• Non ci sono risultati.

LA POLIZIA COME PRODUZIONE DI DIFFERENZE

2. LA PROPRIETÀ DELLA PROPRIA PERSONA

Dal punto di vista concettuale, alla base dei dibattiti sull’ordine inerente al mercato, così come sull’abuso o la professionalizzazione della polizia, troviamo la difficile definizione di libertà come “proprietà di sé”, proprietà della propria persona. Si tratta di un concetto fondamentale, alla radice del liberalismo e delle sue gerarchie fin dalla critica di John Locke al potere patriarcale di Robert Filmer nel Primo Trattato sul Governo (1690). È però anche un concetto investito di una molteplicità di significati nel corso della turbolenza rivoluzionaria, spesso, come si è detto, in “disaccordo” tra loro. Ne seguiamo qui le tensioni, tracciandone il peso nella genealogia del liberalismo, come costitutive di una mobilità della povertà che viene scoperta come fonte della ricchezza e non più suo limite.

Per il giusnaturalismo di Sieyès la persona è inalienabile a prezzo della caduta in schiavitù, e tale proprietà di sé è definita giuridicamente. Guardando alla Francia, Jeremy Bentham sostiene invece negli stessi anni l’evidenza di una “alienabilità a tempo” del corpo del povero-lavoratore. La sua condizione, sostiene Bentham, differisce dalla schiavitù in base alla presenza di un’aspettativa futura: proprietà è l’idea di vantaggio futuro. La povertà stessa, senza la cui esistenza nessuno

63

sarebbe spinto a lavorare, non è assolutamente peso morto bensì presupposto della ricchezza. Non bisogna eliminare la povertà in quanto tale, ma l’indigenza intesa come assenza di futuro che porta ad essere nemici della produzione. La polizia viene dunque riconsiderata come vera e propria “scienza dell’economia politica” necessaria a garantire la caduta della povertà nell’indigenza, nonché forzare quest’ultima all’attività produttiva.

2.1 Sieyès lettore della Dichiarazione: inalienabilità della persona

Lo sguardo materialista della polizia rivela la dinamicità dei rapporti sociali e la loro irriducibilità allo schema rigido del diritto. È precisamente un ostacolo di tipo “sociale” che il giusnaturalismo proprietario, mobilitato dalla Rivoluzione in chiave anti-aristocratica, trova nella radicalizzazione giacobina, nelle rivendicazioni sul maximum sul pane e infine nel Terrore. Sieyès cerca, attraverso il progetto di un Consiglio di Governo, di inserire un’istanza di “sapere riflessivo” necessario a far aderire i poteri esercitati per procura a questa dinamicità, evitando la pesantezza del sistema dei contrappesi su cui si reggeva la Convenzione Termidoriana33. Attraverso il “governo” viene inserita una funzione di mediazione, interna alla Costituzione, tra il potere esecutivo e il potere legislativo34. Scrive l’Abate: “Il potere esecutivo è tutto azione, il governo è riflessione; l’uno ammette la delibera mentre l’altro la esclude ad ogni livello senza eccezioni”35

. Cercare un rapporto immanente

33 Il limite delle politiche termidoriane stava nel modo in cui il rischio di accentramento di queste funzioni veniva operato, attraverso il cosiddetto “sistema dei contrappesi”. Tale sistema consisteva nel fornire la stessa procura a due gruppi di rappresentati differenti: entrambi questi gruppi svolgevano la stessa mansione avendo reciproco diritto di veto, con il rischio di uno stallo nel processo esecutivo. A questo modello dei “contrappesi” Sieyès oppone il “sistema del concorso”, “ovvero dell’unità organizzata”. Secondo questo sistema avremo in primo luogo due “tribune di posizione”: la Tribuna del Popolo (ex Consiglio dei Cinquecento, numericamente ridimensionato, con la funzione di proporre al Corpo Legislativo leggi e regolamenti a partire dai bisogni del popolo) e il Consiglio di Governo (“funzione propositiva” analoga al Tribunato, ma con attenzione alle necessità di esecuzione effettiva). Entrambe queste due funzioni consultive convergono poi nel Corpo Legislativo: un solo corpo di votanti, che siede in una sola assemblea, il quale riceve e valuta le proposte delle “tribune di posizione”. Lo stallo esecutivo sarebbe così stato scongiurato grazie a un’assemblea non più divisa, come sotto la Convenzione, in Consiglio dei Cinquecento (membri più giovani con esclusivo potere di iniziativa) e Consiglio degli Anziani (con potere di approvare o respingere in blocco, ma non di emendare). “Dividete per impedire il dispotismo; centralizzate per evitare l’anarchia”, proclama Sieyès alla Convenzione. E.J.Sieyès, Opinioni di Sieyès su alcuni Articoli dei Titoli IV e V del Progetto di Costituzione,

Pronunciate alla Convenzione il 2 Termidoro anno III in (dir. P.Pasquino) Opere e Testimonianze Politiche, Giuffrè,

Milano, 1993, p. 789.

34 Il “governo” interviene nel processo che abbiamo descritto in nota nella veste di funzioni diverse a seconda della fase istituzionale. Inizialmente interviene come “giuria di proposizione” (propone leggi al Corpo Legislativo in base alle necessità pratiche del potere esecutivo che è prolungamento della volontà nazionale), poi come “giuria di esecuzione” (mettendo a punto regolamenti e ordinanze che riguardano casi specifici all’interno della generalità della legge promulgata dal Corpo Legislativo) e infine come “procuratore di esecuzione” (nomina i capi responsabili della gestione del potere esecutivo e li controlla affinché non escano dai limiti delle loro procure, cioè evita gli abusi di potere).

35

64

tra sovranità e amministrazione è l’ultimo tentativo di garantire una tenuta costituzionale36

, che tuttavia verrà marginalizzato dall’accentramento operato da Bonaparte.

Indipendentemente dall’avvento successivo di Bonaparte, lo strumento “riflessivo” del governo tenta di rispondere a un’ambiguità fondamentale: se la legge deve limitarsi a una “imparziale” rappresentanza delle differenze naturali attraverso la rappresentanza, essa in qualche modo favorisce il loro proliferare37. Nell’appunto significativamente titolato “Schiavi”, Sieyès riconosce che il giusnaturalismo porta a riconoscere l’esistenza di qualcosa come due popoli:

Una grande nazione è necessariamente composta da due popoli, i produttori e gli strumenti umani della

produzione, le persone intelligenti e gli operai che hanno solo la forza passiva, i cittadini educati e gli ausiliari

ai quali non si lascia né il tempo né i mezzi di ricevere un’educazione. (…) L’ultima classe, composta dagli uomini che dispongono solo delle loro braccia, può avere bisogno della schiavitù della legge, per sfuggire alla

schiavitù del bisogno.38

La logica conseguenza sarebbe quella di rendere giuridicamente differenti le condizioni dei proprietari e non-proprietari; soluzione tuttavia inammissibile al prezzo di considerare i secondi come schiavi. Ne risulta un instabile equilibrio per cui la differenza tra il lavoratore libero e lo schiavo è basata sulla lunghezza della “schiavitù della legge”, ad esempio in una durata massima del contratto di deportazione dei poveri liberi nelle colonie. Attenzione: diversamente dagli slittamenti nel Codice Penale, non vi è qui un continuum tra gli strumenti umani che producono e la canaille criminale inattiva, ma un rapporto diverso con quella che Sieyès definisce “produzione”. I primi se ne sobbarcano tutto il peso come individui sganciati dai rapporti corporativi, i secondi non hanno mai avuto alcuna relazione con essa. I primi andranno garantiti all’interno della Nazione facendoli “schiavi della legge”, cioè promuovendo la loro libera deportazione come lavoro temporaneamente obbligato nelle colonie (engagé). I secondi, come massa internata negli edifici

36 In termini pratici, si sarebbe stato di eleggere un “grand électeur” privo di potere esecutivo e dotato della fiducia necessaria a nominare due consoli, responsabili della politica interna ed estera. Le “liste di fiducia” sarebbero state compilate su tre livelli (comunale, dipartimentale e nazionale) secondo un sistema piramidale per cui dalla lista di ogni livello si estrae la lista del livello superiore. Dalla lista nazionale sarebbero stati infine nominati i membri del Consiglio di Stato, del Tribunale di Cassazione, dei Ministri, dei Membri del Tribunato, del Corpo Legislativo e del Giurì Costituzionale. Su questo punto si veda L.Scuccimarra, La Sciabola di Sieyès. Le Giornate di Brumaio e la Genesi del

Regime Bonapartista, Il Mulino, Bologna, 2002.

37

“È l’uguaglianza o l’imparzialità stessa della legge che fa prosperare le ineguaglianze fisiche e morali dei membri della società. Perché garantendo la mia proprietà essa mi permette di accrescerla e di renderla, di conseguenza, più ineguale, o parziale per non favorire le differenze o ineguaglianze individuali.” E.J.Sieyès, Fragments Politiques in Des

Manuscripts de Sieyès, tomo1, pp. 490 – 491

38

65

dell’Ospedale Generale a Parigi, deportati solo una volta finito il reclutamento volontario. “Bisogna esaurire tutte le risorse della deportazione per reclutamento libero, prima di passare alla deportazione legale nelle colonie”39

. Sieyès propone la servitù engagée come garanzia legale dei termini del contratto tra “produttori” e “strumenti umani”, “senza restringere la libertà fondamentale”. Si tratta del più alto punto di concettualizzazione della razionalità della police concepita da Sieyès come “diritto pubblico”, per cui l’unico corpo legittimo può essere lo Stato, luce al centro della circonferenza attorno cui gli individui si dispongono in maniera equidistante.

In breve, emerge già in Sieyès l’evidenza che la mobilitazione dei diritti naturali si esposta a grandi oscillazioni politiche, che vanno dal totalitarismo giacobino, alla formalizzazione di una schiavitù dei poveri attivi. L’Abate ricerca un’aderenza della legge alla conformazione dei rapporti sociali, che pure legge attraverso le lenti del mercantilismo. Fissiamo due conclusioni. In primo luogo, la proprietà di sé è definita giuridicamente ed è inalienabile: il contratto permetterebbe di scambiare il lavoro senza scambiare la propria persona, anche nel caso dei lavori fisici dei più poveri. In secondo luogo, la povertà inattiva non ha alcuna relazione con la ricchezza o con la povertà lavoratrice, ma unicamente con la pericolosità politica. Vediamo ora in che modo l’economia politica disciplinare di Bentham, negli stessi anni, ribalterà entrambi questi assunti e che effetto questo avrà sulla nostra comprensione della polizia.

2.2 Bentham lettore della Dichiarazione: la proprietà come “creazione della mente”

Formatosi a stretto contatto con le idee illuministe francesi, anche Bentham segue con interesse gli sviluppi della Rivoluzione. Nel 1788 fa parte del circolo di Lord Landsdowne, grazie al quale entra in contatto con l’editore ginevrino Étienne Dumont, che si incaricherà successivamente della diffusione delle sue opere in Francia. Vi è in effetti una circolazione dei testi benthamiani sulle due sponde della Manica, nonché una particolare ricezione dell’utilitarismo nella Francia napoleonica, che costituisce un punto di passaggio ineludibile per comprendere l’emergenza del moderno “regime di mobilità” del lavoro che stiamo analizzando.

39

66

Lo spostamento operato da Bentham è a monte di un dibattito che alla fine del secolo si era polarizzato sulle posizioni di Edmund Burke e Thomas Paine40: consiste nel rifiuto categorico di legare la legittimità politica alla questione dell’origine, storica (la Glorious Revolution per Burke) o naturale (i diritti dell’uomo per Paine)41

che sia. L’attacco al giusnaturalismo porta necessariamente allo scontro con Sieyès, in particolare rispetto a quella “proprietà personale” sulla cui “inalienabilità” abbiamo visto fondarsi il carattere “libero” del lavoro per l’Abate. Riprendendo la lettura di Sieyès dell’articolo 3, secondo cui “ogni uomo è il solo proprietario della propria persona, e questa proprietà è inalienabile”, Bentham osserva che è pura assurdità dividere l’ “individuo” dalla “persona”.

[È] come se l’uomo fosse una cosa, e la sua stessa persona un’altra; come se un uomo conservasse la sua persona, quando gli accadesse di averne una, come fa con il suo orologio in una delle sue tasche. (…) Se con

proprietà intendiamo tutti gli usi che possono essere fatti del soggetto proprietario, la proposizione non è auto-

contraddittoria, ma semplicemente inutile e ripetitiva.42

Attenzione, Bentham sta dicendo qui due cose fondamentali. La prima è che l’affermazione di Sieyès per cui la libertà personale è inalienabile è vera solo se intesa astrattamente, cioè considerando la “persona giuridica” (soggetto di diritto) come esistente anche senza un suo supporto materiale (il corpo fisico, ammasso di muscoli e nervi che lavorano). La seconda cosa è

40 Nel suo Riflessioni sulla Rivoluzione Francese (1790) Edmund Burke definiva il nuovo apparato costituzionale francese come un “mostro di Costituzione”, composta da “un mostruoso miscuglio di tutti i ceti, le lingue, le nazionalità”. La Rivoluzione del 1789, così come quella Americana del 1775, diviene fin da subito un prisma attraverso il quale interrogare l’ordine emerso dalla Rivoluzione Gloriosa inglese del 1688, che ora appare quanto mai fragile. Il “mostro politico” cui fa riferimento Burke è qualcosa che giunge a intorbidire il rapporto tra il presente e il passato, è l’inquietante sopravvivenza di ciò che dovrebbe essere morto ma che torna a minacciare la pace dei vivi. Detto altrimenti, il rapporto tra i “vivi” e i “morti” è il rapporto delle rivoluzioni con i loro passato. Più che elogiare l’immutabilità in quanto tale, Burke sostiene la continuità storica di un contratto che vincola le generazioni passate a quelle future: un contratto che “non vincola solo i vivi, ma i vivi, i morti e coloro non ancora nati”. A questa tesi dell’ereditarietà risponderà l’anno seguente Thomas Paine risponde in I Diritti dell’Uomo (1791), rivendicando il diritto naturale degli individui a scegliere il proprio governo, momento originario privo di passato e al tempo stesso non prescrittivo per le generazioni future. E.Burke, Riflessioni sulla Rivoluzione in Francia, citato in M.Neocleous, Il

Mostro e la Morte. Funzione Politica della Mostruosità, Derive Approdi, Roma, 2008, p. 17. Neocleous riprende i saggi

sul bello e il sublime come base della concettualizzazione conservatrice dell’ordine, nella quale le masse francesi figurano come un falso-sublime che “incalza troppo da vicino” per essere associato alla sicurezza che caratterizza lo “stupore” del sublime. A partire dalla stessa etimologia latina del “mob” (mobile vulgus), il nascente proletariato industriale sintetizza così una mobilità-disordine eccedente alla tassonomia sociale dell’Antico Regime.

41 Su questo punto si veda in particolare P.Schofield, “Bentham et la Réaction Britannique à la Révolution Française” in E.deChamps, J-P.Cléro (dir.), Bentham et la France : Fortune et Infortunes de l’Utilitarisme, Voltaire Foundation, Oxford University, Oxford, 2009, pp. 67 – 82. Sul rapporto tra Bentham e la Rivoluzione Francese si veda J.H.Burns, “Bentham and the French Revolution” in Transactions of the Royal Historical Society, Vol.16, 1966, pp. 95 – 114. 42 J.Bentham, Observations on the Declaration of Rights as Proposed by Citizen Sieyès in Id. Rights, Representation

and Reform: Nonsense Upon Stilts and Other Writings on the French Revolution, Clarendon, Oxford, 2002, pp. 390,

67

che, non appena intendiamo concretamente la proprietà come diritto a usare il bene di cui siamo proprietari, in questo caso il nostro corpo, dobbiamo anche ammettere che esiste una “alienazione a tempo”43. La persona è insomma tutt’altro che inalienabile. Intorno a questa tensione tra ciò che

potremmo definire “persona giuridica” e “persona materiale”, Bentham sta così rendendo esplicito il tema del comando: della fragilità dell’obbedienza alla divisione del lavoro che Sieyès metteva alla base dell’edificio costituzionale.

Sicuramente la donna non è uguale al marito nei diritti; né il figlio minore nei confronti del padre, l’apprendista verso il maestro, il soldato di fronte all’ufficiale, o il prigioniero nei confronti del carceriere, a meno che il

dovere di obbedienza non sia esattamente uguale al diritto di comandare. La differenza nei diritti è esattamente

ciò che costituisce la subordinazione sociale. Stabilite uguali diritti per tutti, non ci sarà più obbedienza, non esisterà più società. Colui che ha una proprietà possiede dei diritti, esercita dei diritti, che il non-proprietario non possiede e non esercita.44

La teoria della rappresentanza di Sieyès funziona dunque solo se viene garantita quella specifica divisione del lavoro che l’Abate aveva costruito attraverso il profit upon alienation 45

. Eppure, replica Bentham, “è evidente che “questo interesse pubblico che voi [Sieyès] personificate è solo un termine astratto: rappresenta solo la massa degli interessi individuali. Dovrebbero essere tenuti tutti in considerazione piuttosto che considerare alcuni come tutto e il resto come niente.”46

Tenere tutti gli individui in considerazione significa precisamente rinunciare al tentativo di sintetizzare nello schema contrattualista un interesse generale astratto e rivolgersi piuttosto a una concezione non organicista della società, che Bentham intende come insieme di individui dotati di interessi differenti ma mossi da un comune principio di utilità. È proprio questa comune tensione alla felicità derivante dalla proprietà, più che dal diritto naturale a possederla, a rendere commensurabili gli interessi individuali. Parliamo di una tensione proprio perché la proprietà stessa non è intesa come un bene materiale, ma come un’“idea”: “creazione della mente” fondata su un’“aspettativa” di

43 Ivi, p. 392.

44 Ivi, p. 396.

45 Bentham riconosce bene che il tentativo di Sieyès di risolvere la tensione tra interesse individuale (diritto naturale di proprietà) e interesse generale (volontà nazionale) si fonda su un gioco delle tre carte che abbiamo chiamato “aritmetica delle volontà”. Sieyès presuppone che la minoranza non si dia perché annullata numericamente dalla maggioranza, tenendo come fondamento della sua rappresentanza una divisione del lavoro in cui tutti sono “classi industriose”.

46 J.Bentham, Principles of the Civil Code in Id. The Works of Jeremy Bentham (1838 – 1843), Russel & Russel, New York, 1962, Vol.1, p. 321.

68

trarne un vantaggio futuro47. E il “principio di utilità” è precisamente il “punto di unione generale delle singole aspettative”48

.

Eccoci al primo punto fondamentale: lo svelamento da parte di Bentham del carattere parziale della “volontà nazionale” in Sieyès (già annunciato da Rousseau), porta il filosofo inglese a riconoscere la necessità logica di un differenziale di potere esistente nella società (il denaro!) e quindi del comando del ricco sul povero. La proprietà non può dunque essere definita come una “cosa” inalienabile, bensì come un’ “idea” di vantaggio futuro su questa cosa. Il corpo del lavoratore è liberamente “alienabile a tempo” proprio perché, a differenza dello schiavo, ha un’aspettativa di miglioramento della propria condizione (riceve denaro).

[Lo schiavo] se lavorasse maggiormente, preparerebbe una punizione per sé stesso: mostrando una capacità superiore alzerebbe semplicemente il livello dei propri doveri ordinari. La sua ambizione è l’opposto di quella dell’uomo libero; egli cerca di discendere la scala dell’industriosità, invece che di salirla. (…) che importanza hanno per lui gli interessi che non gli sono propri? (…) Perché dovrebbe cercare di inventarsi nuovi metodi per fare di meglio?49

L’idea di proprietà permette al futuro di agire nel presente, colloca gli individui nelle rispettive posizioni del contratto privato, garantisce l’ordine che si dispiega a partire dallo scambio. Non c’è dunque separazione possibile tra “persona” (posizione nel contratto) e “corpo fisico” (individuo in carne ed ossa) come pretendeva Sieyès. Al contrario, la legge ha il compito di saldare questi due diversi modi di guardare al medesimo individuo, confermando le singole “aspettative” di tutti (ricchi e poveri) che si compongono virtuosamente nel principio di utilità. In breve, si tratta di definire un rapporto di “equità” nei confronti del futuro, piuttosto che di eguaglianza nel presente50

.

In conclusione, per Bentham gli individui si collocano nelle posizioni sociali del contratto, entrano in relazioni di scambio, sulla base di un’aspettativa di un vantaggio individuale a venire. La

47 “L’aspettativa [expectation] è una catena che unisce la nostra esistenza presente e futura, e ci oltrepassa nella generazione seguente”. Ivi, p. 308.

48 Ivi, p. 324.

49 J.Bentham, Principles of the Civil Code, cit. p. 345.

50 Su questo punto si vedano le osservazioni di Bentham in The Levelling System in Id. The Works of Jeremy Bentham

(1838 – 1843), Vol.1, cit. pp. 358 – 364. Il timore che nessuna linea possa essere tracciata a contenimento

dell’espansione dei diritti, che Bentham imputa alla pretesa giusnaturalistica, è uno dei diversi punti di entrata attraverso i quali la storiografia delle mentalità ha recentemente indagato il rapporto tra la Rivoluzione Francese e le “minoranze” di genere, religione e razza. Si veda ad esempio L.Hunt, La Forza dell’Empatia. Una Storia dei Diritti dell’Uomo, Laterza, Bari, 2010.

69

proprietà è precisamente l’esistenza di un’idea di futuro migliore, sola motivazione valida a spingere gli individui alla fatica del lavoro. Si pone a quest’altezza il secondo tema anticipato da Sieyès: la povertà lavoratrice (“strumenti umani della produzione”) e il suo rapporto con la criminalità (che non vede nel lavoro un futuro migliore). Come render conto dell’incerto futuro della povertà necessariamente “liberata” sul mercato del lavoro ma esposta alle sue oscillazioni?

2.3 Da Bentham al “Tratise on the Police of the Metropolis” di Patrick Colquhoun

A cavallo del nuovo secolo, in Inghilterra circola sicuramente un certo pessimismo biologico liberale, che ha nel Saggio sul Principio di Popolazione (1798) di Malthus il suo simbolo più vivido. Rimane in ogni caso centrale l’assunto smithiano per cui la mobilità dei lavoratori poveri è una componente necessaria della regolazione dei salari e dello sviluppo delle ricchezze. L’inizio del XIX secolo è fortemente ancorato alle “fiabe” del capitale, alla critica del lusso delle api di