7. 1 Corpi mediati
7.1.2 Posizione 2: Essere se stesse
Un discorso alternativo, individuato in opposizione al frame dominante descritto in precedenza, si produce intorno alla critica all’oggettivazione dei corpi delle ragazze, e offre un linguaggio con cui le giovani donne intervistate esprimono la loro soggettività resistendo alle pressioni di conformarsi all’immagine di donne sexy e svestite presenti in rete. Questo
127 Per un approfondimento empirico circa il permanere del doppio standard nella costruzione delle sessualità maschili e femminili si veda tra gli altri Camoletto (2010) e Holland et al. (2002).
distanziamento alternativo si esprime, nelle narrazioni di alcune delle intervistate, lasciando emergere modelli di femminilità meno stereotipati e meno determinati dallo sguardo maschile.
Le foto che proprio non mi piacciono sono quelle nude perciò. Gente che si fa le foto allo specchio e in mutande e reggiseno e manco quelli c'ha. Si vedono ogni tanto. Sono brutte.. cioè no, non capisco proprio, una svendita del proprio corpo negli ultimi tempi tra le ragazze che..
Intervistatrice: a cosa pensi che sia dovuta?
Me lo sto ancora chiedendo… (ride). Non saprei, per il semplice fatto che non riesco proprio a capire. Ok, magari hai bisogno di attenzioni però io non le attiro così le attenzioni. Non riesco a entrare nella loro idea. Si espongono proprio… E’ come se svendessero il proprio corpo, ma non è quello che devono fare su Facebook.
Intervistatrice: in cambio di cosa secondo te?
Popolarità. Perché le foto con tanti mipiace le vedono tutti. Perché c'è il tuo amico o la tua amica tra quelli e quindi appare anche a te... Diciamo che ho visto delle foto di ragazze che quando ha nevicato sono andate in giardino con il costume a farsi le foto. E ho detto: ma scusa ci tieni al tuo corpo o no? La broncopolmonite non te la toglie nessuno il giorno dopo. Non ha senso. Se anche vuoi conquistare un ragazzo non lo fai così. (Marta, 18 anni)
Marta racconta di particolari tipi di foto circolate su Facebook - delle quali hanno parlato anche altre intervistate - che ritraggono ragazze in costume a due pezzi in mezzo alla neve durante le giornate invernali. Le protagoniste di questi episodi sono ragazze della stessa età delle intervistate, di solito “amiche di amici”, che hanno scelto di scattare e condividere le foto online (selfie o ritratti). Il racconto di questi episodi ha attivato un processo riflessivo tra le ragazze intervistate, che le ha portate ad esprimersi in termini critici e di condanna verso questa pratica.
Secondo le intervistate, le scelte apparentemente stravaganti di queste ragazze sono giustificate dalla volontà di acquisire popolarità. La popolarità ottenuta tramite i like è un tema complesso con cui le ragazze devono fare i conti nello scegliere come rappresentare i loro corpi sulla rete. Ottenere popolarità, da questo gruppo di ragazze, tende a essere interpretato come qualcosa di negativo, poiché, come messo in luce nelle interviste, la linea di demarcazione tra ‘popolarità’ e ‘cattiva reputazione’ è molto sottile. La popolarità è strettamente legata al successo ottenuto con i ragazzi ed esprimere la propria sessualità pubblicamente per attirare il loro sguardo è moralmente sanzionato. Riprenderemo la questione della popolarità successivamente. Tuttavia, la popolarità è anche descritta come una fonte di potere. Un’altra intervistata, Linda, racconta della pratica che prevede di rispondere alla richiesta fatta da alcune ragazze di mettere dei like alle foto da loro pubblicate in cambio
di ‘voti’. Linda ci ha spiegato che è abbastanza comune che ragazze particolarmente popolari sul social network si offrano di dare pubblicamente voti ad altre ragazze - valutandone ad esempio la bellezza - trasmettendo loro, in questo modo, parte della popolarità di cui godono: “Adesso ci sono tutti che fanno gli stati: ‘se metti mipiace ti do un voto, se metti mipiace ti saluto in un video, se metti mipiace faccio la classifica delle 5 più belle’. Mi danno fastidio, non hanno senso, non è quello lo scopo reale di Facebook alla fine” (Linda, 15 anni).
I ragazzi sono il riferimento principale delle dinamiche di popolarità fin qui descritte, intorno alle quali le giovani donne costituiscono la loro attività online. Nelle parole delle intervistate, ottenere l’attenzione dei ragazzi può essere una fonte di potere per acquisire popolarità, ma avere la loro attenzione nel modo ‘sbagliato’ implica costruirsi una cattiva reputazione. In alcuni casi, invece di accettare semplicemente queste dinamiche di popolarità, o indirizzare la loro critica verso le ragazze che la incarnano (come abbiamo visto nella tipologia precedente), le intervistate iniziano a sviluppare un’analisi della logica che le produce. Marta, ad esempio, introduce una differenziazione tra tipi di ragazzi da parte dei quali si può ricevere attenzione. Così facendo si interroga sulla costruzioni dei legami tra ragazze e ragazzi come spazio relazionale di cui questo meccanismo si nutre.
Perché che ragazzo ti trovi? Uno che ti guarda solo perché sei figa o c'hai le tette poi?! Non ti considera magari neanche per quello che c'è oltre. Non so non c'è più... Io sarò anche molto vecchia dentro. Me lo sento dire e me lo dico da sola. Ma non è che il tuo ragazzo lo attiri perché c'hai le tette, lo attiri per come sei, punto. Se gli piaci come sei, perché sei carismatica… Se non gli piaci, ciao. (Marta, 18 anni)
Marta rivendica di non voler essere considerata per il suo aspetto esteriore [ “perché sei figa o c’hai le tette”]. Seppur la logica che prevede che i comportamenti delle ragazze siano costruiti per ‘attirare’ l’attenzione dei ragazzi continui a essere sostenuta, Marta mette in discussione l’idea che l’attrazione si costruisca solo attraverso la messa in mostra del corpo. Da notare come nei racconti di numerose ragazze il seno, mostrato o meno, rivesta un ruolo chiave nel definire un codice di decenza. Come abbiamo avuto modo di osservare analizzando le rappresentazioni della sessualità che abbiamo definito ‘per bene’, poiché spesso il mostrare il seno nelle foto pubblicate su internet viene letto direttamente come un segno di disponibilità sessuale - si tratta per alcune delle intervistate di foto oscene o “pornografiche” (Claudia, 17 anni). Le ragazze che condividono foto in cui il seno è visibile vengono direttamente etichettate come ‘troia’[ “cioè non è un sito porno che vai con le tette di fuori e quello e quell'altro” (Claudia, 17 anni)].
In questo caso, tuttavia, Marta offre un differente punto di vista: domandandosi quali ragazzi si possano incontrare mettendo in mostra parti del proprio corpo, implicitamente prende le distanze da un certo tipo di ‘ragazzi’. Potremmo dire che in questo genere di posizione viene adoperata una differenziazione tra modelli di mascolinità: quella incorporata da ragazzi che considerano le ragazze solo per il loro aspetto esteriore e quella rappresentata da coloro che sanno vedere “quello che c'è oltre” (Marta, 18 anni). Si apre la possibilità di pensare ai rapporti tra ragazzi e ragazze come ambiti in cui è possibile esprimere la propria soggettività e, come sembra suggerire Marta, questa possibilità passa attraverso il potere delle ragazze di scegliere con quale ragazzo stare (qui, quello al quale tu piaci per “quello che sei”).
Questo tipo di discorso, utilizzato da Marta, mette in discussione il potere dello sguardo maschile (esterno o introiettato) di determinare e riprodurre, tramite le pratiche online delle ragazze, particolari relazioni di dominio. Grazie alla possibilità di scardinare il potere oggettivante dello sguardo maschile, per le ragazze si apre la possibilità di ridimensionare la presenza pervasiva dei ragazzi nel faticoso percorso all’interno del quale si definiscono come soggettività incorporate.
Da queste ragazze viene elaborata una critica ai modelli di femminilità promossi e riprodotti dalle giovani donne nelle loro pratiche online. È interessante notare come Marta non riconosca tipico delle ragazze della sua età questo suo posizionarsi alternativo rispetto alle pressioni a rappresentarsi sexy e svestite. La scelta di favorire, rispetto alla bellezza, altre qualità come il carisma viene identificata come caratteristica di un altro tempo [“non so, non c'è più… io sarò anche molto vecchia dentro, me lo sento dire e me lo dico da sola” (Marta, 18 anni)]. L’idea che tra i coetanei e le coetanee non ci siano più “i valori di una volta” trova eco anche in altre interviste:
Prima c’erano più valori su tutto… tipo anche un semplice bacio, prima era diverso, anche mettersi in mostra, non si mettevano in mostra così prima era uno scandalo se mettevi una foto così. A parte che prima non esisteva Facebook che secondo me è stata la rovina. (Grazia, 18 anni)
In questo caso, tuttavia, viene tracciato un collegamento diretto tra comportamenti sessuali inappropriati e uso di social network sites, i quali sarebbero la causa di una maggiore sovraesposizione delle ragazze.
Ritornando alla visione di Marta, attraverso il suo sguardo possiamo osservare la presenza di un discorso che non si ferma a criticare le ragazze che incarnano un modello di femminilità considerato ‘degradante’. In questo discorso, diversamente dal precedente, si intravedono
infatti i tratti di una critica alla logica che sottosta alla oggettivazione e alla mercificazione dei corpi delle giovani donne. Se il discorso del gruppo precedente (“Una sessualità ‘per bene’”) funziona sostenendo la riproduzione di forme di potere tra i generi (e incolpa le ragazze), in questo caso la critica che emerge prova ad offrire punti di vista alternativi sui modelli di femminilità possibili per le giovani donne.
La scelta, in questo caso, è di autorappresentarsi online tramite immagini di femminilità alternative allo stereotipo della ragazza iperfemminilizzata. A questo discorso corrisponde la messa in scena su Facebook di una femminilità meno schiacciata su canoni di bellezza
mainstream. In alcuni casi le foto scelte come immagini del profilo dalle intervistate non
riproducono i canoni convenzionali di genere – stilizzati, eteronormati, rispondenti a canoni di bellezza mainstream - al contrario, ad esempio, di quanto riscontrato da Banet-Weiser (2011) nell’analisi dei video prodotti da giovani ragazze su Youtube.
Intervistatrice: che foto hai nel profilo di Facebook?
Se vuoi te la facevo vedere. (Va a prendere il cellulare in classe ) (…) Qui siamo in un bunker e la connessione è pessima. Purtroppo non c'è quella di scuola (di connessione). Trovata! Eravamo a personalizzazione, una materia in cui noi esprimiamo noi stessi alla fine. Il primo anno è concentrato sulla psicologia. Quindi lavoriamo molto su noi stessi, quest'anno è sul movimento, quindi balliamo o facciamo giochi. Può sembrare stupido però sono incentrati proprio sulla conoscenza di noi stessi. Invece terzo anno facciamo teatro in teoria. (Mi mostra la foto tramite il suo cellulare)
Intervistatrice: cosa ti piace?
Boh ero carina, nel senso che boh, non mi ricordo quel giorno cosa stavamo facendo.. Ci stavamo truccando un po' tutti, tutti si truccavano normali, mascara, fard così.. Ma c'erano le pitture: “fatemi i baffi!” ho fatto i baffi e anche il nasino e sono andata in giro così e sono uscita da scuola così, la gente mi guardava male, ma sinceramente.. L'ho scelta perché primo è venuta bene, c'era uno sfondo neutro e io.. e poi era carina ero un gatto, è simpatica. (Marta, 18 anni)
Nelle parole di Marta, il mascara e il fard sono segni che rimandano alla ‘normalità’: per normalità possiamo evidentemente considerare un modello di femminilità riconosciuto come familiare, che dal racconto si suppone stiano mettendo in scena le compagne di classe truccandosi. Al contrario Marta sceglie, durante la lezione di “personalizzazione” a scuola, di giocare con la sua identità in modo più creativo. Marta si trucca da gatto e si scatta una foto, si trova carina e consapevolmente la sceglie come immagine del profilo. In questo caso lo spazio esistenziale reso possibile dal social network site permette di mettere in discussione la ‘normalità’ e di produrre un’identità di genere meno rigida.
delle ragazze venga posta in termini ancora più espliciti. Marzia, ad esempio, si distanzia dalle ragazze che fanno delle foto svestite per ricevere i like su Facebook definendosi consapevolmente come soggetto che resiste alle pressioni che oggettivizzano le ragazze. Alla richiesta fatta alle giovani donne di essere belle e attraenti, Marzia risponde con un’idea di femminilità caratterizzata principalmente da qualità intellettuali e interpersonali.
(…) ma io non le sopporto perché ci sono un sacco di persone che si fanno le foto apposta che se li fanno da soli in camera mezze nude. Io non le sopporto perché prima di tutto un po’ di dignità in quanto donna, e in quanto persona, perché alla fine sapere che chiunque può vedere le tue foto e chissà cosa fa quando vede le tue foto… Punto secondo, non so cosa vogliamo ottenere… Solo mipiace, lo trovo patetico, e quindi no… Proprio disprezzo in realtà. Questa cosa dei mipiace sta diventando una droga, gente che cancella gli stati se non ottiene mipiace, gente che si fa foto… Tu sei una persona non un oggetto, tu ti fai la foto mezza nuda perché sai che se ti fai la foto mezza nuda puoi piacere magari a un ragazzo che magari ti mette mipiace solo perché sei mezza nuda.. (Marzia, 18 anni)
A tal proposito è interessante notare come la narrazione di Marzia metta in luce un investimento identitario importante nel riconoscersi come “donna”. In quanto donna, e in quanto persona, Marzia rivendica un certo grado di autonomia e autodeterminazione. Se da un lato Marzia critica le ragazze che riproducono i meccanismi di popolarità sostenuti dai like e dai commenti dei ragazzi, dall’altro rivendica la capacità delle donne di essere soggetti attivi e di non esporre il proprio corpo in funzione dell’apprezzamento dei ragazzi. Inoltre, Marzia mette l’attenzione sulla difficoltà di definire in modo netto una dimensione ‘pubblica’ e ‘privata’ delle immagini condivise online, una difficoltà che esporrebbe a maggiori rischi di espropriazione o perdita di controllo sul proprio corpo. Questa è una preoccupazione condivisa da numerose intervistate: il non essere sicure di chi accederà ai contenuti condivisi sui social network sites provoca spesso ansia, un’ansia che si nutre anche di episodi - non vissuti in prima persona, ma trasmessi da amici o amiche - che hanno i tratti di leggende metropolitane 128 e tendono ad alimentare un panico morale attorno ai possibili rischi che le ragazze incontrano sulla rete. Allo stesso tempo, tuttavia, non dimentichiamo che le ragazze
128 Il racconto di Linda è da intendersi come rappresentativo di questo comportamento. I racconti delle ragazze a volte attingono i dettagli da storie realmente accadute che i media mainstream hanno nel tempo veicolato. “Intervistatrice: ti è mai successo qualcosa di spiacevole? No a me no però comunque leggendo su Facebook anche post che venivano scritti.. avevo letto proprio la storia di una ragazza che gli aveva scritto uno in chat e l’aveva convinta alla fine a mandargli la foto di lei nuda e questa foto ha fatto il giro di internet, tutti hanno preso in giro questa ragazza che ha cambiato un sacco di volte città alla fine si è pure suicidata quindi è stata una cosa un po’ traumatizzante. E lì c’è stato un motivo in più che mi ha fatto dire non io queste foto comunque non le metto” (Linda, 15 anni).
rispondono a queste preoccupazioni mettendo in pratica complesse strategie ‘socio-tecnologiche’ di protezione che permettono di mantenere un controllo sul proprio pubblico e sullo spazio online (cfr cap. 5.2).
Per comprendere meglio il discorso che si sta delineando è opportuno osservare le analogie tra i racconti di Marta e di Marzia. Ad una prima lettura in entrambe le narrazioni le ragazze utilizzano un linguaggio di tipo economico. Entrambe esprimono una critica diretta all’espressione della femminilità ipersessualizzata e attribuiscono un valore elevato a virtù quali il carattere e l’intelligenza, valori che sarebbero compromessi dall’autorappresentarsi come oggetti sessuali per il piacere dei maschi. Tramite questo linguaggio entrambe vanno al cuore del dibattito sulla mercificazione dei corpi delle donne. I due racconti divergono ad ogni modo in un punto importante: per Marta gli autoscatti delle ragazze in mutande e reggiseno corrispondono a una “svendita” del corpo che associa corpo e merce;; per Marzia, invece, vi è una presa di posizione più netta, sulla base dell’affermazione “tu sei una persona non un oggetto”, che sposta il piano della discussione: non si tratta solo del valore attribuito al corpo, ma della necessità per le giovani donne di essere riconosciute come soggetti aprendo il campo a una espressione di sé più libera e completa.
La bellezza nella mia classifica dei valori è agli ultimi posti: prima intelligenza e simpatia. Non è così importante nelle persone, anzi spesso può sfociare in un: “io mi sento più di te”. Anzi, alle medie io ho avuto bruttissime esperienze tra i 12 e i 15 anni che si sentono le regine del mondo che ti trattano male e ti escludono. Io vado d’accordo con tutti ma con queste ragazzine che si sentono più belle e migliori sento un distacco. Mi dispiace perché mi sembra che non hai autostima e devi dimostrare… Mi dispiace perché tu non sei una ragazza mezza nuda, sei magari la ragazza che le piace un libro che è bello, che prova sentimenti…un film bello. L’aspetto esteriore è la cosa più bassa per un uomo, una persona. Lo penso dalle medie quando appunto ho notato questa cosa di queste ragazzine che preferiscono risultare snob, io ero in una scuola che era snob...sei più grande ci sono un sacco di snob ma lo senti di meno. (Marzia,18 anni)
Per Marzia la bellezza non è un attributo che definisce la persona in quanto tale;; sono piuttosto l’intelligenza e la simpatia le qualità a cui è associata una maggiore libertà di espressione di sé. L’esperienza negativa avuta con alcune compagne di classe le permette di elaborare ulteriormente la sua posizione rispetto al tema della bellezza. Non aderire a determinati canoni di bellezza esclude Marzia dal gruppo dei pari poiché una determinata rappresentazione della femminilità diviene dominante e chi non vi aderisce, come in questo caso, viene esclusa dal gruppo. Nell’etichettare come “snob” il gruppo di ragazze che “si sentono migliori di altre perché più belle”, Marzia mette in luce come un modello di
femminilità diventi normativo, sanzionando e stigmatizzando chi non si riconosce. Inoltre, traccia un collegamento diretto tra il comportamento da “snob” di alcune compagne di scuola e l’ambiente socio-economico da cui provengono. Questa narrazione mette in luce come il canone di genere si costruisca in relazione ad altre dimensioni di potere. In altre parole, ci sono pratiche di bellezza che creano corpi di ragazza più legittimi e altri meno legittimi e questi corpi sono segnati sia dalle norme di genere sia dalla classe sociale. Ci si chiede dunque: è possibile per le ragazze costruire modelli alternativi di femminilità? Seguendo Marzia, la risposta è sì, a patto però di correre il rischio di mettere in gioco il riconoscimento sociale. I risultati della ricerca mostrano infatti che il gruppo dei pari svolge un ruolo chiave nel mantenere e riprodurre determinate performance identitarie online e offline (e dunque nello stigmatizzare quelle che non si confermano al modello dominante). Il controllo esercitato dal gruppo crea una tensione che si esprime online nella necessità di mantenere una rappresentazione di sé che non entri in conflitto con le norme del gruppo di amici e amiche. Per esempio, Anna costruisce consapevolmente una immagine di sé su Facebook in linea con le regole dei compagni di classe in modo da non correre il rischio di essere etichettata come “inferiore” o “sfigata”.
Intervistatrice: pensi che ti rispecchi (il profilo Facebook)?
Sì, però magari alcune cose non le pubblico, magari una frase o qualcosa. Capita raramente… Per i commenti che possono nascere. Tipo io alle medie non mi trovavo per niente bene. Avevo avuto dei casini, quindi non mi va che adesso mi considerino, tra virgolette, inferiore. Quindi magari sto attenta a non pubblicare stati o cose che loro