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MARX, DAL “PROLETARIATO” ALLA “FORZA-LAVORO”

PER UNA CRITICA DEL REGIME DI MOBILITÀ

2. MARX, DAL “PROLETARIATO” ALLA “FORZA-LAVORO”

Nel corso della sua vita Marx è testimone di inedite tensioni sociali che spingono a mettere in questione l’autonomia delle sfere attraverso cui si è imparato a leggere il mondo: l’economia, la politica, la cultura. Da pensatore “sistemico” e figlio del suo tempo, Marx si sforza costantemente di trasformare queste tensioni in veri e propri “eventi teorici”, piegarle a quello che Hegel chiama il “rigore del concetto”. E tuttavia scrive sotto la pressione incalzante degli avvenimenti. Anche nel corso dell’esilio londinese, la sua è un’attività febbrile. In condizioni di estrema povertà osserva l’Europa in attesa di una crisi che deve arrivare e che si tratta di anticipare sul medio raggio attraverso l’organizzazione politica. I testi più discussi e perfino problematici nel loro positivismo, primo fra tutti Il Manifesto, pamphlet scritto a ridosso del 1848, non possono essere compresi fuori da questo contesto. Marx non è né un economista, né un politico tout court, per il semplice fatto che tale distinzione non ha materia di esistere. Al di là dell’eredità lasciata nei “marxismi”, la rilevanza del suo pensiero rispetto a questa genealogia consiste fondamentalmente nel metodo.

La storia del regime di mobilità si sviluppa attraverso la moltiplicazione delle mediazioni attraverso cui gli individui accedono alla propria libertà di circolazione. Il metodo critico ci spinge in primo luogo a interrogare queste mediazioni. Non è del resto un caso che esso ci abbia portato a muoverci attraverso fonti e discipline di natura radicalmente diversa, dal diritto, all’economia, la storia sociale e il pensiero politico. In secondo luogo, il metodo marxiano è “critico” perché partigiano. Marx, così come Flora Tristan, Agricol Perdiguier o persino François Guizot, cerca il soggetto politico chiave. In breve, critica delle mediazioni e produzione di soggettività sono due volti dello stesso percorso.

2.1 Critica della cittadinanza e critica della filosofia

Al suo arrivo a Manchester nel 1842, le grandi città inglesi appaiono ad Engels come fulcro di una rivoluzione industriale che “ha avuto per l’Inghilterra la stessa importanza della rivoluzione politica per la Francia e la rivoluzione filosofica per la Germania”43. Al tempo insalubri quartieri sovraffollati e culla del nascente movimento cartista e socialista, le città, scrive Engels, “hanno distrutto le ultime tracce di un rapporto patriarcale tra gli operai e i loro padroni”. Tre rivoluzioni il cui accostamento, indipendentemente dalla loro sistematizzazione in “fonti” dell’opera marxiana da

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parte di Kautsky e Lenin, è senza dubbio interessante. Economia, politica e filosofia sembrano attraversate da una medesima scissione, per cui non possono essere pensate separatamente. Nel passaggio da un rapporto di dipendenza patriarcale (dell’“appellarsi a qualcuno”, scriveva Sieyès44

) a un rapporto di dipendenza oggettiva dal denaro o dallo Stato (non imputabile in termini di persona fisica) si gioca il passaggio dalla soggezione del regime corporativo di Antico Regime all’orizzonte di formale eguaglianza apertosi con la Rivoluzione. Eppure, scrive Engels, “l’operaio è di diritto e di fatto uno schiavo della classe abbiente, della borghesia, suo schiavo al punto che viene venduto come una merce e, come una merce, il suo prezzo sale e scende”45

. Accantonando per il momento la figura retorica della “schiavitù salariale”, ciò che osserviamo imporsi è il problema costitutivo della modernità politica già incontrato nei precedenti capitoli. Si tratta della problematica opposizione, fin dentro ad ogni individuo, di ciò che si ha in comune con gli altri (i diritti, la libertà degli uomini bianchi) a ciò che è invece proprio di ciascuno (la ricchezza o il genere sessuale). Prima del 1848, il giovane Marx partecipa del movimento di denuncia della libertà puramente astratta, in primo luogo attraverso il rifiuto della politica e della filosofia come sfere autonome. I principali obbiettivi polemici di questo rifiuto sono la forma-Stato e la filosofia della cosiddetta sinistra hegeliana.

La critica dell’autonomia della Politica si muove immediatamente sul terreno aperto dalla Rivoluzione Francese, cioè nella tensione tra diritti dell’uomo e diritti del cittadino. Ancora una volta, ne La Questione Ebraica (1843) ad essere in questione è la mediazione tra ciò che è comune e ciò che è individuale. Marx attacca in questo caso le tesi di Bruno Bauer, secondo cui la non- libertà dell’ebreo tedesco nello Stato cristiano sarebbe una “contraddizione tra il principio religioso e l’emancipazione politica”46. Bauer sostiene cioè che l’emancipazione politica non potrà che avvenire attraverso la democratica uguaglianza legale capace di confinare la religione a “cosa

meramente privata”. Diversamente, Marx replica che l’emancipazione politica, interna allo Stato

anche secolarizzato, preserva quel modo di riconoscersi dell’uomo per via indiretta. Se essa libera l’uomo dal limite di Dio, è solo per liberarlo in termini astratti, cioè attraverso un’altra mediazione, quella dello Stato47. Così come abbiamo visto rispetto alla domesticità dell’amministrazione dei poveri e delle donne, il tentativo di una rivoluzione “puramente politica” deve de-localizzare l’oppressione su un piano privato e produrlo come differente dalla schiavitù. Per questo motivo, scriveva Marx, si producono le figure del cittadino (figura dell’emancipazione politica) e dell’uomo

44 E.J.Sieyès, Che Cosa è il Terzo Stato?, cit. p. 73.

45 F.Engels, La Situazione della Classe Operaia in Inghilterra, cit. p.123. 46

K.Marx, La Questione Ebraica, Editori Riuniti, Roma, 1969, p. 50.

47 “L’uomo, anche se con la mediazione dello Stato si proclama ateo, cioè se proclama ateo lo Stato, rimane ancor sempre implicato religiosamente, appunto perché riconosce sé stesso solo per via indiretta, solo attraverso un mezzo. La religione è appunto il riconoscersi dell’uomo per via indiretta, attraverso un mediatore. Lo Stato è il mediatore tra l’uomo e la libertà.” Ivi, p. 56.

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privato (afferente alla “sfera dell’egoismo, del bellum omnium contra omnes”48

). Lo scontro hobbesiano torna ad essere vero presupposto della comunità apparentemente universale dello Stato. “Religione”, “proprietà”, “libertà” si presentano nell’ordine borghese come diritti umani49

che, cadendo nella sfera delle libertà politiche, degradano la cittadinanza stessa (politica, afferente allo Stato) a mero mezzo di conservazione della società civile (borghese, degli interessi privati)50. La “questione ebraica” è quindi espressione del contrasto tra lo Stato e la religione in generale (non semplicemente il giudaismo) che prende forma diversa a seconda del paese in cui la si osserva: limite dello Stato cristiano in Germania, incompletezza dell’emancipazione nello Stato costituzionale francese, religiosità privata nello Stato democratico americano.

È interessante notare che, attraverso un’allusione cifrata a Hegel, emerge qui un primo riferimento al concetto di polizia che comincia a spiazzare i termini dell’analisi: “la sicurezza” scrive Marx “è il più alto concetto della società civile, il concetto di polizia, che l’intera società esiste unicamente per garantire a ciascuno dei suoi membri la conservazione della sua persona, dei suoi diritti e della sua proprietà.”51

La polizia, in altre parole, è complemento della guerra hobbesiana, che mette a dura prova l’immagine hegeliana di composizione degli interessi individuali e della progressiva civilizzazione costruita dal liberalismo intorno al concetto di “società civile”52

. Si tratterà quindi di ristabilire la comunicazione tra il singolo e la comunità, tra ciò che gli è proprio e ciò che è comune. Per compiere l’emancipazione “umana” (termine che Marx stesso abbandonerà presto) bisogna riconoscere le “forze proprie” come “forze sociali”, al di là della mediazione teologico-politica dello Stato.

Bisogna ricordare che la critica della politica e della filosofia come “autonome” non implica alcun primato dell’economia in quanto tale. Si tratta piuttosto, per usare un termine di Sandro Mezzadra, di una “messa in dissolvenza”53

di questi ambiti disciplinari nella continuità di un problema che li percorre trasversalmente: la ricerca di un soggetto collettivo. Il tema del ristabilimento di una comunicazione tra individuo e collettività attraversa l’interezza del pensiero di Marx. Se ne La

Questione Ebraica, l’emancipazione politica è “l’ultima forma dell’emancipazione umana entro

48 Ivi, p. 60. 49

Marx trascrive gli articoli delle Dichiarazioni dei diritti dell’uomo e del cittadino nel 1791 e 1793, nonché della Costituzione del 1795 e delle Costituzioni della Pennsylvania e del New Hampshire. L’intento è operare una critica dei diritti umani così come li pensano i loro “scopritori, i nordamericani e i francesi” Ivi, p. 69.

50 “La cittadinanza, la comunità politica, viene abbassata dagli emancipatori politici addirittura a mero mezzo per la conservazione di questi cosiddetti diritti dell’uomo, che pertanto il citoyen viene considerato servo dell’homme egoista” Ivi, p. 73.

51 Ivi, p. 72.

52 Si veda a tal proposito anche S. Mezzadra e M. Ricciardi, Marx. Antologia degli Scritti Politici, Carocci, Roma, 2002. 53

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l’ordine mondiale attuale”54

, con le Tesi del 1845 la realizzazione della filosofia si costituisce come superamento della filosofia stessa. La critica a Feuerbach si configura come una critica dell’autonomia della filosofia così come l’opposizione a Bauer muoveva da una critica dell’autonomia della politica. Un “nuovo materialismo” è infatti possibile solo incarnandosi nell’attività sensibile, pratica (praxis): l’oggetto non è più punto di partenza (“oggetto, o intuizione”) per una filosofia che si sviluppa nei termini di una mediazione tra soggetto e oggetto, bensì è esso stesso “attività pratica umana sensibile”55. L’attività umana (“il lato attivo”) è insomma sia soggettiva, sia oggettiva, pone il problema di come gli individui si relazionano alla materialità che li circonda e che, nel mondo borghese, interrompe la comunicazione tra loro. L’“umano” che La

Questione Ebraica poneva come posta in palio dell’emancipazione è un concetto fondamentalmente

relazionale: “non è un’astrazione immanente al singolo individuo” della società civile, ma “nella sua realtà esso è l’ensemble dei rapporti sociali”56

. Il progetto di materialismo marxiano si incarna dunque nell’attività sensibile, pratica (praxis), in grado di sfumare l’opposizione tra soggetto e oggetto su cui si fonda un concetto di società che considera l’individuo come suo elemento primo. Su questo individuo come naturalmente isolato si fondava già, del resto, l’antropologia politica implicita all’economia di Smith.

Critica delle astrazioni reali e produzione di soggettività politica, dicevamo. Nei termini impiegati in un testo di poco successivo, Elementi per la Critica della Filosofia del Diritto di Hegel (1843), la filosofia deve farsi “forza materiale”, attraverso la “negazione della filosofia in quanto filosofia”57

. L’emancipazione unicamente politica avvenuta in Francia, dove un settore particolare della società civile (la borghesia) si è posto come rappresentante dell’intera società producendo un nemico

54

K. Marx, La Questione Ebraica, cit. p. 60.

55 Si veda la Prima Tesi, di cui riporto il testo completo: “Il difetto principale di ogni materialismo fino ad oggi, compreso quello di Feuerbach, è che l'oggetto, il reale, il sensibile è concepito solo sotto la forma di oggetto o di

intuizione; ma non come attività umana sensibile, come attività pratica, non soggettivamente. E' accaduto quindi che il

lato attivo è stato sviluppato dall'idealismo in contrasto col materialismo, ma solo in modo astratto, poiché naturalmente l'idealismo ignora l'attività reale, sensibile come tale. Feuerbach vuole oggetti sensibili realmente distinti dagli oggetti del pensiero; ma egli non concepisce l'attività umana stessa come attività oggettiva. Perciò nell'Essenza del

cristianesimo egli considera come schiettamente umano solo il modo di procedere teorico, mentre la pratica è concepita

e fissata da lui soltanto nella sua raffigurazione sordidamente giudaica. Pertanto egli non concepisce l'importanza dell'attività "rivoluzionaria", dell'attività pratico-critica” K.Marx, Tesi su Feuerbach in F. Engels, Ludwigh Feuerbach e

il Punto d’Approdo della Filosofia Classica Tedesca, Editori Riuniti, Roma, 1950, p. 77.

56 Citazione da me modificata della Sesta Tesi, di cui mantengo il francese originario ensemble. Senza ripercorrere l’immensa letteratura secondaria che è stata dedicata a questa scelta linguistica, vorrei sottolineare l’apertura del processo di costituzione dell’individualità, sulla base del quale si è parlato di una “ontologia della relazione” (É.Balibar,

La Filosofia di Marx, Manifestolibri, Roma, 1994, p. 47). A partire dal riconoscimento dell’essere in quanto tale come

relazione multipla e in divenire, la storia stessa si ridefinisce nei termini di una storia dei modi di produzione del legame sociale, così come abbiamo impostato il problema nel primo paragrafo di questo capitolo. Per un’analisi dettagliata delle Tesi si guardi il bel libro di P.Macherey, Marx 1845. Les “Thèses” sur Feuerbach, Amsterdam, Paris, 2008. 57 K.Marx, Per la Critica della Filosofia del Diritto di Hegel in La Questione Ebraica, cit. p. 100. In quest’ultimo testo viene esplicitamente posto il problema di un passaggio decisivo dalla critica della religione alla critica del diritto (dalla critica della teologia alla critica della politica) per “smascherare l’autoestraniazione nelle sue forme profane.” Ivi, p. 93.

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assoluto (la nobiltà), non ha condizioni di possibilità nel caso tedesco58. L’unica possibilità positiva di emancipazione in Germania, dove non ci può essere liberazione progressiva come in Francia, sta nel proletariato come classe universale. Ecco finalmente nominato, nella sua prima formulazione, il soggetto del cambiamento. Il tema della soggettività scissa costituisce di fatto la continuità di una problematica che verrà riformulata da Marx nella critica economia politica degli anni cinquanta e sessanta. Per il momento, prima della terribile smentita storica del Giugno 1848, attorno all’enunciato politico “proletariato” si coagula la speranza in una dissoluzione che venga dall’interno dell’ordine presente: “universalità materiale” opposta all’“universalità astratta” dello Stato59. La povertà, da margine sociale cui era stata relegata dal liberalismo, diviene centro politico. “Non la povertà sorta naturalmente, bensì la povertà prodotta artificialmente”60

, conclude Marx.

2.2 Critica dell’economia politica classica

Negli stessi anni in cui il compagnonnage rivendicava il lavoro artigiano contro la disumanizzazione del lavoro meccanizzato, Marx annotava nei Manoscritti Economico-Filosofici

del 1844 che il “lavoro estraniato” strappa agli individui la loro “appartenenza alla specie umana”

oltre che il prodotto della loro attività61. Questa fiducia del lavoro come elemento di ricomposizione sociale ed emancipazione umana verrà presto abbandonata. Di lì a poco, le truppe del generale Cavaignac avrebbero represso nel sangue le rivendicazioni operaie per le strade di Parigi. Riflettendo sugli anni che portarono la Francia dalla rivoluzione del 1848 al Secondo Impero, Marx scrive: “gli uomini fanno la propria storia, ma non la fanno in modo arbitrario, in circostanze scelte da loro stessi, bensì nelle circostanze che essi trovano immediatamente davanti a sé, determinate dai fatti e dalla tradizione”62. Ecco riformulata la tensione tra “classi operaie” e “proletariato” individuata nel capitolo precedente, a partire dalla quale emergerà la limitatezza delle rivendicazioni di un “diritto al lavoro”. Alla luce della restaurazione dell’ordine all’indomani dei

58 La Germania ha già operato la critica della religione per cui “l’uomo fa la religione e non la religione l’uomo”, ma poiché l’uomo non è che il “mondo dell’uomo” (lo Stato, la società) la religione si mantiene come “coscienza capovolta del mondo”. Essa realizza in forma “fantastica” l’essenza umana: è espressione di una miseria e protesta impotente contro questa miseria, è “il sospiro della creatura oppressa”. “Essa è l’oppio del popolo”. Ivi, p. 91, 92.

59 “Formazione di una classe con catene radicali, di una classe della società civile la quale non sia una classe della società civile, di uno stato che sia la dissoluzione di tutti gli stati, di una sfera che per i suoi dolori universali possieda un carattere universale e non rivendichi alcun diritto particolare, poiché contro di essa viene esercitata non una

ingiustizia particolare bensì l’ingiustizia senz’altro, la quale può fare appello non più ad un titolo storico al titolo umano.” Ivi, p.108.

60

Ibidem.

61 “Proprio soltanto nella trasformazione del mondo oggettivo l’uomo si mostra quindi realmente come essere

appartenente ad una specie. (…) L’oggetto di lavoro è quindi l’oggettivazione della vita dell’uomo come essere appartenente ad una specie.” K.Marx, Manoscritti Economico Filosofici del 1844, Einaudi, Torino, 2004, p. 75.

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moti, la prospettiva di un cambiamento radicale deve essere ripensata al di là dell’emancipazione umana prospettata nei primi scritti. Marx studia gli economisti classici dell’illuminismo scozzese e, a fianco dello Stato, comincia a delinearsi ai suoi occhi un altro dispositivo storico di produzione di soggettività: il Capitale. Il movimento Cartista osservato in Inghilterra suggerisce un modello di azione effettivamente diverso da quello francese, che pur continuerà ad essere fonte di formidabili insorgenze con la Comune del 1871. Nelle lotte sulla giornata lavorativa si prospetta una resistenza operaia come limite interno allo sfruttamento, aprendo a un’economia politica dal punto di vista proletario, diversa da quella prospettata dal liberalismo economico. A Londra, Marx si confronta più sistematicamente con Smith e con Ricardo.

Abbiamo visto che La Ricchezza delle Nazioni fonda l’interdipendenza tra individui sulla mediazione del lavoro: la ricchezza è potere di acquistare lavoro per mezzo di altro lavoro attraverso la moneta come equivalente63. Il ciclo dello scambio può essere descritto quindi come Merce – Denaro – Merce. Su queste premesse è possibile accumulare ricchezza se l’individuo prudente e risparmiatore non consuma l’interezza della merce ma ne reinveste una parte per acquisire un profitto. La divisione del lavoro, risultante dalla naturale propensione degli individui a scambiare, rende utile per ciascuno di essi il rispetto delle obbligazioni. Gli economisti del XIX secolo hanno però di fronte la questione sociale che rende insostenibile la “sovrapposizione tra etico, economico e politico” che abbiamo mostrato essere alla base del pensiero di Smith sin dalla

Teoria dei Sentimenti Morali. La ricezione dell’economia politica classica si concentra così sul

valore-lavoro come misura oggettiva e non-politica, ponendosi piuttosto il problema di come correggerne il tiro integrando la nuova povertà di massa. Lo scopo di Marx è però differente. Fare una “critica dell’economia politica” significa, in primo luogo, sostenere che le categorie economiche sono politiche (definiscono rapporti di forza, non condizioni tecniche neutrali), e in secondo luogo, osservare la stessa società di Smith per elaborare altre categorie politiche, dal punto di vista proletario.

Marx riconosce a Smith un intento propriamente scientifico, nella dimensione in cui muove dall’osservazione dei dati e solo in seguito risale al “lavoro senz’altro” come “sola misura

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“Il lavoro è stato il primo prezzo, la moneta d’acquisto originaria pagata per tutte le cose. Non è stato con l’oro o con l’argento, ma col lavoro, che sono state acquistate originariamente tutte le ricchezze del mondo; e il loro valore per coloro che le posseggono e vogliono scambiarle per qualche nuova produzione è esattamente uguale alla quantità di lavoro che esse li mettono in grado di acquistare o di avere a disposizione.” A.Smith, La Ricchezza delle Nazioni, cit. p. 112.

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universale e precisa del valore” in tutte le epoche64. L’obbiettivo di Marx è mostrare che dietro questo stesso pensiero smithiano, fondato sulla naturalità degli individui e sul valore, si nasconde un rapporto sociale storicamente specifico, di cui il “plusvalore” definisce il grado di sfruttamento. Procediamo con ordine. In primo luogo notiamo che la serie M – D – M è destinata al consumo e all’esaurimento della merce, mentre ciò che ci interessa è la riproduzione allargata della ricchezza65

: l’accumulazione D – M – D¹. In secondo luogo è evidente che questa accumulazione non sarebbe possibile se chiunque scambiasse “meno per più” come profit upon alienation. Se così fosse il denaro salirebbe continuamente di prezzo e ci si troverebbe in una situazione di inflazione immediata. E tuttavia il fatto che lo scambio D – M sia tra equivalenti è anche per Marx fuori di dubbio: l’operaio sa in anticipo cosa gli torna come salario in cambio dei suoi servizi. Per quanto sia evidente che in condizioni di povertà giochi un rapporto di forze che spinge gli operai ad accettare paghe basse, è sempre l’operaio a firmare liberamente un pessimo contratto di lavoro66

. La vendita della forza-lavoro rispetta le condizioni di vendita di ogni altra merce. Non c’è nessun trucco dal punto di vista dello scambio se chiunque, potremmo dire cinicamente, è libero di morire di fame. La valorizzazione (l’aumento della ricchezza) deve dunque aver luogo altrove. Marx ci invita allora ad abbandonare la sfera rumorosa della circolazione e addentrarci nei “segreti laboratori della produzione”. Qui, vediamo che il Denaro iniziale può essere investito in macchine e strumenti (capitale fisso) oppure in forza-lavoro (capitale variabile), la cui interazione consuma la forza-

lavoro generando il processo lavorativo da cui risulta la nuova merce.