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Il mestiere d’editore nelle lettere e nelle memorie di Mario Puccini

La consultazione dell’Archivio Lucini, in unione con la conseguente ricostruzione del carteggio Puccini-Lucini, ci ha permesso di riportare fino a noi la voce di Mario Puccini che paradossalmente era muta nel Fondo a lui dedicato presso l’Archivio Bonsanti di Firenze. Proprio dall’epistolario con il poeta di Breglia ci giungono le prime riflessione dell’editore sul suo mestiere.

Affidate alla corrispondenza privata, le poco estese, ma ricorrenti, osservazioni che Puccini compie sulle proprie fatiche si segnalano subito per sincerità e spontaneità, soprattutto se comparate ai ricordi, pensati per la pubblicazione, che egli consegnerà agli Incontri contenuti nel Piccolo Mastro Spirituale del 1916: prima memoria d’editore del Novecento.

L’opera, già variamente citata nel corso di questo scritto, inaugura una serie di profili d’autore che Puccini pensava di continuare a pubblicare nel corso della sua carriera d’editore, ma venendo meno quest’ultima, i profili furono solo dieci, divisi in due sezioni: Incontri di editore e Incontri di poeta, in quest’ultima vi rientrarono talvolta profili di autori che Mario ebbe modo di conoscere anche per ragioni editoriali401. Gli Incontri di poeta sono, nel mondo in cui vengono scritti e pensati, del tutto simili agli Incontri d’editore, poiché questi raramente restituiscono considerazioni tipicamente editoriali ma solo si limitano a chiarire, spesso sotto trasfigurazione letteraria, le circostanze dell’incontro con l’autore.

Dalle poche e allusive frasi dedicate alla gestione della Casa Editrice, il Puccini del Piccolo Mastro ci appare un editore scopritore di talenti, soprattutto poetici – «Finché scopersi Melitta. Lipparini la teneva nascosta […] ed io la strappai da un legame di carte inutili e fotografie»402, dirà della prima opera poetica da lui pubblicata fingendo di non sapere che Melitta era già stata affidata alle pagine della rivista marinettiana – disposto ad investire e a rischiare anche con la pubblicazione di poeti assolutamente ignoti403.

401 Si pensi per esempio a Govoni e Linati, entrambi avvicinatisi a Puccini proprio in quanto editore. 402

Mario Puccini, Piccolo Mastro Spirituale, cit., p. 101.

403

«Giunse, un giorno, e gualcita, sbiancata, come stanca di lungo pellegrinaggio, una lettera da Alessandria d’Egitto. Era un poeta nuovo. Si proponeva con una certa albagia, pur timido: e aveva nome ignoto e recava un manoscritto di lieve peso. Lessi: c’era davvero un poeta vivo, nelle pagine ben legate: con soffio di primitività dolente e come conscia di tragicità: Enrico Pea» (Ivi, pp. 103.104).

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Un editore non curante del ritorno economico e anzi proclive a riconoscere agli autori il posto che spettava loro in letteratura e nella gestione della propria Casa, come avvenne con Lucini, ma soprattutto con Capuana: «Capuana mi venne incontro timido ed io lo venerava maestro: e mi fu umile di parole, laddove io lo avrei voluto superbo e signore. E lo amai, fattogli il posto che gli conveniva, egli che era nato per rendere gaia una generazione e il mondo non gli badava»404.

Quando scrisse il Mastro, Puccini dovette sicuramente aver avuto in mente il primo ed unico precedente di memorie editoriali italiane, ovvero quelle scritte da Gasparo Barbera, delle quali ci parlerà in un suo articolo dedicato all’editore quattro anni dopo405, ma sicuramente non poteva prevedere l’uscita, da lì a dieci anni, di altre celeberrime considerazioni autobiografiche d’editore, quelle di Piero Gobetti, alle quali per certi versi, le memorie di Puccini si avvicinano, pur tradendo una minor consapevolezza.

Il marchigiano tenta di consacrarsi nella pubblica memoria come un editore totalmente fedele alla causa culturale e quasi non curante dei rischi commerciali e della ragione di mercato, secondo lo stereotipo di editore di cultura dell’epoca. Solo dieci anni più tardi, Gobetti additerà come editore ideale colui che saprà impersonare sia il ruolo d’artista sia quello di commerciante riuscendo a dominare il giro degli affari per mantenere florida la propria impresa406. Mentre Puccini prova quasi risentimento per il lato economico del mestiere, Gobetti ne rivendica la centralità, rimarcando la peculiarità della figura dell’editore di cultura, il quale si inserisce a metà strada fra la vocazione culturale e l’esigenza economica. Ambivalenza, che il Nostro vive quasi in termini di conflitto, come appare chiaro nella corrispondenza privata, dove l’aspetto economico dell’impresa editoriale è invece il grande protagonista.

Nelle lettere a Lucini compaiono tutti gli ostacoli contro i quali deve confrontarsi un’impresa culturale e tutti i compromessi che l’ideale letterario deve saper stringere con la ragione di mercato. Emerge nel filo della corrispondenza privata quel «nodo persistente» nella storia editoriale italiana «costituito dalla discrepanza tra le

404

Ivi, p. 105.

405 Nell’articolo Puccini annuncia che anche il figlio di Gasparo, Piero Barbera, era in procinto di

pubblicare delle memorie e, ben conscio del valore culturale del mestiere, esprime il desiderio che tutti gli editori lo imitino: «Mentre Piero Barbera intende raccogliersi, forse per darci, come fervidamente ci auguriamo (oh se tutti gli editori lo imitassero!) un volume di memorie, non meno interessanti delle paterne» (Mario Puccini, Barbera, «I Libri del Giorno», ottobre 1920, p. 524).

406 Cfr. Piero Gobetti, L’editore ideale. Frammenti autobiografici con iconografia, All’insegna del pesce

141 potenzialità e le ambizioni degli operatori del settore e le concrete capacità di assorbimento dei diversi segmenti di mercato ai quali essi hanno fatto (e fanno) riferimento»407che l’autoritratto consegnato alla pubblicazione cercava invece di nascondere.

Dalla nostra ricostruzione sull’attività editoriale di Puccini sappiamo bene che questi non fu esattamente l’editore di poesia che tentò di consacrarsi con la scrittura del

Mastro nel 1916. Egli oppose infatti un fermo diniego alle offerte poetiche di Lucini –

«[…] della poesia non voglio più farne, più più» (Appendice, sezione II, lettera XXI) – e quando accettò qualche opera poetica lo fece a patto che l’autore si assumesse tutte le spese di edizione. Emblematico in tal senso fu il caso Pea e tutti i dissapori che ne seguirno, i quali non si limitarono ad avvelenare i rapporti tra l’editore e l’autore, ma finirono per coinvolgere anche il mediatore dell’impresa, un allora sconosciuto Ungaretti408. In fine ricordiamo ancora il già visto caso di Govoni, che venne accettato e respinto per ben due volte nonostante il poeta fosse disponobile a farsi carico dei costi d’edizione.

Se questi episodi non fossero sufficienti a chiarire in quale misura il travestimento letterario da mecenate di poesia offerto negli Incotri sia lungi dalla relatà dei fatti, citiamo le stesse parole di Puccini rivolte a Lucini quando decise di riproporsi al Melibeo in veste d’editore: «Una volta mi proponeste dei versi; ma i versi, credetemi, sono la peggior merce che dio e il diavolo aiutino a creare; che a spacciarla non valgono nemmeno le trombe più squillanti»409. Di contro Lucini – lui sì, veramente ignaro a qualunque ragione di mercato – cercherà comunque di pubblicare Nuove Revolverate nonostante gli avvertimenti dell’editore che si vide costretto a rispondere seccamente: «versi, no; abbiamo visto – e ve lo dicevo – che sono quattrini buttati»410.

In un’altra lettera Puccini confida a Lucini alcuni aspetti di quella che in epoca contemporanea si è venuta chiamando “mediazione editoriale”, etichetta che riassume in due parole il lungo cammino storico e culturale che porta un libro dalla scrittura alla

407 Enrico Decleva, “Editore in Italia: un mestiere difficile”, in Alberto Cadioli, Enrico Decleva, Vittorio

Spinazzola (a cura di), La mediazione editoriale, cit., p. 56.

408 Si rimanda al già varimente citato recente lavoro di Francesco de Nicola: Giuseppe Ungaretti, Lettere dal fronte a Mario Puccini, cit.

409 AL, busta 49, fascicolo t, c. 594. Riproduzione fotostatica della lettera. 410

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lettura nel quale l’editore svolge il ruolo del protagonista e si gioca il successo della sua impresa411:

La mia pratica di tre e più anni mi insegna che il pubblico legge; ma che ha opinioni e simpatie tutte sue, a cui l’editore deve prestare ascolto… certo che io potrei essere elemento utile, nel modo che voi dite, anzi è forse codesta via quella in cui †…†, con maggior profitto, incamminarmi. Ed io conosco l’amore di ciascun libraio, ne so ormai la psicologia. Siccome i librai saranno sempre quelli non sarà per me difficile giudicarli tutti in una volta. Certo la clientela è ottima (ricordo il Ricciardi quel che me ne disse: ma come ha fatto lei, mi disse, in così poco tempo a trovarsi i migliori librai d’Italia?). Ricorsi a tutto e a tutti, non mi importò di seccare amici e conoscenti. Figuratevi che ci sono delle città, nel mezzogiorno d’Italia, in cui il libro non si vede, non si legge. Ebbene, io ho cercato delle cartolerie attive ed onestissime e il mio libro in quei paesi si vende più che altrove; appunto perché gli altri editori non v’hanno – e non v’avrebbero – messo piede. Questo tanto per darvi un’idea della mia attività412

.

Dunque, quel volto privato, a cui l’autore non aveva voluto concedere spazio disvelatoci dalla corrispondenza, ci mostra un Puccini editore più interessante di quanto non ci appaia – così avviluppato in quella trasfigurazione letteraria a metà strada tra l’almanacco e il bollettino informativo della Casa Editrice – nel Piccolo Mastro.

Egli fu un editore a tutto tondo, sì impegnato nella causa culturale, ma comunque attento al rientro economico che, nonostante l’inesperienza, la giovane età e la marginalità della sede in cui operava, seppe spingersi oltre i confini del regno editoriale, a sud della Penisola, alla ricerca di un mercato in luoghi che altri editori volutamente ignoravano, pagò però il fio della sua avventura all’epoca in cui la esercitò. Se nel primo quindicennio del XX secolo era ancora tollerata una certa dose di improvvisazione ed eclettismo editoriale, con la conclusione del primo conflitto mondiale nella professione d’editore si fece sempre più necessaria una maggior pianificazione, soprattutto economica, e si assistette ad una diffusa e crescente partecipazione di finanziamenti esterni per portare avanti gli impegni programmati413. Puccini, con la sua gestione decisamente troppo impressionistica per la nuova epoca editoriale incipiente, rimase tagliato fuori dai giochi.

411

Cfr. Enrico Decleva, “Editore in Italia: un mestiere difficile”, in Alberto Cadioli, Enrico Decleva, Vittorio Spinazzola, La mediazione editoriale, cit., p. 47.

412 Appendice, sezione I, Lettera V.

413 Cfr. Enrico Decleva, “Editore in Italia: un mestiere difficile”, in Alberto Cadioli, Enrico Decleva,

143 A seguito del primo conflitto mondiale si muovevano i primi passi verso un sistema editoriale dai più marcati connotati industriali, che si sarebbe pienamente avviato nei successivi anni ’50-’60, nel quale il letterato nonostante non potesse più essere il titolare dell’impresa, tuttavia non abbandonava l’editoria, ma semplicemente si ricollocava all’interno dell’organigramma aziendale: cresceva, già a partire dal 1945, il loro numero nei consigli aziendali, nelle redazioni o nella direzione di collane414. Quello stesso processo di industrializzazione che portò i letterati dalla presidenza ai consigli redazionali dell’impresa, finì per emarginarli negli anni Ottanta, aprendo le porte ai manager editoriali venuti a sostituirli415.