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Idite k čertu [da Rykajuščij Parnas] (1914)

III. FORME DICHIARATIVE

III.3 Il caso di Chlebnikov: manifesti collettivi

III.3.5 Idite k čertu [da Rykajuščij Parnas] (1914)

La miscellanea dal titolo Futuristy: Rykajuščij Parnas, uscita poco dopo Moloko kobilyc, e accomunata a quest’ultima sia dall’ampio spazio riservato alle opere dei Burljuk, sia dalla collaborazione di Severjanin, costituisce un caso unico nel suo genere. Livšic (1989, 457-458) testimonia delle vicende che interessarono l’almanacco: esso venne infatti censurato per via delle illustrazioni (Markov: 1973, 165, accenna a una causa di «pretesa pornografia») e non ne circolò più di qualche decina di esemplari. La raccolta si apre con un manifesto assolutamente singolare, tanto che lo stesso Livšic riporta: «действительно, ни одна из наших деклараций еще не вызывала в литературной среде такого возмущения, как этот плод нашего совместного творчества» (1989, 459).

Composto alla fine del 1913 e intitolato icasticamente Idite k čertu, il testo consiste in un attacco spietato a tutta la letteratura contemporanea e, come ha segnalato Markov «è privo di qualsiasi questione teorica», consistendo quasi integralmente di insulti (Markov: 1973, 165). In effetti, il manifesto può essere diviso in una corposa pars destruens e una brevissima pars construens programmatica. Nella pars destruens, che si apre con una frase che introduce la canonica dicotomia noi/voi («Ваш год [...] наших книг», Terechina: 1999, 97, corsivi miei) e che sarà presente nel testo in misura relativamente minore rispetto agli altri manifesti collettivi, i gilejani non lesinano critiche ai simbolisti, agli acmeisti, ai gruppi di Mezonin poėzii e Peterburgskij glašataj, e attacchi personali indirizzati a Čukovskij, Sologub e Brjusov.

Dopo una lunga serie di aggressioni verbali, viene introdotta la pars construens, composta da due soli punti programmatici, in cui i firmatari del manifesto non solo rivendicano

97 l’esclusività del loro gruppo futurista, ma affermano anche di aver rigettato gli appellativi ‘casuali’ (slučajnye klički) di ego- e cubo- e di essersi riuniti in un’unica compagine letteraria futurista. Da un punto di vista estetico, il testo non presenta particolarità da segnalare, dal momento che anche per questo almanacco può valere lo stesso ragionamento che Markov ha fatto per Moloko kobylic (cfr. Markov: 1973, 164): gli autori hanno verosimilmente insistito sull’effetto che il testo avrebbe provocato nel pubblico perché Idite k čertu è privo di posizioni teoriche di rilievo. Tuttavia, in SS viene presentata la versione in bozza, stesa da Kručenych e rivista da Chlebnikov, in una variante che differisce in maniera sostanziale da quanto poi venne pubblicato in apertura all’almanacco. Kručenych la pubblicò in coda al manifesto Idite k čertu nel volumetto 15

let russkogo futurizma (Kručenych: 1928, 16-17). È possibile vedere le correzioni

proposte da Chlebnikov alla prima stesura di Kručenych indicate tra parentesi quadre, e vale la pena soffermarsi su alcuni dei riferimenti presenti in questa prima variante: oltre all’insistenza su una struttura pronominale incentrata sul noi,139 si può cogliere un

rimando a Poščečina obščestvennomu vkusu («Как и встарь, мы [окутанные в облаках]

стоим на глыбе слова МЫ», SS, VI.1, 343, corsivo mio). Si registrano, inoltre, un uso

del termine utes che sembra anticipare il titolo della prosa Utes iz buduščego, del 1921- 1922 («Сегодня мы выплевываем навязшее на наших зубах прошлое [заявляя: только мы утес времени. Прошлое бьется у наших подножий]», SS, VI.1, 343), e una tendenza generale a servirsi di un registro metaforico completamente diverso da ciò che poi verrà impiegato per il manifesto presente sull’almanacco. Infine, è opportuno segnalare che nella prima stesura di Kručenych e Chlebnikov non ci sono punti programmatici.

Più nel dettaglio, si prenda ad esempio il passaggio dove i gilejani inveiscono contro i propri avversari letterari. Così apparve sulla miscellanea:

Эти субъекты дали повод табуну молодых людей, раньше без определенных занятий, наброситься на литературу и показать свое

139 Struttura che, come già detto, nella versione pubblicata su Rykajuščij Parnas viene a mancare. Si noti,

in particolare, una variante proposta da Chlebnikov: in luogo dell’elenco dei nomi dei Burljuk, di Kručenych e del suo, il poeta propone un semplice ‘i nostri nomi’: «[…] имена Бурлюков, Крученых, Хлебникова [наши имена]», SS, VI.1, 343.

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гримасничающее лицо: обсвистанный ветрами “Мезонин поэзии”, “Петербургский глашатай” и др. (Terechina: 1999, 97)

E si confronti con quanto invece era stato proposto da Kručenych e Chlebnikov:

Толпа молодых людей без определенных занятий создает разные эго- футуризмы, "Мезонины Поэзии" и проч. [созерцали нас из-за угла и перед зеркалом растерянности повторяли наши лица] (SS, VI.1, 343).

Questo passaggio chiarisce quale fosse lo stile delle correzioni o delle varianti alternative che Chlebnikov propose. In questa versione non era presente la medesima quantità di attacchi agli avversari, che erano comunque contraddistinti da una minore intensità, stesi più in forma di ‘critica’ che di insulto, come invece si riscontra nella versione finale (il cognome di Sologub viene semplicemente alterato in ‘Gubosal’, senza l’accenno ingiurioso al suo patrocinio di Severjanin; anche nel černovik il nome di Brjusov è storpiato da Valerij a Vasilij, ma non si fa menzione del ‘sughero’, allusione beffarda all’attività commerciale della sua famiglia d’origine che viene unita all’esclamazione ‘Vasja!’ al fine di svilire la discendenza ‘latina’ – e con essa, la sua persona – del suo vero nome di battesimo; non c’è il mordace «тоже не дурак!» in riferimento a Čukovskij). In lieve disaccordo con quanto afferma Livšic («Составили мы этот манифест вшестером […]», 1989, 459), considerare questi elementi permette di supporre che, nella fase finale di revisione, chi pubblicò optò per uno stile retoricamente più deciso, insolente e violento, ben distante da quello chlebnikoviano e che si potrebbe definire ancor più ‘marinettiano’ di Poščečina. Con questo non intendiamo affermare che Chlebnikov fosse estraneo alla stesura della versione finale del manifesto, ma che vi abbia partecipato in misura minore rispetto ad altri, dal momento che lo stile con cui venne concepito suggerisce la volontà di perseguire un fine che a fatica può essere attribuito a Chlebnikov, vale a dire il preciso e forse unico scopo di scandalizzare per attirare l’attenzione. Markov motiva questo atteggiamento ipotizzando che «porsi in posizione offensiva risultò forse dal timore che il futurismo potesse perdere il suo iniziale fervore rivoluzionario e divenire uno dei tanti movimenti poetici della Russia» (Markov: 1973, 165). In ultimo, ci sembra opportuno insistere sul fatto che i due punti programmatici di

99 questo manifesto sono abbastanza sui generis. Essi non apportano alcun contributo all’elaborazione di una teoria estetica. Per questa ragione sembrerebbe un azzardo definirli dunque ‘programmatici’: tuttavia, avendo come fine non solo quello di ribadire al pubblico l’autorità dei firmatari, ma anche di arrogarsi un diritto di esclusività letteraria e garantire legittimità alla breve ‘alleanza’ tra i cubofuturisti e Severjanin, il senso ‘programmatico’ di questi due punti è tale se lo si interpreta in chiave più politica che letteraria, con riferimento al tema delle literary politics, a cui ha accennato Markov (1967, 8).