• Non ci sono risultati.

Il Codice dell’ambiente e il Collegato Ambientale

Parte I: L’importanza del contesto regolatorio

4. La normativa nazionale in tema di economia circolare e le opportunità del nuovo pacchetto

4.1. Il Codice dell’ambiente e il Collegato Ambientale

Il d.lgs. n. 152 del 2006, ossia il c.d. “Codice dell’ambiente”, nella Parte Quarta relativa alle norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati, al Titolo I, recante la Gestione dei rifiuti, contiene le disposizioni che, in qualche modo, definiscono il perimetro normativo all’interno del quale si muove il concetto di “circular economy”.

Innanzitutto, il Codice dell’ambiente ci rappresenta che la gestione dei rifiuti costituisce attività di pub-blico interesse (articolo 177) e che tale gestione è effettuata conformemente ai principi di precauzione, di prevenzione, di sostenibilità, di proporzionalità, di responsabilizzazione e di cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, nella distribuzione, nell’utilizzo e nel consumo di beni da cui

origi-nano i rifiuti, nonché del principio chi inquina paga.7A tale fine la gestione dei rifiuti è effettuata

se-condo criteri di efficacia, efficienza, economicità, trasparenza, fattibilità tecnica ed economica, nonché nel rispetto delle norme vigenti in materia di partecipazione e di accesso alle informazioni ambientali (articolo 178). Ai noti principi sopradescritti si affianca quello ex articolo 178-bis, recante la c.d. responsabilità estesa del produttore (Extended Producer Responsability “EPR”) che, a

7 Il principio “chi inquina paga”, previsto dall’articolo 15 e dal ventinovesimo considerando della direttiva 94/62, esige, ai sensi di tale considerando, che “tutte le parti coin-volte nella produzione, nell’uso, nell’importazione e nella distribuzione di imballaggi e di prodotti imballati diventino più consapevoli dell’incidenza degli imballaggi nella produzione di rifiuti” e “accettino di assumersene la responsabilità”. Tale principio, pertanto, non concerne solo coloro che sono direttamente responsabili della pro-duzione dei rifiuti, ma ha una portata più ampia, ossia coinvolge altresì coloro i quali contribuiscono a tale propro-duzione di rifiuti, inclusi gli importatori e i distributori dei prodotti imballati. (Corte di Giustizia Unione Europea, Sez. IX, 15 marzo 2018, n. 104/17)

ben vedere, assurge a principio chiave nell’ottica della realizzazione dell’economia circolare. Tale di-sposizione, introdotta dal d.lgs. n. 205 del 2010 che ha recepito la Direttiva 2008/98/CE in materia di rifiuti, afferma, tra l’altro, che “Al fine di rafforzare la prevenzione e facilitare l’utilizzo efficiente delle risorse durante l’intero ciclo di vita, comprese le fasi di riutilizzo, riciclaggio e recupero dei rifiuti, evi-tando di compromettere la libera circolazione delle merci sul mercato, possono essere adottati, pre-via consultazione delle parti interessate, con uno o più decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare aventi natura regolamentare, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, le modalità e i criteri di introduzione della respon-sabilità estesa del produttore del prodotto, inteso come qualsiasi persona fisica o giuridica che pro-fessionalmente sviluppi, fabbrichi, trasformi, tratti, venda o importi prodotti, nell’organizzazione del sistema di gestione dei rifiuti, e nell’accettazione dei prodotti restituiti e dei rifiuti che restano dopo il loro utilizzo”.

La responsabilità estesa del produttore, pertanto, è quel principio per cui il produttore di un dato ma-nufatto non può disinteressarsi del prodotto che ha immesso sul mercato, ma, al contrario, è tenuto ad occuparsi anche del fine vita dello stesso. L’obiettivo di tale strumento è, in buona sostanza, fare in modo che il produttore internalizzi i costi ambientali generati dai propri manufatti e si senta in-centivato a ricorrere a una produzione più virtuosa in grado di generare meno costi a fine vita (riciclo e riutilizzo). Peraltro, dalla lettura dell’articolo 178-bis emerge che allo stato attuale la disciplina re-lativa all’EPR, declinata nella locuzione “possono essere adottati”, è più di principio che sostanziale ma, come anticipato in precedenza, molte saranno le modifiche normative che incideranno su tale principio, posto che il Parlamento Europeo ha inserito l’EPR tra i principali strumenti di promozione al passaggio verso un’economia circolare.

Va però segnalato che in alcuni casi appare oggi del tutto inopportuno prevedere sistemi di respon-sabilità estesa del produttore, in particolare per quei settori per i quali le filiere di raccolta, recupero e riciclo già permettono di generare quantità minime di rifiuto.

Basti pensare che nel settore alimentare e, nello specifico, nel settore della produzione e dell’immis-sione sul mercato degli oli e dei grassi animali e vegetali alimentari, il concetto di responsabilità estesa del produttore andrebbe declinato tenendo conto della peculiarità della filiera stessa. In effetti, gli oli e i grassi alimentari sono spesso destinati ad essere ingeriti o inglobati in preparazioni complesse come ingredienti, non generando alcun tipo di rifiuto. Raramente essi sono destinati a costituire rifiuto (UCO – Used Cooking Oils) ma, anche in questo caso, le filiere della raccolta e della rigenerazione - il cui sviluppo è stato spinto e sostenuto dal successo dell’utilizzo energetico, incentivato dal sistema

del doppio conteggio (double counting) - ne hanno ridotto al minimo lo sversamento incontrollato nel-l’ambiente e, quindi, il potenziale inquinante.

Tanto premesso, a partire dalla lettura delle norme, si ritiene opportuno sviluppare qualche conside-razione critica sulla portata di tale principio e sulle implicazioni legate a una sua modifica a seguito delle nuove disposizioni europee.

“I regimi di responsabilità estesa del produttore sono elementi essenziali di una buona gestione dei ri-fiuti.” Così recita il considerando numero 21 della nuova Direttiva 30 maggio 2018, n. 2018/851/UE (che ha modificato la Direttiva 2008/98/CE), ed è da tale considerazione che si è andato sviluppando il nuovo articolo 8-bis che disciplina i requisiti generali minimi in materia di responsabilità estesa del produttore. A chiarire la ratio di questa nuova previsione normativa è la stessa Direttiva che l’ha generata, dal mo-mento che la stessa, al considerando 22, afferma che tali requisiti, tra l’altro, mirano a ridurre i costi e mi-gliorare l’efficacia della gestione dei rifiuti, a garantire al contempo pari condizioni di concorrenza, anche per le piccole e medie imprese e, naturalmente, a non ostacolare il funzionamento del mercato interno. Un progetto, evidentemente, molto ambizioso. Infatti, il nuovo articolo 8-bis della Direttiva 2008/98/CE, nel definire i requisiti generali che gli Stati Membri dovranno rispettare nell’adottare i regimi di “Ex-tended Producer Responsibility” (EPR) previsti dall’articolo 8, stabilisce quali ruoli e responsabilità dovranno avere questi sistemi, gli obiettivi da raggiungere, la garanzia della presenza di un sistema di comunicazione delle informazioni, nonché l’assicurazione che i produttori di prodotti, indipenden-temente dalla loro origine o dimensione, verranno sottoposti a un trattamento equo, senza imporre un onere regolamentare sproporzionato sui produttori di piccole quantità di prodotti (comprese le piccole e medie imprese).

Molto interessante la previsione del paragrafo 2 dell’articolo 8-bis che, nello stabilire che gli Stati mem-bri sono tenuti ad adottare misure per incentivare i detentori di rifiuti interessati dai regimi EPR ad as-sumersi la responsabilità di conferire i rifiuti ai sistemi esistenti di raccolta differenziata, attraverso norme o incentivi economici, sottolinea quanto questi nuovi regimi EPR rappresenteranno, contemporanea-mente, una sfida e un’opportunità di crescita per le imprese del settore, a patto, naturalcontemporanea-mente, che tali misure incentivanti centrino l’obiettivo, ossia rendere il sistema efficiente e competitivo al contempo. E quando parliamo di “efficienza” dei nuovi regimi EPR, non sfuggono le previsioni di cui al paragrafo 3 che impongono agli Stati membri, ad esempio, di adottare misure atte a garantire l’universalità del servizio (aspetto attualmente critico nel nostro Paese), ovvero disporre di mezzi finanziari e organiz-zativi “adeguati” a soddisfare gli obblighi derivanti dalla responsabilità estesa del produttore. Un sistema è davvero efficiente se, oltre a richiedere uno sforzo significativo da parte dei destinatari della norma, si pone anche il problema di come renderlo traguardabile.

all’in-novazione. In tal senso, si potrebbe immaginare un regime che incentiva i produttori a considerare mag-giormente aspetti quali la riciclabilità o la riutilizzabilità del prodotto (internalizzando i costi nel prezzo finale), un regime che investe sull’EcoDesign, anche nell’ottica di Industria 4.0. Inoltre, si potrebbe ipo-tizzare l’introduzione di un regime di tassazione IVA agevolata per l’acquisto di beni che hanno una per-centuale minima di prodotto riciclato e/o riciclabile o, ancora, immaginare una certificazione del prodotto cd “circolare” che, attraverso misure incentivanti che vanno dal produttore al consumatore, consenta davvero di “chiudere il cerchio”.

Evidentemente però la priorità, in tal senso, per il sistema Paese, consiste ancora nella necessità (ed urgenza) di provvedere ad innalzare la capacità impiantistica “virtuosa” del Paese, favorendo l’effi-cienza degli impianti di riciclo e recupero esistenti e la realizzazione di nuovi impianti per massimiz-zare la capacità di riciclo e recupero e minimizmassimiz-zare il ricorso allo smaltimento in discarica, anche al fine di traguardare gli obiettivi europei.Altre norme di cui dare conto in tema di economia circolare all’in-terno del Codice dell’ambiente sono gli articoli 179 (Criteri e priorità nella gestione dei rifiuti), 180 (Prevenzione della produzione di rifiuti), 180-bis (Riutilizzo di prodotti e preparazione per il riutilizzo dei rifiuti), 181(Riciclaggio e recupero dei rifiuti), e 182-bis (Principi di autosufficienza e prossimità). Tutte le norme sopracitate fanno parte della Parte Quarta, Titolo I del d.lgs. n. 152 del 2006 in mate-ria di gestione dei rifiuti e prevedono, innanzitutto, disposizioni circa la gerarchia con la quale deve avvenire la gestione dei rifiuti, ossia prevenzione, preparazione per il riutilizzo, riciclaggio, recupero di altro tipo (per esempio il recupero di energia) e, infine, smaltimento (articolo 179). Poiché la “gerar-chia” stabilisce un ordine di priorità di ciò che costituisce la migliore opzione ambientale, è facile in-tuire come procedure quali la preparazione per il riutilizzo il riciclaggio e il recupero rappresentino strumenti pratici e normativi in grado di stimolare il passaggio verso l’economia circolare. In partico-lare, lo smaltimento dei rifiuti deve avvenire, a mente dell’articolo 182-bis (norma introdotta dal già citato d.lgs. n. 205 del 2010) in ossequio ai principi di autosufficienza e prossimità (permettendo cioè lo smaltimento dei rifiuti ed il recupero dei rifiuti urbani indifferenziati in uno degli impianti idonei più vicini ai luoghi di produzione e raccolta), ossia con il ricorso ad una rete integrata ed adeguata di im-pianti, tenendo conto delle migliori tecniche disponibili e del rapporto tra i costi e i benefici com-plessivi.

Tanto premesso, il 2 febbraio 2016 è entrata in vigore la Legge 28 dicembre 2015, n. 221 meglio nota come “Collegato Ambientale”, recante disposizioni in materia di normativa ambientale per pro-muovere la green economy e lo sviluppo sostenibile. Tale provvedimento ha il pregio di aver consen-tito che i principi dell’economia circolare entrassero a far parte dell’ordinamento nazionale per mezzo di alcune disposizioni in tema di gestione dei rifiuti, nonché di misure incentivanti, che di seguito si vanno a descrivere.

In particolare, l’articolo 13 (Sottoprodotti utilizzabili negli impianti a biomasse e biogas), al primo comma consente che “…al fine di ridurre l’impatto ambientale dell’economia italiana in termini di pro-duzione di anidride carbonica e di realizzare processi di propro-duzione in un’ottica di implementazione di un’economia circolare…”, i sottoprodotti della trasformazione degli zuccheri tramite fermenta-zione, nonché i sottoprodotti della produzione e della trasformazione degli zuccheri da biomasse non alimentari, e i sottoprodotti della lavorazione o raffinazione di oli vegetali vengano inseriti nell’elenco dei sottoprodotti utilizzabili negli impianti a biomasse e biogas ai fini dell’accesso ai meccanismi di incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti a fonti rinnovabili.

Per quanto riguarda le misure incentivanti, è da segnalare l’articolo 23 che prevede, attraverso l’in-troduzione nel Codice dell’ambiente dell’articolo 206-ter, la possibilità per le Pubbliche Amministra-zioni competenti di stipulare appositi Accordi e contratti di programma con svariati soggetti (tra cui imprese che producono beni derivanti da materiali post consumo riciclati o dal recupero degli scarti e dei materiali rivenienti dal disassemblaggio dei prodotti complessi, con enti pubblici, con soggetti pubblici o privati, con le associazioni di categoria, ivi comprese le associazioni di aziende che si oc-cupano di riuso, preparazione al riutilizzo e riciclaggio; con associazioni senza fini di lucro, di promo-zione sociale nonché con imprese artigiane e imprese individuali, con i soggetti incaricati di svolgere le attività connesse all’applicazione del principio di responsabilità estesa del produttore), al fine di in-centivare il risparmio e il riciclo di materiali attraverso il sostegno all’acquisto di prodotti derivanti da materiali riciclati, dal recupero degli scarti o da materiali rivenienti dal disassemblaggio dei prodotti complessi.

Ancora, l’articolo 32 del sopracitato Collegato Ambientale contiene disposizioni volte a incremen-tare la raccolta differenziata e il riciclaggio. Nello specifico, è previsto che gli obiettivi di raccolta diffe-renziata possono essere riferiti al livello di ciascun comune invece che a livello di ambito territoriale ottimale; un’addizionale al tributo speciale per il deposito dei rifiuti solidi in discarica viene posta di-rettamente a carico dei comuni che non hanno raggiunto le percentuali di raccolta differenziata, di conseguenza il superamento di determinati livelli di raccolta differenziata fa scattare riduzioni del sud-detto tributo; ancora viene disciplinato il calcolo annuale del grado di efficienza di raccolta differenziata. L’articolo 45 consente, inoltre, alle Regioni di introdurre incentivi economici al fine raggiungere gli obiettivi di riduzione della quantità dei rifiuti non riciclati e incremento della raccolta differenziata. La medesima disposizione prevede altresì l’adozione di programmi regionali di prevenzione dei rifiuti e campagne di sensibilizzazione.

calori-8 In presenza di materiali residuali rispetto a procedimenti di lavorazione non destinati in via principale alla loro produzione, bisogna distinguere tra rifiuti e non rifiuti: den-tro quest’ultima categoria rientrano i sottoprodotti, le materie prime secondarie MPS e gli End of Waste (rifiuti recuperati secondo quanto previsto dall’art. 183-ter d.lgs. n. 152/2006, Codice dell’ambiente). I sottoprodotti si differenziano dalle altre due categorie di “non rifiuti”, per il fatto di derivare da un processo produttivo (non diret-tamente destinato alla loro produzione), anziché da un processo di recupero di rifiuti. (TAR Lombardia Brescia Sez. II, 22 marzo 2017, n. 400)

fero superiore a 13.000 kJ/Kg e l’articolo 47 è intervenuto sulla disciplina degli obiettivi e delle mo-dalità di adozione dei programmi regionali per la riduzione dei rifiuti biodegradabili da conferire in di-scarica. L’articolo 48 ha poi previsto che l’Istituto Superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) sia l’organo amministrativo deputato all’individuazione dei criteri tecnici da applicare per sta-bilire quando non ricorre la necessità di trattamento dei rifiuti prima del loro collocamento in discarica.