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Le sanzioni disciplinari: il caso Corte di Cassazione Sezioni Unite Civili, 20 gennaio –

L’avvocato del minore nei procedimenti civili: retribuzione e deontologia

5. Le sanzioni disciplinari: il caso Corte di Cassazione Sezioni Unite Civili, 20 gennaio –

4 febbraio 2009, n. 2637

Come è stato illustrato, i principi deontologici che gli avvocati sono tenuti a rispettare non sono mere regole di etica e morale ma la loro violazione comporta vere sanzioni giuridiche previste dall’ordinamento. Per portare un esempio concreto, è utile procedere all’esame di una sentenza274 già menzionata275 sulla violazione di

quanto sancito dall’art. 56 del Codice Deontologico Forense.

Nel caso di specie, il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Udine, con decisione del 13 aprile 2004, sanzionò con la sospensione per tre

272 Dosi G., L’avvocato del minore nei procedimenti civili e penali, Torino, Giappichelli Editore, 2010, pp. 525-527.

273 G. Gulotta, La famiglia come sistema e il ruolo dell’avvocato, in Fam. dir., 1995, I, 84-86.

274 Cass. civ., Sez. Un., 4 febbraio 2009, n. 2637, in Pluris, Wolters Kluwer Italia. 275 Infra par. 6.1.1, cap. III.

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mesi dall'esercizio della professione forense l'avv. D. M., al quale era stata addebitata una violazione dei doveri di dignità, decoro e lealtà professionali per avere egli, nel corso di un giudizio di separazione coniugale in cui difendeva la sig.ra E. B., intrattenuto colloqui con i figli minorenni di costei, su questioni attinenti alla causa di separazione, benché detti figli fossero in assai tenera età e fossero state disposte dal giudice specifiche restrizioni in ordine alla loro frequentazione.

A seguito d'impugnazione dell'avv. M. la condanna fu confermata dal Consiglio nazionale forense, la cui pronuncia venne però in seguito annullata, per ragioni di carattere processuale, con sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione. In sede di rinvio il medesimo Consiglio nazionale forense, con decisione depositata il 22 aprile 2008, rigettò nuovamente il gravame dell'avv. M. avverso la pronuncia del Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Udine, perché ritenne provato che l'incolpato avesse avuto almeno un contatto, all'insaputa del padre affidatario, con i figli minorenni della propria assistita, nonostante la delicata situazione psicologica in cui costoro versavano, accertata con apposita perizia nel corso del giudizio di separazione, in conseguenza della quale il giudice, con una disposizione da ritenersi estesa anche ai difensori delle parti, aveva invece stabilito che la frequentazione dei minori dovesse avvenire in presenza del nonno e della zia e sotto la supervisione di un educatore.

Per la cassazione di tale decisione ricorre nuovamente l'avv. M., prospettando due motivi di censura.

Con il primo motivo di ricorso, facendo riferimento all'art. 606, c. 1, lett. b), c.p.p., l'avv. M. lamenta violazioni di legge in cui sarebbe incorso il Consiglio Nazionale Forense, il quale non avrebbe tenuto conto della situazione di necessità che aveva spinto il medesimo avv. M. a prendere contatto con i figli della sua assistita al fine di verificare

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se davvero il padre li avesse sottoposti ai maltrattamenti che la madre aveva denunciato e con il secondo motivo, riferito anche questa volta alla previsione all'art. 606, c. 1, lett. e), c.p.p., l’avvocato sostiene che le limitazioni poste dal giudice della causa di separazione coniugale alla possibilità di intervistare liberamente i figli della coppia non avrebbero potuto operare nei confronti del legale della madre, investito del mandato di difenderla anche eventualmente mediante l'assunzione di iniziative di carattere penale e perciò facoltizzato a compiere ogni indagine a tal fine necessaria. La motivazione della decisione impugnata sarebbe inoltre viziata per non aver considerato che l'avv. M. era dotato di cognizioni medico-psicologiche adeguate a consentirgli di colloquiare con i figli minorenni della propria assistita senza pregiudizio alcuno per l'equilibrio psichico di costoro.

La Corte di cassazione non ritiene il ricorso meritevole di accoglimento sotto nessuno dei profili prospettati.

Tralasciando i punti sollevati dal ricorrente sulla prescrizione e sulla legittimità costituzionale che non interessano il presente elaborato, soffermiamo l’attenzione sulle ulteriori censure sopra menzionate che sono state congiuntamente esaminate.

La corte premette che le decisioni del Consiglio nazionale forense in materia disciplinare sono impugnabili dinanzi alle sezioni unite della Corte di cassazione, soltanto per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge, con la conseguenza che l'accertamento del fatto, l'apprezzamento della sua rilevanza rispetto alle imputazioni, la scelta della sanzione opportuna e, in generale, la valutazione delle risultanze processuali non possono essere oggetto del controllo di legittimità, salvo che si traducano in un palese sviamento di potere, ossia nell'uso del potere disciplinare per un fine diverso da quello per il quale è stato conferito. Oltre a ciò, essendo dette decisioni soggette all'obbligo di motivazione sancito per ogni provvedimento giurisdizionale dall'art.

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111 Cost., esse possono esser censurate dinanzi alle sezioni unite della Corte di cassazione anche per difetto di motivazione; ma il vizio di motivazione che può essere fatto valere è solo quello che si traduca in omissioni, lacune o contraddizioni incidenti su punti decisivi, dedotti dalle parti o rilevabili d'ufficio, senza che la deduzione del suddetto vizio possa essere tesa ad ottenere un riesame delle prove e degli accertamenti di fatto, o un sindacato sulla scelta discrezionale del consiglio in ordine al tipo e all'entità della sanzione.

Alla stregua di siffatti principi, l'accertamento in punto di fatto dei riferiti presupposti integranti una situazione di necessità di cui il ricorrente vorrebbe far accertare l’esistenza non può certo trovar luogo nel giudizio di cassazione. Sull'adeguata preparazione psico- pedagogica del medesimo ricorrente, che gli avrebbe consentito di colloquiare liberamente con i figli minorenni della propria cliente senza dover sottostare alle limitazioni imposte dal giudice a tutela dell'integrità psicologica di detti minori, la Suprema Corte ritiene che nulla è indicato in ordine ai dati di fatto dai quali tale circostanza si sarebbe dovuta desumere né in ordine al modo ed al tempo in cui, nel corso del giudizio, essa sarebbe stata dedotta e provata, il che non consente di ravvisare in essa un fatto decisivo della controversia, sul quale il giudice a quo avesse l'onere di formulare una specifica motivazione.

Sulla base di queste osservazioni la corte, pronunciando a sezioni unite, rigetta il ricorso del difensore tecnico, colpevole di violazione del Codice Deontologico Forense.

Per concludere, da quanto rilevato nel paragrafo in oggetto, la materia relativa alla difesa del minore necessita di un consistente ripensamento a cui non può escludersi la necessità di un adeguamento anche delle regole deontologiche, che non possono più proporsi come principi generali, dal momento che la specialità della materia familiare

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giustificherebbe l’ introduzione di regole diverse e di una disciplina maggiormente specifica, senza la necessità di attingere da altri ambiti disciplinari o da previsioni valide in vari settori.

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CAPITOLO V

L’avvocato del minore nel diritto comparato