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IL LIBRETTO OPERAIO COME TECNOLOGIA POLITICA

3. LO SGUARDO DEI SUBALTERN

Gli anni dei dibattiti intorno alla legislazione sui libretti operai sono anni di scioperi massivi. La Gazette des Tribunaux del 31 Ottobre 1846 riferisce di una retata della polizia in seguito alle proteste degli operai carpentieri di Parigi, nel corso della quale vengono arrestati diversi

78 Già negli anni tra il 1817 e il 1823 era del resto intorno a questo concetto di popolazione che gli economisti liberali si scontrano. Sulle pagine della Edimbrugh Review e della Revue Encyclopedique, l’eredità del pensiero di Adam Smith si rompeva nelle diverse correnti del pensiero economico di inizio secolo: da David Ricardo e Jean-Baptist Say, a Thomas Malthus e Sismonde de Sismondi. Jean-Baptiste Say (1767 – 1832) è stato tra i primi divulgatori in Francia dell’economia politica inglese inaugurata da Adam Smith, di cui pur non condivide la medesima teoria del valore (per Say ancora centrata sull’attribuzione soggettiva da parte del produttore). Nel suo Traité d’Économie Politique (1803) sostiene l’equilibrio necessario tra produzione e consumo in virtù del fatto che la produzione crea immediatamente sbocco per altri prodotti di pari valore: il valore della domanda aggregata corrisponde al valore dell’offerta aggregata. Alla base di questa relazione “immediata” troviamo una concezione della moneta come puro strumento necessario a far circolare da una mano all’altra i valori. L’assenza di scorte di moneta fa sì che tutto ciò che viene accumulato è sempre reinvestito, senza che essa abbia alcuna influenza per l’attività economica. Su questo punto si veda D.Parisi,

Introduzione Storica all’Economia Politica, Il Mulino, Bologna, 1986, pp. 76, 77. Come vedremo, la critica

dell’economia politica marxiana opererà un fondamentale decentramento, insieme della “popolazione” e del “consumo” per definire la “differenza” specifica della produzione capitalistica. Al contrario, il problema del liberalismo consiste proprio nei presupposti di questa opposizione, che definiscono la grammatica della discussione sul libretto operaio. Nel corso dei dibattiti del 1846, piuttosto che la fiducia in un naturale equilibrio tra domanda e offerta proposto dalla legge di Say, si impone definitivamente la necessità di costituire una “grande charte dell’industria e degli interessi sociali” per scongiurare la radicalizzazione del conflitto. La frattura del popolo è insomma chiaramente riconosciuta come contrapposizione netta di parti avverse: la “polizia industriale (…) deve regnare tra il capitale e il lavoro”. MON, 9 Febbraio 1846, p. 308.

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compagnons79. Nel corso degli interrogatori i compagnons riferiscono che da alcuni anni i padroni avevano abbassato la paga: un lavoro il cui “giusto prezzo” è quattro franchi, veniva pagato solo tre franchi e cinquanta. Già nel Giugno 1845 su settemilacinquecento carpentieri attivi su Parigi più della metà erano scesi in sciopero, senza che i padroni cambiassero le tariffe di retribuzione. I compagnons sottolineano diverse volte i loro tentativi di mediazione tra padroni e operai nel tentativo di “arrivare ad un accordo conciliante”, sostenendo infine che proprio a causa dell’impossibilità di mediare sono stati costretti a prendere le redini dello sciopero del 1846, ormai inevitabile. Per quanto la polizia continui a ritenere i compagnons come unica controparte delle contrattazioni, l’interrogatorio rivela la crisi di una leadership e la riformulazione del soggetto politico protagonista del conflitto sociale.

Nel corso del XIX secolo è intorno alle parole “classe” e “proletariato” che vediamo emergere il soggetto politico del cambiamento. Si tratta di un’emergenza ancora una volta graduale e discontinua, in cui una molteplicità di “classi operaie” (divise per linguaggio, mestieri, condizioni materiali e forme di retribuzione) trovano una loro voce politica comune nell’auto-definirsi “proletariato”. La povertà, dicono i canuts delle rivolte lionesi, non è il margine della società, bensì la pietra angolare del cambiamento. Proletario “è la professione di trenta milioni di francesi che vivono del proprio lavoro e che sono privi di diritti politici”, ribatte Blanqui ai suoi accusatori durante il processo del 183280. Insomma, la questione sociale è una questione interamente politica. Tuttavia, è importante sottolineare che la differenza tra “classe” (intesa come comune condizione economica nel processo produttivo) e “proletariato” (come classe cosciente e in lotta) è una differenza analitica, fatta a posteriori, che pone diversi problemi81. A lungo tale differenza è stata pensata dal marxismo come “classe in sé” e “classe per sé”, finendo per deragliare in teleologie, oltre che in smentite storiche delle figure di mediazione che pretendevano di riassumere tutte le rivendicazioni: dal compagnonnage, ai sindacati, ai partiti. Parlare di uno “sguardo dei subalterni” significa superare l’idea che la storia funzioni come progressiva introiezione da parte degli individui “economicamente definiti” di una “coscienza politica” che proviene dall’esterno. Non casualmente il termine di conio gramsciano “subalterni” è mutuato dalla più contemporanea letteratura postcoloniale, che ha contribuito in maniera fondamentale a una moltiplicazione degli sguardi.

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L’episodio è citato anche da É.Coornaert, Les Compagnonnages en France, du Moyen Âge à Nos Jours, Éditions Ouvrières, Paris, 1966, pp. 96, 97.

80 J.Rancière, Il Disaccordo. Politica e Filosofia, Meltemi, Roma, 2007, p. 56.

81 Per una panoramica generale sulle interpretazioni del concetto di classe si veda S.Mohandesi, “Class Consciousness or Class Composition?” in Science & Society, Vol. 77, n.1, 2013, pp. 72 – 97.

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Come sostiene tipicamente E.P.Thompson, “the class made itself as much it was made”82

. La soggettività politica non è “data”: non si può definire dove essa è già pienamente sviluppata (Europa?) e dove non lo sarebbe ancora (spazi coloniali?). Al contrario, essa è sempre prodotta storicamente all’intersezione tra il suo assoggettamento da parte del capitale e le molteplici forme di soggettivazione che resistono alla propria sussunzione. Attraverso il prisma della mobilità seguiamo gli urti tra l’assoggettamento della vita alle esigenze del mercato e le soggettività che emergono dai tentativi di sottrazione. Fuori da ogni teleologia, guardiamo alle possibilità differenti che si aprono in questi urti alla luce della crisi del compagnonnage evidenziata dallo sciopero dei carpentieri del 1846. Da un lato, troveremo un progetto di “rigenerazione” della soggettività politica dei mestieri, che proietta una forma di autoregolazione della mobilità attraverso quella che potremmo definire l’economia morale del Tour de France. Dall’altro, la crescente centralità politica del lavoro e la sua mobilità indisciplinata, reticolare e priva di vertice, taglierà dall’interno delle categorie economiche un altro tipo di campi avversi. Entrambi questi progetti si sviluppano dentro la nuova integrazione del mercato. Seppur da prospettive differenti, in entrambi mobilitano il linguaggio dell’universalismo per cercare un momento politico di generalità: la voce di un nuovo “soggetto collettivo” capace di ricomporre le differenze lungo le quali abbiamo visto la “macchina poliziesca” gerarchizzare gli individui.

3.1 Il Tour de France: una “economia morale” della mobilità

Ogni processo di rottura innesca tentativi di “rigenerazione” volti ad adattare e mantenere la struttura dell’ordine. Come lo si è visto dal punto di vista monarchico con Lally-Tallerdand dopo la Rivoluzione, lo si può vedere nel linguaggio corporativo del compagnonnage in crisi. La rigenerazione si impone qui come necessità di pacificare i conflitti interni agli ateliers per non soccombere alla loro sostituzione tramite le usines. Agricol Perdiguier, compagnon carpentiere originario dell’Avignonese, sintetizza questo progetto di auto-riforma nel Livre du Compagnonnage (1840), destinato ad avere un’importanza fondamentale tanto nell’ambiente dei mestieri quanto per il grande pubblico. George Sand trarrà da questo testo l’ispirazione per il suo romanzo del 1841 Compagnon du Tour de France. Il Tour de France è infatti al centro di questa rigenerazione che Perdiguier propone nella chiave di un umanesimo cosmopolita, capace di superare i conflitti interni al mondo del compagnonnage e universalizzarne i legami di fratellanza. Si tratta del viaggio di

82 Sul tema si veda in particolare E.Meiksins Wood, “The Politics of Theory and the Concept of Class: E.P.Thompson and His Critics” in Studies in Political Economy, Vol.9, 1982, pp. 45 – 75.

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apprendistato attraverso cui i giovani adepti acquisiscono la vocazione di un mestiere che è ancora “arte”, sapere cui si viene iniziati percorrendo le varie città francesi attraverso una rete di contatti locali molto strutturata. In un contesto di divisione del lavoro ancora relativamente parcellizzata il Tour de France si fonda sulla trasmissione delle tecniche e dei saperi: è un viaggio attraversato da simbologie (come la canna o la coccarda), misteri e riti iniziatici che segnano l’accesso degli apprendisti nelle diverse comunità. Nelle città, gli apprendisti vengono accolti da un “rouleur” che si occupa di trovar loro un ingaggio nel quadro delle contrattazioni regolate secondo un giusto prezzo: “il salario è simile a un preso che conferisce il movimento all’orologio” scrive Perdiguier. Un “père” e una “mère” svolgono una funzione genitoriale rispetto alla comunità, oltre che quella di albergatori dei luoghi dove si mangia, dorme e si tengono le assemblee. Feste padronali e cerimonie funerarie fanno da cadenza di una vita nomade e mangereccia, ma anche costellata di risse tra gruppi rivali83.

Perdiguier è consapevole della crisi che attraversa il compagnonnage, il quale non è mai stato del resto un fenomeno politicamente omogeneo. Alle soglie del 1848 ci sono tre comunità: i devoirs de maître Jacques et Subise, i devoirs di Salomone e la Société de l’Union. Quest’ultima era stata fondata a Tolone da un gruppo di apprendisti serruriers sull’entusiasmo delle rivolte del 1830 e rifletteva la crisi dell’istituto stesso dell’apprendistato. Tale crisi era in primo luogo legata al blocco della mobilità sociale e alla crescente divisione sociale del lavoro. Rimane però interessante notare anche il carattere fin da subito ambiguo dell’istituto dell’apprentissage, che in quanto “trasmissione del sapere” non era esattamente considerabile come “locazione”84 e rimaneva legato all’endogamia della riproduzione dei mestieri. Dal momento che i padroni spingono verso l’utilizzo di apprendisti in settori specifici e privi di formazione polivalente, i mestieri sono costretti a inserire a loro volta una maggior divisione del lavoro per non soccombere alla macchinizzazione. L’apprendistato come lo si è conosciuto non è più riproducibile85. La Société de l’Union prende la mosse proprio da questo dato di fatto, in occasione di uno scontro generazionale intorno al “droit de passe” avvenuto durante un congresso clandestino a Tolone. Il fatto ha importanza decisiva: il mondo del lavoro non è più bi-partito tra maîtres e compagnons. Nel 1841 è Pierre Moreau, un membro dell’Union, a

83 A.Perdiguier, Le Livre du Compagnonnage, Lefitte Reprints, Marseille, 1846.

84 Si veda la voce “apprentissage” curata da Claire Lemercier in A.Stanziani (dir.), Dictionnaire Historique de

l’Économie-Droit, cit. pp. 23 – 34. Solo verso la fine del XIX secolo si inquadrerà l’apprendistato come specificità

all’interno di una più ampia codificazione operaia.

85 “Non solo la percentuale di giovani operai che dispongono di un contratto scritto di apprendistato diminuisce, ma aumenta anche quella degli apprendisti che non giungono a termine.” A.Dewerpe, Le Monde du Travail en France, cit. p. 16.

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sollevare la questione degli abusi del compagnonnage che “dividono gli operai in campi irreconciliabilmente nemici”86

. Moreau rimane però ambiguo nella sua denuncia. Da un lato, egli chiama alla distruzione dei simboli e dei miti delle origini che sostengono il privilegio degli “iniziati” e ostacolano l’unità non solo in base alla professione ma “all’appartenenza alla medesima categoria sociale”87. Dall’altro lato, la pietra angolare rimane il Tour de France: “fattore di

civilizzazione (…) ugualmente utile per i maestri, per gli operai e per l’industria in generale”88

. Lo scopo ultimo si risolve così non nel distruggere il compagnonnage ma unicamente i suoi abusi. Per quanto Moreau imponga toni più radicali alla discussione, entrando in aperto conflitto con Perdiguier stesso, la sua “rigenerazione” è interna alla medesima “economia morale” della mobilità.

In conclusione, riprendiamo da Thompson in termine di “economia morale” per definire una forma di potere regolativo sulla mobilità esercitato nell’onda lunga dell’organizzazione dei mestieri, che permane nella prima metà del XIX secolo. Lo sviluppo di una “economia politica” della mobilità ha dovuto distruggere questo potere. Nell’impossibilità di imporre da subito l’impiego della macchina di filatura Douglas Shearer per timore degli scioperi degli operai del cotone, pare sia stato Napoleone in persona a suggerire l’impiego del libretto operaio89

. Perdiguier pone il suo tentativo di auto-riforma a quest’altezza: “non fate di noi delle assurde macchine; non spogliateci del pensiero, non contestate la legittimità del capitale scientifico che ci è proprio, che noi ci trasmettiamo di generazione in generazione”90

. Contro la filosofia della storia stadiale, Perdiguier tenta di riattivare la storia ciclica fondata sulla difesa dell’attività lavorativa specializzata. Moreau rimane interno questa visione e tenta piuttosto di incorporarvi il libretto operaio, proponendone una versione “timbrata dai membri degli uffici di ogni città dove l’affiliato ha lavorato, che constati la maniera in cui si è comportato”91

. I limiti di questi universalismi, che chiedono ai gruppi del mondo

86 P.Moreau, Un Mot aux Ouvriers de toutes les Professions, à tous les Amis du Peuple et du Progrès, sur le

Compagnonnage; ou le Guide de l’Ouvrier sur le Tour de France, Auxerre, 1841, p. 5.

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Ivi, p. 21. Moreau si inserisce qui nella scia del mutualismo operaio, che avrà in generale nel compagnonnage degli sviluppi successivi ad esempio nelle caisses de rétraite e la fondazione del giornale “Le Ralliement” a Tours nel 1883. Cfr. L.Bastard, “Les Origines du Ralliement” in Fragments d’Histoire du Compagnonnage, Cicle Conférences 2002, Musée du Compagnonnage de Tours, Tours, pp. 7 – 57.

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Ivi, p. 6.

89 Si veda M.Perrot, “Les Ouvriers et les Machines en France dans la Première Moitié du XIX siècle” in Recherches, n. 3233, 1978, pp. 347 – 373.

90 A.Perdiguier, Biographie de l’Aucteur de “Livre du Compagnonnage”, Paris, 1846, p. 89.

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dei mestieri di “smettere di chiamarsi [reciprocamente] razze infernali”92

, sono evidenti. L’economia morale della mobilità si fonda su una strategia politica che sovrappone il territorio e i gruppi locali per potere esercitare potere sulla circolazione di lavoratori. Sovrapposizione, questa, che abbiamo visto attraversata da geografie differenti tracciate dal denaro nella crescente integrazione del mercato nazionale.

3.2 Flora Tristan e l’“economia politica” della mobilità

La crisi del compagnonnage è in primo luogo una crisi dell’identificazione collettiva attraverso il mondo dei mestieri e di quella formazione polivalente appresa lungo il Tour de France. Nel corso di questa frantumazione delle forme di organizzazione corporativa, acquista maggiore spessore politico il concetto di “lavoro”. Non c’è una transizione lineare dal linguaggio dei mestieri a quello del lavoro. Vi è piuttosto una molteplicità di opzioni discorsive che muovono dalla comune constatazione della miseria generale e hanno tutte lo scopo di costruire il soggetto collettivo del cambiamento. Intorno alla Société de l’Union fondata a Tolone circolano del resto diverse figure del socialismo. Una tra loro merita particolare attenzione: Flora Tristan.

Quando nel 1843 dà alle stampe l’opuscolo L’Union Ouvière, Tristan ha già alle spalle una formazione socialista e femminista, costruita nel corso di viaggi tra Perù, Inghilterra e Francia, che fornisce al suo pensiero politico un respiro internazionalista93. L’Union Ouvrière viene inizialmente rifiutato da tutti gli editori. Uscirà solamente grazie alla sottoscrizione di alcuni amici: tra questi, troviamo i nomi di Agricol Perdiguier, Pierre Moreau e George Sand. Come scrive in apertura dell’opuscolo la stessa Tristan, è leggendo i dibattiti interni al mondo del compagnonnage di Perdiguier e Moreau che si fa strada la necessità di una “unione operaia”. Tristan guarda con interesse questo mondo dei mestieri ma al tempo stesso il suo linguaggio le appare limitato. Ripercorrendo le tappe del Tour de France, Tristan annota nel suo diario: “il compagnonnage

92 A.Perdiguier, Mémoires d’un Compagnon, La Découverte, Paris, 2002, p. 404.

93 Nel corso di un viaggio in Perù nella vana ricerca di recuperare la propria eredità Tristan ha modo di constatare la comune condizione di “paria” dei poveri e delle donne, annotando la funzione che ha la razza nella struttura sociale latinoamericana. Il testo del suo viaggio uscirà nel 1838 con il titolo F.Tristan, Le Peregrinazioni di una Paria, Ibis, Como-Pavia, 2003. Tornata in Francia pubblica un testo titolato Nécéssité de faire un bon acceuil aux femmes

étrangères (1835), mentre nel 1840 darà alle stampe i due volumi delle Promenades dans Londres in cui descrive in

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scompare con la mancanza di ouvrage”94. Dal punto di vista politico andare al di là del “mestiere” significa ridare centralità a quel “lavoro” a lungo considerato degradante perché legato alla miseria. In questo aspetto le posizioni di Flora Tristan partecipano di un discorso critico comune al periodo che precede il 1848: la povertà non è un destino individuale (per quanto “sociale” e di massa) ma un soggetto politico collettivo. La giovane femminista non rompe in maniera netta con gli ambienti fourieristi e saint-simoniani e conclude rivendicando il diritto al lavoro e all’organizzazione del lavoro. Anche per lei, il lavoro è “l’unica cosa veramente onorevole”95

e legittimo attore della propria liberazione96. Tuttavia Tristan rimane una figura interessante per il posizionamento di genere a partire dal quale muove questa “critica della cittadinanza”. La cittadinanza liberale le appare un’uguaglianza fittizia; puramente astratta, essa parla di diritti rimuovendo il “diritto di vivere” (inteso nel senso più letterale e drammatico del termine, esplicitamente riferito ai suicidi operai). Questo diritto al lavoro è però anche materialmente un “diritto alle proprie braccia”97

, alla proprietà del proprio corpo che è alle donne doppiamente sottratto.

La donna, scrive Tristan, è sempre stata “esclusa” dalle figure storiche del patriarcato: dal prete che le ricorda il peccato originario, al filosofo che la considera inferiore, al potere del marito nella sfera domestica. Doppiamente “schiava”, aggiunge, “della legge, così come del denaro”98. Nel corso dei capitoli di questa tesi, abbiamo tracciato una linea genealogica che collega le “nutritrici” e le prostitute dei manuali di polizia alla soggezione domestica definita dal Codice Civile. Si è sostenuto che la non-dissociabilità dell’attività (ri)produttiva dal ventre femminile ha sempre condotto a una forma di soggezione che doveva tuttavia essere prodotta come differente dalla schiavitù, dando luogo all’amministrazione domestica del marito. La facoltà di partorire è sempre stata considerata una variabile della “ricchezza delle nazioni”, ma gli esseri umani partoriti non possono essere considerati un’“opera” se non al prezzo di renderli formalmente schiavi. Si è inoltre notato che nei casi definiti dai libretti operai in cui ad essere scambiata è un’attività (louage de service, lavoro, non opera) non dissociabile dal corpo, emerge un’altra forma di domesticità, a sua volta prodotta come

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F.Tristan, Le Tour de France, Journal Inédit (1843-44), L’Harmattan, Paris, 2014. Sul rapporto tra Flora Tristan e il compagnonnage si veda il bel saggio di P-J.Derainne, “Agricol Perdiguier, Pierre Moreau: Aspects d’une Polémique Ouvrière avant 1848” in Gavroche, n.60, Novembre-Décembre, 1991, pp. 17 – 22.

95 F.Tristan, L’Union Ouvrière, Édition Populaire, Paris, 1843, p. 8.

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“Dare sollievo alla miseria non è distruggerla; addolcire il male non è estirparlo. Si vogliamo infine deciderci ad attaccare il male alle sue radici, evidentemente servono altri strumenti che le società particolari, il cui unico scopo è di dare sollievo alle sofferenze individuali.” Ivi, p. 15.

97 Ivi, p. 23.

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differente sia dalla schiavitù, sia dall’amministrazione domestica della donna da parte del marito. In virtù di questa genealogia del corpo produttivo, le osservazioni di Flora Tristan possono essere giocate al di là della rivendicazione di un “diritto al lavoro” opposto alla schiavitù. Piuttosto, il lavoro nella società patriarcale consiste per le donne proprio nella loro subordinazione come riproduttrici all’interno di una produzione che poggia interamente su una “verità schiavistica”. Solo in seconda battuta questa universalità dello sfruttamento viene gerarchizzata in figure “lavoratrici”, “riproduttrici” e “schiave”. Se Tristan può infatti sostenere che la liberazione degli operai passa per la liberazione delle donne99, non è in virtù del lavoro, ma proprio del potere di rifiutarsi di lavorare. Le donne sono “l’unica Provvidenza”100

rimasta agli operai, che da loro dipendono in forme diverse: come amanti, come spose, come figlie. La posizione sociale delle donne nella divisione del lavoro è doppia: da un lato lavoratrici sottopagate, dall’altro “Provvidenza” degli operai uomini,