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Il Comitato di Architettura del Consorzio Costa Smeralda

Il Comitato di Architettura, istituito anch’esso nel 1962, era composto dal Principe Aga Khan nel ruolo di Presidente, dall’Avv. Riccardi nel ruolo di segretario e dagli architetti Jacques Couelle, Raymond Martin, Michele Busuri- Vici, Luigi Vietti e Antonio Simon Mossa. Jacques Couelle, Luigi Vietti e Michele Busiri Vici hanno inventato lo stile architettonico della Costa Smeralda. Con Porto Cervo nasce “l’architettura smeraldina”: prima di dare inizio ai lavori gli architetti ed i collaboratori del Principe presero appunti, fecero fotografie, osservarono particolari architettonici in lungo e in largo per tutta la Sardegna, per creare un progetto e stile architettonico che rispettasse l’ambiente dell’isola e lo esaltasse. L’architettura smeraldina ha influenzato sia località vicine che centri più lontani. Lo stile architettonico e di arredamento della Costa Smeralda è unico e riconoscibile a colpo d’occhio: la fanno da padrone il colore bianco, gli inserti in legno di ginepro, la ceramica dei complementi d’arredo ed i tessuti dalla particolare filatura e tessitura in stile sardo, le forme morbide e curve delle costruzioni che esprimevano un forte legame con la natura circostante. Essenziale e prezioso fu il contributo nei primi anni di Antonio Simon Mossa, architetto sassarese valido ed esperto; le sue specificità umane e culturali aiutarono gli altri architetti ad interpretare correttamente tradizioni e caratteristiche locali.

Gli architetti erano tutti professionisti di grande valore, perché dotati di spiccata professionalità e buon gusto. Tutti i personaggi che componevano il Comitato di Architettura all’inizio dell’avventura si confrontavano attorno a lunghe tavolate all’Hotel Jolly di Olbia, prima di poter costruire gli uffici a Porto Cervo; in Costa ci approdavano con i barconi, puntando sui luoghi più significativi, o avventurandosi con le jeep su strade inesistenti. Le loro erano avventurose scarpinate su spiagge intatte e dirupi scoscesi; la vegetazione fitta, a volte aspra ed inestricabile, veniva solcata con caparbietà e tenacia. Le considerazioni verbali dei “pionieri” si intrecciavano in un silenzio surreale alle sensazioni di meraviglia per gli scorci panoramici, i colori dell’acqua, che mutavano lungo il corso della giornata, ed i profumi misti di essenze e fioriture

stagionali: erica, mirto, cisto, le tonalità gialle della ginestra sarda spiccavano incontrastati nella fitta macchia mediterranea, nobilitata dalla presenza del ginepro; anche se non sempre il lavoro di per sé entusiasmante di creare dal nulla quel grande progetto si rivelava un idillio: giornate nuvolose, mari agitati, venti fortissimi di maestrale rendevano l’immagine completa di una terra che non teneva nascosto il suo lato sgradevole a questi primi avventori, i quali avevano la convinzione che tutto facesse parte di un rituale, che andava accettato ed interpretato nei suoi lati positivi anche quando le condizioni si rivelavano avverse. Tutti erano convinti dell’utilità del vento di maestrale, che in Gallura soffia dai tre ai sette giorni: “ha la funzione essenziale di ripulitura e ricambio salubre e tonale dell’aria”5; anche quando girando per i cantieri si

faticava quasi a reggersi in piedi, loro sapevano che anche quel vento era parte della conservazione di quel paesaggio, e sua caratteristica peculiare. In ogni caso, l’obbiettivo vero e prioritario di tutti loro era di godere e di far godere integralmente di tali bellezze naturali, e si intrecciava dunque ai programmi, alle idee, ai progetti, in una sintesi quasi perfetta di realismo e poesia, che sono sempre state le linee guida del Comitato di architettura e del Consorzio Costa Smeralda nel suo complesso. Per questo motivo il Comitato lavorava in modo scrupoloso prima dell’approvazione di ogni progetto: si recava sul posto dove dovevano essere costruiti i fabbricati per esaminare le sagome – costituite da pali in legno che rendevano visibili le future altezze e gli ingombri degli edifici- per verificare l’impatto ambientale che avrebbe prodotto la costruzione e controllare il suo inserimento nel paesaggio. Dotandosi di un regolamento edilizio complesso ed articolato, il Comitato esaminava i progetti architettonici e paesaggistici che man mano gli venivano proposti. Era un esame preliminare di carattere privatistico che anticipava il giudizio dell’Ente Locale e più volte veniva a configurarsi in modo più restrittivo, nei confronti dell’Amministrazione Comunale. Gli architetti si confrontavano e giudicavano l’uno il progetto dell’altro, in quanto erano tutti consapevoli di quanto fosse importante fare il meglio per la Costa Smeralda e progettare nel pieno rispetto

dell’ambiente. Il modo di lavorare del comitato ed i concetti che esprimeva erano all’avanguardia, in anticipo rispetto alle idee conservatrici del tempo. Su richiesta dello stesso comitato il sovrintendente delle belle arti del nord Sardegna al tempo il Prof. Carità, aveva ottenuto l’autorizzazione del Ministero dei Beni Culturali a partecipare alle riunioni del comitato che si riuniva una o due volte al mese, a seconda dell’urgenza dell’ordine del giorno da discutere. La presenza del sovrintendente al comitato era molto importante, perché anch’egli esaminava tutti i progetti che venivano presentati dai consorziati insieme a tutti gli altri componenti, e questi progetti una volta approvati dovevano ottenere il visto degli uffici della sua sovrintendenza. Questa era la tappa obbligatoria per ogni progetto immobiliare sulla fascia costiera sarda. La sua presenza vigile e fattiva accorciava i tempi e le modalità istruttorie, nel rispetto rigoroso di regolamenti e normative vigenti. Il Comitato di architettura ha dunque redatto il Regolamento edilizio della Costa Smeralda che impone regole severe per l’edilizia e persino per la vegetazione da inserire nei giardini, per meglio conservare l’aspetto naturale dell’ambiente, ad esempio furono proibite le palme che non fanno parte della macchia mediterranea di questa zona. L’esame dei progetti, essendo dunque molto preciso ed attento, si articolava in due fasi tra loro strettamente integrate: la prima fase prevedeva l’esame a tavolino: su questa si sviluppavano accese e prolungate discussioni, conseguenza delle diverse esperienze e provenienze culturali e professionali degli architetti promotori; ma alla fine le discussioni convergevano in maniera unitaria sugli obiettivi del rispetto assoluto ed indiscutibile del territorio e delle sue prerogative eccezionali. La seconda fase prevedeva il consueto sopralluogo sui vari siti, dove i progettisti ed i loro committenti proprietari dovevano far installare le sagome d’ingombro delle opere progettate, sia in altezza che in estensione. Spesso si verificava che l’esame preventivo fatto a tavolino risultasse positivo, e che poi in loco la visione delle sagome d’ingombro denunciassero inconvenienti ed anomalie nei confronti di caratteristiche vegetazionali, rocciose e panoramiche. Il ginepro non poteva essere toccato, i pietroni di granito scolpito e modellato nei secoli non poteva essere distrutto, e l’occlusione parziale di vedute panoramiche eccezionali o

sbancamenti di terreno eccessivi provocavano modifiche delle sagome con riduzioni delle altezze e slittamenti del fabbricato a valle, escludendo eventuali sopralzi che andassero a toccare lo sky-line naturale, disegnato nel cielo da gruppi collinari e montuosi. Si richiedeva dunque agli architetti di riporre mano al progetto, rendendolo meno invasivo e più rispettoso dell’ambiente circostante. Decisiva per il Comitato di Architettura fu la presenza pluridecennale del Geom. Gesuino Monagheddu, segretario del comitato e successivamente divenuto direttore del Consorzio. Le sue istruttorie puntuali, la sua dedizione e la sua fedeltà alle strutture consortili, ne hanno fatto un punto di riferimento importante nella storia della Costa Smeralda. Ma con il successivo disimpegno dell’Aga Khan (1987) anche queste regole non sono più state osservate con la tradizionale severità. Un’altra delle tradizioni del Comitato di Architettura che oggi meno spesso si osservano era molto importante dal punto di vista umano e stimolante e significativa dal punto di vista lavorativo e progettuale: il pranzo di copertura, che si svolgeva in ogni cantiere quando si arrivava al momento di copertura dell’edificio, che coinvolge tutti, i committenti, il comitato, gli architetti progettisti e tutte le imprese con i loro operai. Si creava sempre un ambiente sereno e costruttivo di altre idee e progetti. Il Comitato di Architettura è tutt’ora esistente e saldo nei suoi principi, e vede la partecipazione degli eredi di alcuni degli architetti promotori.