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La spiegazione della devianza giovanile in alcuni contributi teoric

61. Circostanze aggravanti comuni — Aggravano il reato, quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze

5.7 La spiegazione della devianza giovanile in alcuni contributi teoric

Esistono numerose teorie criminologiche che spiegano, in diversi modi, l’eziologia del crimine nei giovani.

Per un rapido e succinto excursus, possiamo far riferimento alle spiegazioni teoriche che legano l’origine del crimine al contesto familiare. Come si è già detto, John Bowlby riteneva il comportamento antisociale come la conseguenza di una separazione traumatica dalle figure genitoriali, subita nella prima infanzia.

Diversamente A. M. Johnson e S.A. Szurek320 partono dal presupposto che i comportamenti antisociali dei minori derivino dall’incoraggiamento inconsciamente trasmesso, ma formalmente sanzionato, dai genitori, i quali ottengono, in modo vicariante, una soddisfazione dei loro impulsi proibiti, una gratificazione dei propri desideri devianti rimossi. L’approvazione, a livello inconscio, dei comportamenti antisociali del figlio, comporta una reiterazione della condotta deviante al fine di compiacere i genitori.

In particolare, A. M. Johnson in “Juvenile Delinquency”321 focalizza l’attenzione sulle lacune del Super-Ego che presenta una strutturazione insufficiente. Secondo l’autore, tali lacune si trasmetterebbero nel rapporto generazionale tra genitori e figlio. In tal modo, l’atteggiamento dei genitori, che oscilla tra permissivismo e severità, comporterà uno sviluppo inadeguato e discontinuo del super-io del bambino.In verità il genitore reagirà negativamente, infliggendo una punizione al figlio, solo quando gli giungeranno delle critiche dall’esterno; ma, nel momento della punizione, il bambino, incoraggiato fino a poco tempo prima, si sentirà ingannato dai genitori e, pertanto, sarà portato a riproporre tale atteggiamento anche nei confronti degli altri: verrà dunque indotto ad

320 A.M. Johnson, S.A. Szurek, “Etiology of antisocial behaviour in delinquents and psychopaths”, in Journal American

Medical Association, n° 154, 1954.

321 A.M. Johnson, “Juvenile Delinquency”, in Arieti S., American Handbooks of Psichiatry, Basic Books Inc. Publ.

ingannare. Le lacune nello sviluppo del Super-Io del bambino non sfoceranno necessariamente nel comportamento antisociale, più spesso potranno avere ripercussioni solo in aree limitate, come, ad esempio, disturbi nel comportamento scolastico322.

Con G. Trombi323 possiamo sintetizzare la teoria di Johnson e Szurek in quattro punti fondamentali: a) il comportamento antisociale dei bambini e degli adolescenti, cresciuti in un nucleo familiare problematico, è riconducibile alla presenza di aree non strutturate del super-io definite, come detto sopra, lacune del super-io;

b) tali “lacune” sono riconducibili a determinate modalità educative dei genitori, che si esplicano in base a due atteggiamenti contrastanti: un’eccessiva permessività e un insistente controllo;

c) entrambi questi atteggiamenti consentono di soddisfare, in modo vicariante, desideri proibiti rimossi dei genitori che, in modo inconsapevole, incoraggiano gli atti proibiti dei figli;

d) tramite l’acting-out324 dei desideri dei genitori, il bambino soddisfa al contempo gli impulsi ostili che ha sviluppato nei confronti dei genitori.

Strettamente correlata alla precedente è la teoria sull’identità negativa di N. Mailloux325. Egli ipotizza che siano i genitori a influenzare, in modo più o meno esplicito, il figlio, il quale si identifica con l’immagine negativa che si sono fatti di lui. Il giovane delinquente si riconosce in un’immagine negativa che gli viene trasmessa direttamente dai genitori e interiorizza le aspettative negative che i genitori hanno su di lui, aderendo in tal modo ad un modello deviante dal quale difficilmente riuscirà a distaccarsi. Secondo questa teoria i genitori hanno più o meno apertamente manifestato al figlio, sin dalla tenera età, che da lui non ci si aspetta nulla di buono, se non preoccupazioni, perché certamente sarà destinato a diventare un teppista, un fallito incapace di inserirsi nella società, aderendo a modelli di comportamento accettabili. Il ragazzo, avvilito da simili predizioni sul suo futuro, non farà altro che comportarsi così come era stato previsto dai genitori, adottando atteggiamenti aggressivi e violenti; facilitato anche dalle reazioni sociali suscitate dal suo comportamento: egli adeguerà, dunque, la sua condotta a quello che ritiene che gli altri si aspettino da lui.

Gli atti devianti si moltiplicheranno, così come le punizioni che confermeranno nel giovane l’immagine sfavorevole di sé, in una sorta di circolo vizioso e di ripetizione compulsiva. Il ragazzo

322 A.M. Johnson, S.A. Szurek, “Etiology of antisocial behaviour in delinquents and psychopaths”, in Journal American

Medical Association, n° 154, 1954.

323 G. Trombi, Psicoanalisi e comportamento criminale, Patron editore, Bologna, 1980.

324 M. Klein definisce l’acting-out come la teoria del conflitto rimosso che, anziché esprimersi attraverso fantasie, viene

tradotto in azioni (conflitto agito), in questo caso azioni di tipo criminoso [G. Trombi, Psicoanalisi e comportamento

criminale. Ottica psicoanalitica e dinamiche criminose:contributi a confronto, Patron, Bologna, 1980- p. 89]. Nel

Mantovani si parla dell’acting-out come di un meccanismo reattivo che comporta il passaggio alla condotta aggressiva come risposta all’eccesso di frustrazione e scarica della stessa [F. Mantovani, Diritto Penale. Parte Generale., CEDAM, Padova, 1988, p. 566].

predestinato, secondo i genitori, ad una carriera delinquente, compirà, dunque, il passaggio da “pecora nera” a criminale di professione, trovando un certo senso di gratificazione nell’essere riconosciuto per il “prestigio” dai suoi compagni e nell’essere temuto dai suoi coetanei.

Il giovane delinquente riuscirà ad uscire da questa spirale quando, inserito in un contesto sociale normale, verrà accettato per quello che è dagli altri e quando riuscirà a rispondere serenamente al quesito: “che cosa penseranno di me i miei genitori?”. La risoluzione di questo dubbio, infatti, aprirà la strada della riabilitazione326.

Un altro contributo che indaga il rapporto esistente tra le angosce infantili e gli atti criminali è quello di M. Klein, secondo la quale esiste una “manifesta analogia tra alcuni crimini effettivamente commessi e i fantasmi corrispondenti, rivelati da parecchi bambini in analisi”327. Secondo l’autrice, infatti, in tutti i bambini sono presenti tendenze sadiche e criminali, espresse attraverso produzioni fantasmatiche inconsce, e timori nei confronti di diverse figure fantasmatiche, dietro le quali si celano i genitori del bambino328.

Per comprendere perché alcuni bambini diventino nevrotici e altri no, possono essere identificati una serie di fattori che contribuiscono allo sviluppo di una nevrosi quali, ad esempio, il grado di severità e di sviluppo del Super-Io, il grado di sopportabilità dell’angoscia, del conflitto e del senso di colpa, il grado di rimozione, l’intensità del grado delle fissazioni alle fasi sadiche.329 L’atteggiamento delle persone antisociali e criminali è dovuto, secondo la Klein, alla severità esercitata da un super-io molto precoce, che si sviluppa secondo una interpretazione persecutoria delle figure genitoriali, non sempre corrispondente al vero, ma “generata dalla proiezione dei violenti impulsi distruttivi del bambino stesso”330.

A questo punto occorre, però, chiedersi in quale modo avvenga il passaggio alle azioni criminali. M. Klein, attribuisce la responsabilità di questo passaggio ad un Super-Io opprimente ed, esemplificando attraverso un caso concreto di analisi, spiega che “l’esperienza effettiva di un Super- Io opprimente (…) produsse una rimozione ancora più forte (…) chiuse le strade all’attività fantasmatica e alla sublimazione, cosicché a questo ragazzo331 non restò altra via che esprimere costantemente il suo desiderio e la sua paura negli stessi atti”332, anche atti distruttivi legati alla sua

326 A. Balloni, Criminologia in prospettiva, Clueb, Bologna, 1983.

327 G. Trombi, Psicoanalisi e comportamento criminale. Ottica psicoanalitica e dinamiche criminose:contributi a

confronto, Patron, Bologna, 1980, p. 81.

328 Ibidem. 329 Ibidem. 330 Ivi, p. 84.

331 Secondo M. Klein, in questo caso, il fatto di avere assistito ai rapporti sessuali tra i genitori fin dalla più tenera età ha

contribuito a formare nel ragazzo un Super-Io particolarmente primitivo e crudele, che avrebbe potuto ancora modificarsi se non fosse intervenuta la realtà a confermarlo; infatti, le violenze e i maltrattamenti subiti da parte della sorella hanno contribuito a confermare il Super-Io crudele e a fissarlo allo stadio primitivo.[G. Trombi, op.cit.].

332 M. Klein, “Les tendences criminelles chez les enfants normaux”, in M. Klein, Essais de Psychanalyse, Payot; Paris,

esperienza reale. Così, dunque, “le insufficienze del Super-io possono dipendere da difetto o inadeguatezza dei modelli di identificazione, a cominciare dalle figure dei genitori (assenti, iperoccupati, autoritari, deboli, iperprotettivi, indifferenti) e dai modelli ambientali diseducativi e devianti (figure familiari o extrafamiliari, ideali, ecc, antisociali e amorali possono favorire la formazione del Super-io criminale)”.333

5.8 Il caso di G.R.

Un caso del tutto peculiare, rispetto a quelli trattati fino ad ora, è quello di G.R.

Innanzitutto, non abbiamo più a che fare con un caso giudiziario riguardante autori di reato minorenni, ma si tratta di una perizia psichiatrica su un uomo adulto, accusato, ancora una volta, di omicidio volontario.

Il reato di omicidio accomuna i tre casi fin qui trattati, tuttavia, questa volta, la descrizione della storia di vita del periziando risulta particolarmente interessante, perché raccoglie una serie di informazioni utili per comprendere meglio il percorso di vita dell’autore di reato.

Il periziando, che appartiene ad una famiglia numerosa, frequentò la scuola elementare e, una volta abbandonata la scuola, iniziò a lavorare come pastore, fino a quando venne chiamato al servizio di leva e, ritenuto abile, si arruolò come volontario in marina, accettando un servizio di leva di due anni. In questo contesto cominciarono i problemi e le tribolazioni di G.R.

Un primo episodio significativo, si verificò proprio durante il servizio di leva, quando a G.R., nonostante si trovasse in condizioni precarie di salute, venne affidato un servizio di guardia. In questa occasione, G.R. tentò addirittura di uccidere una guardia giurata e, successivamente, in seguito ai diverbi con i superiori e alle continue proteste, finì davanti al Tribunale Militare. Sottoposto a perizia psichiatrica, venne giudicato totalmente infermo di mente.

G.R. fu, dunque, internato in manicomio fino a quando, dopo alcuni anni, venne rimesso in libertà sotto la responsabilità del fratello. Ciononostante, qualche anno dopo, fu arrestato con l’accusa di rapina e sequestro di persona e condannato a 13 anni di reclusione. Una volta fuori dal carcere, intraprese diverse attività lavorative senza successo, fino a riprendere l’attività di pastore. Qualche anno più tardi, venne coinvolto in un sinistro stradale e, dopo essere stato ricoverato in ospedale in stato comatoso, ricevette un cospicuo indennizzo assicurativo.

È a questo punto che si complica ulteriormente il percorso di vita del periziando che, dopo aver acquistato un fondo grazie alla somma di denaro riscossa dalla compagnia assicurativa, vive nella convinzione che i vicini di casa, per interessi privati connessi proprio alla proprietà acquistata,

tentino in tutti i modi di metterne a repentaglio la vita: è in questo periodo che “iniziarono per lui una serie innumerevole di guai, disagi, minacce”334. Dalla perizia, infatti, si apprende che “il periziando è profondamente convinto delle sue idee e che, in particolare, egli si è sentito e si sente perseguitato, minacciato di morte, oggetto di ingiustizie e derisioni, tanto da essere convinto che la sua vita sia stata effettivamente messa in pericolo, che i tentativi di togliergli la proprietà siano stati effettuati con i mezzi più illeciti e con il coinvolgimento delle forze dell’ordine (carabinieri) e che, anche attualmente, si trami contro di lui, con la connivenza di addetti alla custodia e mediante scorrettezze attuate dai magistrati, che non avrebbero condotto bene le indagini”335.

Durante questo stato di forte pressione, nella convinzione di essere oggetto di pregiudizi, critiche e, addirittura, certo che gli altri tramino contro la sua vita, G.R. si rende responsabile del delitto di omicidio volontario. La vittima è un vicino di casa, il quale, però, viene scambiato per un’altra persona, ritenuta da G.R., responsabile di tutte le angherie e le prevaricazioni subite.

È chiaro come il periziando presenti alcuni aspetti patologici, in grado di incidere pesantemente sulla storia di vita personale, infatti, tra le varie diagnosi che, in più occasioni, sono state formulate su di lui, possono essere annoverate: personalità psicopatica di tipo schizoide, schizofrenia paranoide, schizoidismo, personalità antisociale, schizofrenia336. La sindrome schizofrenica “sul piano psicopatologico classico (…) si fonda ancora sul criterio della incomprensibilità e sull’accertamento dei cosiddetti sintomi primari, che comprendono i disturbi del pensiero (..), i disturbi primari della percezione (..), il delirio primario e incomprensibile, che si presenta sotto forma di percezione delirante (…); inoltre vi sono i disturbi primari dell’affettività, dell’attività, della coscienza, dell’io e psicomotori”.337 Tuttavia, è pur assodato che gli schizofrenici “in certi casi possono presentare anche un’elevata pericolosità sociale quale conseguenza della globale alterazione del rapporto fra il malato e il prossimo, ma anche dell’atteggiamento ostile ed emarginante della società, in cui il soggetto risponde con azioni di difesa-offesa. Con possibilità di commissione di delitti anche gravi ed efferati, spesso incomprensibili, immotivati, imprevedibili o ad esplosione fulminea (es.: quale immediata risposta ad un comando allucinatorio, ma talvolta meno afinalistici e assurdi, pur se sempre radicati nella situazione delirante (es.: uccisione meditata e preordinata di un presunto persecutore)”338, come accade nel caso di questo periziando.

Dalla sua biografia si apprende ancora che “Il R. ha condotto una vita di stenti e di miseria. Non frequentò regolarmente le scuole perché doveva aiutare nel lavoro il padre che ha sempre temuto e considerato come il despota della casa. Per queste interpretazioni ostili, diverse volte fu indotto alla

334 Relazione di perizia psichiatrica d’ufficio nei riguardi di R.G. redatta dal prof. Augusto Balloni, p. 12. 335 Ivi, p. 41.

336 Relazione di perizia psichiatrica d’ufficio nei riguardi di R.G. redatta dal prof. Augusto Balloni.

337 A. Balloni, Criminologia e Psicopatologia. Analisi di 110 perizie psichiatriche, Patron, Bologna, 2004, pp. 211-212. 338 F. Mantovani, Diritto Penale. Parte Generale., CEDAM, Padova, 1988, pp. 562-563.

fuga dalla famiglia e si nascondeva per settimane in un bosco vicino nutrendosi come le bestie di bacche e di erbe, caparbio ed ostinato in questi atteggiamenti di protesta, fino a che la mamma mossa a compassione, con mezzi persuasivi veniva a riprenderlo. Per il suo carattere chiuso e ribelle preferì nell’adolescenza dedicarsi alla pastorizia e restava solo per lunghi periodi con la mandria, scalzo, lacero sotto le intemperie e la neve”339.

Da quanto fin qui descritto, può sostenersi che “la biografia del periziando e l’esame psichico orientano, senza ombra di dubbio, la diagnosi verso quella malattia mentale definita ‘stato paranoide’ o ‘disturbo delirante (Paranoide)’”340.

Una volta conclusi gli accertamenti di natura peritale si giunge, in risposta ai quesiti formulati all’atto del conferimento dell’incarico di perizia, alle seguenti conclusioni341:

1. R. G. nel momento in cui commise i1 fatto del quale è imputato, si trovava in stato d'infermità mentale, tale da escludere la capacità di intendere e di volere.

2. Il prevenuto anche al momento dell’esperimento della perizia appariva, dunque, in una condizione tale da escludere la capacità di intendere e di volere proprio perché colpito da patologia psichica [essendo affetto da “Stato paranoide” o “Disturbo delirante (Paranoide)] ed era persona socialmente pericolosa.

Gli stati paranoidi possono essere definiti come persistenti alterazioni psicotiche, solitamente accompagnati da idee persecutorie; “l’incidenza delle reazioni paranoidi è ritenuta elevata, ma difficilmente evidenziabile: del resto tutti, ad esempio, possono essere ingiustamente sospettosi del vicino od interpretare con particolare significato e riferimento a sé, fatti neutrali. Infatti, i meccanismi della negazione e della proiezione, alla base di ogni reazione paranoide, sono componenti normali del sistema difensivo di ognuno di noi”342.

La personalità del soggetto, affetto da tali disturbi, è caratterizzata da ansia, insicurezza, paura, ed è possibile che lo stesso immagini delle situazioni in cui persone reali o fittizie tramino contro di lui. Successivamente, il soggetto “può compiere tentativi di fuga per sottrarsi ai presunti persecutori, o può essere spinto ad attaccare per vendicarsi di quanto sofferto o per evitare quanto teme”343. Questa breve descrizione del disturbo paranoide aiuta a comprendere in quale stato si trovasse G.R. al momento del fatto – reato del quale è stato accusato.

339 Relazione di Perizia Psichiatrica d’Ufficio nei riguardi di R.G. redatta dal prof. Augusto Balloni, p. 60. 340 Ivi, p. 110.

341 Conclusioni in Relazione di Perizia Psichiatrica d’Ufficio nei riguardi di R.G. redatta dal prof. Augusto Balloni, p.

114.

342 A. Balloni, Criminologia e Psicopatologia. Analisi di 110 perizie psichiatriche, Patron, Bologna, 2004, pp. 224-225. 343 Ivi, p. 225.