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La storia e la memoria dell’editoria: Editori dell’ultimo ventennio e Milano

Milano i suoi editori, i suoi librai.

Cessata l’attività d’editore, Mario Puccini continuò comunque a gravitare nello stesso settore: come si disse, negli anni ’20 fu il direttore della collana I Migliori

Novellieri del Mondo per la romana Urbis di Camilluci e Stella e divenne collaboratore

di una delle prime riviste nate per l’editoria: «I Libri del Giorno» di Treves che nacque proprio nell’ottica di una fase di maggior organizzazione delle case editrici, a breve distanza da «L’Italia che Scrive» di Formiggini, altro periodico sull’editoria considerato, anche se non unanimemente, il movente della rivista milanese.

Più che stabilire il grado di originalità ed indipendenza della risposta di Treves al periodico romano416, interessa in questa sede rilevare quanto i tempi fossero maturi per avviare un discorso aperto sull’editoria, che ne diffondesse tutti gli aspetti che essa implicava, dalla promozione di nuove opere ai bollettini informativi, dai problemi di produzione ai gusti del pubblico.

La coincidenza di Treves e Formiggini nel creare una piattaforma di battito editoriale che avesse l’obiettivo di mettere in contatto editori, autori, librai e pubblico,

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Cfr. Gabriele Turi, “L’intellettuale tra politica e mercato editoriale: il caso italiano”, in Albero Cadioli, Enrico Decleva, Vittorio Spinazzola (a cura di), La mediazione editoriale, cit., p. 72.

415 Si legga in proposito Vittorio Spinazzola, Le modernità letteraria. Forme di scrittura ed interessi di lettura, cit., pp. 132-139. Per un quadro più completo e dettagliato si rimanda a Gian Carlo Ferretti, Storia dell’editoria letteraria in Italia. 1945-2003, cit., pp. 61-302 – per la parte relativa agli anni ’45-

70 – e pp. 303-431 per gli anni ’80-’90 e duemila.

416 Per le relazioni tra «L’Italia che Scrive» e «I Libri del Giorno» si veda Gianfranco Tortorelli, “Una

rivista per l’editoria. «I Libri del Giorno» 1918-1929”, in Id., Parole di carta. Studi di Storia

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ciascuno conformemente alla sua idea di mercato e della funzione dell’editore, dà testimonianza dello stato di transizione e di riassetto che attraversò l’editoria italiana dopo la Prima guerra mondiale. I due editori diedero vita a due periodici che scrissero la storia dell’editoria nel suo farsi, ma che non tralasciarono di descrivere le epoche trascorse in rubriche di approfondimento sulla storia dell’editoria: Editori ed artieri del

libro, per Formiggini e Editori dell’ultimo ventennio, per Treves.

La rubrica romana fu meno fortunata della milanese. Gli interventi apparvero sporadicamente ed in modo piuttosto casuale, spesso scritti dallo stesso Formiggini o, così come non mancarono autorecensioni dagli stessi autori dei libri, talvolta furono i medesimi editori a raccontare la storia della propria casa editrice. La scarsa fortuna della rubrica si deve, probabilmente, sia alla stretta affinità con un’altra proposta nelle medesime pagine, Confidenze degli editori, nella quale si potevano leggere notizie aggiornate sulle pubblicazioni e la linea di mercato delle case editrici, sia al contemporaneo avvio della rubrica di Treves affidata alle cure di Mario Puccini, che pubblicò interventi senza soluzione di continuità dal marzo del 1920 al febbraio del 1922417.

Nello spazio di due anni Puccini traccia il profilo storico di dodici case editrici concludendo la sua collaborazione con un articolo su una conferenza sulla professione dell’editore418. L’obiettivo degli interventi viene spiegato dall’autore nell’articolo dedicato alla casa editrice Sandron: «Ma non è nostro compito indagare qui le origini delle case editrici italiane: sì piuttosto considerare il moneto attuale che esse attraversavano e la loro influenza nell’ultimo ventennio: in qualunque campo esercitata»419.

417 Cfr. Gianfranco Tortorelli, «L’Italia che Scrive» 1918-1938. L’editoria nell’esperienza di A. F. Formiggini, Franco Angeli Editore, Milano, 1996, p. 56.

418 Diamo in nota gli estremi bibliografici degli interventi pucciniani che verranno trattati nel loro

complesso nel corso del paragrafo: Mario Puccini, Emilio Treves, «I Libri del Giorno», III, marzo 1920, pp. 117-118; Id., Laterza, «I Libri del Giorno», V, maggio 1920, pp. 240-241; Id., Carabba, «I Libri del Giorno», VI, giugno 1920, pp. 296-297; Id., Sandron, «I Libri del Giorno», VIII, agosto 1920, pp. 405-406; Id., Barbera, «I Libri del Giorno», X, ottobre 1920, pp. 522-524; Id., “La Voce”, «I Libri del Giorno», I, gennaio 1921, pp. 11-12; Id., Zanichelli, «I Libri del Giorno», III, marzo 1921, pp. 121-122; Id., I Giusti, «I Libri del Giorno»,, IV, aprile 1921, pp. 176-177; Id., Lemonnier, «I Libri del Giorno», VIII, agosto, 1921, pp. 406-407; Id., Bocca, «I Libri del Giorno», XI, novembre 1921, pp. 574-575; Id., Paravia, «I Libri del Giorno», XII, dicembre 1921, pp. 629-630; Id., Ricciardi, «I Libri del Giorno», II, febbraio 1922, pp. 76-77; Id., Una conferenza sulla professione dell’editore, «I Libri del Giorno», XII, dicembre 1922, pp. 621-622.

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145 Le parole di Puccini, interpretate come una excusatio non petita per giustificare le possibili imprecisioni nella ricostruzione420, spiegano, in realtà, come la riflessione storica non fosse il solo obiettivo della rubrica, la quale infatti voleva concedere maggior spazio all’analisi dell’evoluzione dell’editoria in rapporto con le sue manifestazioni nell’attualità, riinserendo così gli interventi nella vocazione militante dell’intera rivista.

Complessivamente gli articoli sono stati giudicati da Tortorelli, l’unico storico dell’editoria che se ne sia occupato, come poco rilevanti, eccezion fatta per l’articolo dedicato a Treves, che viene variamente citato ed analizzato dallo studioso. Riportiamo il giudizio dello storico:

Gli altri numerosi articoli di Puccini non contengono ricostruzioni di particolare rilievo e piuttosto potrebbero essere ricordati per qualche spunto felice dell’autore. Come, ad esempio, l’osservazione sulla casa editrice Laterza, capace, pur restando fedele al programma filosofico e storico di Benedetto Croce, di accogliere le fatiche di studiosi appartenenti a scuole diverse […], o il ricordo della breve, ma intensa attività de «La Voce»421.

Ci permettiamo di dissentire con il giudizio sopracitato. A nostro avviso, non solo la ricostruzione in sé risulta essere originale e lungimirante per i tempi – essendo la prima volta che si cercava di tracciare un profilo evolutivo dell’editoria italiana – ma anche i criteri e i modi scelti da Puccini per raccontarci la storia dell’editoria sono degni di altrettanto interesse.

Ogni casa editrice viene inserita all’interno del panorama editoriale in cui opera, si chiariscono le linee di produzione di ciascuna; si tiene conto delle collane, dei sodalizi stretti con i letterati, del profilo tipografico dei libri editi e non mancano neppure considerazioni in merito alla geografia editoriale italiana.

Citeremo solo alcune delle considerazioni pucciniane per ciascuna categoria chiamata in causa, ma ribadiamo che esse sono presenti in tutti gli articoli. Le citazioni date servono a dare esempio di come effettivamente Puccini abbia affrontato il compito di tracciare l’evoluzione dell’editoria del primo ventennio del Novecento tenendo conto

420 Cfr. Gianfranco Tortorelli, “Una rivista per l’editoria. «I Libri del Giorno» 1918-1929”, in Id., Parole di carta. Studi di Storia dell’Editoria, cit., p. 53.

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Ivi, p. 54. Per quanto riguarda l’articolo scritto da Puccini sull’Edizione della Voce, segnaliamo che in FMP, si conserva una lettera di Prezzolini in cui è lo stesso editore – con la giusta reticenza in quanto specifica di non sentirsi pronto per scrivere le proprie memorie – su richesta di Mario, a tracciare brevemente le linee evolutive della Casa editrice. Si rimanda a FMP, lettera di Giuseppe Prezzolini a Mario Puccini, autografa, s.d., su carta intestata “Società An. Editrice La Voce. Roma”.

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di criteri indispensabili per un moderno studio della disciplina, che tradiscono non solo la profonda sensibilità e l’intuito del nostro primo storico in materia, ma anche la riflessione che egli fece sulla sua esperienza editoriale che lo portò ad aver chiaro quali fossero le linee che le case editrici di successo avevano adottato: nei vari elogi alla fedeltà incrollabile ad una linea precisa ci pare a nostro avviso di scorgere un chiaro

mea culpa.

Nell’articolo dedicato a Treves, su cui ci soffermeremo meglio in seguito, uno dei meriti di Puccini, riconosciutogli anche da Tortorelli, è quello di aver messo in rilievo il particolare contesto editoriale in cui viene ad operare, «un momento di nuovo sviluppo e potenzialità per l’editoria italiana»422

:

Quando Emilio Treves passò dalla letteratura all’editoria, il momento era assai difficile per ogni impresa commerciale […]. Non c’erano allora molti editori, in Italia: e quei pochi, nonché di coraggio, mancavano, se si tolgono il Barbera, il Lemonnier e qualche altro di cultura. […] Qualche giovane di ingegno tentava di lanciare o i libri propri o quelli di qualche amico: come il Perelli quelli di Carlo Dossi; ma, più che prove editoriali vere e proprie, erano rimedi per sopperire alla mancanza di editori; poiché il Dossi e il Perelli stampavano 150 esemplari e non li facevano quasi uscire da Milano. Emilio Treves divenne in questo tempo editore. Cominciavano a sorgere ingegni nuovi e scrittori non dispregevoli di letteratura narrativa: e il Treves li chiamò a sé, senz’altro. Forse egli stesso prediligeva questo tipo di letteratura: o forse comprese che, essendo il Barbera, il Pomba, il Lemonnier soprattutto editori del libro di cultura, sarebbe stato a lui più facile prendere le redini del volume di letteratura amena423.

Così come era essenziale guadagnarsi uno spazio editoriale nel quale poter far sentire la propria voce, come fece Treves per la letteratura amena, altrettanto importante era avere delle linee editoriali chiare, che conquistassero alla casa editrice la fiducia di una fetta di pubblico considerevole. Esemplare in questo fu Paravia:

Ma soprattutto è lodevole nel Paravia la fedeltà al programma essenzialmente scolastico: (Tutti sanno che nel materiale scolastico essa ha saputo in pochi anni uguagliare e forse sorpassare anche le più rinomate della Germania e dell’America) programma che fu severamente seguito dai primordi fino ad oggi e punteggiato di continuo per opera dei vari ispiratori da un cosciente e nobile fervore di italianità424.

422 Ivi, p. 53.

423 Mario Puccini, Emilio Treves, «I Libri del Giorno», III, marzo 1920, p. 117. 424

147 La fedeltà ad una linea di produzione doveva rispecchiarsi nelle collane proposte dalla casa editrice, la quale in definitiva acquista identità editoriale proprio sulla base di queste, come testimonia il caso di Carabba:

Ecco le sue collezioni. Dopo aver tentato alcuni libri letterari senza pretese, egli pensò a qualche collezione, moderna di spirito e di modi, per affermarsi ed acquistare un suo posto nell’editoria italiana. […] Chi non conosce le collezioni

Scrittori nostri e Cultura dell’anima, uscite allora dalla collaborazione dello

scrittore Papini e dell’editore Carabba? In Italia, mancava ancora una collezione a buon mercato, nella quale qualcuno pubblicasse, tradotti con cura e presentati con senno, autori italiani e stranieri, antichi e moderni425.

Oltre alla linea editoriale e alle collane, una casa editrice è essenzialmente anche i suoi autori, poiché si giova del valore simbolico che essi le apportano, dunque è fondamentale per un’impresa che voglia inserirsi nel panorama della cultura attirare a sé degli autori coi quali identificarsi426. Quindi, non appena decise di avviare la sua attività editoriale, il Ricciardi, si premurò di trovare un autore a cui appaiarsi:

Prima che nascesse a Firenze il giornale «La Voce» […], un giovane napoletano cultore di letteratura, bibliofilo attento e buon amico dei migliori scrittori e pensatori napoletani iniziava, quantunque con molta timidezza, una collezione editoriale. A Napoli, non c’era in fatto di poeti, pensatori e romanzieri, molto da scegliere. La Serao era già del Treves e del Perrella, Croce del Laterza; Scarfoglio non pubblicava più libri. C’era di Giacomo, e a di Giacomo il giovane editore si rivolse427.

Altro elemento identificativo di una buona casa editrice che ha a che fare stavolta con la materialità, sono le copertine, le scelte tipografiche insomma, perché a parte tutti i discorsi sulla simbolicità del bene libro, esso è sempre e comunque un oggetto inscindibile dalla sua materialità428. Inoltre le vesti tipografiche, quando sono

425

Id., Carabba, «I Libri del Giorno», VI, giugno 1920, p. 296.

426 Cfr. Pier Bourdieu: «Il suo capitale simbolico è iscritto in primo luogo, nella relazione con gli scrittori

e gli artisti che egli difende (un editore – diceva uno di loro – è il suo catalogo) il cui valore stesso si definisce nell’insieme delle relazioni oggettive che li uniscono e li oppongono agli altri scrittori o artisti; in secondo luogo nella relazione con gli altri mercanti e gli altri editori […]» (Pier Bourdieu, Le

regole dell’arte, cit., p. 238).

427 Mario Puccini, Ricciardi, «I Libri del Giorno», II, febbraio 1922, p. 76.

428 L’inscindibilità dell’aspetto materiale serve non solo allo studio dell’editoria, ma anche a quello della

letteratura, come precisa Roger Chartier: «Il primo limite sta nel fatto che esse (la Nouvelle Critique e teorie letterarie in genere) considerano molto spesso i testi come se esistessero di per se stessi, al di fuori della materialità (qualunque esse siano) che ne costituiscono il supporto e il veicolo. Contro questa “astrazione” dei testi, occorre ricordare che la forma in cui i testi vengono letti, ascoltati o visti partecipa anch’essa della costruzione del loro significato» (Roger Chartier, “La storia dell’editoria tra

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frutto di una seria riflessione, non seguono solo dei meri criteri estetici, ma ci rivelano, in superfice, l’animo profondo di una casa editrice. Citiamo l’esempio di Bocca:

Il tipo Bocca, nella sua sobrietà, è abbastanza personale quantunque più ci sembri lodevole nelle ultime che nelle prime collezioni. Le prime infatti, sebbene degnamente impresse, non possiedono un altrettanto felice aspetto esteriore: con quelle copertine alquanto funamboliche e però di dubbia serietà. Ma le collezioni ultime, come Il Pensiero greco, le Letterature moderne, la Civiltà contemporanea, sono invece assai più sobrie e decorose: e bene riflettono, anche nell’eleganza esteriore, i criteri severi di scelta che hanno sempre ispirato e ispirano il loro nobile editore429.

Concludiamo le citazioni con l’ultima importante, e per certi versi più innovativa, osservazione di Puccini che, in linea con la sua sensibilità per la geografia oltre che per la storia – di questo aspetto torneremo a dire qualche capitolo più avanti – muove alcune riflessioni in merito alla distribuzione geografica delle case editrici, soprattutto quando si trova a dover raccontare le vicende di un’impresa sorta nel deserto editoriale, come Sandron:

Lontane se non remote (1839) sono le origine della ditta Sandron. La quale, sebbene debba essenzialmente la sua fortuna alla solerzia e all’attività del vecchio Decio prima, del figlio Remo poi, non poco ebbe anche a giovarsi dell’atmosfera nella quale operò: che era, in fatto di tradizioni editoriali, addirittura vergine. I Sandron sono infatti di origine settentrionale: e il fondatore scegliendo come base della propria attività la Sicilia, non scelse a caso e ciecamente: ché sentiva di poter contare soprattutto in quell’epoca, su elementi non ancora provati e però più facilmente riducibili ai suoi disegni vasti ed intelligenti430.

Il valore degli interventi aumenta se si tiene conto di una affermazione che Mario Puccini esprime in una lettera ad Agnolo Orvieto: «Illustre signor Orvieto, non so se ha visto su “I Libri del Giorno” di Treves i miei profili di editore. Fanno parte di un libro che voglio scrivere sull’editoria dell’ultimo ventennio: e che credo necessario»431

. Il libro non ci fu, ma la volontà di scriverlo e soprattutto il sentimento della sua necessità fanno di Mario Puccini uno dei pochi protagonisti dell’editoria della prima metà del Novecento che abbia sentito il bisogno di lasciar testimonianza non solo della

critica letteraria e storia culturale”, in Alberto Cadioli, Enrico Decleva, Vittorio Spinazzola (a cura di),

La mediazione editoriale, cit., p. 10).

429 Mario Puccini, Bocca, «I Libri del Giorno», XI, novembre 1921, p. 575. 430 Id., Sandron, «I Libri del Giorno», VIII, agosto 1920, p. 405.

431 Fondo Agnolo Orvieto, Archivio Contemporaneo Alessandro Bonsanti, Gabinetto Storico Letterario

149 sua personale impresa, che presto preferì scordare per non provare troppa amarezza, ma di quell’affascinante settore dell’economia nostrana in cui non soltanto si producono quei beni particolari che sono i libri, ma si dà il passo alla storia della cultura di un paese e dunque, alla storia della letteratura. Questa consapevolezza mostrata in più punti nei suoi articoli, senza dover andare a sbirciare tra le carte del suo archivio, appare specialmente nelle parole che egli affida a Laterza:

La nostra industria è bella di per sé, e non parlo solo della nostra, ma dell’industria editoriale in genere; ma tanto più interessa, attrae ed avvince, quanto più sentiamo che il beneficio del nostro lavoro si estende: che non resta insomma soffocato qui dentro, tra i nostri scaffali e i nostri libri maestri: e che giova a tutti, ai giovani e ai vecchi, ai lontani e ai vicini. […] Perché la professione dell’editore è una funzione d’ordine morale ed intellettuale superiore: né si ferma ai tempi in cui nasce e si svolge. […] Laddove in altre industrie o imprese non va mai, o quasi, oltre l’epoca, in cui si matura. […] Per questo è necessario, nella nostra professione, una probità ed una coscienza, quale altrove non si richiedono: e che nulla hanno a che fare con la probità commerciale vera e propria432.

Una chiara coscienza editoriale quella di Puccini che abbozza tutte le linee di ricerca che saranno poi intraprese dallo studio sull’editoria avviato con maggior costanza e metodo a partire dagli anni Novanta del ‘900. Egli anticipa di fatto quello che è citato da molti come l’apripista degli studi, Eugenio Garin, il quale, in introduzione a Editori italiani tra Ottocento e Novecento, dedicava svariate pagine alla disamina della complessità dello studio dell’editoria, che si deve tradurre, non solo in un approfondimento storico, ma deve essere funzionale alla storia della cultura mettendo a fuoco quella complessa rete di forze al centro della quale si colloca l’editore433

. Concetti che da lì ad un decennio di studi si sarebbero trasformati nella formula della «vocazione globalizzante», usata da Jean-Yves Mollier per meglio definire la peculiarità della disciplina:

Poiché un editore fabbricava prodotti materiali e culturali, cioè libri, non si potranno ignorare lo stato della tecnica, il possesso o la mancanza di capitale, il carattere della legislazione, insomma tutti quei livelli di elaborazione del prodotto culturale che concorrono alla sua definizione. Sia che si parta dagli archivi di una azienda o dalla testimonianza di uno dei protagonisti, la ricostruzione deve essere l’obiettivo che ci si propone, sapendo che se lo storico quando scrive parla anche di se stesso, il suo controllo e la sua autonomia professionale gli devono consentire di

432 Mario Puccini, Laterza, «I Libri del Giorno», V, maggio 1920, p. 240.

433 Si rimanda a Eugenio Garin, “Avvertenza”, in Id., Editori Italiani tra Ottocento e Novecento, Laterza,

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cogliere il passato e di farlo rivivere. Crocevia di discipline, la storia dell’editoria non può sottrarsi alla sua vocazione globalizzante, il che è al tempo stesso la sua grandezza e la sua difficoltà; ma si impoverirebbe gravemente se tornasse ad essere semplice specializzazione di una delle storie di cui costantemente si nutre434.

Nonostante i pregi fino qui elencanti, agli articoli di Puccini non mancarono i difetti. Il primo lo si giustifica subito, in quanto dovuto al supporto materiale che dava spazio ad essi, ovvero la rivista. Questa, negando organicità alla trattazione, fa sì che gli articoli ci appaiano troppo vincolati alla ricostruzione di un’epopea personale, quella del singolo editore, piuttosto che a uno studio complessivo sull’editoria. Difetto che forse sarebbe stato corretto dal volume che Puccini aveva intenzione di pubblicare.

L’altro neo è rappresentato dall’eccessiva presenza, sebbene tra le righe, della committenza, cosa che non dovrebbe influenzare un vero storico in sede di ricostruzione.

Come gli autobiografici Incontri avevano avuto nelle lettere a Lucini il loro contraltare, così gli articoli usciti per la rivista di casa Treves ebbero, molti anni più tardi, le memorie editoriali affidate alle pagine di Milano, cara Milano!... (1957). Queste ci aiutano a decrittare il peso esercitato da casa Treves nella scelta e nell’argomentazione degli articoli.

Nel volume autobiografico l’autore ricostruisce il panorama editoriale milanese correggendo in un certo qual modo il quadro complessivo sull’editoria proposto negli