics of Capital, op. cit.

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Marx stesso annota l’eterogeneità di risultati: dalla teoria della systematic colonization di Wakefield in Nord America99, ai quashees giamaicani100. In queste note, la mobilità e la coazione al lavoro sono temi che forzano Marx a decentrare proprio quella tendenza alla generalizzazione del salariato su cui aveva giocato la scommessa politica della rivoluzione.

Ai margini geografici e concettuali dell’apparato liberale che Marx ha come obbiettivo polemico