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I rimedi per le amministrazioni dissenzienti; rilievi critic

2 2 LA CONFERENZA SIMULTANEA (CON RIUNIONE)

2.2.6 I rimedi per le amministrazioni dissenzienti; rilievi critic

La nuova disciplina prevede la possibilità per le amministrazioni preposte

“alla tutela ambientale, paesaggistico - territoriale, dei beni culturali o alla tutela della salute e della pubblica incolumità dei cittadini” di proporre

opposizione al Presidente del Consiglio dei ministri, al pari di quella previgente; possono altresì presentare opposizione le amministrazioni delle regioni o delle province autonome di Trento e di Bolzano.

La questione deve essere rimessa al Presidente del Consiglio dei Ministri entro dieci giorni dalla determinazione conclusiva e ad imprescindibile condizione che le amministrazioni suindicate abbiamo espresso in modo

“inequivoco” il proprio dissenso motivato “prima della conclusione dei lavori della conferenza”, anche comunicandolo al rappresentante unico (Art. 14- quinques, commi 1 e 2).

Per le amministrazioni statali, a differenza della precedente disciplina che prevedeva l’onere di rimessione alla Presidenza del Consiglio al singolo ufficio interessato, oggi l'opposizione è proposta dal Ministro competente: se ne rileva quindi una sorta di “vaglio politico” preliminare sull’opportunità del dissenso e sul relativo esperimento della procedura di opposizione, che porta però con sé innegabili problemi di compatibilità con il principio di separazione tra politica e amministrazione. 185

Inoltre, il richiamo all’espressione “inequivoca” accoglie quei principi di chiarezza e trasparenza indicati dalla legge delega: prescinderne sarebbe infatti d’ostacolo per l’esperimento di qualsiasi realistico tentativo di mediazione tra gli interessati.

Decorso inutilmente tale breve termine, la decisione della conferenza assume definitivamente efficacia: è evidente il favor del legislatore (e sarebbe assurdo ritenere il contrario) per la conclusione positiva della conferenza.

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E’ però, d’altra parte, doveroso, fermarsi all’analisi critica di quali debbano essere i connotati dell’eventuale dissenso reso, specie se si guarda alla specificità di un’esternazione che deve presentarsi come “inequivoca”, ovvero ancorata, come da dettato normativo, ai già citati principi di chiarezza e trasparenza.

Guardando alle prospettive antecedenti all’approvazione della Riforma, si può rilevare come queste abbiano influenzato non solo il modo di dover intendere il dissenso, ma anche e per traslazione, il modo di intendere l’istituto conferenziale in sé.

È noto come già prima della riforma del 2016 la disciplina comminasse la sanzione dell’inammissibilità per quei dissensi che non fossero stati propositivi, pertinenti all’oggetto della riunione, congruamente motivati e, soprattutto, manifestati all’interno della conferenza, accostando quindi negli effetti il regime del dissenso “imperfetto” alle ipotesi di silenzio assenso. Questo impianto è stato sostanzialmente mantenuto dall’attuale riscrittura dell’articolato, che ha altresì riconfermato l’intervento della l. 122/2010, la quale, stabiliva espressamente l’operatività del silenzio assenso anche nei riguardi delle amministrazioni preposte alla cura degli interessi sensibili. Il comma 7 del nuovo articolo 14-ter risulta ancora più esplicito nell’affermazione del principio, laddove statuisce che debba essere considerato acquisito l’assenso “senza condizioni” degli enti il cui rappresentante non abbia partecipato alle riunioni, ovvero, abbia manifestato un dissenso privo degli altri requisiti di ammissibilità.

La logica sottesa ad una simile impostazione appare perfettamente coerente con la ratio della riforma (come più volte evidenziato): accelerazione e certezza delle tempistiche processuali, oltre che di tutela degli interessi del privato, in un’accezione più lata.

Concorde al riguardo è anche la decisione del TAR Umbria, Perugia, 27 dicembre 2006, n. 679, in cui si profilavano le questioni relative al rapporto tra istruttoria e motivazione finale.

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Nel caso concreto, il Giudice Amministrativo, dalla lettura degli atti di una conferenza di servizi, faceva emergere la totale mancanza di discussione e di approfondimento circa il progetto in questione, deducendo pertanto l’illegittimità della determinazione conclusiva per eccesso di potere sotto i profili della carenza di istruttoria e dell’inadeguata motivazione.

Inoltre, in ragione dal fondamentale carattere della contestualità quale perimetro essenziale affinché si abbia conferenza di servizi 186, è d’uopo

indicare che già in precedenza una pronuncia del TAR della Toscana, incrociando gli elementi del dissenso e della necessaria compresenza delle amministrazioni, aveva rilevato che: «occorre convenire che è stato sancito l’obbligo della partecipazione alla conferenza delle amministrazioni convocate nonché l’impossibilità di esprimere al di fuori di tale sede il proprio consenso o dissenso, di talché l’unica maggioranza utile ai fini della validità delle decisioni che si vanno ad assumere è quella che risulta «fisicamente» presente alla adunanza» .187

Ciò per il semplice fatto che: il dissenso non espresso in sede di contestualità spazio-temporale risulta inevitabilmente fondato su ragioni esclusivamente settoriali, proprie di un’impostazione pregressa e priva di quel necessario confronto con gli altri interessi pubblici afferenti alla fattispecie del caso specifico.

Pertanto: non dovrebbe potersi considerare ammissibile, anche in rapporto all’attuale dato normativo, né il parere reso precedentemente alla seduta conferenziale né quello reso successivamente.188

Qualsiasi determinazione “pregressa” va infatti intesa come mera valutazione di partenza, suscettibile pertanto di modifiche o addirittura, stravolgimenti, benché fondati e ragionevoli, risultanti dal confronto.

186 Già segnalato con la sent. Cons. St., Sez. IV, n. 5044 del 2016 187 T.A.R. Toscana, Firenze, Sez. I, 1 marzo 2005, n. 978

188 Opinione parzialmente difforme quella di G. PAGLIARI, La conferenza di servizi semplificata, in M. A. SANDULLI (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, Milano, 2017, pp. 753 – 754.

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Allo stesso modo il dissenso non dovrà rivelarsi nemmeno pretestuoso o fondato su ragioni estranee all’oggetto della conferenza; dovrà inoltre sempre essere accompagnato da un’esauriente motivazione, come indicato dal dato normativo vigente, tale da consentire ai convenuti in riunione di comprendere le ragioni che lo promuovono: ciò al fine dell’adozione di una soluzione condivisa, laddove possibile, ovvero di una soluzione che sia sintesi dei diversi interessi coinvolti nel caso concreto.

La prassi applicativa dell’istituto ha però spesso disatteso tale impianto, coadiuvata anche da una giurisprudenza colpevole di aver offerto frequentemente sostegno alla “tolleranza” di quelle manifestazioni rese fuori dalla conferenza.

La serie di pronunce appartenenti al suddetto filone giurisprudenziale aveva difatti classificato il diniego espresso al di fuori della riunione conferenziale a livello di “mera irregolarità”, come tale insufficiente per giustificare il verificarsi di un’ipotesi di illegittimità, facendo spesso leva sui principi di «conservazione degli effetti giuridici» e dello «scopo comunque raggiungibile». 189

Le ragioni alla base di queste pronunce, spesso dovute a travisamento o animate dallo spirito di conservazione di un effetto utile (mai realmente dimostrato), non sembrano essere convincenti, in quanto ultronee a qualsiasi esplicito dettato normativo.

D’altra parte, un opposto filone giurisprudenziale ha strenuamente difeso la struttura legislativa, escludendo l’ammissibilità del dissenso non rituale, talvolta anche per il tramite di declaratorie di nullità. 190

189 Ex multis: Cons. St., Sez. VI, 4 gennaio 2002, n. 34; Cons. St., Sez. V, 11 luglio 2002, n. 3917; Cons. St., Sez. VI, 6 maggio 2003, n. 5917; Cons. St., Sez. IV, 6 maggio 2013, n. 2443; Cons. St., Sez. V, 10 febbraio 2015, n. 709; Cons. St., Sez. IV, 21 agosto 2015, n. 3971; Cons. St., Sez. V, 18 dicembre 2015, nn. 4748 e 5749.

190 Ex multis: Cons. St., Sez. III, 23 gennaio 2014, n. 350; Cons. St., Sez. V, 23 maggio 2011, n. 3099; Cons. St., Sez. IV, 10 agosto 2004, n. 5498; Cons. St., Sez. V, 27 settembre 2004, n. 6292; T.A.R. Molise, Campobasso, Sez. I, 13 settembre 2013, n. 522; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 28 febbraio 2002, n. 888.46.

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Il dettato normativo post-riforma sembrava non aver risolto il problema, posto che la questione non poteva assolutamente risolversi in una sconsiderata confutazione del tenore letterale della norma, rinunciando pertanto a quel principio di contestualità che è alla base dell’elaborazione “tradizionale” dell’istituto.

Si rendeva pertanto necessario trovare un’altra soluzione.

Nella confusione dominante, un’interessante sintesi tra le posizioni è stata elaborata dalla pronuncia del Consiglio di Stato n. 5044 del 2016 191, qui

esaminata sotto una prospettiva differente rispetto a quanto già detto (seppur indubbiamente correlata), e pur sempre imprescindibile per la definizione del problema in esame.

Tale pronuncia, comunque insistendo sull’inammissibilità dei pareri resi fuori dalla sede conferenziale, ha d’altra parte preso atto della non opportunità di un giudizio di mera irrilevanza degli stessi, giungendo alla conclusione della necessità della convocazione di una nuova seduta conferenziale, nella «consapevolezza dell’esigenza di ricondurre eventuali problematiche ostative al rilascio dell’autorizzazione unica al luogo procedimentale tipizzato ed ineludibile» ed ha quindi indicato, in questi casi, la necessità della «rinnovazione del procedimento e la riconvocazione della conferenza di servizi».

Questa soluzione di compromesso ha un vantaggio: salvaguardare quel principio di contestualità che, come già si è detto, è individuato quale assetto operativo prioritario ed ineludibile ai fini del conseguimento di una decisione correttamente bilanciata.

Si potrebbe pensare, e a ragione, che ciò vada a discapito dell’accelerazione e della semplificazione procedimentale, ma ciò è ben poca cosa rispetto alla

191 V. infra p. 75; come abbiamo già visto tale pronuncia altro non è che il giudizio di ottemperanza rispetto alla sent. Cons. St., Sez. IV, 19 maggio 2015, n. 4733.

La pronuncia del 2016 ha ribadito quanto aveva già affermato in sede di giudizio, ma esplicando -in questa sede- il perimetro invalicabile delle caratteristiche necessarie per aversi conferenza di servizi.

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priorità della migliore sintesi degli interessi coinvolti, risultante da un confronto contestuale, ponderato e non pregresso tra amministrazioni.

Chiarita la dimensione dell’espressione del dissenso (sulla base di tali considerazioni critiche), è ora necessario agganciarsi al dettato normativo per osservare l’impalcatura odierna dell’eventuale esperimento dell’opposizione che, come si è accennato, è adesso strettamente correlata all’espressione del dissenso, senza dimenticare anche l’attenzione di un confronto con la disciplina precedente.

La notevole differenza rispetto alla vecchia formulazione, tra le altre, è quella della restrizione dei tempi per l’esperimento dell’opposizione al fine del perseguimento di quegli obiettivi di celerità e certezza della decisione già disposti dalla legge delega.

Da rilevare anche l’elemento secondo cui, in precedenza, a tali dissensi era collegato l'onere sull’amministrazione procedente di “rimessione” della decisione al Consiglio dei ministri, con conseguente impossibilità di adottare qualsiasi determinazione conclusiva, in quanto totalmente rimessa all’organo politico.

La disciplina attuale prevede invece, all’inverso, che la decisione sia comunque adottata in sede di conferenza di servizi e che l’opposizione sia demandata direttamente alle amministrazioni dissenzienti, ma solo in un momento susseguente alla decisione.

La novella, pertanto, configura un nuovo meccanismo che potremmo definire di opposizione successiva, invertendo l’onere della mediazione: se questa prima spettava all’amministrazione procedente (tenendo conto delle posizioni prevalenti), oggi invece spetta alle amministrazioni che rispettano le condizioni di cui all’art. 14-quinques, sulla base di posizioni dissenzienti qualificate (in ragione della natura sensibile dell’interesse curato, quali tutela ambientale, paesaggistico - territoriale, dei beni culturali, della salute e della pubblica incolumità dei cittadini), oppure sulla base del particolare carattere

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di autonomia (regioni o province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di rispettiva competenza).

Secondo Santini si introduce così: «un procedimento ibrido composto da elementi propri del ricorso amministrativo (opposizione) e della amministrazione per accordi (ricerca dell’intesa presso gli uffici della Presidenza del Consiglio dei Ministri per superare tali dissensi)».192

Si rileva che, per converso, il provvedimento finale è comunque immediatamente esecutivo nell'ipotesi di decisione unanime o in presenza di dissenso non qualificato: in tal caso la determinazione finale della conferenza viene adottata sulla base del principio della prevalenza.

Passando al meccanismo procedurale, la proposizione dell’opposizione di fronte al Presidente del Consiglio dei Ministri sospende l’efficacia della determinazione motivata di conclusione della conferenza; inoltre, costituisce una forma di impugnazione della determinazione conclusiva della conferenza, aprendo una vera e proprio nuova fase dell'attività amministrativa, che si svolge presso la stessa Presidenza del Consiglio.

Anche nel caso in cui siano coinvolte solo amministrazioni infra-regionali, l’opposizione si propone sempre al Presidente del Consiglio dei ministri. Come in passato tale scelta solleva non pochi dubbi; non a caso, ricordiamo come il Consiglio di Stato abbia invitato il Governo ad ipotizzare l’istituzione di un meccanismo di componimento su base regionale (ad esempio, gestito dal competente Ufficio territoriale dello Stato), salva la possibilità di una successiva fase di riesame al livello centrale.193

Non essendo stato accolto tale suggerimento, preferendogli una riproposizione del modello di componimento a livello centrale, è d’obbligo domandarsi allora, come sottolinea Torchia, quale sia l’effettiva funzionalità

192 M. SANTINI, in La conferenza di servizi dopo la riforma madia…op.cit., pp. 129 ss. 193 Cons. St., Comm. spec., 7 aprile 2016, n. 890, p. 57.

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pratica di tale meccanismo in presenza di questioni di circoscritto impatto socio-economico (c.d. “micro-problemi”). 194

Non è chiaro se, nelle due fasi in cui può articolarsi la relativa procedura d’opposizione, si applichi il principio della rappresentanza unitaria statale: istanze meramente analogiche e di semplificazione procedurale, la cui necessità è ancora più forte in sede di mediazione, sembrano far propendere per la risposta positiva.

Nella prima fase la Presidenza del Consiglio dei ministri indice, entro quindici giorni dalla ricezione dell’opposizione, una riunione con la partecipazione delle amministrazioni che hanno espresso il dissenso e delle altre amministrazioni che hanno partecipato alla conferenza.

In tale riunione i partecipanti formulano proposte, in attuazione del principio di leale collaborazione, per l’individuazione di una soluzione condivisa, destinata a sostituire la determinazione motivata di conclusione della conferenza; se alla conferenza di servizi hanno partecipato amministrazioni delle regioni o delle province autonome di Trento e di Bolzano e nel caso in cui non si raggiunga un’intesa, può essere indetta, entro i successivi quindici giorni, una seconda riunione, che si svolge con le medesime modalità e con le medesime finalità. 195

Qualora all’esito delle suddette riunioni sia raggiunta un’intesa, l’amministrazione procedente adotta una nuova determinazione motivata di conclusione della conferenza.

In caso contrario, la questione è rimessa al Consiglio dei ministri, aprendosi così la seconda fase, cui potranno partecipare i presidenti delle regioni o delle province autonome interessate.

194 L. TORCHIA (a cura di), I nodi della pubblica amministrazione, Napoli, Editoriale Scientifica, 2016, pp. 209 ss.

195 Vengono dunque confermate dal dato normativo le indicazioni della Corte Costituzionale a seguito della sent. n. 179 del 2012: la stessa dichiarava la necessità di meccanismi, in applicazione del principio di leale collaborazione, volti a risolvere i contrasti tra Stato e regioni, fondati sulle trattative “reiterate”, ovvero con l’esperimento di ogni possibile e reale (nel senso di “praticabile”) opportunità conciliativa.

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Qualora il Consiglio dei ministri non accolga l’opposizione, la determinazione motivata di conclusione della conferenza acquisisce definitivamente efficacia (art. 14-quinques, 6 comma) , ma il dato normativo non chiarisce se ciò avvenga con efficacia retroattiva.

Il Consiglio dei ministri può accogliere parzialmente l’opposizione e, anche in considerazione degli esiti delle menzionate riunioni e del relativo materiale raccolto, modificare il contenuto della determinazione di conclusione della conferenza.

Non è menzionata espressamente l'ipotesi di accoglimento integrale dell’opposizione e nulla si dice sulla determinazione che potrà in tale ipotesi assumere l’amministrazione procedente.

Tale silenzio, afferma D’Orsogna, può essere interpretato in vari modi:

a. «come espressivo di un favor per la decisione positiva: trattandosi di un'opposizione che riguarda la gestione di interessi sensibili ben avrebbe potuto, infatti, essere menzionata anche “l'opzione zero” »;

b. «nel senso che si è voluta lasciare alla discrezionalità196

dell’dell’amministrazione procedente la valutazione degli effetti sostanziali della delibera di accoglimento di opposizione». 197

In conclusione, l’opposizione innesca un procedimento dall’effetto palesemente devolutivo, in cui al Consiglio dei ministri è conferito un ampio potere discrezionale.

E’ comunque pacifico che l’accoglimento integrale dell’opposizione sancisce l'impraticabilità di “quella” decisione su cui si è avuto il confronto conferenziale ed, essendo pertanto esaurita l'intera opzione amministrativa, ci si dovrà orientare, in ultimo luogo, verso una soluzione diversa.

196 In tal senso R. DIPACE, La resistenza degli interessi sensibili nella nuova disciplina della conferenza di servizi, in Federalismi, 10, 2016

197 D. D’ORSOGNA, che in Semplificazione e conferenza di servizi, Relazione al Convegno AIPDA…op.cit

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Al termine di questa illustrazione, tutto considerato, giova rilevare come il termine di durata della conferenza possa, in base alla normativa vigente, estendersi fino ad un massimo di 5 mesi; la formulazione precedente, non presentando un tale tenore di perentorietà dei termini procedurali, configurava un istituto che poteva protrarsi indefinitamente.

E’ d’uopo ribadire come, comunque innestandosi nel rispetto del principio di certezza e celerità procedimentale, il meccanismo di composizione dei dissensi così configurato abbia riguardo anche della giurisprudenza della Corte costituzionale di cui alla sentenza n. 179 del 2012 e del relativo principio di leale collaborazione, in cui, l’unilateralità del livello centrale ai fini della composizione dei dissensi si attua soltanto in ultima istanza, ovvero, esperito inutilmente qualsiasi realistico tentativo di composizione.

Tale principio, infatti, deve essere posizione imprescindibile non soltanto del momento “fisiologico” del contatto tra diverse amministrazioni (specie se rappresentative di diversi livelli territoriali) ma anche e con maggiore fermezza nell’eventualità di momenti “patologici” che, come rilevato dalla prassi, erano e sono tutt’ora frequenti in ambito di conferenza di servizi.

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III.

LE MODIFICHE AI RESTANTI MODELLI DI