• Non ci sono risultati.

L’indagine empirica in vittimologia

3. La ricerca in ambito vittimologico

3.1 L’indagine empirica in vittimologia

Da un punto di vista meramente teorico la definizione di vittima può essere interpretata a seconda dei diversi punti di vista e dei differenti orientamenti concettuali ma, da un punto di vista operativo, come può essere indagato l’ambito vittimologico?

In realtà esistono una serie di tecniche per studiare questo fenomeno, tecniche di indagine metodologica che afferiscono tanto alla dimensione della ricerca qualitativa quanto a quella della ricerca quantitativa.

Cronologicamente abbiamo più volte ricordato che la vittimologia nasce, come disciplina, intorno agli anni ’50, per esattezza sul finire degli anni ’40, grazie ai contributi di importanti pensatori quali B. Mendelsohn e H. Von Hentig.

Tra il finire degli anni ’50 e la metà degli anni ’70 iniziano a fiorire le prime ricerche empiriche che hanno come oggetto di studio le vittime del crimine.

In particolare per quanto concerne le ricerche in ambito vittimologico, che possono essere classificate come indagini micro - sociologiche “le quali rivolgendosi all’analisi delle dinamiche autore-vittima di reato entro specifiche tipologie di delitto, richiedono l’impiego di un campione di indagine piuttosto circoscritto e perciò non universalmente rappresentativo, producendo risultati validi soltanto rispetto alla popolazione di riferimento”94, dobbiamo menzionare il lavoro di M. E. Wolfgang del 1957 e di M. Amir del 1971.

Come sottolinea A. Saponaro “queste ricerche micro-sociologiche erano dirette a verificare l’assunto, intuito ma non sviluppato adeguatamente sul piano teorico né provato sul piano empirico da Von Hentig stesso, secondo cui il crimine era costituito da una mutuale interazione e reciproca influenza tra il criminale e la vittima”95

La ricerca di M. E. Wolfgang ha come oggetto di studio gli omicidi commessi a Philadelphia tra il 1948 e il 1952. In questa occasione l’autore introduce il concetto di “victim precipitation” (victim -

precipitated criminal omicide) in base al quale la vittima riveste un ruolo fondamentale nella

dinamica criminale, essendo lei per prima ad innescare, in determinate situazioni, l’interazione violenta e a far precipitare gli eventi con il suo comportamento.

94 S. Vezzadini, La vittima di reato tra negazione e riconoscimento, Clueb, Bologna, 2006, pp. 105-106. 95 A. Saponaro, Vittimologia, Giuffrè, Milano, 2004, p. 134.

Wolfgang analizza 588 omicidi, traendo le informazioni dagli archivi della polizia di Philadelphia e conclude che il 26% degli omicidi sono riconducibili al concetto di victim precipitation; “si ha <<precipitazione>> qualora la vittima sia stata la prima ad impiegare forza fisica direttamente contro colui che ne provocherà infine la morte, ossia la prima ad iniziare un’interazione contrassegnata dal ricorso alla violenza>>96.

Dalle analisi svolte l’autore deduce che il rapporto autore-vittima riguarda spesso una situazione di conoscenza pregressa, dato che i protagonisti sono legati da rapporti di parentela o da relazioni affettive, e che il dissidio ha origine, in molti casi, da un banale litigio poi degenerato.

Qualche tempo più tardi, sempre nell’ambito delle ricerche micro sociologiche, un allievo di Wolfgang, M. Amir,97 decide di studiare il concetto di “victim precipitation” in relazione al delitto di stupro e definisce i reati di violenza sessuale “provocati dalla vittima”, riferendosi a quelle circostanze in cui il comportamento della vittima ha avuto un peso rilevante.

Anche Amir realizza una ricerca, oggetto poi di aspre critiche, nella città di Philadelphia analizzando i rapporti di casi di stupro dal 1958 al 1960, tratti dagli archivi della polizia. Da questi archivi l’autore cerca di selezionare i casi in cui era ravvisabile una situazione di victim

precipitation, quelli in cui la vittima rappresentava la scaturigine dell’azione criminale.

Egli attribuisce un’importanza determinante a precise caratteristiche della vittima, in base alle quali l’aggressione sessuale ha più probabilità di verificarsi.

Queste caratteristiche che concernono la cattiva reputazione della vittima, l’abuso di alcool, l’incontro in luoghi pubblici, la conoscenza superficiale tra vittima e reo, il modo di vestire della vittima, il linguaggio, ecc. possono, secondo l’Autore, rappresentare, agli occhi dell’offensore, un esplicito invito.

Secondo Amir “si è in presenza di casi di <<victim precipitation>> qualora la vittima abbia dapprima effettivamente, oppure solo in modo presunto, acconsentito al rapporto sessuale, revocandone successivamente il consenso prima della sua concreta realizzazione o qualora non abbia reagito in modo sufficientemente deciso quando l’aggressore ha suggerito o proposto l’atto sessuale”98.

Il concetto di victim precipitation ha ricevuto nel tempo numerose critiche perché sembra raffigurare una situazione relazionale nella quale l’offensore assume un ruolo quasi passivo; l’aggressore sembra, infatti, essere provocato esclusivamente dalla vittima, la quale determina, con il suo atteggiamento, il corso degli eventi a suo sfavore. Nonostante ciò, queste ricerche rappresentano due pietre miliari nella storia della vittimologia.

96 S. Vezzadini, La vittima di reato tra negazione e riconoscimento, Clueb, Bologna, 2006, p. 106 97 M. Amir, Patterns of forcible rape, University of Chicago press, Chicago, 1971.

Tali indagini hanno consentito, nel corso del tempo, una serie di riflessioni importanti, a partire dalle quali si può far luce sui ruoli complementari che rivestono l’autore e la vittima di reato nel corso di un’interazione criminale.

A partire dagli anni ’70 si assiste ad un nuovo modo di fare ricerca in vittimologia, infatti, con le inchieste di vittimizzazione si passa da un livello di ricerca micro sociologico ad un livello macro sociologico.

Le inchieste di vittimizzazione, o Victimization Survey, sono ricerche empiriche su vasta scala che nascono con l’intento di superare i limiti dell’approccio micro – sociologico, il quale spesso si avvale di un campione non esattamente rappresentativo e giunge, pertanto, a risultati poco generalizzabili.

Tali strumenti di indagine nascono con lo scopo di determinare non solo la dimensione delle esperienze di vittimizzazione e la loro distribuzione spaziale, ma di delineare altresì un profilo delle vittime al fine di conoscerne caratteristiche e vulnerabilità e per stimare l’eventuale rischio differenziale cui diverse categorie possono maggiormente essere esposte rispetto ad altre. Queste inchieste non soddisfano esclusivamente le esigenze della ricerca vittimologica in senso stretto, ma svolgono un ruolo importante anche in criminologia perché consentono di ottenere un numero maggiore di informazioni sul numero oscuro, ossia il numero di reati che, per una serie di motivi più disparati, non viene alla luce nelle statistiche ufficiali della criminalità.

Queste ricerche empiriche, infatti, sono state progettate “come specifico strumento di ricerca, diretto a soddisfare sia le esigenze della criminologia (..) di studiare la criminalità nascosta ed i reati non registrati, sia le esigenze della vittimologia dirette a determinare il rischio differenziale di vittimizzazione ed il profilo socio-demografico della vittima e la correlazione con il crimine di indicatori come l’età, il sesso, il reddito e così via della vittima stessa”99.

Come ricorda A. Saponaro, le inchieste di vittimizzazione rappresentano uno strumento di ricerca che consente di raccogliere preziose informazioni in quanto “non sono uno strumento di misurazione semplicemente della criminalità nascosta, ma uno strumento che permette di misurare quantitativamente, simultaneamente, la criminalità reale, quella <<ufficiale>>, ovvero denunciata alla polizia, ed il numero oscuro”100; per di più esse “consentono di approfondire lo studio della distribuzione geografica e temporale dei delitti, forniscono significative descrizioni dei crimini ponendo in luce caratteristiche che sfuggono all’analisi penale e si rivelano, infine, un valido strumento per quanto attiene l’elaborazione di strategie di prevenzione e repressione, ossia di controllo e di contrasto alla criminalità”101.

99 A. Saponaro, op. cit., p. 155. 100 Ivi, p. 157.

Per ottenere questo tipo di informazioni è necessario rivolgersi direttamente alle vittime. Lo strumento più consono per il reperimento dei dati è il questionario, che può essere somministrato ai cittadini secondo diverse modalità, quali l’intervista faccia a faccia, il questionario inviato per posta o l’intervista telefonica; attraverso questo strumento, somministrato ad un campione rappresentativo, si cerca di ottenere il maggior numero di informazioni sulle esperienze di vittimizzazione subite dai cittadini, relativamente ad un determinato periodo di tempo.

Questo modo di fare ricerca ha origine negli Stati Uniti, è la President’s Commission on Law

Enforcement and Administration of Justice a decidere di sperimentare lo strumento delle indagini di

vittimizzazione al fine di valutare l’entità del numero oscuro dei reati.

Qualche anno più tardi, agli inizi degli anni ’70, nasce la National Crime Victimization Survey, realizzata su un campione rappresentativo di 72.000 famiglie.

In Italia la prima indagine di vittimizzazione, l’indagine sulla sicurezza dei cittadini, è stata realizzata dall’Istituto di statistica nazionale tra il 1997 e il 1998 e ha coinvolto 50.000 famiglie, mentre la seconda, a distanza di cinque anni, nel 2002 e la terza nel 2007.

Dalle prime inchieste italiane emerge che solo il 35.7% dei reati consumati o tentati è a conoscenza delle forze dell’ordine. Le donne sono maggiormente soggette al rischio di subire scippi o borseggi, mentre gli uomini hanno più probabilità di diventare vittime di rapine o di minacce. Per quanto concerne poi la distribuzione territoriale, il numero maggiore di vittime si registra nelle zone metropolitane e, in particolare, il sud e le isole d’Italia si caratterizzano per un numero maggiore di reati violenti, mentre al centro nord si hanno più borseggi e diverse tipologie di furti102.

I problemi di natura metodologica nonostante, nel corso degli anni, si siano susseguite diverse generazioni di inchieste, soprattutto negli Stati Uniti, restano numerosi.

In primo luogo permane il problema connesso alla rappresentatività del campione, indispensabile per ottenere dati incontrovertibili, seguono poi una serie di difficoltà relative alla specificità del campione. Il fatto che le inchieste vengano rivolte a strati di popolazione residenti in un determinato luogo esclude automaticamente i gruppi più emarginati della società, che presentano tuttavia un maggiore rischio di vittimizzazione.

Altre variabili possono significativamente incidere su una rilevazione statistica realizzata mediante le victimization survey quali, per esempio, la credibilità, l’attendibilità delle risposte e la percezione soggettiva dei diversi episodi di vittimizzazione, inoltre un dato da non sottovalutare è rappresentato dall’età del campione. L’età degli intervistati, infatti, non può scendere al di sotto dei 12 anni negli Stati Uniti e dei 14 nel nostro Paese. Questa scelta metodologica, connessa anche ad un preciso orientamento volto alla tutela del minore, comporta l’esclusione di un nucleo di popolazione che

invece risulta, nella letteratura vittimologica e non solo, particolarmente soggetto ad un rischio maggiore di vittimizzazione e che sarebbe interessante, proprio per questo motivo, intervistare. Per questi motivi le inchieste di vittimizzazione non rappresentano un metodo di indagine del tutto attendibile e affidabile; tuttavia, pur presentando dei limiti, questi “non sono tali da decretarne l’inutilità. Uno strumento di misurazione assoluta della criminalità reale, e cioè che consenta di rilevare tutti i crimini avvenuti senza il filtro soggettivo della percezione delle vittime, attualmente non è disponibile né forse lo sarà mai in futuro. Con le dovute cautele ed avvertenze, i dati offerti dalle inchieste di vittimizzazione sono perciò certamente utili sia all’analisi criminologica che vittimologica”103.

In questo lavoro, per quanto concerne la metodologia, l’aspetto quantitativo e l’aspetto qualitativo vengono integrati, fusi insieme, per raggiungere il medesimo scopo: un approfondimento della conoscenza della figura della vittima, attraverso gli occhi degli operatori dei servizi e degli studenti universitari.

3.2 Il questionario

Nell’ambito delle tecniche quantitative di rilevazione dei dati un posto di primaria importanza è occupato dal questionario, una tecnica di rilevazione standardizzata, che consente un’elaborazione accurata delle informazioni raccolte, attraverso la realizzazione di matrici dati, analizzabili con l’ausilio di software specifici.

Il questionario è uno strumento standardizzato, ossia formato da domande e, nella maggior parte dei casi, da risposte prestabilite e, dunque, già codificate, tali da consentire di ottenere dati facilmente confrontabili tra loro.

Prima di procedere alla somministrazione di un questionario, è importante che il ricercatore conosca approfonditamente il tema oggetto della ricerca e sia informato sull’universo di riferimento al quale andrà sottoposto il questionario; inoltre, è buona norma far precedere il momento della somministrazione vera e propria da una fase cosiddetta di pretest, al fine di sondare le problematiche di rilevazione, connesse alla realizzazione dello strumento.

Realizzare un questionario, infatti, è un compito non facile per il ricercatore, il quale deve tener conto di tutta una seria di accorgimenti che possano consentirgli di realizzare uno strumento adatto ai propri scopi di ricerca, in grado di soddisfare le esigenze della ricerca e di raggiungere dei risultati generalizzabili.

Nella costruzione di tale strumento di rilevazione esistono numerosi problemi che il ricercatore, preparato ed esperto, deve essere capace di superare. Due dei maggiori problemi sono quello della

desiderabilità sociale, ossia “la valutazione socialmente condivisa, che in una certa cultura viene

data ad un certo atteggiamento o comportamento individuale. (…) Se un atteggiamento (o un comportamento) è fortemente connotato in senso positivo o negativo in una certa cultura, una domanda che abbia questo come oggetto può dare luogo a risposte fortemente distorte, in quanto l’intervistato può essere riluttante a rivelare opinioni o comportamenti che ritiene indesiderabili e può essere tentato di dare di sé la migliore immagine possibile, anche se poco veritiera”104 e quello della assenza di opinioni. È possibile, infatti, che gli intervistati vengano interrogati su argomenti particolarmente complessi sui quali non hanno, nel corso del tempo, sviluppato un’opinione ben definita, “si crea tuttavia nella dinamica dell’intervista una sorta di pressione a rispondere per la quale (…) molti intervistati scelgono a caso una delle possibili risposte. Nella migliore delle ipotesi ci troviamo nella situazione di opinioni che nascono al momento stesso della domanda (e quindi sono sommamente volatili)”105.

In genere la formulazione di un questionario comprende tre tipologie di domande concernenti atteggiamenti, comportamenti e dati socio-demografici.

Tutte le domande poi sono soggette ad una grande bipartizione: domande a risposta chiusa e domande a risposta aperta. Entrambe queste categorie presentano vantaggi e limiti facilmente immaginabili. Le domande aperte, che consentono all’intervistato di trascrivere per intero la risposta che lo rappresenta maggiormente, per esempio, implicheranno, in fase di analisi, una procedura di codifica ulteriore per il ricercatore, che dovrà necessariamente standardizzare le risposte per inserirle in una matrice dati.

Questa codifica comporterà inevitabilmente una forzatura e un’intrusione non auspicabile da parte del ricercatore che, al fine di ricondurre ad una specifica categoria le risposte fornite dagli intervistati, sarà costretto a delle scelte connotate spesso da un elevato livello di arbitrarietà.

Le domande chiuse, invece, che per certi versi presentano una serie di vantaggi, in quanto consentono di fornire a tutti gli intervistati lo stesso quadro di riferimento e di facilitare la fase di analisi dei dati, presentano, comunque, dei limiti tra i quali il fatto che le alternative proposte non esauriscono la gamma delle risposte possibili, non sono intese allo stesso modo da tutti e, a seconda della loro formulazione, possono influenzare le risposte degli intervistati.

È importante altresì ricordare che, nella formulazione delle domande, il ricercatore dovrà prestare particolare attenzione non solo alla sequenza, inserendo le domande facili e non invadenti all’inizio

104 P. Corbetta, Metodologia e tecniche della ricerca sociale, il Mulino, Bologna, 1999, p. 180. 105 Ivi, p. 182.

del questionario, tenendo conto del calo di attenzione e dell’interesse dell’intervistato, ma anche a tutta una serie di accorgimenti che, se trascurati, possono pregiudicare il buon esito dell’inchiesta. Le domande, infatti, non dovranno essere eccessivamente lunghe e le alternative di risposta non troppo numerose; si dovrà preferire un linguaggio non particolarmente articolato, ma chiaro e facilmente intuibile da tutti, consono alle caratteristiche del campione di riferimento; sarà opportuno evitare le definizioni ambigue, le parole dal connotato fortemente negativo, le domande tendenziose e i comportamenti presunti, vale a dire che “è indispensabile evitare di dare per scontati comportamenti che non lo sono”106, così come è “buona regola, quando l’oggetto della domanda lo consente, focalizzare la domanda su un comportamento, piuttosto che restare nell’ambito dell’opinione”107.

Da non sottovalutare, inoltre, seppure non facilmente controllabile, è il problema dell’acquiescenza, ossia la “tendenza da parte degli intervistati a scegliere le risposte che esprimono accordo, a dare risposte affermative (yeasaying) piuttosto che negative”108.

Per quanto concerne poi le modalità di rilevazione anche in questo caso, come suggerisce P. Corbetta, è possibile scegliere tra più alternative: interviste faccia a faccia, nel corso delle quali le domande vengono approfondite e chiarite, qualora necessario, dall’intervistatore; interviste telefoniche, che consentono una grande rapidità nella raccolta dei dati, ma comportano la mancanza di contatto personale tra i due interlocutori; interviste computerizzate e questionari auto compilati, cioè compilati direttamente dall’intervistato senza la presenza dell’intervistatore.

Il vantaggio immediato di quest’ultimo tipo di rilevazione è sicuramente quello del risparmio non solo in termini di costi economici, ma anche di tempo, in quanto possono essere somministrati contemporaneamente un numero considerevole di questionari; ciononostante è possibile che la mancanza di qualsivoglia chiarificazione, all’inizio o durante la somministrazione, possa comportare, da un lato il verificarsi di errori da parte di colui, per esempio, che non ha mai compilato un questionario e dall’altro il problema dell’autoselezione, in base al quale il soggetto deciderà autonomamente di non compilare il questionario.

Questi due limiti possono essere ridotti in situazioni nelle quali la somministrazione sia sottoposta a classi di studenti, scolari o universitari, che ricevono il questionario direttamente dall’operatore che si occupa della rilevazione, il quale è tenuto a raccogliere i questionari, una volta completata la compilazione. Questo, infatti, durante la distribuzione del questionario, impartisce le istruzioni di massima, necessarie ai fini di una corretta compilazione, e può, eventualmente, fornire i chiarimenti richiesti.

106 P. Corbetta, Metodologie e tecniche della ricerca sociale, il Mulino, Bologna, 1999, p. 195. 107 Ivi, p. 197.

Nel nostro caso il questionario, formato da domande chiuse che, in taluni casi, comprendono l’alternativa di risposta “altro” e che contemplano domande concernenti atteggiamenti, comportamenti e dati socio-demografici, ha riguardato una cosiddetta rilevazione di gruppo, in quanto è stato somministrato a 369 studenti universitari.

È bene precisare che l’universo di riferimento al quale il questionario è stato somministrato, non può essere definito un campione statisticamente rappresentativo secondo quanto indicato dalla metodologia della ricerca sociale, ma può essere considerato senz’altro “un insieme di riferimento empirico”109 che consente comunque una serie di riflessioni e di osservazioni molto utili ai fini della nostra ricerca.

I dati raccolti con la somministrazione del questionario agli studenti universitari sono stati analizzati con l’ausilio del software di analisi statistica SPSS.