Genere e tecnologie
2.3 Il contributo del cyberfemminismo
Se i primi studi sulle donne e la tecnologia enfatizzavano il ruolo della tecnologia nel riprodurre il patriarcato, con un atteggiamento pessimista nei confronti della tecnologia, i più recenti scritti cyberfemministi propongono una diversa relazione tra donne e tecnologie, al cui interno le nuove tecnologie digitali (e biomediche) possono offrire la possibilità di destabilizzare le tradizionali gerarchie di genere. Con la maggiore diffusione delle tecnologie di comunicazione cresce una tendenza pratica e teorica chiamata cyberfemminismo che, a partire dagli anni ’90, permette alle riflessioni femministe sulle tecnologie di trovare una formulazione politica. Il cyberfemminismo si muove agendo una critica situata a internet ed esplora il legame tra le tecnologie digitali e i processi di costruzione e di de-costruzione dei modelli e degli stereotipi di genere, oltre che i nuovi tipi di agency. Nel 1997, stimolati anche dalla sempre maggiore presenza femminile online, Faith Wilding e Critical Art Ensamble definivano il cyberfemminismo come un nuovo processo di pensiero e di pratiche:
cyberfeminism calls attention to the impact of new technologies on the lives of women and the insidious gendering of technoculture in everyday life. Cyberspace does not exist in a vacuum;; it is intimately connected to numerous real-world institutions and systems that thrive on gender separation and hierarchy (Wilding et al. 1997: 50)
In altre parole, le cyberfemminsite guardano al modo in cui il potere si muove online, ma anche a come le istituzioni modellano la forma e l’esperienza del web, e come quest’ultima riproduca strutture di potere in base al genere. Il cyberfemminismo offre a studiose e studiosi una possibilità per affrontare in modo concreto concetti estremamente complessi che riguardano il genere, il potere, e le tecnologie digitali. A prevalere è l’idea che il problema non sia la tecnologia stessa ma piuttosto i modi in cui essa è rappresentata e utilizzata, suggerendo che un’appropriazione bottom up delle tecnologie digitali da parte delle donne, come in altri casi di gruppi esclusi e marginali, é possibile e auspicabile.
Utilizzando la metafora cyborg in chiave empirica, il cyberfemminismo ha studiato gli usi e le pratiche delle donne sulla rete sia come collettività organizzate sia come singolarità, mettendo al centro le riflessioni del dibattito femminista: le trasformazioni dei confini tra spazio pubblico e spazio privato, le forme di inclusione e di esclusione dalla vita pubblica, le forme di organizzazione e di lotta per la rivendicazione di diritti, la costruzione di nuove soggettività all’interno dello sgretolarsi della visione monolitica dei processi identitari.
offerta da internet, con ‘virtuale’ si fa riferimento alla nozione più comune legata all’idea di cyberspazio come luogo in cui l’intelligenza umana entra negli apparati elettronici e la mente, in modo consapevole, può operare senza la presenza del corpo attraverso l’immersione in un medium (Athique 2013). 40 Per le studiose cyberfemministe dei primi anni ’90 questo ha significato la possibilità di sperimentare forme differenti di sessualità e di discutere i confini dell’identità di genere costruendo percorsi di soggettivazione attraverso l’uso della rete (l’insistenza sul termine rete corrisponde alla visione di internet come spazio di alleanza e costruzione di network). La possibilità di costruire relazioni disincarnate attraverso i nuovi media è potenzialmente una liberazione poiché permette alle persone di evadere dai limiti del corpo definiti dal mondo materiale;; di evadere e trasgredire il quotidiano;; di superare i vincoli sociali che sono rinforzati dai discorsi di ‘razza’, età e genere che trovano legittimazione nelle caratteristiche dei corpi;; di esprimere un sé più autentico poiché non si rischiano forme di aggressione fisica (Athique 2013).
I lavori delle ricercatrici e attiviste femministe che indirizzano la loro attenzione sulla capacità trasformativa delle relazioni di potere nel rapporto tra internet e genere si inseriscono in questo scenario. Le studiose indagano i modi in cui gli ambienti digitali possono nella sua dimensione fluida e performativa (Nakamura 2002), poiché sulla rete è possibile assumere in modo performativo identità alternative41 (Brophy 2010). Online è possibile azzerare i segni del corpo e della voce, in questo modo rendendo praticabili forme di sperimentazione delle identità e creando l’opportunità di giocare con il sesso, il genere e le sue rappresentazioni.
Per queste studiose la rete è un territorio in cui è possibile mettere in discussione quei discorsi di potere che traggono legittimazione dalla base incarnata della differenza sessuale e di quelle forme di discriminazione che si basano sul sesso biologico. Poiché a lungo la riflessione femminista si è interrogata su come le pratiche sessuali siano state oggetto di varie forme di regolazione e controllo (Leccardi 2011) le tecnologie digitali vengono lette come potenzialmente liberatrici da discorsi di genere oppressivi e normalizzanti.
In uno dei più significativi lavori sull’identità e internet, Sherry Turkle indica il cyber spazio come un laboratorio sociale importante per realizzare alcune prove di costruzioni e ricostruzioni di sé (Turkle 1995). Muovendo da una prospettiva psico-sociale la studiosa americana crede che le sperimentazioni di genere e sessuali online siano strumenti utili per il ripensamento non solo della propria identità di genere ‘virtuale’, ma anche del proprio sé
40 Per una riflessione sull’immaginario virtuale alimentato da internet si veda Caronia (1996).
41 Il più comune è il fenomeno del gender-swapping. Inteso come slittamento dell'identità di genere di un personaggio o di un avatar verso il genere opposto.
sessuato nella ‘vita reale’ (Turkle 1995).
Le sperimentazioni di genere di cui parla Turkle sembrano essere la naturale espressione delle teorie post-strutturaliste sull’identità, finalizzate a mettere in luce la sua dimensione discorsiva e non essenzialista, si apre in tal modo uno spazio per la negoziazione delle identità (Butler 1990) di cui la rete si fa strumento e palcoscenico: internet diventa quindi lo spazio ‘virtuale’ che può sostenere le lotte politiche femministe che cercano di sfuggire alle più rigide categorizzazioni di genere.
Un esempio di queste pratiche sono state le performance politico- artistiche delle “Vns Matrix”. “Vns Matrix” è stato un collettivo femminista, tra le prime espressioni del cyberfemminismo, che già nel '91 si inserisce provocatoriamente nella rete sovvertendo l’immaginario maschile, giocando con le identità e performando in modo creativo il rapporto tra genere, sessualità e tecnologia. Vns Matrix si appropria anche delle figurazioni pop create dal cyberpunk, per esplorare nuove forme di rappresentazione e nuove opportunità per le soggettività attraverso perfomance virtuali. Il gruppo disegna nuovi scenari fantascientifici e li popola con personaggi caricaturali. Nasce uno spazio interamente digitale e immaginario, chiamato la “Zona contestata, un terreno per la propaganda, la sovversione e la trasgressione”. L'intuizione delle Vns Matrix è quella di irrompere nel MOO42 in modo coordinato e organizzato, mettendo in scena vere performance a più voci.
Insieme all’affermarsi di una visione utopica di internet come luogo libero dai corpi, sono molte le voci che si interrogano sulle conseguenze negative di una possibile scorporazione.43 Ad esempio, la giovane ricercatrice americana Brophy (2010) richiama l’attenzione sulle pratiche ‘incarnate’ delle donne nell’utilizzo delle tecnologie digitali, piuttosto che correre nel
42 Multiple Oriented Object, i MOO sono un tipo particolare di MUD - Multiple User Dungeons o Multiple User Domains - che facilitano particolarmente la costruzione di ambienti condivisi. In questi spazi virtuali gli utenti si incontrano in una collettività e possono vestire più maschere sociali, mettendo in scena complessi giochi di ruolo e facendo esperienza di diversi aspetti dell'identità. I MUD sono luoghi di costruzione e ricostruzione di soggettività individuali in cui è possibile assumere identità e vite parallele a quella reale. Chi naviga attiva una maschera credibile (sceglie un avatar, un'immagine che lo rappresenti) e mette in scena nella realtà virtuale dei veri e propri drammi.
43 Tra le più significative quella di Rosi Braidotti, la quale propone un “cyber-femminism with a difference” (2003) e mette a fuoco il rischio per le donne di cadere nell’idea del cyberspazio come un luogo di sovversione delle identità libero dalle strutture del corpo. In questo modo, secondo Braidotti, più che liberare le donne, si rischierebbe di cadere in un immaginario maschile costruito intorno alla divisione cartesiana tra mente e corpo (2005). Cita al riguardo Braidotti (2002: 274): “gli spostamenti nomadi a partire da prospettive radicate e incarnate, la politica virtuale e il paradossi e l’intensa provocazione che essi generano, è molto forte anche nel femminismo contemporaneo. È un tipo di espressione che piace in particolare alle cyberfemministe impegnate a mettere in discussione e riconfigurare il genere nel cyberspazio. La tecnologia mediata dal computer permette davvero di ridefinire significativamente l’identità (Turkle 1995) e anche la sessualità attraverso una modalità parodica, umoristica, appassionatamente politica e di tanto in tanto furente. In ogni caso la differenza sessuale svolge un ruolo cruciale in questo nuovo tipo di incarnazione.”.
rischio di riproporre pericolose forme di dualismo tra reale e virtuale, mente e corpo: (cyber-femminists should) encourage the empowerment of women from their particular embodied experiences and their experiences of gender, class, race, and other identities, rather than through erasure or mechanization of the body. It would entail an emphasis on the medium as well as the embodied experience of and with the medium. A new cyberfeminism would account for intra-agency and address the particularities of users’ experiences in their totality, rather than falling back into mind/body dualism (Brothy 2010: 14)
Le affermazioni di Brophy corrispondono ad un mutato scenario tecnologico. Molto è infatti cambiato dagli anni in cui le prime sperimentazioni femministe sulla rete hanno preso ‘corpo’. I nuovi spazi digitali (social network sites, piattaforme User Generated Content) e la massiccia diffusione di tecnologie mobili mutano il rapporto con l'anonimato, la corporeità e la creatività. Le più recenti analisi sui nuovi media hanno mostrato come la vita su internet sia difficilmente decontestualizzata o disincarnata; allo stesso tempo hanno mostrato come le esperienze ‘virtuali’, o meglio online, penetrino all’interno della realtà quotidiana diventandone indistinguibili (Bakardjeva 2005, Jenkins 2007). Ne consegue che l’attività online è fortemente influenzata dalla politica di spazi offline a livello sia materiale sia simbolico.
Discutendo delle pratiche di genere e sessuali delle giovani donne in relazione ai social network Ringrose e Harvey (2015) sostengono che:
mobile digital technologies cannot be treated like some additional feature in young lives. The mobile phone is often more like a limb, rather than separate object from the posthuman cyborg body. These technologies are ‘actants’ that dramatically re-shape the agentic possibilities of relating between (post)humans. They are radically transforming “culture of connectivity” with temporal and material affects (Ringrose e Harvey 2015: 199)
La prospettiva di Ringrose e Harvey posta sul rapporto intimo e quotidiano che intratteniamo con i dispositivi di tecnologia mobile44 si connette al lavoro di Kember e Zylinska (2012). Secondo queste studiose, occorre pensare i media non solo come semplici oggetti di uso, ma piuttosto riconoscere il nostro rapporto quasi simbiotico con essi sia a livello socio-culturale sia a livello biologico. Secondo Kember e Zylinska le tecnologie digitali entrano nel nostro quotidiano e nel quotidiano mediano identità e relazioni. Per le due studiose in questo
44 E’ evidente, qui, l’influenza della Actor Network Theroy (Latour 1985), che enfatizza le possibilità di agency degli oggetti.
processo è la vita stessa a essere oggetto di un processo costante di mediazione attraverso le tecnologie.
Per gli attuali studi femministi sulla rete, internet si configura al tempo stesso come spazio per la sperimentazione di identità e di relazioni, ma anche come un luogo di controllo e di normalizzazione (Lyon 2007, Van Zoonen 2013). Da un lato De Ridder e Van Bawel (2007) mostrano come i nuovi media e in particolare i social network sites siano una importante risorsa per ragazzi e ragazze queer (termine che si riferisce a chi non si riconosce nella normatività di genere associata al sesso biologico), questi media, infatti, permetto ai teenagers di andare oltre gli spazi e le relazioni del quotidiano e emettersi in contatto con altri ragazzi
queer. Inoltre i social media, i blog e siti internet ad alta partecipazione, possono essere usati
per forme di partecipazione politica (ad esempio pubblicando e commentando video su Youtube). Dall’altro lato si sviluppa una riflessione legata al rapporto tra internet e forme di sorveglianza che matura al crescere della pervasività della rete e delle tecnologie mobili. Le riflessioni che da una prospettiva di genere interrogano la rete come dispositivo di controllo e di sorveglianza45 suggeriscono come la reale possibilità trasformativa proveniente dalla relazione con gli ambienti digitali dipenda in ultima istanza dalla capacità dei soggetti di controllare le proprie informazioni. 46 I corpi transgender47, ad esempio, mettono in luce l'impossibilità di affrancarsi anche nel mondo online dalle categorizzazioni imposte, quando attraverso un controllo dei dati personali sulla rete, ad esempio, vengono ricostruite classificazioni che impongono categorie di genere normative a corpi ‘non-conformi’ (Conrad 2009).
La critica femminista ha in un primo momento messo in luce le tecnologie come dominio del maschile - usate come strumento attraverso il quale le donne sono state bloccate in ruoli stereotipici di genere - in un secondo momento ha utilizzato la rete come luogo in cui esprimere e sperimentare nuove e diverse relazioni di genere.
Il contesto socio-tecnologico è mutato, in particolar modo la diffusione dei nuovi strumenti di connessione permette alle persone, in particolar modo ai giovani, di essere
always on (Livingstone 2010) e questo ha portato il dibattito accademico a riflettere piuttosto
45 Questi studi fanno in gran parte riferimento al più ampio filone interdisciplinare sourveillance studies la cui figura di spicco è quella del sociologo scozzese David Lyon. Lyon mette in luce come la crescente diffusione di media digitali insieme allo svilupparsi della società dei consumi di massa abbia costruito un nuovo regime di sorveglianza (2001).
46 Già la studiosa svedese Sundén (2001) descriveva la necessità di incoraggiare sì l’acquisizione nel quotidiano delle tecnologie da parte delle donne (dando corpo all’idea positiva di una alleanza con le tecnologie e internet), ma di prestare attenzione che ciò avvenisse senza che i soggetti fossero espropriati del controllo sulla propria performance tecnologica.
che sulla natura “immersiva” dell’esperienza online su quella “interattiva” offerta dal web
2.048.
A questo punto sembra naturale chiedersi in quale direzione sono andate le riflessioni cyber-femministe contemporanee quando il divario digitale di genere si è ridotto drasticamente e, nell’era digitale, i blog, i social network sites e le piattaforme UGC (User
Generated Content) sembrano aver dato nuova voce e protagonismo alle donne tanto da aver
rinforzato l’idea che il femminismo non sia più una forza necessaria (cfr. cap. 1.1).
I più recenti studi cyberfemministi conducono la propria analisi di intorno al rapporto tra le nuove tecnologie di comunicazione digitali e i rapporti di genere considerando che “the relation between new media information technology and neoliberalism has been interloking, the boundary between empawerment/subjectivity/agency and market-driven formation of self which in fact has never been clear, become more nebulous” (Gajjala e Ju Oh 2012: 2). Gajjala e Ju Oh, nell’intento di aggiornare la portata critica del pensiero cyberfemminista accademico in rapporto al mutato scenario sociale e tecnologico, rispondono che per le cyberfemministe si pongono ora nuova sfide e nuove domande:
how must we respond to the pleasing discourses of women’s empawerment through blogging, networkign, finacing or enterpreneurship when we suspect that digital tecnologies, interwined with the neoliberal market logic? (2012: 3).
La risposta data dalle stesse studiose è che le cyberfemministe devono guardare alla partecipazione delle donne online senza cadere nella trappola di considerarle fuori dal sistema di oppressione operato dal mercato solo perché sono voci di donne, e senza pensare di interpretare queste voci da una posizione di privilegio considerando di essere più epistemologicamente competenti nel vedere le strutture politiche e sociali. Piuttosto che guardare internet indiscutibilmente come spazio di liberazione, suggeriscono di guardarne l’ambivalenza, in altre parole mettendo a fuoco come i significati di genere e i discorsi egemonici di genere sono rinforzati e allo stesso tempo messi in discussione e decostruiti.
Per concludere, le nuove piste di ricerca del cyber-femminismo vanno nella direzione di decostruire alcune dicotomie che sembrano essere rimaste implicite nei precedenti lavori: quella tra mente e corpo, quella tra online e offline e quella tra donne e altre donne (come
48 Parallelamente, alla visione più ottimistica delle nuove possibilità offerte dalla rete 2.0 (Jenkins 2006) si fanno spazio visioni più critiche specialmente quelle che focalizzano l’attenzione sui molti modi in cui il mercato definisce e determina quali sono i contenuti che possono avere spazio online, insieme alle condizioni di produzione di nuovi contenuti (Terranova 2000).
soggetti subalterni). In relazione a questo ultimo punto si sviluppa una nuova alleanza con gli studi intersezionali49 - inetrsectional cyberfeminism (Leurs 2015, Sundén 2007) - al fine di spezzare un discorso etnocentrista (espresso sia come forma di esclusione dei soggetti non bianchi e non middle-class dalle ricerche; sia come discorso in cui vi sarebbero alcune depositarie di un sapere tecnologico occidentale offerto ai soggetti subalterni per emanciparsi) che ha governato gran parte degli studi in quest’area (Puar 2004).