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Il “Child’s Attorney” nel modello americano

L’avvocato del minore nel diritto comparato (cenni)

4. Il “Child’s Attorney” nel modello americano

Come già affermato283, il passaggio dalla tutela dei diritti del minore

mediante la sola rappresentanza processuale e nomina di un curatore speciale a quella della difesa processuale ad opera di un avvocato del minore è stata esaminata anche nell’esperienza del processo civile degli Stati americani dove alle funzioni del Guardian ad litem, un funzionario del tribunale nominato in via sostitutiva dei genitori, sono andate sostituendosi negli ultimi anni quelle non tradizionali del

Child’s Attorney, l’avvocato del minore.

In America vi è un’esperienza pluriennale in tema di rappresentanza dei diritti del minore nei giudizi civili dal momento che risale al 1974 la legge federale Child Abuse Prevention and Treatment Act284 che ha previsto sovvenzioni a favore degli Stati che avessero riconosciuto tale rappresentanza. Prima di allora la rappresentanza dei minori era

282 Per la disciplina dell’avvocato del minore in Germania e Svizzera si veda R. Cifariello, Avvocato del bambino, in http://www.mediation- international.com/it/avvocato-del-bambino, 2011.

283 Infra par. 7, cap. II. 284 D’ora in avanti, CAPTA.

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conosciuta solo nei processi penali mentre nelle aule civili era considerata inutile perché si riteneva che vi fossero già i giudici a proteggere bambini e ragazzi. La legge federale CAPTA ha invece fatto riferimento per la prima volta proprio alle procedure civili, in particolare a quelle relative ad abusi e trascuratezza e proprio a seguito di tale previsione è nato un sistema di volontari su base nazionale conosciuto come CASA285 per rappresentare i minori coinvolti nei suddetti procedimenti. In questi anni il dibattito in merito alla figura dell’avvocato del minore nei procedimenti civili è stato assai acceso e le più importanti associazioni nazionali maggiormente rappresentative degli avvocati specializzati in diritto di famiglia e minorile hanno elaborato proprie linee guida fornendo indicazioni e raccomandazioni sul ruolo e la formazione dello stesso, auspicando una certa uniformità della disciplina dato che non esiste in America un unico modello applicabile, nemmeno all’interno di uno stesso Stato come rileva ragionevolmente Marcucci.

L’argomento maggiormente discusso dalla giurisprudenza americana è costituito dall’individuazione del ruolo dell’avvocato del minore, ossia se egli debba rappresentare in giudizio la piena volontà espressa dal minore o se residui invece un margine di discrezionalità e debba piuttosto essere perseguito il miglior interesse del minore. Secondo quest’ultima tesi l’avvocato, solo per il fatto di rappresentare un minorenne, non è vincolato a seguirne le indicazioni ed esercita il proprio mandato in completa autonomia, perseguendo gli obiettivi che ritiene conformi al migliore interesse del cliente minore come se a quest’ultimo si sostituisse completamente, al punto che alcuni studiosi ritengono superflui anche l’ascolto e l’incontro col minore.

Il primo orientamento al contrario, afferma la necessità che l’avvocato si rapporti con il minore come con un cliente adulto e sia vincolato ad

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eseguire le istruzioni del cliente e a perseguire in giudizio i suoi obiettivi, senza spazio alcuno per le sue idee ed opinioni personali. Tralasciando le contrastanti tesi su cui erano basate le teorie delle varie associazioni che si sono succedute negli anni, che non interessano in questa sede, si evidenzi che, come sottolinea Marcucci, da una ricerca effettuata nel 1996, sembrava che il 60% delle giurisdizioni USA avessero adottato il modello Attorney/GAL e che le leggi di 38 Stati avessero individuato il ruolo del rappresentante del minore nel senso di colui che deve perseguire il miglior interesse del minore.

Per quanto attiene ai profili deontologici, si osserva che le norme di carattere deontologico dettate in via generale per gli avvocati americani non orientano precisamente verso un modello o l’altro di avvocato del minore risultando a tratti ambigue e contraddittorie e non idonee a risolvere il dibattito in merito all’effettivo ruolo dell’avvocato del bambino.

Il modo per risolvere le incertezze sopra esplicate è stato quello di configurare in tempi recenti un nuovo modello di child’s attorney tentando di coniugare entrambi gli aspetti tenuti sino a quel momento separati. Infatti viene coniugata la funzione difensiva propria del ruolo dell’avvocato, in funzione di una forte autonomia del minore, con una necessaria protezione che comunque gli deve essere riservata perché non risulti danneggiato dal processo prevedendo quindi un’eccezione alla difesa zelante solo laddove il minore non sia capace di dirigere il contenzioso, caso in cui le decisioni vengono inevitabilmente assunte dall’avvocato secondo i canoni di professionalità e indipendenza, avendo cura del suo interesse.

Se il bambino, per incapacità di discernimento o deficit mentali, non è in grado di esprimere una propria opinione l’avvocato è tenuto ad individuare e sostenere in giudizio i suoi desideri e bisogni e richiedere, nel caso, la nomina di un curatore speciale, se il bambino

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non vuole esprimere alcuna preferenza su una specifica questione l’avvocato dovrà individuare e sostenere i suoi cd. interessi legali i quali devono essere tenuti distinti dal più generico miglior interesse e sono i soli ritenuti perseguibili da parte di un avvocato, mentre il perseguimento dei child’s best interests spetta in modo esclusivo al curatore speciale. Tali interessi legali sono determinati sulla base di criteri oggettivi predeterminati dalla legge e non in base a valutazioni discrezionali dell’avvocato che potrebbe essere condizionato dai propri pregiudizi e dalle proprie convinzioni. Essi sono individuabili nelle specifiche esigenze e nelle preferenze del bambino che possono essere comprese anche con l’aiuto di esperti, nel perseguimento dell’obiettivo che il bambino possa restare nella propria casa o essere collocato in un ambiente sicuro, stabile e tale da favorire la sua crescita e infine nell’uso, tra tutte le alternative possibili, della meno negativa per il bambino.

Pare utile notare che Jean Koh Peters ha proposto un modello complesso che ha come concetto base quello che lei chiama “the child-

in-context”, ossia il bambino compreso utilizzando il suo punto di vista

e non quello dell’adulto, in modo che il minore possa riconoscersi in questo ritratto. Ma un’effettiva difesa del bambino, sostiene Peters, come del resto anche quella di ogni altro cliente adulto, non significa estrapolare le affermazioni del cliente al di fuori dal contesto in cui sono state rese e farsene portavoce in giudizio, il bambino deve essere invero informato dal proprio avvocato del modo in cui verranno usate le sue dichiarazioni e delle conseguenze che potranno avere. Peters ha riportato una sua esperienza in relazione alla quale non è rimasta soddisfatta del suo operato a posteriori, dopo essersi resa conto di aver tradito in quell’occasione proprio il principio del child-in-context. Si tratta del caso noto come “The Coke Bottle” da cui scaturiscono conseguenze utili alla comprensione della questione in oggetto e che è bene evidenziare.

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Peters era stata nominata avvocato di una bambina di sei anni in un giudizio relativo alla sua adozione da parte della persona alla quale era già affidata. Per qualche ragione la Peters aveva avuto una certa riluttanza ad informare la sua giovanissima cliente del proprio ruolo di avvocato e, durante il colloquio presso il suo studio, aveva tentato di capire i sentimenti della bambina verso la madre biologica e verso l’affidataria, senza mai affrontare l’argomento del procedimento in corso, quasi senza ottenere risposte dalla bambina. La piccola durante il colloquio giocherellava con una particolare bottiglia di Coca Cola che aveva trovato sulla scrivania dell’avvocato, dono che il fratello della Peters aveva fatto alla sorella anni prima. La bambina involontariamente faceva cadere la bottiglia che si rompeva in mille pezzi provocando in lei spavento e timore per la possibile reazione dell’avvocato alla quale chiedeva dunque se fosse arrabbiata. Alla risposta negativa la bambina diceva alla Peters che la trovava buona come la signora White che altri non era che l’affidataria della fanciulla e aggiungeva il paragone in negativo con la madre biologica: “Tu sei buona come la signora White, non sei come mamma”.

All’udienza l’avvocato riferì al giudice i sentimenti che la bambina le aveva manifestato nei confronti della madre e dell’affidataria e a seguito di queste dichiarazioni, il giudice pronunciò l’adozione della stessa a favore della signora White. L’errore di Peters fu quello di non contestualizzare la frase della sua cliente, la bambina infatti aveva fatto un’affermazione isolata, senza alcuna conoscenza dell’uso che ne sarebbe poi stato fatto perché il suo avvocato non l’aveva informata del contesto giudiziario in cui si trovava, in più non era stato indagato se, poco prima del colloquio, la bambina avesse discusso con la madre o ricevuto un regalo dall’affidataria, in modo da cogliere condizionamenti o influenze nel pensiero espresso. Resasi conto dell’errore, Peters costituì un modello di rappresentanza che porta il suo nome e che si suddivide in varie fasi, essenziali: l’ingresso nel

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mondo del bambino, la decisione adottata nel mondo del bambino, il perseguimento dell’obiettivo della difesa, l’uscita dal mondo del bambino.

Durante tutte queste fasi l’avvocato del minore deve avvalersi di principi prefissati e considerare centrale il mondo preesistente del minore, nel quale egli entra a far parte solo per poco tempo, evitando di farsi sopraffare da elementi che appartengono al suo mondo, personale e professionale. In virtù dei suddetti principi l’avvocato deve stabilire una relazione con il cliente, conoscendolo ed esplorandone a fondo le capacità di contribuire alla sua rappresentanza. Ancora, Peters propone sette domande che l’avvocato del minore dovrebbe costantemente porsi per “mantenersi onesto” che possono aiutarlo a scoprire il mondo del minore, tutte volte a far sì che l’avvocato si comporti nell’esercizio del suo mandato allo stesso modo in cui si rapporterebbe ad un adulto, svolgendo il suo compito in modo autonomo ed imparziale da condizionamenti esterni o interni e perseguendo l’interesse del minore nel rispetto delle sue peculiarità286.

Secondo una tesi sviluppata da Martin Guggenheim nel 1996, i bambini molto piccoli non hanno alcun diritto sostanziale al controllo del risultato del giudizio, sia nei procedimenti aventi ad oggetto affidamento e regolamentazione degli incontri con il genitore non convivente che in quelli relativi ad abuso e trascuratezza287.

L’esperienza americana sul dibattito inerente alla figura dell’avvocato del minore ha preceduto di gran lunga quella italiana, di cui è stata fonte di ispirazione.

286 Jean Koh Peters, The roles and content of Best Interests in client-directed lawyering for children in child protective proceedings, 64 Fordham L. Rev. 1505, 1996, pp. 1507-1511.

287 Per l’istituto dell’avvocato del minore in America si veda C. Marcucci, Il “dilemma dell’avvocato del minore” nell’esperienza americana, in L’avvocato del minore, quaderno dell’AIAF, 2004, 1, 298.

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Era fervente il dibattito nei primi anni duemila su quale fosse davvero il ruolo ricoperto da questa figura e se da un lato molte erano le ragioni a favore della rappresentanza in senso tradizionale come quella riservata agli adulti, altrettante giustificate erano le deroghe a tale tipo di rappresentanza, trattandosi di attività prestata a favore di bambini. Da tutto ciò si evince chiaramente come anche negli altri Stati brevemente esaminati su questo punto, e non solo in Italia dunque, le opinioni di dottrina e giurisprudenza siano state assai contrastanti negli anni e abbiano causato ferventi dibattiti sul ruolo dell’avvocato del minore dovuto proprio all’insita fragilità e debolezza del suo cliente- assistito.

Mi sento di concludere sostenendo che le difficoltà applicative nelle fattispecie concrete e le opinioni talvolta ancora discordanti della letteratura e della giurisprudenza sulla natura e le funzioni del difensore tecnico, nonché l’assenza di una disciplina cogente uniforme e specializzata del settore, anche sugli aspetti deontologici della figura, fanno sì che il dibattito sia ancora aperto e in continua evoluzione, anche al di fuori dei nostri confini.

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