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L’ascolto del minore tra discrezionalità giudiziale e cogenza

L’audizione del minore come mezzo difensivo

2. L’ascolto del minore tra discrezionalità giudiziale e cogenza

Riconoscere al minore un vero e proprio diritto all’audizione188 implica

che costui sia posto nella condizione di far sentire la propria voce nel processo, per descrivere una versione dei fatti che non sempre risulta conforme a quella dei genitori189 e da un punto di vista più strettamente processuale, questo va a configurarsi come un istituto estremamente specifico e sui generis, sicuramente non riconducibile ai tradizionali strumenti quali l’interrogatorio libero e la testimonianza190.

In merito a quest’ultimo punto, la giurisprudenza si era interrogata sulla natura dell’istituto dell’audizione e se questo potesse essere o meno qualificabile come prova o atto di indagine giungendo a due importanti decisioni che si sono succedute nel tempo e che merita senza dubbio alcuno ricordare in codesta sede. La prima sentenza a cui si fa riferimento è del 2010, nella quale i giudici di legittimità concepiscono il minore non più come oggetto di tutela ma come soggetto titolare di diritti soggettivi perfetti, autonomi e azionabili e indicano espressamente che la sua audizione, pur quando sia facoltativa, non può essere qualificata come atto di indagine ovvero come accertamento su di esso rientrante nella categoria di quelli rivolti

188 Sul tema la letteratura è vastissima, si vedano ad esempio, ex multis:

A. Dell’Antonio, Ascoltare il minore. L’audizione del minore nei procedimenti civili, Milano, Giuffrè Editore, 1990; A. Graziosi, Note sul diritto del minore ad essere ascoltato nel processo in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1991, p. 1281 ss; P. Vercellone, La convenzione internazionale sui diritti del fanciullo e l’ordinamento interno italiano, in Minorigiustizia, 1993, p. 124 ss; M. Persiani, L’ascolto del minore: pregi e ambiguità di una norma condivisibile e necessaria, in Minorigiustizia, 2006, p. 164; P. Ronfani, Le buone ragioni a sostegno della pratica dell’ascolto, in Minorigiustizia, 2006, p. 147; G. Magno, L’ascolto del minore: il precetto normativo, in Dir. fam. pers., 2006, pp. 1273 ss; A. Finocchiaro, L'audizione del minore e la convenzione sui diritti del fanciullo, in Vita not., 1991, pp. 834 ss.; A. Graziosi, Note sul diritto del minore ad essere ascoltato nel processo, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1991, pp. 1281 ss.; G. Manera, L'ascolto dei minori nelle istituzioni, in Dir. fam. e pers., 1997, pp. 1551 ss.

189F. Danovi, Il difensore del minore tra principi generali e tecniche del giusto processo, in “La deontologia dell’avvocato nel diritto di famiglia”, Pisa, 2009, p.32. 190 A. Graziosi, I processi di separazione e divorzio, Torino, Giappichelli Editore, 2008, p. 51.

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a convincere il giudice in ordine alla sussistenza o meno di determinati fatti storici bensì rappresenta lo strumento diretto a raccogliere le opinioni nonché le valutazioni ed esigenze rappresentate dal minore in merito alla vicenda in cui è coinvolto191. Con una seconda decisione dell’anno seguente, di nuovo la Cassazione si è pronunciata sull’eventuale valore probatorio dell’audizione del minore prevedendo che quest’ultima non rappresenta una testimonianza o un altro atto istruttorio volto ad acquisire una risultanza favorevole all’una o all’altra soluzione, bensì un momento formale del procedimento deputato a raccogliere le opinioni ed i bisogni del minore in merito alle questioni che lo riguardano192.

C’è da dire che ciò che il legislatore non ha concesso sul piano della difesa tecnica, ha concesso sul piano dell’ascolto diminuendo gli spazi di discrezionalità del giudice nel disporre tale mezzo. Prima della riforma della filiazione, l’art. 155-sexies c.c. sollevava vari dubbi e si prestava a letture contrapposte sulla cogenza dell’ascolto e la dottrina si era a lungo interrogata se dall’articolo discendesse come implicazione naturale l’obbligatorietà dell’audizione del minorenne e il dovere del giudice di disporla, o se al contrario permanesse un margine di discrezionalità per l’autorità giudicante; la rubrica delle norma, con la congiuntiva “e” utilizzata nella locuzione “poteri istruttori e ascolto del minore” poteva essere interpretata nel senso di accostare l’ascolto ai poteri istruttori, ricomprendendolo in tale ambito193 o come sinonimo di differenziazione da questi, anche sul profilo dell’iniziativa in modo da demarcare i poteri di indagine del giudice rispetto ad un istituto doveroso. Il tenore letterale della norma, in termini imperativi, ha favorito i sostenitori della seconda interpretazione secondo i quali

191 Cass. civ., Sez. I, 26 marzo 2010, n. 7282, in Fam. e dir., 2011, 3, 268, nota di Querzola.

192 Cass. civ., Sez. I, 26 gennaio 2011, n. 1838, in Pluris, Wolters Kluwer Italia. 193 C. De Pasquale, La riforma del processo di separazione e divorzio. Tutele sostanziali e processuali, in AA.VV., Studi in memoria dell’avv. Mario Jaccheri a cura di C. Cecchella, Pisa, 2007.

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l’audizione del minore era imprescindibile194 e si atteggiava a

condizione di procedibilità del giudizio195. Questa incertezza in merito

alla portata cogente della norma è stata poi superata definitivamente con l’art 315-bis c.c. il quale, in aderenza all’orientamento giurisprudenziale di cui sopra ed in linea con la normativa sovranazionale già ampiamente illustrata, riconosce con forza cogente un vero e proprio diritto all’ascolto del minore, che abbia compiuto 12 anni di età o anche di età inferiore, se capace di discernimento, in tutte le questioni e procedure che lo riguardano, a prescindere dall’oggetto. È d’obbligo sottolineare come nella formulazione letterale dell’art. 315-bis, comma 3, c.c., il legislatore ha fatto riferimento per la prima volta all’ “ascolto” del minore e non all’ “audizione” o all’atto processuale del “sentire” e questa è una differenza terminologica di non poco conto196; invero, il termine “audizione” richiama l’idea di un atto processuale specifico in cui il minore si presenta al giudice che lo interroga liberamente, prendendo nota di ciò che egli afferma in modo del tutto spontaneo e traendo poi le proprie conclusioni. Il “sentire” il minorenne è funzionale alla raccolta di informazioni utili per il procedimento mentre “ascoltare” significa prestare attenzione ai bisogni e alle idee del minore e ai possibili disagi che egli vive rispetto alle vicende in cui è coinvolto. Ciò premesso, è evidente come a seguito della riforma della filiazione l’ascolto sia configurato come un diritto del minore a far sentire la sua voce cui corrisponde il dovere del giudice di darvi attuazione ascoltando il minore nelle procedure che lo riguardano e coinvolgono i suoi interessi, sulla scorta di quanto già sancito dalle convenzioni sovranazionali.

194 F. Tommaseo, Le nuove norme sull’affidamento condiviso: profili processuali, in Fam. e dir., 2006, p. 397.

195 A. Graziosi, Profili processuali della l. n. 54 del 2006 cd. Sull’affidamento condiviso dei figli, in Dir. fam. e pers., 2006, p. 1865.

196 E. Palamà, Relazione su “Le novità dell’art. 315-bis c.c.: l’ascolto del minore, in “Le nuove competenze del tribunale ordinario alla luce dell’equiparazione tra figli legittimi e naturali”, Convegno AMI – Sezione distrettuale di Lecce del 05.04.2013.

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