7. 1 Corpi mediati
7.1.1 Posizione 1: Una sessualità “per bene”
Questo primo discorso si produce intorno alla preoccupazione delle ragazze intervistate circa la reputazione sessuale delle giovani donne come conseguenza della loro presenza nei
social network sites. Esso ha come effetto quello di orientare i comportamenti delle ragazze a
conformarsi a modelli di femminilità normativi e più rassicuranti. Nel resoconto di alcune giovani donne coinvolte nella ricerca i corpi delle altre ragazze - nella loro visualizzazione ‘pubblica’ online - vengono letti come un segnale di disponibilità sessuale. Questo primo tipo di presa di distanza si esprime con un atteggiamento vittimizzante circa il degrado morale o la perdita di dignità di chi mette in mostra il proprio corpo, esprimendo il tal modo, anche la propria sessualità.
Intervistatrice: quali foto non ti piacciono?
Mmmh mamma mia, non è una critica però… è proprio una cosa... Magari quelle ragazzine che, va beh l'età e tutto, che però si fanno le foto mezze nude e poi si lamentano se gli danno delle… scusa... hai capito...magari le insultano gli dicono "fai schifo" e cose varie e queste si lamentano. Cioè non è un sito porno che vai con le tette di fuori e quello e quell'altro. Un conto se lo fai, e poi non ti lamenti, ma se metti quelle foto e sai che ti criticano non le mettere. Poi per il resto…
Intervistatrice: mi descrivi quelle foto?
Boh… tipo che si mettono la canottierina tutte scollate mezze nude che sorridono, ok si vedono solo le tette e poi scrivono "il sorriso è la cosa più bella di una donna" con le tette di fuori. Cioè proprio l'incoerenza, però va beh. Poi magari fanno delle foto in pantaloncini, magliettina cortissima tutte sbottonate, tutte in posizione da ok... sembrano tipo pornostar su Facebook e poi si lamentano. (Claudia,17 anni)
Anche Letizia, come Claudia, esprime un giudizio negativo sulle ragazze che mostrano il proprio corpo su Facebook.
Posso usare una parolaccia? (ride) troia! Perché a me quando si mettono tutte così… in costume posso capire, ma in reggiseno e mutande non metterti così… posso capire che vuoi… però non so… puoi trovare altri modi. Non questa maniera che io trovo anche volgare. Ce ne sono tante… di qualunque età. (Letizia 15, anni)
le loro “amicizie” femminili si mostrano su Facebook (attraverso la condivisione di foto, i commenti sulle bacheche delle altre e utilizzando i tagg). Le ragazze costruiscono in tal modo un modello legittimo di femminilità contro un tipo di ragazza sanzionata poiché trasforma la sua sessualità in una dimensione pubblica. Questa ‘altra’ (immaginata – come si è detto in precedenza – o reale che sia) diventa un punto nodale per la definizione e la negoziazione delle possibilità di espressione delle soggettività delle ragazze (Laclau e Mouffe 1985). Facendo riferimento a quanto emerge da altre ricerche nel campo dei girls studies (Currie et al. 2009, Ringrose 2013), le ragazze sembrano trovarsi a gestire una richiesta impossibile: da un lato devono essere attraenti e sicure di sé (prendendo le distanze da un modello di femminilità debole), dall’altro non risultare sessualmente inappropriate. Il significante della regolazione sessuale utilizzato dalle ragazze per disciplinare la reputazione nella cultura digitale è la ‘troia’. Questa figura retorica è incarnata dalla ragazza che si mostra in pose sexy per ricevere i like su Facebook.
Negli studi sulle ragazze la pratica di slut-shaming122 (onta della sgualdrina) è divenuta sempre più popolare per descrivere le dinamiche di regolazione sessuale in cui la reputazione delle ragazze è messa sotto scrutinio e di come questo scrutinio diventi una forma di disciplinamento per il tramite di determinati codici di condotta sessuale. Secondo Ringorose e Renold (2012), la pratica di slut-shaming funziona tra ragazze come un modo per trasformare la gelosia sessuale in una forma accettabile di critica sociale dell'espressione sessuale femminile. È utilizzata da alcune delle ragazze intervistate per colpevolizzare le giovani donne oggetto di insulti e ingiurie a causa dell’abbigliamento mostrato online. Questo meccanismo sembra essere attivo nel racconto di Claudia quando incolpa le ragazze di provocare gli insulti dei coetanei maschi.
Intervistatrice: di che cosa (si lamentano)?
Si lamentano. Si sa come sono i ragazzi di adesso, magari gli danno della troia, scusa. Le insultano e loro nonostante tutto continuano e poi si lamentano, ma se ti lamenti non le mettere più, poi per il resto sinceramente sono affari loro, non mi riguardano. Però è solo che mi da fastidio... cioè non è che mi da fastidio è che vedere determinate cose dico, se mi capiterebbe a me, e lo faccio una due tre volte e mi criticano, basta. Cioè poi passi da ridicola comunque. Ok, se hai un bel fisico, sei bella…perché comunque anche io quando vedo una bella ragazza dico è una bella ragazza. Però un po' di dignità. E' un Facebook, in teoria dovresti mettere la foto del viso non del tuo corpo nuda.
Intervistatrice: cosa pensi dei ragazzi che commentano?
Guarda, i ragazzi dovrebbero farsi un po' gli affari loro però sono anche le ragazze che
122 È usata per colpevolizzare della vittima di aggressione sessuale, ad esempio sostenendo che il reato è stato causato dalla donna che indossa abiti succinti o che agisce in maniera sfacciata e sessuale.
provocano quello è vero. Cioè solo a mettere quelle foto provochi… (Claudia, 17 anni)
Affiora una concezione della sessualità femminile definita da un codice che si fonda sulla rispettabilità, la quale presuppone una forte differenziazione delle aspettative di genere nelle relazioni. Tale concezione mette l’accento sulla funzione di controllo e mantenimento assegnata alle donne rispetto a un desiderio sessuale maschile considerato ‘naturale’.123 La figura della ‘troia’ funziona come forma di regolazione della sessualità femminile dentro la matrice eterossessuale di genere, e diventa centrale nella costruzione delle relazioni tra giovani donne. La posizione che stiamo analizzando si basa su una distinzione di valore tra una sessualità ‘per bene’ e una sessualità ‘per male’ (quella espressa dalle giovani donne che si mostrano online), distinzione che produce un discorso più favorevole a incolpare le ragazze piuttosto che i ragazzi di attenzioni non volute, commenti insultanti, o molestie, di cui sono oggetto su Facebook.
Intervistatrice: e ci sono foto che proprio non ti piacciono?
Sì proprio le bambine mezze nude che fanno ‘ste foto e poi si lamentano che ci sono i pervertiti che commentano. Io dico, se ti lamenti dei pervertiti perché aggiungi persone che non conosci? Io le persone su Facebook a meno che non le abbia viste e parlato faccia a faccia non le aggiungo, e non lo faccio mai sia femmina che maschio. Invece queste mettono foto molto riservate, cioè foto mezze nude così, e poi si lamentano che le persone commentano oppure ci sono i pedofili in giro, se tu fai così, li aggiungi e ci parli è ovvio che poi fanno così le persone…
Intervistatrice: tu metteresti mai una foto di te in costume?
No, no. A parte che sono musulmana e non mi metto in costume quindi. No, va bene... foto tipo in canotta d'estate va bene. Anche per la spiaggia va bene. Però io dico sempre se le persone che hai tra gli amici ok, ma se non le conosci…comunque io non rischierei. (Amira, 18 anni)
Vi sono interessanti analogie tra il racconto fatto da Claudia e quello fatto da Amira.
Innanzitutto in entrambi i casi sono le ragazze che mettono proprie immagini svestite online a essere oggetto di critica piuttosto che chi le oltraggia e le molesta su Facebook. Per esprimere il loro punto di vista entrambe le intervistate sottolineano che poiché la responsabilità è dei soggetti che si mostrano attraverso foto “molto riservate” (Amira) non c’è possibilità per loro di “lamentarsi” (Amira e Claudia). In questo modo viene negata in entrambi i casi la possibilità a queste altre ragazze di soggettivarsi tramite la parola. La narrazione proposta da
Amira124 risulta interessante anche da un ulteriore punto di vista: pur identificandosi come musulmana Amira afferma, in modo netto, di non mettersi in costume e di considerare negativamente il farlo non tanto perché si sarebbe ‘indecenti’, ma perché in tal modo si perde il controllo sul tipo di pubblico che accederà al contenuto. Esercitando attivamente un maggiore controllo sul proprio spazio online, controllando le proprie connessioni e amicizie - sembra suggerire Amira - è possibile aprire spazi di espressione dei corpi nel contesto dei
social network sites.
Le ragazze che usano il proprio corpo per suscitare l’attenzione maschile vengono sanzionate, mentre, allo stesso tempo, la relazione di coppia eterosessuale viene richiamata come ambito rassicurante e più legittimo.
Allora non ho foto in costume, non ho foto in pantaloncini, non perché penso che chi mette quelle foto sia una persona sbagliata, né che sia una poco di buono, semplicemente perché a confronto delle altre un “che bella che sei” o i cuoricini non mi fanno piacere, perché sono fidanzata e sto bene così, a meno che non è un amico o quant’altro. (Gianna, 18 anni)
Emerge così l’importanza della coppia eterosessuale come contesto di produzione dei significati, spazio di riconoscimento che sostiene e definisce i confini della messa in scena della sessualità femminile sulla rete. Grazia si identifica online nel rapporto con il suo fidanzato e sceglie di rendersi visibile a tutti i suoi contatti di Facebook con una foto che la ritrae in coppia.
Intervistatrice: che foto hai del profilo di Facebook?
La foto con il mio ragazzo. L’ultima l’ho scelta circa un mese fa. La prima che ho messo con lui è stata l’anno scorso e non l’ho mai più cambiata e la metto sempre con lui. Perché mi piace vedere la nostra foto, perché mi piace noi, boh mi piace vederci insieme. (Prende in mano il cellulare) Aspetta che non mi ricordo quale ho ora, perché ne ho cambiate varie (ride). Ah sì, ho il suo compleanno perché mi piaceva come eravamo vestiti che lui mi stringe dalla vita. Io ho una gonna leopardata che sono matta per il leopardo e una maglietta di pizzo nera e delle scarpe normali, un mezzo stivaletto. Lui ha una camicia bianca, una felpa… un maglioncino blu, pantaloni blu e scarpe bianche. (Grazia, 18 anni)
124 Amira è una ragazza nata in Italia con origini egiziane. Seppure nel corso dell’intervista non venga menzionata una sua partecipazione diretta ad alcun movimento politico, nel periodo della ricerca il suo profilo Facebook è stato spesso utilizzato - potremmo dire in modo politicamente attivo - per condividere, supportare e sostenere la resistenza Palestinese agli attacchi Israeliani. Questo tipo di utilizzo del profilo di Facebook è particolarmente significativo perché mostra un impegno personale attraverso la rete in un processo politico collettivo. Un caso analogo ha riguardato un’attivista dei centri sociali milanesi.
Il rapporto con il ragazzo disegna per lei i confini legittimi dell'espressione della sua soggettività, definendo anche uno spazio per quello che può essere pubblico e uno spazio per quello che deve essere privato. Nella decodificazione delle immagini adoperata dalle ragazze, le foto di ‘ragazze svestite’ rappresentano lo svelamento di qualcosa che non va mostrato, il corpo appunto, che preferibilmente deve essere custodito in un ambito del privato che non corrisponde allo spazio semi-pubblico di Facebook (boyd 2014). Nei resoconti, il reggiseno e le foto scattate in bagno connotano l'immagine come privata, mentre una spiaggia e il bikini sono codici che stanno a indicare il pubblico, e dunque sono considerati condivisibili online. Grazia, come altre ragazze, collega il mostrare il corpo al proprio ragazzo - in termini esclusivi - direttamente alla dignità della persona. L'espressione di un certo tipo di rappresentazione del corpo trova uno spazio legittimo all'interno della coppia in un'ottica di esclusività.
Intervistatrice : che foto non metteresti mai come foto del profilo?
Ah beh reggiseno e mutande, quello che fanno tante. Perché mi da fastidio. Un conto è metterlo in costume che è diverso. Tante ragazze dicono: “ma non è diverso è la stessa cosa!”. No, non è la stessa cosa, perché il reggiseno è una cosa intima... cioè che lo vedo solo io, è una cosa mia privata. Il costume va beh vai la mare e te lo vedono tutti. Però tante ragazze se lo fanno (l’autoscatto) e a me da fastidio perché comunque è una questione di dignità, dopo che lo ha visto una persona lo vedono tutti, che non è più una cosa che puoi dire… magari tu stai con un ragazzo e anche una questione di dire: “mi hai visto solo tu in questo modo”, non puoi dirlo perché, se metti una foto su Facebook in reggiseno e mutande, ti hanno visto tutti. (Grazia, 18 anni)
Questo standard ricorda che, consapevolmente o meno, l’eterosessualità rende la femminilità normativa intelligibile (Currie et al. 2009). I rapporti che ne risultano sono governati spesso da norme di genere piuttosto rigide. Nei resoconti delle intervistate spesso i ragazzi avanzano diritti di controllo sulla pagina personale di Facebook delle ragazze, censurando foto, chiedendo loro di rimuovere dei tag e di indossare un certo tipo di abbigliamento.
Intervistatrice: avete mai discusso per delle foto che hai messo su Facebook?
No, mai discusso perché… ah no una! una un mese fa perché non l’avevo messa io ma mi avevano taggata. Sono andata in discoteca e stavo ballando un po’... stavo ballando insomma. E di fianco a me c’era uno spogliarellista: è caduto il mondo! Mi sono staggata prima di tutto perché va beh… Però abbiamo discusso, non abbiamo neanche litigato, però gli ha dato molto fastidio. Io non mi sarei mai taggata in una foto del genere, eh. Però mi hanno taggata, cosa dovevo fare? A lui ha dato fastidio prima di tutto perché non doveva esserci quella foto, ma soprattutto io non dovevo essere lì, di fianco allo
spogliarellista. Però io penso che questa sia una caratteristica di tutti i ragazzi gelosi perché lui è geloso. E in secondo posto perché era su Facebook e tutto il mondo poteva vederlo… perché lui l’ha visto come una mancanza di rispetto nei suoi confronti e tutto il mondo vedeva che io ero lì che ballavo accanto un altro nudo, perché lo spogliarellista era praticamente nudo, sapendo, perché tutto il mondo sa, che io sto con lui. (Gianna, 18 anni)
La gelosia espressa attraverso il controllo del profilo di Facebook è comunemente accettata e giustificata, e spesso il medesimo meccanismo di controllo è riprodotto dalle ragazze verso la pagina personale dei fidanzati. 125 Lo scambio della password del profilo personale viene considerato un vero patto di fiducia all’interno della coppia.
In conclusione, possiamo affermare che navigare all’interno di una cultura eterosessualizzata e prendere una posizione soggettiva su come esprimere la propria identità di genere è un tema vitale e carico di rischi per le ragazze. Le intervistate mettono in relazione questa complessità ad una “questione di dignità” (Claudia, Grazia) nella quale prevale il pudore personale in opposizione alle ragazze che scelgono di “farsi vedere” online (Veronica, Carlotta). Qui il corpo è confinato all’ambito del privato, un ambito che trova difficile spazio sul social network Facebook. L’espressione online della sessualità femminile è dunque messa sotto costante scrutinio grazie anche allo sguardo maschile che agisce sorvegliando e garantendo il mantenimento della matrice eterosessuale dei rapporti tra i generi.
Interessante per il nostro studio è la particolare forma che questo tipo di presa di distanza assume, fondata com’è sul misconoscimento di ogni forma di disuguaglianze tra i generi. Ciò genera ostilità e rivalità tra le ragazze in ragione della condanna morale che cade su alcune di loro per la loro condotta online. Questo stato di cose rende di fatto impossibile forme di alleanza. Così, ad esempio, Lucia (16 anni) sintetizza i comportamenti di ragazzi e ragazze online: “ecco, le femmine si insultano tra di loro e i maschi fanno commenti idioti, tipo a sfondo sessuale e quindi tu li cancelli, oppure gli dici di non scriverlo più e loro lo cancellano...”. Questa rivalità si materializza a volte nella difficoltà di costruire rapporti di
125 Le ragazze raccontano che in alcuni casi, quando le storie finiscono senza il consenso dei ragazzi, Facebook è utilizzato dagli ex fidanzati per oltraggiarle e ingiuriarle pubblicamente. E’ quello che è accaduto a Marina e Claudia: “Sì ecco forse il mio ex fidanzato, l'ho tolto quando ci eravamo lasciati. L'ho lasciato a gennaio dell'anno scorso. Sì poi però questa estate ci siamo rivisti e abbiamo parlato, perché lui ogni cosa che metteva era un insulto su di me e quello allora mi ha dato fastidio, l'ho bloccato e eliminato” (Marina 16 anni). “Poi su Facebook si è messo a insultarmi e io proprio lo lasciavo parlare… quindi niente, dopo un po' gli ho risposto e ho detto ascolta basta, non mi insultare, poi anche io l'ho insultato.. L'ho tolto dagli amici. quando l'ho tolto però lui non aveva messo la privacy e mi dicevano le mie amiche che “Luca scrive questo…su di te come ‘stato’ pubblico”. Da lì ho cominciato a controllarlo (e scriveva): ‘sei una puttana, mi hai lasciato per quello, fai schifo’ oh!” (Claudia 17 anni).
amicizia tra ragazze,126 una dimensione che porta alcune delle intervistate a sentire più vicino e sicuro il rapporto con i ragazzi.
La mia idea strana che mi divide e mi differenzia dalla massa è che proprio non sono una che sta sempre lì con il telefono, e comunque sono convinta al cento per cento e comunque anche da quello che vedo andando sui profili, le ragazze vanno molto più spesso a controllare Facebook, di questo sono sicura. Lo dico perché ho più maschi su Facebook che femmine tra gli amici, perché mi sono sempre trovata meglio con i maschi a livello di amicizia, poi che loro non volessero quello è un’altra cosa, però io mi approccio meglio con i ragazzi, sono un po’ più me stessa, con le ragazze tendo a imbruttirmi un attimo, se non le conosco magari non lo so perché...se non mi consci bene magari capisci una cosa per un’altra, poi ho un brutto carattere quindi mi trovi nel momento sbagliato e magari ti rispondo male e non vorrei dare questa impressione di me perché non sono proprio così, però va beh insomma capita. (Gianna, 18 anni)
Così come già messo in luce da Aapola et al. (2005), i rapporti tra ragazze si costruiscono in relazione della presenza coercitiva dello sguardo maschile che regola le espressioni della femminilità e fa delle relazioni tra ragazze spazi di forti tensioni. I luoghi offerti dalla rete sono terreni di negoziazione definiti da nuovi regimi di visibilità che introducono per le ragazze ulteriori preoccupazioni circa la presentazione pubblica dei loro corpi. Il discorso fino a qui analizzato legittima il doppio standard127 e sanziona le ragazze che esprimono visivamente su Facebook il desiderio femminile (Kitzinger 1995), definendo cosa sia accettabile o meno all’interno della cultura dei pari. Questo tipo di posizione, che abbiamo definito “Una sessualità ‘per bene’”, si rivela complice nel riprodurre un ordine sociale che si poggia su una subordinazione femminile dando allo stesso tempo l’idea alle ragazze che - in linea con lo scenario postfemminista descritto da McRobbie (2009) - non esistano forme di disuguaglianze tra i generi.