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Tre storie e un unico percorso di vita

61. Circostanze aggravanti comuni — Aggravano il reato, quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze

5.5.4 Tre storie e un unico percorso di vita

Da queste brevi informazioni concernenti la vita e la dimensione psichica dei tre soggetti, autori dei reati sopra menzionati, possiamo prendere in considerazione gli elementi che accomunano i tre ragazzi per cercare di comprendere dove si annidi il loro malessere e da dove provenga la loro aggressività. I tre minori, come già esposto sopra, sono autori di numerose infrazioni al codice penale e sono ritenuti colpevoli dell’omicidio di un ragazzo, consumato probabilmente in una situazione connotata da reciproci scambi sessuali; dalle perizie, infatti, si apprende che tutti e tre i minori, al fine di trarne un guadagno economico, sono avvezzi alla prostituzione omosessuale. L’età e il contesto familiare sono certamente due elementi che, in questa vicenda processuale, non possono essere trascurati. Purtroppo, conosciamo poco delle interazioni intercorse tra gli autori di reato, non siamo in possesso di informazioni dettagliate che possano consentire di comprendere il tipo di relazione esistente all’interno di questo sparuto gruppo di ragazzi delinquenti e, tanto meno,

299 Ibidem.

300 Relazione di perizia psichiatrica e psicologica d’ufficio eseguita dal professore Augusto Balloni e dal professore

Vincenzo Faenza, p. 64.

siamo in grado di stabilire, con precisione, quali fossero le relazioni tra gli autori di reato e la loro vittima.

L’età dell’adolescenza rappresenta per tutte le generazioni un periodo di transizione particolarmente complesso e irto di difficoltà, poiché è in questo momento che si realizza il delicato passaggio dall’infanzia all’età adulta. Coesistono, pertanto, nel soggetto caratteristiche contrastanti, infatti, “gli adolescenti (…) passano, pian piano o molto rapidamente, dallo stato di dipendenza dai genitori o da chi ne fa le veci, caratteristico dei bambini, alla rivendicazione del diritto ad essere liberi, a separarsi dalla famiglia e a misurarsi con un più vasto contesto sociale. Gli adolescenti tendono a riunirsi in gruppi, gruppi di giovani simili tra loro e gruppi di coetanei, al fine di trovarne uno più stimolante e comprensivo di quello formato dal nucleo familiare che è percepito, e talora lo è veramente, come capace di imporre solo limiti e restrizioni”302.

Premesso ciò, possiamo concordare ancora con A. H. Williams, affermando che “l’adolescenza, con tutte le sue manifestazioni turbolente, è quel periodo di sbandamento che ha la sua origine nell’impatto provocato dall’erompere dello sviluppo psicobiologico della pubertà”303, “la pubertà è un fenomeno normale e l’adolescenza, in circostanze particolarmente favorevoli, può trascorrere senza che accada alcunché di particolarmente rilevante; talora però, se lo stato turbolento è eccessivo, essa può assumere un decorso più o meno patologico”304.

D. W. Winnicott, a proposito dell’adolescenza che definisce come un momento di scoperta di se stessi, ricorda che “esiste solo una vera cura per l’adolescenza, la quale però non offre alcun aiuto al ragazzo o alla fanciulla che si trovano nel pieno del travaglio. Questa consiste nel tempo che passa e nel graduale processo di maturazione; i quali congiuntamente avranno come risultato finale l’emergere di una personalità adulta”305.

Tuttavia, è sempre lo stesso autore che analizza il rapporto complesso esistente tra le difficoltà dell’adolescenza e la tendenza antisociale, manifestata da alcuni ragazzi, la quale, secondo Winnicott, nasce sempre da uno stato di deprivazione riconducibile all’ambito familiare.

Quando l’autore pone in relazione le tendenze antisociali ad uno stato depressivo della madre o alla disgregazione della famiglia, ci fa pensare alla situazione familiare, per esempio, di T.F. il quale denuncia una situazione simile: una madre assente con problemi nervosi e una famiglia nucleare inesistente, sommate ad una lunga istituzionalizzazione del giovane, che ha trascorso molto tempo lontano dalla madre; la madre che, secondo Winnicott, riesce ad assolvere alle sue principali funzioni “ (…) se si sente sicura; se si sente amata nei suoi rapporti con il padre del bimbo e con la

302 A. H. Williams, Nevrosi e delinquenza. Uno studio psicoanalitico dell’omicidio e di altri crimini, Borla, Roma,

1983, pp. 74-75.

303 Ivi, p. 73. 304 Ivi, p. 57.

propria famiglia”306, componenti del tutto assenti nella storia di vita del ragazzo, che non ha mai avuto modo di conoscere il padre, se non per un breve incontro una sola volta nella sua vita.

Anche J. Bowlby307 del resto ha più volte sottolineato come la presenza di difficoltà e turbamenti, che talora si accompagnano ad effetti dannosi per la salute mentale, possano essere imputati alla separazione o alla perdita di figure amate (madre, padre), avvenute nell’infanzia o nell’adolescenza. Nel corso degli anni, la famiglia tradizionale ha subito numerose trasformazioni, nonostante ciò, rappresenta ancora il nucleo fondante della nostra società e dovrebbe essere in grado di contenere e gestire le tensioni che si manifestano al suo interno, infatti, “la famiglia che funziona come un buon contenitore, può far fronte all’eccessivo peso psichico che a volte si rovescia sull’adolescente sia riducendolo sia contenendo l’adolescente finché egli abbia potuto digerirlo e metabolizzarlo. Se al contrario l’ambiente non funziona da contenitore, gli adolescenti in difficoltà sono evitati, redarguiti di continuo e quindi non è dato loro alcun aiuto”308.

La famiglia, principale agenzia di socializzazione primaria, consente all’individuo di acquisire, fin dai primi anni di vita, le competenze sociali di base. Un individuo, adeguatamente socializzato, sarà in grado, infatti, di interiorizzare norme, valori, modelli comportamentali, ruoli, che gli sono stati trasmessi dai genitori.

Secondo alcuni autori, è possibile ravvisare la presenza di fattori criminogeni all’interno della famiglia tanto di quella “normale” che di quella “anormale”; vengono pertanto prese in considerazione alcune caratteristiche dei figli, senza tuttavia giungere a spiegazioni convincenti, plausibili. Nella famiglia cosiddetta normale, nella quale i genitori sono viventi e coabitano con i figli, si deve guardare essenzialmente a tre fattori che potrebbero rivelarsi determinanti ossia: 1) la dimensione della famiglia, in quanto i delinquenti sembrano provenire dalle famiglie più numerose; 2) l’ordine di nascita della prole e la posizione dei figli unici; determinante sarebbe, in questo caso, da un lato l’essere o meno primogeniti, in quanto i secondogeniti, oppressi dal complesso di inferiorità, e, costretti a lottare per affermarsi, diverrebbero talvolta ostili ed aggressivi, dall’altro l’essere figli unici; 3) l’atteggiamento dei genitori perché metodi di educazione errati, troppo permissivi, eccessivamente severi o discontinui, possono comportare un rischio maggiore a divenire delinquenti.

Nella famiglia anormale, invece, devono essere considerati altri fattori quali la disgregazione familiare, la deprivazione materna o paterna, la gravidanza e la nascita illegittime, i problemi sociali quali abitazioni sovraffollate, condizioni di salute precarie, redditi molto bassi, ecc, e la situazione matrimoniale.

306 Ivi, p. 11.

307 J. Bowlby, Costruzione e rottura dei legami affettivi, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1979. 308 A. H. Williams, op. cit., p. 85.

Inoltre, secondo la letteratura criminologica, il bambino non desiderato può essere un soggetto altamente predisposto a delinquere309. Questa ultima possibilità ci fa immediatamente pensare a T. F. il quale, durante gli accertamenti peritali, ricorda un episodio in cui “la madre volle che il padre – in presenza del minore – affermasse di aver voluto il figlio contro la volontà della madre”.310 Nei casi fin qui presentati è, dunque, evidente la mancanza di un’adeguata socializzazione, l’esistenza di un problema di comunicazione fra i membri della famiglia, che non riesce a fungere da “contenitore”, ma soccombe alla violenza dei propri figli. In tutti e tre i casi si assiste, infatti, all’insofferenza, all’irrequietezza di tre ragazzini, che degenera in episodi di violenza e sopraffazione sino a giungere, con inaudita ferocia, al compimento di un omicidio.

Williams311 sostiene che l’impulso al crimine ha origine nell’infanzia e che esso può peggiorare o migliorare durante la fanciullezza, ma necessariamente deve esprimersi, trovando una soluzione nell’adolescenza. Le possibilità che si prospettano al giovane, a questo punto, sono due: lottare contro questi impulsi od arrendersi ad essi. La soluzione dipenderà da motivazioni inconsce, e, nel peggiore dei casi, l’impulso si manifesterà, appunto durante l’adolescenza, in azioni sconcertanti.