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PRIME CRISI DEL CONTRATTUALISMO CIVILE CLASSICO

IL LIBRETTO OPERAIO COME TECNOLOGIA POLITICA

1. PRIME CRISI DEL CONTRATTUALISMO CIVILE CLASSICO

Opponendosi all’utilitarismo benthamiano, il giusnaturalismo di Sieyès fonda il concetto di lavoro libero su due elementi: la libera volontà stringere un contratto di diritto comune (diversamente dalla schiavitù) e la limitazione del tempo di ingaggio (diversamente dalla domesticità). La storia dei libretti operai descrive i rapporti di forza alla base di questo partage tra diverse forme della coazione nel XIX secolo alla luce della tensione tra pressione del mercato e codificazione del lavoro secondo il diritto privato. In primo luogo, affinché il tempo possa apparire misura di un’eguaglianza, è stato necessario agire politicamente sullo spazio affrontando attraverso la mobilità l’angolo morto del liberalismo francese – ossia il rapporto tra proprietà di sé e accesso

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Riformulo qui le tesi svolte da Sandro Mezzadra intorno alle “storie del lavoro” a partire dall’opera di Dipesh Chakrabarty. Sottolineando l’importanza dell’inteprellazione da parte della (pur artificiale) modernità europea nella costituzione del binomio cittadino-lavoratore, Mezzadra nota come la storia del Capitale si sviluppi integrando in maniera non dialettica le esteriorità a quest’ultima producendo differenti temporalità all’interno dello stesso sistema. Particolarmente interessante risulta l’attenzione a non scartare l’astrazione come puro velo che nasconde l’eterogeneità dello sfruttamento, bensì come territorio di un conflitto che è coestensivo a una modernità immediatamente globale. S.Mezzadra, “Quante sono le Storie del Lavoro? Per una Teoria del Capitalismo Postcoloniale” in F.Chicchi, E.Leopardi (dir.), Lavoro in frantumi. Condizione precaria, nuovi conflitti e regime neoliberista, Ombre Corte, Verona, 2011, pp. 195 – 222.

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costante al suo uso. La scarsa integrazione geografica della produzione e l’impossibilità di perseguire penalmente la rottura del contratto permettono ai lavoratori e alle lavoratrici di muoversi, giocando sul doppio regime identificativo di passaporti e libretti per sfruttare il differenziale dei salari insito nella concorrenza. Sosteniamo che questa mobilità individua una forma di contrattazione collettiva radicalmente diversa dalle rivendicazioni di “veritable louage” proprie del mondo artigianale descritto da importanti storici come Alain Cottereau, William Sewell e William Reddy. Al tempo stesso, essa permette di individuare nel cash nexus l’emergere di un rapporto di tipo creditizio la cui garanzia (o solvibilità) necessita un intervento politico sulla divisione del lavoro. La mobilità mostra che il denaro è insieme misura e comando, e dunque contraddizione interna all’ipotesi costituzionale del liberalismo stesso. La non sovrapponibilità di queste due razionalità interdipendenti costituisce il quadro della crisi che durante la Monarchia di Luglio prende il nome di “questione sociale”. Al suo interno, differenti soggettività politiche si attivano: tanto sul fronte liberale, quanto su quello del nascente proletariato. Con una prospettiva di lungo termine, questa pista amministrativa ci porterà a riconsiderare l’emergenza dello Stato Provvidenza (la definitiva crisi del contratto civile classico e l’esaurimento del libretto operaio) come nuova ripartizione tra sfere produttive e riproduttive interna alla più ampia storia dei regimi di mobilità.

1.1 I libretti operai e la frammentazione geografica della produzione

L’ambizione di prevenire la rottura del contratto attraverso il controllo della mobilità individuale non è assolutamente nuova. Al contrario, il tentativo di limitare la circolazione di un gruppo particolare di individui liberi attraverso la restrizione di diritti civili costituisce un dilemma governamentale proprio del XIX secolo. Da un punto di vista pratico, l’applicazione effettiva dei libretti è fin da subito ostacolata dalla più o meno dispersa organizzazione della produzione nei differenti territori.

Come riconoscono esplicitamente i membri dell’Assemblea, la mobilità è oggetto di “governo” piuttosto che della “legge”5

: si tratta di qualcosa che è impossibile fissare attraverso rigidi schemi astratti e che deve piuttosto essere modulata sulla base delle specificità locali. A Metz (Moselle) i proprietari terrieri stessi richiedono al Ministro dell’Interno che tutti gli individui impiegati nello sfruttamento agricolo siano provvisti di un libretto: “servi agricoli salariati, pastori, impiegati

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temporanei, giardinieri e tutti gli altri domestici assunti in ogni tipo di aziende agricole”6

. All’interno di altri settori, come quello tessile, troviamo sviluppi differenti: il caso della produzione di pizzo offre particolari indicazioni in proposito. Da una lettera firmata dal Ministro dell’Interno il 24 Giugno 1812, sappiamo che i principali fabricants di pizzo nel regno si sono incontrati a Parigi. Il Ministero inoltra ai prefetti locali la loro comune richiesta di generalizzare l’applicazione dei libretti a tutti i lavoratori del settore7. Rispondendo a questa lettera, la maggior parte dei dipartimenti sottolinea però l’impossibilità materiale di rendere effettiva la richiesta nei rispettivi territori adducendo il fatto che le unità produttive sono geograficamente disperse. Come sostiene un prefetto per la città di Gand, i mercanti forniscono semplicemente un progetto (dessin) e il filo necessario, mentre le filatrici lavorano nelle rispettive case: fino ad allora “non è esistito alcun atelier”. Per buona parte della produzione di pizzo “il commercio è stagionale” e compiuto à la tache, rendendo superflua la formalità del libretto. Osservazioni simili vengono fatte per i dipartimenti della Haute-Loire e Vosges8. Nella città di Mirecourt, il prezzo del filato è contrattato in anticipo con il fabricant, il quale si incarica poi di rivenderlo alla migliore offerta. Per tutte queste ragioni il Ministero dell’Interno è continuamente forzato a ribadire la definizione giuridica di “ouvrier” in quanto lavoratore dipendente sprovvisto di patente, a prescindere dall’organizzazione del suo sfruttamento:

Per essere considerati lavorare nella forma di garçons o compagnons, non è necessario essere affiliati a uno stabilimento condotto dal proprietario in persona. È sufficiente ricevere da lui la materia prima da lavorare a prezzo fisso oppure a salario convenuto. Questo è certamente il caso delle lavoratrici di pizzo poiché viene loro dato il filo necessario alla fabbricazione. Di conseguenza, esse sono obbligate a dotarsi di un livret.9

Il problema legato all’applicazione dei livrets può dunque essere riformulato nella maniera seguente: per poter effettivamente controllare il lavoro attraverso il tempo, risulta necessario agire sulla sua organizzazione spaziale. Come sostiene il deputato De Boissy, se nella manifattura “c’è una polizia facilmente gestibile” per cui “si entra dalla porta, la porta si chiude, e nessuno esce più”, diversamente gli operai della fabbrica “sono molto disseminati, lavorano in punti lontani gli uni

6 Archives Nationales, F/12/4648 (n.n.) Comité agricole de Metz al Ministro dell’Interno (Metz, 20 Febbraio 1845).

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AN, F/12/4648 (n.n.) Ministro dell’Interno ai prefetti dei Dipartimenti l’Escaut and du Nord (Parigi, 24 Gennaio 1812).

8 AN, F/12/4648 (n.n.) Prefetto della Haute-Loire al Consiglio di Stato (24 Marzo 1812) e (n.n.) Prefetto di Vosges al Ministro del Commercio e dell’Industria (6 Febbraio 1812).

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dagli altri” e sono intercambiabili nelle loro funzioni10

. Nondimeno, il controllo governamentale della mobilità dei lavoratori non deve essere considerato come puramente coercitivo, bensì come un’economia politica della mobilità garantita dalla pubblica amministrazione. Pur variando in base ai settori produttivi, la crescente centralità del cash nexus come mediazione dello scambio commerciale comincia a funzionare come veicolo della concorrenza all’interno di un’organizzazione ancora fortemente labor-intensive. Un estratto dal registro della Camera Consultiva di Commercio del 1812 mostra chiaramente l’articolazione tra pressione del mercato mondiale e persistenza di forme differenti di riproduzione – inclusa la coltivazione di sussistenza.

[Da un lato] l’attuale circolazione del pizzo all’interno dell’impero, quasi interamente trasportato in Inghilterra, Spagna e nelle colonie, ha cominciato a produrre un tasso di scambio favorevole in Nord America. I mercanti hanno pazientemente assorbito questa diminuzione nei loro debiti e nei loro redditi. (…) [Dall’altro] Sebbene il valore industriale del suo prodotto sia modesto, questa industria è considerata vitale per la sussistenza delle famiglie in questa zona, la cui ricchezza è modesta se messa in relazione con la quantità di lavoratori che esse potrebbero impiegare nel settore, aiutandole così a sussistere durante i cinque mesi dell’anno in cui il freddo persistente le forza ad una sospensione dell’agricoltura.11

In altre parole, le relazioni sociali di produzione furono progressivamente sfidate su due fronti: tanto dal basso (rivendicazioni artigiane) quanto dall’alto (pressione del mercato). La generalizzazione del libretto riflette il tentativo di rispondere a questa seconda sfida “dall’alto”. Per rispondere alle necessità della concorrenza gli imprenditori non miravano unicamente alla possibilità di disporre del lavoro quando fosse necessario ma anche al suo licenziamento nel momento in cui divenisse superfluo. Gli ouvriers potevano lavorare sia come locateurs d’ouvrage (retribuiti al pezzo, ricevendo commissioni da una o più persone) sia come locateurs de service (offrendo i propri servizi a una singola persona per un certo tempo). Il libretto, formalmente applicabile a entrambi i casi, diventa fondamentale nel momento in cui i datori di lavoro sono spinti a impiegare a tempo i lavoratori per assicurarne la disponibilità a discapito della concorrenza e congedarlo in caso risulti superfluo. Il problema fondamentale sorge rispetto al fatto che, se la locazione di servizio permette di abbandonare il lavoro, non vi è in Francia legislazione penale che possa ri-catturarlo. In questa ambiguità precisamente lo spazio politico dell’amministrazione moderna. Essa mette in luce un terreno di conflitto politico radicalmente differente da quello dei

10 MON, 9 Febbraio 1846, p. 311.

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Consigli dei Prud’hommes (i quali, infatti, non potevano intervenire sul rilascio dei libretti, essendo un tema di pubblica amministrazione12).

Proponendo questa prospettiva non intendiamo invalidare, ad esempio, le fondamentali tesi di Alain Cottereau rispetto ai Consigli dei Prud’hommes13

. In essi, Cottereau ha individuato il terreno istituzionale di un conflitto per il riconoscimento di un “bon droit” che potesse integrare le rivendicazioni artigiane di “giusto prezzo” all’interno dell’architettura giuridica del XIX secolo14

. Rimangono altresì fondamentali le acquisizioni di William Sewell, tese a sottolineare la persistenza degli universi simbolici e dei linguaggi tipici del compagnonnage ben oltre l’abolizione delle corporazioni15. Analogamente, gli studi di William Reddy sull’industria tessile hanno mostrato che già nel XVIII secolo gli interessi dei differenti attori della produzione e commercio del cotone (commissionari, corporazioni, filatrici) avevano imposto il problema di misurare il valore del filato16, stabilendo un trend che continuerà anche nel secolo successivo. Le lotte dei lavoratori

12 Il livret d’ouvriers non deve essere confuso con il double livre d’acquit, sul quale venivano registrate le transazioni e i pagamenti tra fabricants e chefs d’ateliers (entrambi locateurs d’ouvrage) e che era rilasciato dai Prud’hommes in virtù della legge del 18 Marzo 1806. Si veda in proposito la Notice sur la législation relative aux livrets d’ouvriers,

session des Conseils Généraux de l’Agriculture, des Manufactures et du Commerce, 1841 – 1842 : “resta il fatto che i

conflitti tra padroni e lavoratori in relazione al libretto sono oggetto di politica amministrativa e i tribunali non possono esserne a conoscenza” (pp. 18, 19). Si veda anche la dichiarazione di Manley, membro della commissione giuridica sui

livrets, il 6 Maggio 1846: “strettamente parlando, questi libri sono registri della manifattura; una copia è deposta nelle

mani del négociant che commissiona il lavoro; l’altra nelle mani del chef d’atelier. Non c’è nulla in comune con il libretto operaio”. (n.n.) AN, F/12/4648.

13 La legge del 18 Marzo 1806 istituisce il primo Consiglio dei Prud’hommes a Lione, seguita dal decreto imperiale del 3 Agosto 1810 che stabilisce la facoltà di giudicare senza appello sui contenziosi e sui casi di “ordine e disciplina dell’atelier” fino a un imprigionamento non superiore a tre giorni, mantenuti i termini della legge del 22 Germinale an XI (art.4). Il caso parigino è abbastanza tardivo in quanto i progetti di istituzione di un Consiglio iniziati già da Chaptal sotto il primo Impero verranno abbandonati più volte e il regolamento dei contenziosi rimane di pertinenza dei giudici di Pace fino al 1844. In generale, solo con il decreto del 27 Maggio 1848 anche gli operai non patentati avranno diritto di rappresentanza presso il Consiglio. Per la descrizione dell’evoluzione legislativa ho tenuto conto dell’introduzione agli Archives Judiciaires du Département de la Seine: AJ, DU10.

14 Si vedano in particolare A.Cottereau, “Droit et Bon Droit. Un Droit des Ouvriers Instauré, puis Évincé par le Droit du Travail (France, XIXème Siècle)” in Annales. Histoire, Sciences Sociales, 2002/6, p. 1521 – 1557 ; A.Cottereau, “La Gestion du Travail, entre Utilitarisme Heureux et Éthique Malheureuse. L’Exemple de l’Entreprise Française au Début du XIXème Siècle” in Le Mouvement Social, n. 175, 1996, pp. 7 – 29 ; A.Cottereau, “Cent Quatre-Vingt Années d’Activité Prud’homale” in Le Mouvement Social, n. 140, 1987, pp. 3 – 8 ; A.Cottereau, “Justice et Injustice Ordinaire sur les Lieux de Travail d’après les Audiences Prud’homales (1806-1866)” in Le Mouvement Social, n. 141, 1987, pp. 25 – 59.

15 W.H.Sewell, Lavoro e Rivoluzione in Francia, op cit.

16 W.Reddy, “Modes de Payement et Contrôle du Travail dans les Filatures de Coton en France, 1750 – 1848” in Revue

du Nord, tome 63, Janvier-Mars 1981, pp. 135 – 146. In quel caso, l’introduzione di un sistema di numerazione del filo

da parte di un imprenditore inglese emigrato in Francia, John Holker, era riuscita ad imporre uno standard che limitando le possibilità di frode sul peso imponeva un comando indiretto sul lavoro delle filatrici tramite la paga stabilita in anticipo. Seppur con alcune variazioni, questo sistema continuerà anche nel corso del XIX secolo sovrapponendosi all’arrivo delle prime filatrici meccanizzate mule Jenny.

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tessili di Rouen durante la Monarchia di Luglio continuano a porre le vertenze in termini di prezzo del prodotto filato, considerandosi imprenditori al pari di banchieri o proprietari di filatoi17. Il libretto operaio permette di reinserire questo insieme di resistenze – tipiche di un panorama produttivo scarsamente integrato ed eterogeneo – nel contesto di un generale orientamento della produzione al mercato. Al tempo stesso, indaghiamo le forme di identificazione alla ricerca di una forma di subordinazione storicamente specifica, che emerga direttamente dagli interstizi tra accumulazione di capitale e frammentazione spaziale: la fuga del lavoro. Chiaramente, tanto le rivendicazioni artigiane quanto la fuga del lavoro sono due volti di un medesimo processo che sottrae agli individui il potere decisionale sulla propria riproduzione, subordinandola alle esigenze dell’accumulazione generale. Tuttavia, mentre le prime indicano una resistenza alla de- specializzazione sottolineando un’arte contro le nuove forme di domesticità, la seconda si sviluppa internamente alla generalizzazione della condizione di “ouvrier”. “Operaio” è per i membri dell’Assemblea ogni individuo che lavora per qualcun altro, padrone del proprio mode de travail e la cui sopravvivenza deriva da questa attività18. Mentre il linguaggio del compagnonnage affronta questa generalizzazione nei termini di quella che E.P.Thompson definirebbe una “economia morale”, la fuga del lavoro definisce implicitamente una critica della nascente economia politica della mobilità. Essa non rivendica un’eguaglianza della misura del lavoro opponendosi al tempo. Al contrario, riconosce in questa misura un cambiamento nel modo in cui si dispiega un rapporto di forze e, lì, gioca le sue carte.

1.2 La fuga del lavoro come negoziazione collettiva

Nei suoi Commentari sul Codice Civile (1840), il giurista Theodore Troplong richiama l’attenzione sulla generalizzazione del louage de service. Questa generalizzazione era per diverse figure padronali funzionale a poter disfarsi del lavoro quando risultasse superfluo rispetto alla domanda di mercato, evitando gli ostacoli riguardanti il congedo tipici del louage d’ouvrage19. Troplong sottolinea tuttavia che i lavoratori remunerati a tempo e a prezzo di mercato (piuttosto che à prix-

17 W.Reddy, The Rise of the Market Culture. The Textile Trade and French Society, 1750-1900, Cambridge University Press, Cambridge, 1984. Sul tema si guardi anche la voce “entrepreneur/entreprise” in A.Stanziani (dir.), Dictionnaire

Historique de l’Économie-Droit XVIIIème – XXème Siècles, CNRS, Paris, 2007.

18 MON, 9 Febbraio 1846, p. 280.

19 Come ammette il relatore stesso durante una discussione alla Camera dei Pari: “abbiamo delle leggi formali sulla locazione delle cose, non abbiamo delle leggi sulla locazione delle opere. Ecco perché il congedo, condizione della locazione d’opera, è molto incerto”. MON, 11 Febbraio 1846, p. 344.

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fait) non hanno interesse personale nel risultato finale della loro attività, proprio per il fatto che essa non incide direttamente sul salario20. Dobbiamo inoltre ricordare che questa assenza di interesse nella qualità delle merci prodotte deriva da un’ambiguità inerente alla definizione di “servizio”. Da un lato, tanto ouvrage quanto service sono giuridicamente considerate come cose separate dal loro proprietario. Dall’altro, nel caso del service come oggetto scambiato, questo non può essere fisicamente separato dal suo proprietario. La subordinazione della mobilità agli imperativi di mercato (ovvero, la possibilità di disporre del lavoro ma solo quando necessario) necessita un certo grado di libertà di circolazione, ma, al tempo stesso, è limitata dall’interdizione di ogni persecuzione penale come libero contraente. Abbiamo già anticipato che la Corte di Cassazione del 9 Luglio 1829 impediva l’arresto di lavoratori in viaggio se muniti di un passaporto valido (art. 270 del Codice Penale). Questo angolo morto all’interno delle politiche governamentali costituisce il terreno produttivo all’interno del quale è stato possibile sviluppare due forme di resistenza subalterne legate alla mobilità: il doppio uso di passaporti e libretti, e la fuga del lavoro come negoziazione collettiva informale.

L’obbligazione del livret d’ouvriers non sostituisce formalmente il passaporto. Fin dall’inizio del secolo, i rapporti del Consiglio delle Manifatture e la corrispondenza con dei prefetti locali tende a sottolineare questo aspetto, continuamente enfatizzando l’articolo 3 dell’arrêté de 9 Frimaire an XII (1 Dicembre 1803). Ogni lavoratore dovrà far validare il proprio libretto “indipendentemente dalla legge sui passaporti”21

. La coesistenza di due regimi di identificazione è in effetti funzionale ad operare una classificazione governamentale della mobilità. Questo partage proviene da una lunga storia di ripartizione dell’indigenza tra poveri in diritto di ottenere sussidi e vagabondi da reprimere come parassiti criminali22. In una nota del 27 Dicembre 1817, il prefetto di Parigi lamenta la mancata osservazione della legge sulle manifatture da parte dei dipartimenti regionali, formulandola attraverso la distinzione tra lavoratori e vagabondi:

[Se i dipartimenti non collaborano, non sarà possibile] allontanare dalla capitale la folla di gens sans aveu che arriva senza alcuna intenzione di lavorare, mendicando di villaggio in villaggio o sulle strade, e giungendo

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“Li vediamo formare coalizioni stupide contro coloro che fanno loro guadagnare il pane; denigrare, con il nome di

tâcherons questi uomini utili, indispensabili, che servono loro da intermediari per trovare occupazione”. Th.Troplong, De l’Échange et du Louage, Commentaire des Titres VII et VIII du Livre III du Code Civil, Paris, 1840, p. 279.

21 DUV, p. 287.

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infine alla prefettura di Parigi per chiedere un passaporto nella speranza di poter ottenere le sovvenzioni pubbliche garantite agli indigenti dalla legge del 10 Giugno 1790.23

Secondo il decreto di Frimaio, i sindaci sarebbero stati le autorità incaricate per il rilascio e la validazione dei congé, ad eccezione delle città di Parigi, Lione e Marsiglia (dove sarebbe stato il compito del Commissario Generale di Polizia). Tuttavia, dall’inizio del secolo le autorità locali iniziano a temere una perdita del controllo sulla mobilità a causa del doppio sistema di identificazione. Già nel 1804, ad esempio, la gestione dei livrets a Bordeaux è trasferita dal sindaco al bureau di polizia dei passaporti con lo scopo di ridurre il costante rischio di favorire inconsapevolmente l’evasione dei lavoratori24

. Lo stesso anno, il prefetto del dipartimento del Po a Torino, in Italia, scrive personalmente al ministro Chaptal annunciando che ha trasferito la regolazione dei libretti al commissario generale di polizia25. Tuttavia, in molti territori l’effettiva applicazione della norma stessa rimane parziale o esplicitamente assente. Una delle ragioni principali consiste nel fatto che l’identificazione individuale è ancora largamente basata sulla conoscenza personale. Nella corrispondenza amministrativa la nozione di “straniero” emerge in relazione alle comunità locali. In molte città la conclusione dell’apprendistato non viene nemmeno formalizzata attraverso i documenti richiesti, come attestano i casi di Saint-Etienne, Versaille e Mont-de-Marsan26. Secondo il prefetto degli Hautes-Pyrenées, la legge è ben osservata a Tarbes ma non nelle piccole comunità circostanti: laddove “i padroni e gli operai si conoscono particolarmente bene, questi ultimi si muniscono di un livret solo per utilizzarlo come passaporto”27. Nella Charente-Inférieure, molti dei quarantamila abitanti che emigrano stagionalmente per lavorare nelle grandi città tornano sprovvisti di un documento: “nel momento in cui è necessario completare le formalità della certificazione sostengono di averlo perso, anche se il libretto è stato rilasciato fuori del comune”28. Al di là dell’obbligazione generale, le geografie frammentate dell’identificazione

costituiscono un primo terreno strategico per evitare l’imposizione del libretto piegando le funzioni del passaporto.

23 AN, F/7/9686 n.56820.

24 AN, F/12/4648 (n.n.) Prefetto del dipartimento della Gironde al Ministro dell’Interno (Bordeaux, 2 Ventose an XII).

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AN, F/12/4648(n.n.) Prefetto del dipartimento del Po al Ministro Chaptal (Torino, Ventose an XII).

26 AN, F/12/4649 (n.n) Prefetto della Loire (Saint Etienne); prefetto della Seine-et-Oise (Versailles, 14 Marzo 1864) e prefetto delle Landes (Mont-de-Marsan, Marzo 1864) al Ministro dell’Interno.

27 AN, F/12/4649 (n.n.) Prefetto degli Hautes-Pyrenées al Ministro dell’Interno (Tarbes, 23 Aprile 1864).

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Analogamente all’impiego dei passaporti, anche la fuga del lavoro deve essere considerata come