Considerazioni sui Tempi dell’Indicativo
3.3 L’uso della terminologia grammaticale
Finora abbiamo esaminato le descrizioni e le spiegazioni del sistema verbale contenute in scritti propriamente grammaticali, prendiamo ora in considerazione queste stesse teorie elaborate dai grammatici, nel loro uso all’interno di contesti diversamente finalizzati. Un caso molto interessante di applicazione pratica della terminologia riguardante i Tempi verbali compare in un testo letterario di Filone d’Alessandria (I a.C.-I d.C.), la cui estesa cultura si era formata a contatto con la tradizione filologica alessandrina. Notiamo che questa opera si colloca in un periodo storico precedente ad Apollonio, il che testimonia che la stessa terminologia che troviamo in Apollonio era già consolidata e diffusa nella cultura alessandrina, almeno un secolo prima. In questo brano, tratto dall’opera Quis rerum divinarum
heres sit, Filone commenta un passo dell’Esodo, e spiega con grande precisione
perché nel testo siano usate delle forme di IMPf invece che di AO. Riportiamolo per esteso (16-18):
lavlo" de; ou{tw" oJ ijscnovfwno" kai; braduvglwsso" kai; a[logo" ei\nai dokw'n ajneurivsketai, w{ste ph'/ me;n ouj movnon levgwn ajlla; kai; bow'n eijsavgetai, eJtevrwqi de; ajpauvstw/ kai; ajdiastavtw/ crwvmeno" lovgwn rJuvmh/. ÆMwush'"Æ gavr fhsin Æejlavlei, kai; oJ qeo;" ajpekrivneto aujtw'/ fwnh'/Æ (Exod. 19, 19), ouj kata; suntevleian ejlavlhsen, ajlla; kata; mhkunomevnhn paravtasin ejlavlei, kai; oJ qeo;" ouj kata; suntevleian ejdivdaxen, ajllΔ∆ aijei; kai; sunecw'" ajpekrivneto. o{pou de; ajpovkrisi", ejkei' pavntw" ejrwvthsi". ejrwta'/ de; e{kasto" o} mh; ejpivstatai, maqei'n ajxiw'n gnouv" te tw'n eij" ejpisthvmhn wjfelimwvtaton e[rgon ei\nai zhtei'n, ejrwta'n, punqavnesqai, mhde;n dokei'n eijdevnai mhdev ti oi[esqai pagivw" kateilhfevnai.
“(16) Ecco che colui che prima sembrava starsene “con la voce debole” e “con la lingua pesante” (Es. 4.10) e senza parole, ora si rivela a tal punto loquace, che viene presentato non solo nell’atto di parlare, ma, addirittura, di gridare, e, altrove, nell’atto di versare un torrente incessante e incontenibile di parole. (17) “Mosè”, dice infatti la Scrittura, “continuava a parlare, e il Signore non smetteva di rispondergli con la Sua voce” (Es. 19.19). E la Scrittura non dice “parlò” a indicare un’azione compiuta, ma “continuava a parlare”, per indicare il prolungarsi dell’azione nel tempo. E così non dice che Dio “insegnò”, come se si volesse indicare un’azione conclusa, ma dice che
e[nqa min h[nwgon tevmeno" perikalle;" eJlevsqaiÚ hJ diplh' o{ti suntelikw'" to; eJlevsqai. E un altro su Il. 21, 33 (Friedländer 1853: 306):
aujta;r oJ a]y ajpovrouse dai>zevmenai meneaivnwnÚ hJ diplh' pro;" th;n ejnallagh;n tou' crovnou, o{ti ajnti; tou' dai?xai proqumouvmeno" kata; to; suntelikovn.
sempre e senza interruzione “non smetteva di rispondergli”. (18) Ora, dove c’è risposta, là deve esserci senz’altro domanda. E ciascuno domanda ciò che non sa, giudicando cosa buona imparare e sapendo che l’azione più utile a conseguire la scienza è il ricercare, il domandare, l’investigare, il ritenere di non sapere nulla e non il presumere di avere certezze.”190
Filone spiega l’incessante parlare di Mosè con la frase: ouj kata; suntevleian ejlavlhsen ªAOº, ajlla; kata; mhkunomevnhn paravtasin ejlavlei ªIMPfº. La forma all’IMPf è quella giusta per dare il senso del protrarsi dell’azione, quella all’AO non sarebbe stata appropriata perché avrebbe indicato la completezza. Filone aggiunge che oJ qeo;" ouj kata; suntevleian ejdivdaxen ªAOº, ajllΔ∆ aijei; kai; sunecw'" ajpekrivneto ªIMPfº, mostrando implicitamente di nuovo la differenza tra l’AO e l’IMPf.
Il valore di questa testimonianza deriva dal fatto che vi troviamo molto nettamente e chiaramente descritta l’opposizione tra AO e IMPf, mentre tale opposizione non è mai descritta in nessuno dei testi grammaticali esaminati. Ribadiamo che il tipo di analisi e la terminologia usata rispecchiano quelle dei grammatici, a conferma che nell’epoca di Filone le riflessioni erano diffuse in ambiente alessandrino, dove, come sappiamo, il commento filologico dei testi letterari era una parte fondamentale della grammatica.
Un altro esempio analogo di spiegazione dell’opposizione AO e IMPf si può vedere nel testo di Porfirio (III d.C.), tratto dalle Quaestionum Homericarum ad
Iliadem pertinentium reliquiae191:
ejn de; tw'/ hjw;" me;n krokovpeplo" ejkivdnato pa'san ejpΔ∆ ai\an (Q 1) tou' kivdnasqai dhlou'nto" to; skorpivzesqai wJ" ejn tw'/ skivdnatai kata; stratovn (A 487Ù), duvo tau'ta thrhvsew" a[xia uJpedeivknuen: e}n me;n o{ti ejkivdnato e[fh pa'san ejpΔ∆ ai\an, o{per paravtasin e[cei, ouj suntevleian, oi|on to; ejskedavsqh: ejpei; de; sfairoeidou'" o[nto" tou' kovsmou kai; th'" gh'" oujc a{ma para; pa'si kata; to; aujto; oJ h{lio" ajnatevllei oujde; kata; th;n aujth;n w{ran hJ hJmevra ajnivstatai, eijkovtw" ejkivdnato e[fh ª...º
190 Traduzione tratta da Radice (1994: 803). 191 Ed. Schrader (1880: 48).
“Nel verso ‘l’aurora peplo di croco si stendeva su tutta la terra’ (Il. 8, 1), in cui il distendersi mostra lo spargersi come in ‘disperdersi dell’esercito’ (Il. 1, 487?), indicava due cose degne di osservazione; la prima, che ejkivdnato voleva dire su tutta la terra, che ha un’estensione, non un compimento, come per ejskedavsqh; poiché il mondo è sferico, così come la terra, il sole non sorge contemporaneamente ovunque nello stesso luogo, né il giorno sorge nello stesso tempo, giustamente quindi disse ejkivdnato [...]”
Porfirio spiega perché nel verso dell’Il. 8, 1, “l’aurora peplo di croco si stendeva su tutta la terra”, ci sia la forma IMPf ejkivdnato. La presenza dell’IMPf è dovuta al fatto che con questo Tempo si indica la paravtasin e non la suntevleian, che serve in questo contesto a rappresentare l’azione del sorgere del sole, la quale non avviene in un unico momento.
Analisi simili si ritrovano anche in altri testi che, pur tardi, riportano spesso anche commenti più antichi.192
Per quanto riguarda in particolare l’AO, abbiamo detto che viene anche indicato con il termine suntelikovv~.193 Se facciamo una ricerca di suntelikovv~ (suntelikw'~)
192 Come in questo passo dell’Etymologicum Magnum (472, 22), in cui si discute la forma »Ixon (AO
di i{kw) presente in un verso omerico (Od. 4, 1):
»IxonÚ OiJ dΔ∆ i|xon koivlhn Lakedaivmona. Δ∆Apollwvnio" ajpo; tou' i{kw, tou' dia; tou' i grafomevnou, levgei, oJ deuvtero" ajovristo", i|kon, kai; troph'/ Boiwtikh'/ tou' k eij" x, i|xon. ªOu{tw" Δ∆Apollwvnio"º oJ de; ÔHrwdiano;" tou'to kai; ta; o{moia ejk mevllonto" levgei metateqei'sqai eij" ejnestw'ta: i{xw, kai; oJ paratatiko;", i|xon, i|xe", i|xe: to; plhquntiko;n, i{xomen, i{xete, i|xon. ”Oti de; oujk e[sti deuvtero" ajovristo", ajlla; paratatiko;", ta; toiau'ta ejlevgcei kai; ta; prostaktikav: euJrhvsei" ga;r bh'se, kai; i|xe, kai; oi\se, wJ" tuvpte kai; gravfe: eij de; h\n ajovristo", h\n a]n bh'son, kai; i|xon. “Esti de; oi[sw mevllwn: ou| a[llo kivnhma oujc eu{rhtai plh;n tou' aujtou' mevllonto". To;n de; Δ∆Apollwnivou lovgon devon ei\nai ma'llon ajlhqevsteron: ouj ga;r paravtasin shmaivnei to;, OiJ dΔ∆ i|xon, ajlla; suntevleian, o{ti paragegovnasin. Ouj ga;r tai'" fwnai'" ta; mevrh tou' lovgou ajkolouqei', ajlla; toi'" shmainomevnoi" ªzhthvmasin.º
La motivazione per escludere che »Ixon sia un IMPf, è dovuta al valore che veicola, non indica infatti un’estensione ma il compimento, per questo deve essere un AO.
Si veda anche un passo riguardante una forma di Infinito, dagli scoli all’Iliade (ed. Erbse 1969) 9.442b.2: ex. ãdidaskevmenaià tavde pavntaÚ tavde, eij" a} nu'n aJmartavnei". kai; o{ti ou[pw tetevlestai th;n mavqhsin, dia; th'" paratavsew" ejdhvlwsen: ouj ga;r ei\pe didavxai.
193 Si vedano anche dei passi riguardanti forme di Participio (già segnalati in Uhlig (GG II 2: 96)). In
uno scolio a Il. 1, 600 (ed. Erbse 1969: 159) troviamo: poipnuvontaÚ æpoipnuvsantaæ aiJ pa'sai, suntelikw'".
In un passo di Apollonio Sofista (ed. Bekker 1833: 93.33), secondo Berrettoni l’aggettivo suntelikhv “viene usato non solo per indicare il contenuto semantico dell’aoristo, come per lo più negli altri scoli, ma come sua denominazione metalinguistica” (1988: 62): ijwvn poreuovmeno", h] suntelikw'" ejlqwvn, ejpei; pa'sa metoch; ojxuvtono" eij" wn lhvgousa ejsti; suntelikhv:
mediante il TLG, tutte le attestazioni del termine indicano che si tratta dell’AO;194 vediamo alcuni esempi.
Aristonico195, commentando Iliade 5, 842 dice:
h[toi oJ me;n Perivfanta pelwvrion ejxenavrizenÚ hJ diplh', o{ti ajpo; tw'n ajndrw'n skuleuvonta to;n “Arh poiei' (Ar. 182), kai; o{ti tine;" gravfousin ejxenavrixen. sunteliko;n de; givnetai, dei' de; paratatikw'":
Aristonico respinge l’ipotesi secondo la quale al posto della forma all’IMPf (ejxenavrizen) ci voglia quella all’AO (ejxenavrixen), che viene appunto chiamato suntelikov". Aristonico parla di nuovo della forma ejxenavrizen nel commento a Il. 11, 368 e ss.:
h\, kai; Paionivdhn dourikluto;n ejxenavrizen. aujta;r Δ∆Alevxandro" ª...º196 hJ diplh' o{ti Zhnovdoto" gravfei ejxenavrixen suntelikw'". a[rti de; e[melle skuleuvein: ejpifevrei gou'n h[toi oJ me;n qwvrhka Δ∆Agastrovfou ijfqivmoio (373). dia; tou' z ou\n graptevon paratatikw'": skuleuvonta ga;r aujto;n bavllei oJ Δ∆Alevxandro".
Aristonico cita Zenodoto, il quale ritiene che in questo passo vada usata la forma all’AO, che di nuovo dunque è indicato con il termine suntelikw'". È interessante notare che Aristonico giustifica l’uso dell’IMPf con il fatto che Diomede stava spogliando la sua vittima, quando Alessandro lo colpì e, dunque, l’azione è rappresentata nel suo svolgimento.
In uno scolio degli Scholia vetera,197 sempre a Il. 11, 368 si dice: øh\ kai; paionivdhn ejxenavrizenÚØ ou{tw dia; tou' z: ouj ga;r ejtevlesen.
194 Si veda anche Frinico Att. 315.
195 Grammatico del I a. C., di cui restano frammenti (ed. Friedländer 1853).
196 ÔElevnh" povsi" hjukovmoio, Tudeivdh/ e[pi tovxa titaivneto, poimevni law'n. h[toi oJ me;n qwvrhka
Δ∆Agastrovfou ijfqivmoio ai[nutΔ∆ ajpo; sthvqesfi panaivolon ajspivda tΔ∆ w[mwn, kai; kovruqa briarhvn: oJ de; tovxou ph'cun a[nelken kai; bavlen: oujdΔ∆ a[ra min a{lion bevlo" e[kfuge ceirov".