La stampa periodica svolse un ruolo fondamentale per la diffusione della letteratura italiana contemporanea in Spagna484. Una panoramica generale sugli articoli presi in esame mette in rilievo che i firmatari sono le stesse persone impegnate nell’attività di traduzione, prefazione e diffusione della letteratura italiana dunque, l’interessamento per la nostra cultura e l’opera di diffusione che ne derivò agli inizi del XX secolo furono delimitati e strettamente legati a delle persone in particolare: José Sánchez Rojas, Enrique Díez-Canedo, Ruffino Blanco Fombona ai quali aggiungiamo Cipriano Rivas Cherif, Juan Chabas, Rafael Cansinos Assens. Gli ultimi tre predilessero articoli di tipo monografico, incentrandosi sull’attività di un autore o su un’opera in particolare, contribuendo al rafforzamento della consapevolezza dei legami culturali fra le due nazioni senza però compiere uno status quaestionis.
Non ci sorprende dunque constatare che Maria de las Nieves Muñiz Muñiz nel tracciare, rapidamente, la storia della traduzione della letteratura italiana in Spagna genera quasi un duplicato del nostro elenco quando fa menzione dei traduttori dall’italiano al castigliano: Ricardo Baeza, Rafael Cansinos Assens, Enrique Díez- Canedo, Pedro Pedraza y Páez, Cipriano Rivas Cherif, José Sánchez Rojas485. L’omissione di Chabas si deve probabilmente al fatto che tradusse troppe poche opere per essere menzionato in una panoramica riassuntiva e di massima sulla traduzione della letteratura qual è quella della Muñiz. Mentre l’esclusione di Fombona è facilmente
13; entrambi in appendice. Probabilmente il coinvolgimento del critico italiano nella rivista si deve all’intercessione di Mario Puccini; nel FMP è presente una lettera di Araquistain, allora direttore del settimanale, del 6 febbraio del 1922 con la quale lo spagnolo chiede a Puccini se conoscesse qualcuno disposto a collaborare con la rivista – avanzando anche il nome di Papini ma subito, smorzando la richiesta, dichiara di accettare anche altri di egual prestigio – per meno delle 200 lire, prezzo avanzanto da Prezzolini per una collaborazione. L’intento era quello di fornire un quadro puntuale della cultura italiana contemporanea che potesse finalmente uscire dal circolo elitario degli specialisti e orientare i gusti del pubblico, guastati dalla diffusione della letteratura di bassa levatura come quella di Da Verona, Mariani e Pitigrilli. La fratellanza di questa rubrica con quella tenuta da Puccini su «La Pluma» è resa esplicita in un articolo di Cipriano Rivas Cherif, Libros. Un Novelista Italiano, «España», n. 382, 12 gennaio 1924, p. 12, in cui si legge: «Mario Puccini no es un desconocido para los lectores de España. En La Pluma viene haciendo regularmente una labor interesantísima de crítica literaria, a cerca de los nuevos valores posteriores a D’Annunzio y al dannunzianismo, pareja en cierto modo de la que en esta columnas realiza Ettore de Zuani».
484 Grazie al portale dell’Hemeroteca Digital della BNE, che mette a disposizione un grandissima quantità
di pubblicazioni periodiche digitalizzate, è stato possibile risalire agli articoli incentrati sulle relazioni culturali tra Italia e Spagna nei primi trent’anni del ‘900.
485
María de las Nieves Muñiz Muñiz, Literatura Italiana, in Diccionario histórico de la traducción en
España, editado por Francisco Lafarga y Luis Pegenaute, Editorial Gredos, Madrid, 2009, p. 616. Dei
traduttori citati, solo Ricardo Baeza, Cansinos Assens e Díez Canedo hanno un’entrata indipendente nel Diccionario, rispettivamente alle pagine: 91-92, 167-169, 305-306.
165 giustificabile: egli non fu un traduttore, ma fu, oltre che scrittore, editore della Editorial América. L’inclusione di Fombona nel nostro elenco fornisce ulteriore prova del fatto che la diffusione e la ricezione di una letteratura straniera sono tanto una questione di traduzione quanto una questione editoriale.
In tema di editoria, come non chiamare in causa José Ruiz-Castillo, di cui si tratterà nel capitolo successivo, che non scrisse nessun articolo, ma annoverò nella rosa dei traduttori della sua casa editrice “Biblioteca Nueva” ben tre su sei di quelli menzionati dalla Muñiz Muñiz: José Sánchez Rojas, Cipriano Rivas Cherif e Rafael Cansinos Assens. Gli stessi lavorarono anche per la casa editrice di Fombona.
Non è semplice tracciare un profilo di questi traduttori/mediatori della letteratura italiana, in parte perché nessuno di loro è passato alla storia per le traduzioni dall’italiano e in parte perché di alcuni è persino difficile ricostruirne una storia, come il caso dell’irregolare Sánchez Rojas (Alba de Tormes, 1885 – Salamanca, 1931) che condusse una vita raminga, avvolta dal mito e rapidamente scivolata nell’oblio più fondo486. La sua formazione venne segnata dal magistero di Unamuno di cui fu allievo all’Università di Salamanca. I rapporti fra i due furono sempre governati da alti e bassi: invano Rojas tentò più volte di conquistarsi la fiducia del maestro, il quale, sicuramente, non doveva apprezzare troppo i colpi di testa del giovane487. Il primo incrinarsi del sodalizio si registra quando Rojas decide di abbandonare Salamanca in cerca di fortuna finendo per convertirsi in un cittadino del mondo senza fissa dimora. Dapprima si trasferisce a Madrid per fare un dottorato, poi a Bologna, dove resterà per tutto il 1908 nella vana speranza di ottenere un posto nel prestigioso collegio di San Clemente de los
Españoles. Dall’Italia ritorna a Madrid e da lì, per un periodo, a Barcellona. Il resto
della sua vita lo passa in costante viaggio tra la capitale spagnola, dove non aveva un
486 Esiste un sola fonte bibliografica sul traduttore bohémien di cui ci siamo avvalsi per delinearne un
breve profilo: Julián Moreiro Prieto, Sánchez Rojas. Crónica de un cronista, Centro de Estudios Salmantinos, Salamanca, 1984.
487 L’opinione di Unamuno su Rojas la si ricava dalla lettura di alcune lettere a Beccari. Unamuno
informava il traduttore italiano circa le sorti di Rojas al quale dovevano la loro conoscenza; fu infatti quest’ultimo a far scoprire Unamuno a Beccari dandogli Recuerdo de niñez y mocedad. Il basco descrive Rojas come un folle. Si riportano due esempi; nella lettera datata 7 maggio 1909, Unamuno scrive: «No sé si sabrá que el pobre Rojas anda por Madrid perdido… su padre le ha abandonado y yo temo por él. Temo que acabe muy mal. En el fondo le creo un irresponsable y he empezado a dudar de su perfecta integritad mental. Así como de su abulia o si se quiere amoralidad estaba convencido. Y es una pena. Su volibilidad e inconstancia son de origén patológico» (Vicente González Martín, La
cultura italiana en Miguel de Unamuno, cit., p. 305). In un’altra del 20 maggio 1920 si lehhe: «El
pobre Sánchez Rojas está ya idiota y se piensa recluirle en una casa de salud o en un manicomio, después de incapacitarle para evitar que la justicia le condene. Dicen que da pena verlo. Ya ni habla. Pobre muchacho» (ivi, p. 319).
166
domicilio fisso, e la cittadina natale. Un’anima inquieta e senza indirizzo come scrive Ruiz-Castillo a Puccini: «este hombre es un perfecto golfo, sin formalidad y hasta sin domicilio»488. Il viaggio in Italia fu forse l’esperienza che produsse più ripercussioni nella parabola esistenziale del giovane:
La breve estancia en Italia fue fructífera [...] para el escritor, para el viajero, para el diletante, para el ciudadano del mundo... un ciuadano amante de la vida inmediata, incapaz de soportar sobre su cabeza otro techo que el de un café y que, en noviembre de 1908, reaparece en Madrid hablando un idioma extranjero con soltura, recitando con mucha pasión a Leopardi y hecho un verdadero figurín489.
Come si evince dal brano, egli rimase letteralmente folgorato dalla cultura italiana e dalla sua letteratura acquistando in Spagna fama di specialista. Negli anni Venti una sua traduzione poteva valergli fino a 500 pesetas490. Il suo nome è legato a Benedetto Croce, del quale tradusse tre opere e una di queste ebbe l’onore di essere prologata da Unamuno491. Oltre che di Croce, fu anche il primo traduttore di Papini e, tra i contemporanei italiani, rese in castigliano Romolo Murri, Enrico Leone e Mario Puccini. Il suo interessamento per la politica, la traduzione di Murri e Leone ne sono una chiaro segno, venne coronato dalla versione in castigliano del Principe di Machiavelli (Calpe, Madrid, 1924)492.
Oltre all’italiano, in Italia Rojas imparò l’arte della conversazione nei salotti letterari che tante porte gli aprì a Madrid. In molti si stupivano della facilità con cui accedeva agli ambienti dell’aristocrazia letteraria nonostante fosse poverissimo, sudicio e vestito in modo trascurato493. La descrizione trova conferma nelle memorie di Cansinos Assens che lo definisce un «bohemio cochambroso y pestilente»494.
488 FMP, José Ruiz-Castillo a Mario Puccini, Madrid, 9 marzo 1924. Per prendere visione dell’intera
lettera si rimanda all’Appendice, sezione III, lettera XXII.
489
Julian Moreiro Prieto, Sánchez Rojas. Crónica de un cronista, cit., p. 32.
490 Ivi, p. 31.
491 Il testo in questione è Benedetto Croce, Estética como ciencia de la expresión y lingüística general,
prólogo de Miguel de Unamuno, Librería de Francisco Beltrán, Madrid, 1912. In seguito Unamuno ignorò qualunque richiesta di prologo avanzata da Rojas non volendo più promuovere le sue opere né affiancare il suo nome a quello dell’ex allievo. Probabilmente a questa ragione possiamo far risalire il mancato prologo ad una traduzione di Puccini intrapresa da Rojas per Biblioteca Nueva, su cui torneremo in seguito.
492
Per i dettagli sulle opere tradotte si rimanda a José Sánchez Rojas, PROYECTO BOSCÁN: Catalógo de las Traducciones Españolas de Obras Italianas (1300-1939), http://www.ub.edu/boscan [data dell’ultima consultazione: 24.2.2015].
493 Julian Moreiro Prieto, Sánchez Rojas. Crónica de un cronista, cit., p. 32. 494
167 Rafael Cansinos Assens (Sevilla, 1882 – Madrid, 1964) dopo gli esordi di scrittore, negli anni ’20 decise di dedicarsi quasi interamente all’attività di traduttore e giornalista. Più che frutto di una libera scelta, la quasi cessazione della produzione letteraria propria fu per Cansinos Assens una dura realtà da accettare poiché non riusciva a sopravvivere dei proventi delle sue opere, come ci racconta egli stesso nel suo libro di memorie, La novela di un literato. Il brano, che riportiamo quasi per intero perché ci offre anche un gustoso ritratto di Ruiz-Castillo e delle relazioni tra l’editore e il suo autore-traduttore, porta il titolo profetico di un suo romanzo, Un divino fracaso:
Uno no piensa que la literatura sea una cosa práctica ni un medio de vida. Para eso está el periodismo y la traducción. […] Me levanté temprano y emprendí el camino de la calle Lista, donde tiene su casa y su editorial José Ruiz-Castillo, el antiguo socio de Martínez Sierra, el editor de Miró y de Gómez de la Serna, el hombre que alardea de refinado y de protector de la literatura no asequible al vulgo, y en cuya Biblioteca Nueva publique el año pasado un librito de ensayos titulado El divino
fracaso. Llegué allà y él mismo salió a abrirme la puerta y me hizo pasar a su
despachito, decorado con originales de la cubiertas de sus libros, retratos de autores y, sobre un bargueño, una cabeza en escayola de Beethoven. Ruiz-Castillo, que es un aprensivo como en su tiempos Juan Ramón Jiménez, tomó en mi presencia medio vasito de un líquido lechoso, se enjugó el bigotillo reformado según la moda de la postguerra, me ofreció un cigarro emboquillado y, previendo el objeto de mi visita, empezó a hablarme con cara compungida de los tópicos consabidos... la poca afición de los españoles a la lectura..., lo poco que se vende..., el sacrificio que a él le rapresenta editar las obras de Miró y de Gómez de la Serna..., ya ve usted, Miró..., un gran escritor, y Ramón, un escritor tan interesante... Pues no se venden...me cuestan dinero... gracias que me defiendo con las traducciones. Aquel preámbulo me corto los vuelos. Pero el recuerdo de la Hermana me dio valor para decir: -¿Y mi Divino fracaso? - Pues que ha sido un divino fracaso - me contestó el editor. [...] Para consolarme de mi nada divino fracaso, Ruiz-Castillo me ofreció traducciones. [...] Salgo de allí con mi mamotreto y voy pensando que un escritor no debería saber lenguas, ni francés, para que los editores “generosos” no pudieran ofrecerle esta clase de compensaciones. ¡El traductor te mata, pobre escritor!495
L’estratto rende perfettamente l’idea che gli scrittori avevano della traduzione, vista il più delle volte come un’attività che li distoglieva dalla scrittura. Per i primi anni del XX secolo tradurre non era considerato un mestiere degno di un vero scrittore, prova è il fatto che lo stesso Unamuno si sia dedicato per un periodo alle traduzioni pro pane
lucrando e abbia preferito non firmarle, lasciandole nell’anonimato496.
495 Id., La novela de un literato, vol. II, cit., pp. 396-399.
496 Luis Pegenaute, “La epoca realista y el Fin de siglo”, in Francisco Lafarga y Luis Pegenaute (a cura
168
Le versioni di Cansinos Assens furono tanto apprezzate da accreditare il mito che vuole che fosse in grado di parlare fluentemente ben dodici lingue e che di queste ne conoscesse le rispettive letterature e culture497. Dal 1914 fu traduttore per molteplici case editrici (Calleja, Renacimiento, Biblioteca Nueva, Mundo Latino, La España Moderna), e solo nel 1930 decise di vincolarsi ad Aguilar con un contratto editoriale. Fu in quegli anni che firmò le sue monumentali imprese di traduzione come le opere complete di Dostoyevsky, Goethe, Balzac o el Corán e Las mil y una noches498.
In qualità di traduttore, cercò sempre di apportare una personale cifra autoriale con l’aggiunta di pregevoli paratesti: prefazioni, post-fazioni, indicazioni bibliografiche e note di cultura letteraria. Molte delle sue traduzioni sono state di così ampio successo che continuano ad essere pubblicate in differenti case editrici. Scarsamente ricordato per le traduzioni dall’italiano, più volte lo si cita invece per quelle fatte della letteratura tedesca, russa e araba, il suo interesse per la nostra letteratura risale al 1911. L’anno in cui traduce tre poesie di Giacomo Leopardi (En las bodas de mi hermana Paolina, A la
primavera, Sobre un fúnebre bajorelieve antiguo) contenute nell’opera di Colombine
uscite per la casa editrice valenziana Sempere499. Dagli esordi leopardiani si contano diciotto traduzioni dall’italiano, per lo più di autori contemporanei in prosa, l’unica eccezione è Machiavelli500.
Nel complesso, la sua riconosciuta attività di traduttore contribuì alla professionalizzazione dell’attività traduttoria nel mondo editoriale, che nel corso del XX secolo iniziò ad acquisire prestigio e riconoscimento sociale501. Nel contempo però l’esilio forzato dalla produzione letteraria avviò un lento e costante processo di oblio tanto della sua opera quanto della sua persona. Un progressivo recupero si deve alla fondazione ARCA, Fundación-Archivo Rafael Cansinos Assens, che ha promosso la riedizione e la pubblicazione di opere postume e dell’epistolario.
497 Marta Pelanque, Rafael Cansinos Assens, in Diccionario histórico de la traducción en España, cit., p.
168.
498 Rafael Manuel Cansinos, “Presentación”, in Rafael Cansinos Assens, La novela de un literato, cit., p.
8.
499 Carmen de Burgos (Colombine), Giacomo Leopardi: su vida y su obras, Sempere, Velenzia, 1911. 500
Per maggiori dettagli si rimanda a: Rafael Cansinos Assens, PROYECTOBOSCÁN: Catalógo de las Traducciones Españolas de Obras Italianas (1300-1939), http://www.ub.edu/boscan [data dell’ultima consultazione: 24.2.2015].
501 Miguel Ángel Vega, “De la guerra civil al pasado inmediato”, in Francisco Lafarga y Luis Pegenaute
169 Enrique Díez Canedo Reixa (Badajoz, 1879 – México, 1944) fu un assiduo protagonista del giornalismo e dell’editoria spagnola. In Biblioteca Nueva diresse la collezione dedicata al teatro per la quale si dà notizia che tradusse anche alcune opere, ma non se ne conoscono i titoli502. Non era infrequente infatti, a causa dello scarso prestigio che aleggiava intorno all’attività di traduzione, che i traduttori fossero spesso relegati nell’anonimato, come dimostra il già citato caso di Unamuno503
.
Nella storia letteraria il suo nome rimane vincolato alla traduzione della poesia straniera, in particolare a La poesía francesa moderna. Antología ordenada y anotada
por Enrique Díez Canedo y Fernando Fortum (Madrid, 1913) che tanto contribuì al
rinnovamento della poesia spagnola504. Anch’egli come Cansinos Assens tradusse diciotto opere dall’italiano, prevalentemente poesia (Pier delle Vigne, Cino da Pistoia, Panfilo Sasso, Leopardi, Carducci, D’Annunzio, Fogazzaro, Pascoli, Graf, Pietro Mastri) quasi tutta confluita in una miscellanea articolata in due volumi: Rosas del
tiempo antiguo, dedicata alla poesia antica e Mies de hogaño a quella contemporanea,
edita a Parigi per la casa editrice Ollendorff nel 1910505.
Negli ambienti culturali di Madrid era assiduo frequentatore delle tertulias, soleva riunirsi nell’Hotel Regina insieme a Rivas Cherif e Azaña506
. La sua profonda conoscenza della letteratura spagnola e ispanoamericana gli valse il ruolo di critico letterario ufficiale della rivista «España».
Conferme delle sue competenze arrivano anche da una lettera di Miguel de Unamuno a Mario Puccini. Il marchigiano aveva proposto a Unamuno di tenere una rubrica sulla letteratura spagnola e ispanoamericana ne «La Sera» di Milano. Il filosofo, nell’impossibilità di assolvere l’incarico, consiglia a Puccini di rivolgersi a Díez Canedo, di cui gli fornisce anche l’indirizzo della redazione di «El Sol» presso cui
502 José María Fernández Gutíerrez, Díez-Canedo Reixa Enrique, in Diccionario Biográfico Español, vol.
XVI, Real Academia de la Historia, Madrid, 2013, p. 316.
503
Luis Pegenaute, “La epoca realista y el Fin de siglo”, in Francisco Lafarga y Luis Pegenaute (a cura di), Historia de la traducción en España, cit., p. 479.
504 Pilar Gómez Bedate, Notas sobre los temas simbolistas en la poesía francesa moderna de Enrique Díez Canedo y Fernado Fortún, in Luis Pegenaute (a cura di), La tradución en la Edad de la Plata,
PPU, Barcellona, 2001, pp. 89-98 e Miguel Ángel Lama, Enrique Díez Canedo y la poesía extranjera, «CAUCE. Revista de Filología y su didactica», n. 22-23, 1999/2000, pp. 191-228.
505 Enrique Díez Canedo, PROYECTO BOSCÁN: Catalógo de las Traducciones Españolas de Obras
Italianas (1300-1939), http://www.ub.edu/boscan [data dell’ultima consultazione: 24.2.2015].
506
170
curava la rubrica “Revista de Libros”, aggiungendo «es curiosísimo de todas novedades extranjeras, lee muy bien el italiano y es uno de nuestros mejores traductores»507.
È possibile supporre che i contatti tra Puccini e Canedo risalgano a questa indicazione unamuniana. Anche se lo spagnolo non tradusse mai nessuna opera di Puccini, curò il prologo di ¡Viva l’Anarquía!, tradotta da José Sánchez Rojas e da Rafael Cansinos Assens per la collana “La Novela para Todos” di Sempere. Scrisse vari articoli dove chiaramente espresse la sua stima per l’autore italiano facendo ammenda,
coram populo, dell’enorme debito che la letteratura spagnola contemporanea aveva
contratto con il letterato che la prefazione al romanzo tradotto da Rojas e Cansinos Assens saldava solo in parte:
La traducción de este libro – el primero de Mario Puccini que aparece en lengua española y, seguramente, no el último – no significa tan sólo el pago de una deuda de gratitud. Sabido es, que entre los escritores italianos que hoy presentan decidida attención a las lettras de España, Mario Puccini ocupa un lugar muy señalado. Y que, entre nosotros, sus crónicas de «La Pluma» son algo más que información escueta de novedades; son perspectivas abiertas hacia el alma de un gran pueblo que ha transitado siempre al nuestro sus vibraciones y del que, a decir verdad, nos habíamos alejado un poco. Bastarían estas razones para justificar el transplante de
¡Viva l’Anarquía!, si no existiesen otras más poderosas y sustantivas: el proprio
valor del libro, su personalidad, reveladora de un aspecto, interesante para todos, de la inquietud universal508.
Il sodalizio intellettuale dei due è testimoniato anche dalle numerose dediche autografe apposte da Puccini a Canedo nei libri, che probabilmente gli appartennero, conservati presso la BNE509.
507
Miguel de Unamuno a Mario Puccini, lettera del 16 gennaio del 1920, contenuta in FMP e parzialmente riprodotta in Vicente González Martín, La cultura italiana en Miguel de Unamuno, cit.,