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I Victim Support nell’opinione degli operator

4. Le interviste e l’analisi del contenuto

4.4 I Victim Support nell’opinione degli operator

Uno dei temi affrontati dalla nostra intervista concerne l’opinione degli operatori riguardo alle esperienze dei Victim Support, centri di supporto alle vittime, che, da più di trenta anni, nei paesi anglosassoni, operano sul territorio grazie ad equipe specializzate, formate da professionisti e volontari, e che si rivolgono indistintamente a tutti coloro che versano in stati di sofferenza e bisogno in seguito alla commissione di un reato a loro danno.

Ma cosa sono i centri di supporto alle vittime?

I Centri di supporto alle vittime hanno lo scopo di offrire aiuto materiale, legale e psicologico a chi ha, sfortunatamente, subito un crimine restandone vittima.

In Gran Bretagna, paese precursore nell’ambito di tale istituzione, il servizio di sostegno alle vittime nasce nel lontano 1974 a Bristol e oggi è conosciuto, soprattutto, come Victim Support.

Il Victim Support214 è un servizio nazionale senza fini di lucro, è un centro d’ascolto e di primo

intervento che lavora in stretta collaborazione con il Ministero dell’Interno e la Polizia.

Il personale, che ha ricevuto un’adeguata formazione professionale, fornisce assistenza psicologica, informazioni e aiuto pratico a tutte le vittime di reato.

Il Victim Support britannico ha tre obiettivi principali:

1. fornire supporto e assistenza alle vittime, ai loro parenti e amici;

2. aumentare la consapevolezza dell’opinione pubblica in merito agli effetti provocati dal crimine; 3. promuovere i diritti delle vittime.

Sull’esempio dell’esperienza inglese, i centri di supporto alle vittime in Italia potrebbero offrire una serie di servizi alle vittime di reato che comprendono non solo il sostegno psicologico, ma anche la risoluzione di problemi di varia natura (quali l’essere seguiti nell’iter processuale o avere la possibilità di rivolgersi a professionisti e artigiani, sempre disponibili, sulla base della predisposizione di turni, in grado per esempio di sostituire una serratura forzata o un vetro infranto) che le vittime improvvisamente sono costrette ad affrontare, spesso senza possedere gli strumenti adeguati.

Il sostegno alle vittime e la possibilità di trattamenti psicosociali per le stesse non servono soltanto a mettere in atto dei tentativi che possano, con successo, comportare la rimarginazione delle ferite subite a causa dell’esperienza vittimizzante, ma vanno intese anche nell’ottica di prevenire nuove vittimizzazioni.

214 R. Sette, “Sicurezza urbana e centri di victim support”, in Balloni A. (a cura di ), Il vigile di quartiere a Milano,

Interventi di questo tipo a favore delle vittime di qualunque reato sono, indubbiamente, indispensabili se si pensa alla grave sperequazione di trattamento tra l’offensore, il reo e colui che invece subisce l’atto criminale.

Basti pensare al contesto penitenziario dove un autore di reato può usufruire di una serie di attenzioni e forme di sostegno, può essere oggetto di una particolare sorveglianza, soprattutto se il suo stato d’animo e il suo atteggiamento possono far temere la messa in atto di comportamenti autolesionistici; mentre per la vittima, paradossalmente, non accade nulla di tutto ciò: abbandonata a se stessa, non sa a chi rivolgersi nemmeno in casi di emergenza.

Bisogna qui sottolineare che la situazione italiana risulta del tutto peculiare rispetto, per esempio, a quanto accede nel contesto statunitense. Nel nostro paese, infatti, non esistono veri e propri victim

support e, comunque, le iniziative nostrane che possono essere lette in questi termini sono lontane

anni luce dalle esperienze d’oltre oceano, “con realismo creativo, occorre istituire centri di assistenza per la vittime in parallelo ai centri sociali per la devianza giovanile e per gli adulti autori di reato”215.

Emilio Viano ha recentemente sottolineato i numerosi mutamenti che, nel corso del tempo, hanno riguardato l’ambito del sostegno e dell’aiuto alle vittime. Rispetto agli anni ’70, infatti, negli Stati Uniti, nonostante permangano seri punti di debolezza quali, per esempio, “l’esistenza di una certa barriera razziale ed etnica nel fornire interventi e servizi a certi gruppi della popolazione”216, si possono oggi vantare una formazione professionale qualificata, finanziamenti più stabili e sicuri, una buona integrazione tra i vari settori che operano differentemente in questo settore quali forze dell’ordine, giudici, medici e psichiatri; si registrano dei cambiamenti significativi anche all’interno del contesto giudiziario. Le forze dell’ordine ricevono una sensibilizzazione maggiore in termini di intervento e sostegno alla vittima di reato, accorgimenti di natura logistica consentono poi una tutela maggiore alle vittime, come, ad esempio, la creazione nei tribunali di aule d’attesa separate per l’accusato e i testimoni, i familiari o le vittime stesse. L’informazione relativamente all’iter giudiziario, il rimborso spese che consenta la partecipazione al processo e l’assistenza economica ai meno abbienti217 rappresentano una serie di conquiste che l’Italia non è ancora in grado di vantare. Le risposte, a proposito dei centri di victim support, non sono unanimi. Anche se c’è da premettere che il maggior numero degli intervistati dichiara di non conoscere queste realtà e alcuni di questi preferiscono puntualizzare che dovrebbero maggiormente documentarsi riguardo a queste tematiche

215 R. Sette, S. Vezzadini (a cura di ), “Quale sostegno per quali vittime?”, tavola rotonda con: Augusto Balloni, Gemma

Marotta, Monica Raiteri, Raluca Simion, Emilio Viano in Balloni A., Bisi R. (a cura di), Processi di vittimizzazione e

reti di sostegno alle vittime, Franco Angeli, 2008. Anno VII - Numero 1/2008 Rivista Salute e Società, p. 96.

216 Ivi, p. 108.

217 R. Sette, S. Vezzadini (a cura di ), “Quale sostegno per quali vittime?”, tavola rotonda con: Augusto Balloni, Gemma

Marotta, Monica Raiteri, Raluca Simion, Emilio Viano in Balloni A., Bisi R. (a cura di), Processi di vittimizzazione e

prima di fornire delle risposte esaurienti, tuttavia per una parte di intervistati, corrispondente grosso modo alla metà, l’esperienza dei victim support è da ritenersi positiva anche perché connessa all’esigenza di avere uffici preposti a livello locale, territoriale in grado si occuparsi anche di reati minori.

Per alcuni in particolare si tratta di una iniziativa “assolutamente positiva […] un’esigenza di

mantenere un filo conduttore e di non spezzettare la rete che si può creare a favore delle vittime in genere, in tante branche. Per arrivare a questo il connubio, l’intreccio, la collaborazione tra il professionista e il volontario rappresentano un elemento fondamentale”218; l’idea di avere a

disposizione un aiuto, per quanto possibile, immediato e capillare, senza particolari distinzioni ed evitando interventi settoriali e particolaristici è sicuramente vincente per molti dei nostri intervistati purché si assicuri, all’interno di tali centri, la presenza di professionisti adeguatamente formati, con competenze specifiche che possano spaziare dalla medicina alla giurisprudenza, e che siano in grado di comprendere, valutare e perciò affrontare le diverse forme di vittimizzazione non solo in base al danno subito, ma anche alla percezione soggettiva della vittima che manifesta reazioni differenti ad eventi diversi fra loro, a prescindere dalla maggiore o minore gravità del reato subito. Coloro invece che si dichiarano contrari ai centri di supporto alle vittime lo sono proprio per il fatto che questi centri vengano definiti come a-specifici, ossia rivolti ad una pluralità di vittime, indifferentemente dal reato subito. Secondo la maggior parte di essi, infatti, è necessario un discorso specifico per ciascuna tipologia di vittima, non possono essere accomunate le vittime di reati assai diversi tra loro; un intervistato, pur sostenendo di non avere una chiara conoscenza delle esperienze anglosassoni, le paragona ad un “minestrone”, un altro ritiene che i centri che, come questi, si occupano di molteplici forme di vittimizzazione non riescono a trattarne in maniera adeguata nessuna. Emerge perciò la necessità, da parte dei nostri intervistati, di un intervento specifico che sappia tener conto delle sofferenze di peculiari categorie di vittime e ciò soprattutto avendo particolare cura nei riguardi della violenza alle donne che non può assolutamente, secondo gli intervistati, essere assimilata ad altri tipi di vittimizzazione, in quanto il delicato percorso di recupero richiede professionalità molto specifiche e competenti in materia, in grado di accompagnare gradualmente la vittima auspicando il ritorno alla normalità.