• Non ci sono risultati.

I Tempi nel Modo Indicativo

2.2 I Tempi nella Téchnē

Nella definizione attribuita ad Apollonio da Eliodoro (GG I 3: 71, 24-25), la prima cosa che si dice del verbo è che possiede delle forme per i diversi tempi (diafovroi crovnoi).98 Anche nella Téchnē, si dice che il verbo è ejpidektikh; crovnwn (‘capace di contenere i tempi’), dopo che è stato definito una parola indeclinabile. Nel paragrafo 13 della Téchnē, nell’elenco in cui vengono esaminati i vari accidenti, i tempi del verbo sono così presentati:

Crovnoi trei'~, ejnestwv~, parelhluqwv~, mevllwn. touvtwn oJ parelhluqw;~ e[cei diafora;~ tevssara~, paratatikovn, parakeivmenon, uJpersuntevlikon, ajovriston, w|n suggevneiai trei'~, ejnestw'to~ pro;~ paratatikovn, parakeimevnou pro;~ uJpersuntevlikon, ajorivstou pro;~ mevllonta.

98 Nella raccolta dei frammenti riguardanti il trattato perduto sul verbo di Apollonio, Schneider

inserisce le seguenti testimonianze riguardo al tempo: Prisciano Inst. GL 2: 404, 24 e 405, 8; Sch. Vat.

“Ci sono tre tempi, presente, passato, futuro. Di questi, il passato ha quattro differenti tipi, imperfetto, perfetto, piuccheperfetto, aoristo, e ci sono tre relazioni99 tra loro, il

presente con l’imperfetto, il perfetto con il piuccheperfetto, l’aoristo con il futuro.” Da questo passo emerge che l’elemento temporale è centrale nella descrizione del verbo. Riguardo all’ordine con cui sono enunciati i tre tempi (presente-passato- futuro), esso trarrebbe origine dalla visione aristotelica della centralità del tempo presente100, Aristotele infatti considerava gli altri tempi ptwvsei~, “casi” del verbo. Nel suo commento alla Téchnē, Pecorella mette in rilievo tale derivazione facendo riferimento alla dottrina del verbo e della frase, che si costruisce attorno all’enunciato al presente, contenuta nel De interpretatione.101 Il primato del presente è sottolineato da tutte le fonti grammaticali, in uno degli scoli (GG I 3: 404, 25), per esempio, alla domanda sul perché il presente sia il primo tempo si risponde: qevma ejsti; tou' rJhvmato~ (“è la base del verbo”). Come evidenziato da Charax, da un punto di vista morfologico al Presente viene riservata la prima posizione, perché è dal Presente che si ricavano gli altri tempi del paradigma.102

Lo stesso ordine dei tre tempi si ritrova nella trattazione degli avverbi temporali del papiro Yale 1.25 (ll. 47-48): nu'n “ora”, ejcqev~ “ieri”, au[rion “domani”.103 Nella

99 Questo termine suggevneiai indica più precisamente delle relazioni di parentela.

100 A questo proposito Lallot dice: “le fait, il s’agit là d’une proposition philosophique, transportée

telle quelle dans un traité de grammaire” (Lallot 1989: 169). Si veda anche Berrettoni (1989a), che analizza l’ordine di questi tre tempi nell’ambito delle definizioni stoiche dei tempi. In Giovanni Charax (GG IV 2: 413, 33-414, 14) vengono riportate anche posizioni diverse, con le relative spiegazioni. Secondo alcune il futuro dovrebbe essere al primo posto, secondo altre il passato.

101 “Fulcro è l’enunciato al presente, di cui si avvalgono le affermazioni universali: nessuna delle altre

voci verbali si sottrae a un riferimento al tempo presente, ma tutte enunciano un ricordo o una previsione. Questo canone logico domina nella formazione della lingua, ma ad Aristotele si deve la sua prima enunciazione, che va posta accanto a quella già esaminata riguardante l’o[noma come opposto alle ptwvsei~ ojnomavtwn, e che ha un duplice valore, come mostra di aver inteso Prisciano (Inst. GL 2: 422) in una definizione che è assai probabile risalga ad Apollonio Discolo: Praesens

tempus ideo aliis preponitur temporibus et primum obtinet locum, quia in ipso sumus dum loquimur de praeterito et futuro, et quia ad praesens praeterita et futura intelliguntur. Le due causali

sviluppano il breve enunciato aristotelico. La prima riconduce il fenomeno al pensiero di chi sta parlando; all’attimo in cui questi pensa si fa relativo (nella contemporaneità) un giudizio qualsiasi enunciato al presente anche con altro soggetto; la seconda allude proprio alle relatività secondarie nel corpo della frase.” (Pecorella 1962: 143-44).

102 GG IV 2: 410, 28-36.

103 Nel P. Lit. Lond. 182 (= 2 Wouters 1979) degli avverbi di tempo si dice (ll. 88-89): a} de; crovnou,

h[dh, nu'n : au\ti~ : pavlin ˘ ejcqev~ ˘ t≥hnivka. Nel papiro Heid. Siegmann 197, (= 6 Wouters, circa 50- 100 d.C.), tra gli avverbi di tempo ci sono (ll. 56): nu'n, ejcqev~, au[rion.

Téchnē (cap. 19), gli avverbi “indicativi del tempo” (crovnou dhlwtikav) sono nu'n,

tovte “allora” e au\qi~ “poi”.104

Apollonio, in Sintassi I, §13, spiegando che dietro l’ordine delle parti del discorso c’è una motivazione e che questo vale per ogni ordine, anche per le sottoclassi, accenna anche all’ordine dei Tempi, ma menziona solo il Presente e l’Imperfetto. È interessante notare che le divisioni temporali sono chiamate tomaiv:

ª...º e[n te tai'~ cronikai'~ tomai'~ kata; ta; rJhvmata oJ enestwv~, ei\ta oJ paratatiko;~ kai; oiJ eJxh'~ crovnoi

“[...] così anche per le divisioni del verbo: il presente, poi l’imperfetto e poi gli altri tempi.”

Nella Téchnē, dei tre termini usati per indicare presente, passato e futuro, solo parelhluqwv~ non è il nome di un Tempo grammaticale. I Tempi verbali sono dunque sei: Presente, Futuro, Imperfetto, Perfetto, Piuccheperfetto, Aoristo.105 I termini per indicarli hanno origini diverse: alcuni, che erano già normalmente in uso, assunsero questa funzione grammaticale successivamente, altri invece furono espressamente creati dai grammatici o dai filosofi per esprimere queste nozioni linguistiche, per questo contengono già nel nome delle indicazioni sul loro contenuto, come è sottolineato anche negli scoli.106 Come abbiamo visto per i Modi, anche i nomi dei Tempi erano già consolidati nell’uso all’epoca di Apollonio Discolo.107 Poiché questi termini sono di fondamentale importanza per la

comprensione della questione verbale e si ritrovano in tutti i testi dei grammatici e dei commentatori successivi, ne diamo una sintetica descrizione.

Il termine ejnestwv~ (participio perfetto di ejnivsthmi) vuol dire “ciò che è imminente, cominciato, presente”, e unito a crovno~ indica il tempo verbale Presente. In latino è stato tradotto con praesens. Nella prima parte del passo della Téchnē,

104 Il testo del passo sugli avverbi temporali è riportato a pagina 32.

105 Scegliamo di tradurre i Tempi con i termini che sono tradizionalmente in uso nella lingua italiana,

anche se questi sono opachi rispetto al significato originario, derivando dalla tradizione latina. Nel corso del testo i nomi dei Tempi saranno abbreviati in: PR, FU, IMPf, Pf, PPf, AO.

106 Secondo Lallot alcuni di questi termini erano già presenti nella lingua ma l’uso come nomi dei

Tempi verbali risalirebbe agli Stoici (è il caso di ejnestwv~, mevllwn e forse anche ajovristo~, comune nel linguaggio filosofico), i quali inoltre avrebbero coniato paratatikov~. Invece i termini parakeivmeno~ (che lo studioso traduce “adjacent”) e uJpersuntevliko~ sarebbero riconducibili ai grammatici (1989: 170-171). Si veda anche Berrettoni (1989a).

ejnestwv~ serve ad indicare il presente (cioè la nozione temporale presente), mentre

nella seconda viene accostato all’Imperfetto e dunque designa il Tempo Presente. Ricordiamo che Aristotele (De interpr. III 16b 6 e Poet. 1457 a 14-18), per indicare il presente, usa l’espressione to;n parovnta crovnon.

Riguardo al presente, secondo Cherobosco e gli scoli, alcuni dichiarano che il presente non esiste e che esistono solo il passato e il futuro, perché il presente è continuamente già passato o futuro.108 Cherobosco invece ribatte che il presente esiste, anche perché altrimenti non potrebbe esistere nemmeno il passato. Secondo i filosofi il presente è ajkariai'o~ (“istantaneo, minimo”), e coincide con l’enunciazione stessa, per questo non può essere diviso. I grammatici invece hanno individuato un presente platikov~ (“esteso”).109 In un passo degli Anectoda

Oxoniensa (I 380, 17), in cui è menzionato Apollonio, troviamo:

levgetai de; ejnestw;~ crovno~ kai; oJ kata; plavto~, levgetai de; kata; tou;~ filosovfou~ kai; oJ ajkariai'o~, kata; de; Δ∆Apollwvnion bracuv~, bracuvtato~ gavr ejstin oJ ejnestw;~ crovno~.

“È detto tempo presente anche quello secondo l’estensione, mentre secondo i filosofi si chiama l’ajkariai'o~ [‘istantaneo’], e per Apollonio invece bracuv~ [‘breve’], infatti brevissimo è il tempo presente.”

Il termine mevllwn (participio presente di mevllw “sto per, sono in procinto di”) era già usato comunemente nella lingua per indicare “il futuro”.110

Consideriamo ora il passato, che merita un discorso più approfondito. Il termine parelhluqwv~ (participio perfetto di parevrcomai “passo, passo oltre, supero”) è lo

108 Plutarco (Moralia. Le nozioni comuni 1081 C 41-1082 A 42) riporta delle considerazioni simili a

proposito degli Stoici e la complessità dell’analisi del presente emerge anche da quanto attribuito al filosofo stoico Crisippo (SVF II: 509 riportato da Ario Didimo Dox. Gr: 461, 23 e ss.). Non ci addentriamo qui nell’analisi di questo argomento ma rimandiamo a Goldschmidt (1953), e per la concezione del tempo verbale presente e le teorie stoiche, agli articoli di Caujolle-Zaslawsky (1985: 21 e ss.), Ildefonse (2000) e Berrettoni (1988: 60 e ss. e 1989a). Ildefonse prende una posizione diversa da Caujolle-Zaslawsky, non ritenendo che le riflessioni filosofiche degli Stoici riguardo al presente siano contraddittorie con la teoria dei tempi.

109 Cherobosco: GG IV 2: 11, 24-12, 5 “il presente non ammette divisioni, poiché c’è il rischio che

non sia un tempo; dicono infatti alcuni che se il tempo è sempre in movimento non può fermarsi, ma se non si ferma allora non esiste il tempo presente”. Scoli: GG I 3: 248, 16-249, 12; 404, 27-28. Prisciano: Inst. GL 2: 414, 21 e ss. e 414, 9 e ss. L’espressione kata; plavto" compare in un testo di Ario Didimo, che riporta considerazioni di Crisippo riguardo al tempo presente (cfr. nota precedente), e dice che mhqevna katΔ∆ ajpartismo;n ejnestavnai crovnon, ajlla; kata; plavto" levgesqai. “nessun tempo è veramente presente ma si dice kata; plavto~” (Dox. Gr: 461, 23 e ss. = SVF II: 509, 10).

stesso usato da Aristotele nella Poetica 1457 a18, e nella Fisica 218a 9 si trova il participio to; parelqovn, insieme al futuro (to; mevllon).111 Al contrario, nelle opere di Apollonio, per indicare il tempo passato è usato il termine parw/chmevno~112 (participio perfetto di paroivcomai “oltrepasso”), per esempio in Sint. I, §44, o II, §40 compare l’espressione parw/chmevnou~ crovnou~.113

La Téchnē indica quattro Tempi per il passato: paratatikovn, parakeivmenon, uJpersuntevlikon, ajovriston. Questi appartengono solo all’Indicativo, ed è chiaro che a questo Modo si riferisce la Téchnē, anche quando tratta dei tre tempi presente- passato-futuro. Paratatikov~ è un aggettivo, “che si estende”, dal verbo parateivnw “stendere, durare, continuare”. Noi lo tradurremo con il termine corrispondente italiano ‘Imperfetto’, che deriva dalla traduzione latina (imperfectum) del termine greco.

Parakeivmeno~ è un participio presente da paravkeimai, “giaccio presso, sto vicino”.114 Prisciano nella spiegazione dei tempi, che vedremo più avanti, dice del parakeivmeno~: “id est adiacens tempus” (GL 2: 415).

ÔUpersuntevliko~, è un aggettivo, vuol dire “più che compiuto, perfetto” (da suntelevw, “compio, conduco a termine”), ed è stato tradotto in latino con

plusquamperfectum, da cui il nostro Piuccheperfetto.

Δ∆Aovristo~, in italiano Aoristo, è un aggettivo che vuol dire “indeterminato, non limitato, indefinito” (da ojrivzw, “termino, limito, segno i confini”). Secondo Lallot, il termine era già usato nella lingua comune e anche dai filosofi, ma nell’accezione di Tempo verbale risalirebbe agli Stoici (1989: 170).115

Il passo della Téchnē è stato oggetto di grande attenzione da parte dei commentatori successivi, che, oltre alla spiegazione testuale, forniscono

111 Si veda Lallot (1989: 170).

112 Schneider (GG II 3: 80-81) ritiene probabile che nelle opere perdute di Apollonio fosse usato

parelhluqwv~, e a questo proposito cita Cherobosco (GG IV 2: 12, 7): ÔO de; parw/chmevno~ crovno~, toutevstin oJ parelhluqwv~.

113 Questo termine non è esclusivamente un termine grammaticale ma faceva parte della lingua

normale (cfr. per esempio ta; paroicovmena “le cose passate” in Erodoto 7, 20 e Senofonte An. 2, 4, 1).

114 Il termine parakeivmeno~ compare in Pindaro (to; parkeivmenon Nem. 3, 75), che lo usa come

participio sostantivato per indicare il ‘presente’, ma trattandosi di un caso isolato, Lallot (1989: 170) non lo inserisce nello stesso gruppo dei termini che erano già presenti nella lingua comune, come ‘presente’ e ‘futuro’.

115 Sulla definizione stoica dell’aoristo si veda Berrettoni (1988). In Aristotele per esempio il termine

compare nel passso del De interpr. (III 16b 6) in cui viene definito il verbo, dove si dice che le espressioni negative sono da considerarsi dei verbi indefiniti (ajovriston rJh'ma).

informazioni che si basano anche su altre fonti e autori, tra cui innanzitutto Apollonio. Due sono in particolare gli aspetti su cui si sono concentrati. Il primo, è relativo al fatto che il passato ha quattro Tempi diversi, mentre il presente e il futuro solo uno. Cherobosco spiega che il passato, a differenza del presente che è quasi inesistente, ha un’estensione che possiamo segmentare, così dice (GG IV 2: 12, 7-8): ÔO de; parw/chmevno" crovno", toutevstin oJ 

parelhluqwv", plavto" e[cwn eijkovtw" ejpidevcetai diafovrou" diairevsei":

“Il tempo passato, cioè il passato, avendo un’estensione, giustamente ammette le diverse suddivisioni.”

Il secondo aspetto riguarda la questione delle tre relazioni tra i vari tempi. Prima di esaminare dunque le estese e approfondite spiegazioni dei commentatori che ci aiuteranno a comprendere meglio la visione dei Tempi dell’Indicativo, vediamo cosa è possibile trovare nelle opere che ci sono rimaste di Apollonio.