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I Tempi e i Modi in Cherobosco e Chara

I Tempi nei Modi Ottativo, Imperativo, Congiuntivo, Infinito

4.5 I Tempi e i Modi in Cherobosco e Chara

Abbiamo visto che Apollonio, nella trattazione dei Modi, eccetto l’Indicativo, si confronta con delle problematiche che rimandano, anche se in modi diversi, alla dimensione temporale futura. Cherobosco, nella trattazione dell’Ottativo, riprende la questione, affrontata da Apollonio, dell’impossibilità degli Ottativi passati, poiché i desideri riguardano il futuro. Cherobosco sostiene che esistono i tempi passati dell’Ottativo a livello formale, ma che sul piano del contenuto il valore veicolato è quello futuro. Questo vale non solo per l’Ottativo, ma per tutti i Modi, i quali, al di fuori dell’Indicativo, hanno un valore temporale futuro.261 L’Indicativo, infatti, è il Modo che presenta il paradigma completo dei Tempi, per mezzo dei quali può esprimere, oltre al futuro, gli altri due valori temporali. Riportiamo il passo per esteso (GG IV 2: 256, 32-259, 5)262:

Dei' de; ginwvskein, o{ti movnh hJ oJristikh; e[gklisi~ ·e[cei‚ th;n shmasivan tw'n crovnwn, ejnestw'tov~ fhmi kai; paratatikou' kai; parakeimevnou kai; uJpersuntelivkou kai; ajorivstou kai; mevllonto~: ejnestw'to~ mevn, oi|on tuvptw, paratatikou' dev, oi|on e[tupton, parakeimevnou dev, oi|on tevtufa, uJpersuntelivkou dev, oi|on ejtetuvfein, ajorivstou dev, oi|on e[tuya, mevllonto~ dev, oi|on tuvyw: aiJ de; loipai; ejgklivsei~, levgw dh; hJ ajparevmfato~ kai; hJ prostaktikh; kai; hJ eujktikh; kai; hJ uJpotaktikhv, mevllonto~ kai; movnou e[cousi th;n shmasivan, kai; ou[te ejnestw'to~ ou[te parw/chmevnou. Δ∆En ga;r tw'/ levgein qevlw tuvptein, bouvlomai tetufevnai to; mhvpw tevw~ genovmenon qevlw genevsqai: oJmoivw~ kai; to; tuvptoimi eujktiko;n mevllonto~ e[cei shmasivan, to; ga;r mhvpw genovmenon eu[comai genevsqai: wJsauvtw~ to; tuvpte prostaktiko;n mevllonto~ e[cei shmasivan, to; ga;r mhvpw genovmenon prostavttomen genevsqai: to;n aujto;n trovpon kai; to; eja;n tuvptw uJpotaktiko;n mevllonto~ e[cei shmasivan, distavzomen gavr, eij dei' poih'sai to; pra'gma h] mh; dei'. Dei' prosqei'nai ããcwri;~ eij mh; uJpotaktikh; e[gklisi~ aijtiologivan shmaivneiÃÃ: eja;n ga;r uJpotaktikh; e[gklisi~ aijtiologivan shmaivnh/, parw/chmevnou e[cei th;n shmasivan, oi|on ããi{na pravxw ejfqovnhsav~ moiÃÃ kai; pavlin ããi{na ajnagnw' wjfelhvqhnÃÃ, ajnti; tou' ããdiovti ajnevgnwn

261 La parte a p. 258, 1-5 è sull’Imperativo. C’è un altro punto in cui si parla degli imperativi in 6, 5-6,

23.

262 Poco prima c’è il passo (256, 16-256, 31), che abbiamo visto sopra, in cui Cherobosco commenta

wjfelhvqhnÃà kai; ããdiovti e[praxa ejfqovnhsav~ moiÃÃ. Kai; ajporou'siv tine~ levgonte~, eij a[ra aiJ loipai; ejgklivsei~ aiJ para; th;n oJristikhvn, wJ~ devdeiktai, mevllonto~ kai; movnou e[cousi th;n shmasivan, kai; ou[te ejnestw'to~ ou[te parw/chmevnou, pw'~ euJrivskomen ejn aujtai'~ ejnestw'ta kai; paratatiko;n kai; parakeivmenon kai; uJpersuntevlikon, oi|on tuvptein tetufevnai, tuvptoimi tetuvfoimi, tuvpte tevtufe suv, eja;n tuvptw eja;n tetuvfw. Kai; e[stin eijpei'n, o{ti ejn tauvtai~ tai'~ ejgklivsesin, levgw dh; ãejnà th'/ ajparemfavtw/ kai; th'/ eujktikh'/ kai; th'/ prostaktikh'/ kai; th'/ uJpotaktikh'/, oujc wJ~ ejcouvsai~ to; shmainovmenon ejnestw'to~ h] parw/chmevnou, h[goun oujc wJ~ ejnistamevnh~ ejn aujtai'~ h] parw/chmevnh~ th'~ pravxew~, oiJonei; parelqouvsh~ h[dh th'~ pravxew~, lambavnetai oJ ejnestw;~ kai; oJ paratatiko;~ kai; oJ parakeivmeno~ kai; oJ uJpersuntevliko~ < wJ~ ga;r ei[rhtai, mevllonto~ kai; movnou e[cousin au|tai aiJ ejgklivsei~ th;n shmasivan < ajllΔ∆ h] pro;~ paravtasin h] pro;~ sumplhvrwsin lambavnontai ou|toi oiJ crovnoi ejn tauvtai~ tai'~ ejgklivsesin: oi|on ejpi; me;n th'~ eujktikh'~ ejgklivsew~, hJnivka eujcovmeqa to; mevllon genevsqai pra'gma e[cein paravtasin kai; mh; plhrwqh'nai, levgomen tuvptoimi ejnestw'to~ kai; paratatikou', oiJonei; mh; plhrwvsw tuvptwn, ajllΔ∆ ejcevtw to; pra'gma paravtasin, toutevstin ãejpiÃmevnoimi tuvptwn: hJnivka de; qevlomen kai; eujcovmeqa to; mevllon genevsqai pra'gma e[cein sumplhvrwsin kai; mh; ejpimei'nai parateinovmenon, levgomen tetuvfoimi parakeimevnou kai; uJpersuntelivkou, oiJonei; mh; ejpimevnoimi tuvptwn, ajllΔ∆ e[coi to; pra'gma sumplhvrwsin. ÔOmoivw~ ejpi; th'~ prostaktikh'~ ejgklivsew~, hJnivka qevlomen to; mevllon genevsqai pra'gma e[cein paravtasin kai; mh; plhrwqh'nai, levgomen kai; prostavttomen tuvpte ejnestw'to~ kai; paratatikou', oiJonei; mh; plhrwvsh/~ tuvptwn, ajllΔ∆ ejpivmeinon: hJnivka de; qevlomen to; mevllon genevsqai pra'gma e[cein sumplhvrwsin kai; teleivwsin kai; mh; ejpimei'nai parateinovmenon, levgomen kai; prostavttomen tevtufe suv parakeimevnou kai; uJpersuntelivkou, oiJonei; mh; ejpimeivnh/~ tuvptwn, ajllΔ∆ ejcevtw to; pra'gma sumplhvrwsin.

“Bisogna sapere che solo il modo indicativo [ha] significati temporali, intendo quelli del presente, imperfetto, perfetto, piuccheperfetto, aoristo e futuro; del presente come tuvptw, dell’imperfetto invece come e[tupton, del perfetto come tevtufa, del piuccheperfetto come ejtutuvfein, dell’aoristo come e[tuya, del futuro come tuvyw. Mentre i restanti modi, voglio dire l’infinito, l’imperativo, l’ottativo, il congiuntivo, hanno soltanto il significato di futuro, e non di presente, né di passato. Infatti, nel dire qevlw tuvptein [PR + Inf. PR ‘desidero colpire’], bouvlomai tetufevnai [PR + Inf. Pf ‘voglio colpire’], io desidero che si compia ciò che non si è ancora compiuto (to; mhvpw tevw~ genovmenon qevlw genevsqai). Ugualmente, l’ottativo tuvptoimi [Ott. PR] ha significato di futuro, io desidero infatti che si compia ciò che non si è ancora

compiuto; allo stesso modo, l’imperativo tuvpte [Imp. PR] ha significato di futuro, infatti noi ordiniamo che si compia ciò che non si è ancora compiuto; in tal modo anche il congiuntivo eja;n tuvptw [Cong. PR] ha significato di futuro, siamo incerti, infatti, se bisogna fare un’azione o no. Bisogna aggiungere «a meno che il modo congiuntivo non significhi l’esposizione delle cause (la causalità)»; qualora infatti il modo congiuntivo significasse l’esposizione delle cause, avrebbe il significato di passato, come «poiché ho agito [i{na+Cong. AO] tu mi hai invidiato» e di nuovo «poiché ho letto [i{na+Cong. AO], ho tratto vantaggio», invece di «poiché ho letto [diovti+Ind. AO], ho tratto vantaggio» e «poiché ho agito [diovti+Ind. AO], mi hai invidiato».

Alcuni si chiedono come mai, se i restanti modi rispetto all’indicativo, come è stato mostrato, hanno soltanto il significato di futuro, e non di presente né di passato, troviamo in quelli il presente, l’imperfetto, il perfetto, il piuccheperfetto, come tuvptein tetufevnai, tuvptoimi tetuvfoimi, tuvpte tevtufe suv, eja;n tuvptw eja;n tetuvfw. Bisogna dire, che in questi modi, voglio dire nell’infinito, ottativo, imperativo, congiuntivo, che non hanno il significato di presente o di passato, non essendoci in quelli un’azione presente o passata, come se l’azione fosse già trascorsa, così si intendono il presente, l’imperfetto, il perfetto, e il piuccheperfetto – come si è detto infatti, questi modi hanno il significato di futuro soltanto – ma questi tempi in questi modi si interpretano per l’estensione (pro;~ paravtasin) o per il compimento (pro;~ sumplhvrwsin); così, per il modo ottativo, quando desideriamo che un’azione che si deve compiere in futuro abbia un’estensione e non sia compiuta, diciamo tuvptoimi [Ott. PR ‘potessi io (continuare a) colpire’] al presente e all’imperfetto, come plhrwvsw tuvptwn [Ind. FU + Part. PR ‘non mi sazierò di colpire’], ma abbia l’azione un’estensione, cioè ãejpiÃmevnoimi tuvptwn [Ott. PR + Part. PR ‘potessi io continuare a colpire’]; quando desideriamo e preghiamo che un’azione futura abbia compimento e non si estenda, diciamo tetuvfoimi al perfetto e piuccheperfetto, come ‘io non continuassi a colpire’, ma l’azione avesse un compimento. La stessa cosa vale per il modo imperativo, quando vogliamo che un’azione futura abbia un’estensione e non sia compiuta, diciamo e ordiniamo tuvpte [Imp. PR ‘(tu) colpisci’] al presente e all’imperfetto, come mh; plhrwvshÛ~ tuvptwn [Cong. AO + Part. ‘che tu non completi il colpire’], ma ajllΔ∆ ejpivmeinon [Imp. AO ‘(tu) persevera’]; quando invece vogliamo che un’azione futura abbia compimento e non rimanga estesa, diciamo e ordiniamo tevtufe [Imp. Pf ‘(tu) colpisci’] al perfetto e piuccheperfetto, come mh; ejpimeivnhÛ~

tuvptwn [Cong. AO + Part. ‘non continuare a colpire’], ma l’azione abbia un compimento”.

Il passo prosegue con l’applicazione della stessa spiegazione sull’estensione/compimento dell’azione anche al Congiuntivo e all’Infinito (con esempi al PR e Pf). Cherobosco menziona come unica eccezione al fatto che tutti i Modi, tranne l’Indicativo, abbiano valore futuro, la costruzione del Congiuntivo con i{na causale. Questa interpretazione risale sicuramente ad Apollonio, che ne parla sia nella Sintassi, che nelle Congiunzioni. Poiché questi Modi hanno un unico significato temporale, sorge la necessità di spiegare il valore da attribuire ai diversi Tempi verbali. Cherobosco spiega che la differenza tra i Tempi va interpretata in termini di paravtasi~ o sumplhvrwsi~. Quindi, il piano aspettuale assume un rilievo fondamentale perché quello temporale futuro riguarda tutti i Modi. Tuttavia, Cherobosco, quando parla dell’opposizione estensione/compimento, non riporta i Tempi AO e FU, e negli esempi utilizza solo il PR e il Pf, i quali racchiudono rispettivamente il valore di PR e IMPf, e quello di Pf e PPf. Ricordiamo, infatti, che per Cherobosco i Tempi dei Modi al di fuori dell’Indicativo, per supplire al valore dei Tempi mancanti, ne indicano uno duplice.263 A differenza di Apollonio, il quale per le opposizioni aspettuali ricorre sempre al PR e all’AO, Cherobosco non nomina mai l’AO, ma lo usa in alcune parafrasi degli esempi. In particolare, negli esempi dell’Imperativo che servono ad illustrare la sumplhvrwsi~, Cherobosco usa un imperativo AO per spiegare meglio un imperativo PR. Questo sembra in contraddizione con il valore di compiutezza attribuito da Apollonio all’AO, che invece Cherobosco attribuisce al Pf. Lo stesso Cherobosco però, più avanti, in relazione ad una forma all’Ottativo AO264, definisce l’AO come un Tempo che ha

“un significato compiuto e passato” e gli attribuisce un valore di sumplhvrwsi~. Da un lato ritroviamo quindi la terminologia temporale, dall’altro la spiegazione aspettuale è congruente con il valore perfettivo dell’AO. Inoltre, nelle conclusioni di

263 Si veda per esempio riguardo all’Imperativo e al Congiuntivo, GG IV 2: 6, 5 e ss.: “Negli

imperativi e nei congiuntivi tutti i tempi sono uniti (sunhmmevnoi); diciamo infatti che il presente e l’imperfetto sono insieme (oJmou), come tuvpte eja;n tuvptw [Imp. PR, Cong. PR], e il perfetto e il piuccheperfetto sono insieme, come tevtufe, eja;n tetuvfw [Imp. Pf, Cong. Pf], e l’aoristo e il futuro sono insieme, come tuvyon, eja;n tuvyw [Imp. AO, Cong. AO].”

264 Si tratta dell’esempio riguardante il verbo zavw (GG IV 2: 25-31), che abbiamo già riportato nel

questa trattazione dei Modi al di fuori dell’Indicativo, Cherobosco ripete che tutti i Tempi di questi Modi hanno valore futuro e vanno interpretati secondo la paravtasi~ o la sumplhvrwsi~, e questa volta include anche l’AO.

Anche in Charax troviamo la tesi sul contenuto futuro dei Modi eccetto l’Indicativo. Charax, infatti, afferma che solamente l’Indicativo presenta i tre tempi (presente, passato e futuro), e per questo è collocato al primo posto nella lista dei Modi, mentre gli altri Modi hanno solo il valore futuro. Anche Charax precisa, inoltre, che il Congiuntivo può avere valore passato nella costruzione con i{na. Vediamo il passo (GG IV 2: 410, 28 e ss.):

prwvth toivnun ejsti;n hJ oJristikh; dia; trei'~ aijtiva~, o{ti te tou;~ trei'~ e[cei crovnou~: aiJ ga;r a[[llai ka]n fwna;~ e[cwsin ejnestwvtwn kai; parwÊchmevnwn, ajllΔ∆ hJ shmasiva wJ~ ejpi; pa'n mevllonto~: ei\pon de; «wJ~ ejpi; pa'n» dia; th;n uJpotaktikh;n e[[sqΔ∆ o{te, wJ~ e[fhn, pareleluqovta shmaivnousan:

“Al primo posto c’è l’indicativo per tre ragioni, perché ha tre tempi; negli altri modi, anche se hanno le forme di presente e di passato, il significato è generalmente di futuro. Ho detto “generalmente” per il fatto che, come ho detto, il congiuntivo può avere valore di passato”.

In un trattato grammaticale (Peri; grammatikh'~) attribuito a Teodosio d’Alessandria, ma considerato spurio, viene detto in maniera ancora più chiara che l’Imperativo e l’Ottativo, soltanto a livello morfologico possiedono dei tempi passati e presenti (schvmata), mentre a livello di contenuto semantico hanno un valore futuro (shmasiva mevllonto"). Vediamo il passo in questione (ed. Göttling 1922: 47):

ejpeidh; oJ prostavsswn ejx ajnavgkh" ajeiv pote peri; mevllontov" tino" prostavssei: tw'/ ga;r mhvpw gravyantiv fhsi: gravyon: kai; tw'/ mhvpw ejlqovnti levgei: ejlqev: kai; aJplw'" to; mhvpw gegono;" levgei: genevsqw. Δ∆Epei; toivnun ajeiv pote peri; mevllontov" ejstin hJ prosagwgh; kai; oJ prostavsswn peri; parelqovnto" tino;" kai; progenomevnou genevsqai a[rti mavtaio" a]n ei[h. Pw'" dh; oJ Tecniko;" ejntau'qa ejnestw'ta" kai; parakeimevnou" kai; uJpersuntelivkou" kai; ajorivstou" parevdwke… Kai; levgomen, o{ti ejpi; tw'n prostaktikw'n oiJ ejnestw'te" kai; oiJ parelhluqovte" pavnte" ouj kurivw" eijsivn, ajlla; guvmnwsiv" ejsti tou' lovgou, h[goun schmatismov". Kai; schvmata movnon ejnestwvtwn kai;

parelhluqovtwn, shmasivan de; mevllonto" eijsavgousin. Aujtivka to; me;n tuvpte ejnestw;" me;n kalei'tai: ajllΔ∆ oujk e[sti kurivw": ouj ga;r tovte tuvptei oJ prostassovmeno", o{te oJ prostavsswn aujtw'/ levgei tuvpte: eij ga;r e[tupte: perisso;n h\n a[ra levgein aujtw'/: tuvpte: o{moion kai; to; tuvyon: w{ste dh'lon, ªo{tiº katacrhstikw'" levgontai ejnestw'te" kai; parelhluqovte", wJ" ejk tw'n ejnestwvtwn kai; parelhluqovtwn schmatizovmenoi, th'/ de; shmasiva/ mevllontev" eijsi pavnte". Δ∆Epeidh; oJ eujcovmeno" ejx ajnavgkh" ajeiv pote peri; mevllontov" tino" eu[cetai: oJ ga;r pesw;n kai; th;n kefalh;n kateagwv", ªeijº eu[coito meta; tau'ta mh; pesei'n, mavtaio" a]n ei[h: ejpei; toivnun peri; mevllontov" ejstin hJ eujchv, kai; to;n eujcovmenon peri; mellovntwn crh; eu[cesqai, e[dei kai; to;n Tecniko;n mevllonta" poih'sai tou;" eujktikou;" crovnou" kai; ejnestw'ta mh; paralabei'n h[ tina tw'n parw/chmevnwn. Kai; levgomen aujtov, o{per kai; ejn toi'" prostaktikoi'" eijrhvkamen, o{ti th;n ojnomasivan e[labon ejkeivnwn tw'n crovnwn ajfΔ∆ w|n e[cousi to;n schmatismo;n kai; yilw'/ ojnovmati ou{tw kalou'ntai, shmasivan dΔ∆ o{mw" mevllonto" e[cousin.

“Poiché colui che ordina, ordina necessariamente qualcosa che deve ancora accadere. A chi ancora non ha scritto, dice ‘scrivi’, e a chi ancora non è venuto, dice ‘vieni’; in breve, di ciò che ancora non è stato, dice ‘sia’. Infatti il comando è sempre relativo a qualcosa che deve ancora accadere e chi desse un ordine riguardo qualcosa di passato o di trascorso sarebbe uno sciocco. Come mai il Grammatico qui ha stabilito presenti, perfetti, piucchepperfetti e aoristi? E diciamo che, per quanto riguarda gli imperativi, i presenti e tutti i passati non sono da intendersi in senso proprio ma come una scarnificazione della parola, cioè una forma (uno schematismo). E hanno soltanto le forme di presenti e di passati, ma hanno significato di futuro. Per esempio, la forma tuvpte ‘colpisci’ è chiamata presente; ma non lo è in senso proprio; infatti colui che riceve l’ordine, non colpisce nel momento in cui colui che ordina gli dice ‘colpisci’: Se avesse già colpito, sarebbe strano dirgli ‘colpisci’. Lo stesso vale anche per la forma tuvyon. Così è chiaro che sono impropriamente chiamati presenti e passati, poiché hanno la forma di presenti e di passati, ma nel significato sono tutti futuri. Poiché colui che prega, prega necessariamente per qualcosa che deve ancora accadere. Chi è caduto e si è rotto la testa se, dopo questo, pregasse di non cadere, sarebbe uno sciocco. Poiché dunque la preghiera riguarda ciò che ancora deve accadere e bisogna che colui che prega preghi riguardo cose che ancora devono accadere, il Grammatico doveva considerare futuri i tempi dell’ottativo e non intenderli come presenti o come qualcuno dei passati. E diciamo la stessa cosa che abbiamo detto degli imperativi, cioè

che hanno preso la denominazione dei tempi dai quali hanno preso la forma e sono così chiamati con il nome puro e semplice, ma tuttavia hanno significato di futuro.”