La studiosa dei media americana Mary Celeste Kerney (2006, 2011) considera la progressiva affermazione delle ragazze come produttrici culturali una delle trasformazioni più interessanti che si sono verificate all’interno della cultura giovanile negli ultimi vent’anni. L’autrice suggerisce, a chi voglia fare ricerca nel campo dei girl studies, di espandere il proprio spazio d’analisi, non solo considerando i testi che sono prodotti per le ragazze dalla cultura mainstream, ma anche gli artefatti culturali prodotti dalle ragazze stesse (2006). Poiché questa ricerca s’interroga sul rapporto tra le giovani donne e le tecnologie digitali, la rilevanza dell’indicazione di Kerney è evidente.
Infatti, bisogna considerare che l’emergere del Web 2.0 (O’Reilly 2005) e la crescente diffusione delle tecnologie digitali nella vita di tutti i giorni, hanno reso possibile, e facilmente accessibile, la produzione e la circolazione di contenuti generati dagli utenti (definiti anche user-generated content). Basti pensare che oggi è sufficiente possedere uno smartphone con abbonamento a internet per poter produrre e condividere in tempi rapidi video e foto in rete.
Attraverso una breve digressione sulla storia della rete illustreremo le implicazioni di questa ‘nuova’ possibilità di produrre e condividere contenuti che il web offre agli utenti.
Nelle intenzioni di Tim Berners Lee, creatore del World Wide Web25, internet sarebbe
dovuto essere uno spazio in cui l’utente avrebbe avuto un ruolo attivo non solo nel fruire le informazioni, ma anche nel costruire i contenuti. Tuttavia, la possibilità di scrivere e leggere online, fino agli anni ‘90, rimane un’opportunità in mano ai pochi che hanno un po’ di conoscenza di un linguaggio di programmazione e un Internet Service Provider che ospiti lo spazio del sito (faccia da host) (Ferri, Mizzella e Scenini 2009).
Nei primi anni della sua diffusione di massa, internet (si intende ancora nella sua forma di web 1.0) introduce la sostanziale novità di ampliare, di molto, le possibilità di scelta dei contenuti da parte del pubblico dei media (Ardvisson e Delfanti 2013). Ad ogni modo, durante tutta questa fase, l’interattività rimane limitata. A tal proposito, in questo periodo, i servizi offerti dal web hanno ancora molte caratteristiche comuni ai media broadcast, come televisione e stampa, poiché non forniscono nuove possibilità al pubblico di essere una parte attiva (salvo alla ristretta fascia di programmatori o esperti). Tuttavia una delle caratteristiche più rilevanti della rete è di essersi velocemente trasformata da medium che trasmette informazioni a luogo in cui tali informazioni vengono prodotte, condivise e scambiate da un gran numero di utenti. Grazie al Web 2.0 la partecipazione degli utenti diventa molto più semplice e si amplia a livello esponenziale.
Le idee alla base del web sono diverse e variamente declinate, ma due concetti definiscono, più di altri, la portata della novità: l’architettura aperta (Castells 2002, Bennato 2011) e l’interattività. Secondo Castells (2002), l’architettura aperta di internet è stata la fonte della sua forza principale: la possibilità di evolversi e crescere autonomamente, con gli utenti che diventano produttori della tecnologia stessa. Entrambe le idee suggeriscono una propensione di questo medium, prima di tutto, a una maggiore partecipazione dell’utente. Con il web 2.0 si afferma una tecnologia partecipativa accessibile a una importante massa di utenti, il che ha condotto numerosi ricercatori e ricercatrici a interrogarsi sulle dinamiche di potere che queste nuove tecnologie portano con sé e le nuove possibili forme di partecipazione e attivismo (sul rapporto tra cultura convergente e partecipazione politica dal basso cfr. Jenkins 2006).
Il web 2.0 è caratterizzato da software e piattaforme economiche e semplici da usare, che offrono servizi interattivi che permettono la partecipazione degli utenti, o addirittura si basano su forme di produzione affidate completamente agli utenti stessi. Il passaggio da forme
Ricerca Nucleare) di Ginevra, sviluppa una un’applicazione per la condivisione delle informazioni che permette di recuperare e distribuire dati da/a qualunque computer collegato via internet (URL). E’ grazie a questa invenzione, il World Wide Web (proseguimento di una lunga tradizione di idee e progetti tecnologici che puntavano sulla possibilità di organizzare tra loro sorgenti informazionali attraverso computer in grado di dialogare) che internet si diffonde e arriva ad abbracciare tutto il mondo.
unidirezionali di comunicazione a forme di comunicazione interattive rese possibile dalla rete, ha cambiato notevolmente il rapporto tra utenti, media e produzione culturale. Si pensi a quel sottoinsieme di media digitali, conosciuto con il nome di media sociali (social media), che fa riferimento a un insieme di piattaforme comunicative orientate principalmente alla partecipazione dell’utente tramite la produzione dei contenuti e non alla sola gestione delle informazioni: blog, social network sites, wiki, altre piattafomre come youtube o twitter (Stella, Riva e Scarcelli 2014). 26
Si è visto che il web 2.0 ha incrementato le possibilità degli utenti di interagire e produrre contenuti, tuttavia cosa si intende veramente per interazione quando si parla di media digitali? Secondo la definizione di Jensen (1999: 183): “l’interattività è la misura della potenziale facoltà dei media di lasciare che l’utente eserciti un’influenza sul contenuto o sulla forma della comunicazione mediata…”. Diversi sono gli approcci che, all’interno degli studi sui media, hanno fatto riferimento al concetto di interattività. Dal punto di vista analitico la distinzione adoperata da Beer e Gane (2008), può essere utile per orientarsi. I due autori affermano che si può distinguere tra: 1) interattività legata strettamente alle proprietà tecniche di un sistema mediale (Manovich 2008);; 2) interattività come qualcosa che descrive la comunicazione tra utenti mediata dai nuovi media;; 3) interattività come nuova possibilità di
agency degli utilizzatori, che guarda al coinvolgimento degli utenti nel momento in cui sono
lasciati liberi di produrre e utilizzare un media;; 4) interattività come concetto politico che è legato ai più ampi cambiamenti sociali e politici. A partire dalla distinzione adoperata da Gane e Beer (2008) ci interessa porre l’attenzione sull’aumentata possibilità da parte degli utenti di agire un ruolo attivo attraverso l’utilizzo di un medium, in questo caso internet, dunque sulle ultime due tipologie di interazione da essi proposte che sono quelle che mettono in luce la relazione tra tecnologie digitali e trasformazione sociale.
La letteratura sociologica sullo studio dei media parla di una progressiva liberazione del pubblico, che acquisisce un ruolo sempre più attivo rispetto al mezzo di comunicazione. Se i primi studi focalizzavano l’attenzione sull’effetto o il potere dei media sulle persone (come è principalmente per la Scuola di Francoforte), altri studi, come i Cultural Studies anglosassoni e in generale tutta la rivalutazione della cultura di massa (cfr. Fiske 1989), spostano l’attenzione su quello che le persone fanno con i media stessi.
Come accennato brevemente in precedenza, a rendere questo campo di studi così fondamentale è il lavoro sviluppato dalla prospettiva culturalista della Scuola di Birmingham
26 La partecipazione potenziale degli utenti rende Web partecipativo, social media e web 2.0 a livello semantico come termini sovrapponibili (Scarcelli 2013)
(Hall 1980, Morley 1980, Hobson D. 1980), che porta in primo piano il ruolo dei pubblici -
audience - nel rapporto tra testo e autore. A dare avvio a questa riflessione è il modello del
circuito di comunicazione di Stuart Hall (il modello “encoding-decoding” 1980). Hall descrive la comunicazione come un processo, mettendo particolare attenzione agli aspetti contestuali, ossia le condizioni sociali e politiche entro cui avvengono la codifica e la decodifica di un testo. Nel lavoro di Hall, l’autore del messaggio è influenzato dallo stesso contesto socio-culturale della società in cui abita, così come dalla sua specifica posizione sociale e i significati assumono una particolare forma a seconda del medium utilizzato. Nel momento in cui il messaggio è ricevuto, viene decodificato, e gli strati di significato sono soggetti all’interpretazione di chi li riceve, quindi i ricevitori leggono il messaggio in relazione alla loro esperienza sociale. Le conseguenze sono evidenti: l’idea che i media detengano assoluto potere e influenzino unidirezionalmente il pubblico è sostituita da un’idea di pubblico che prende parte al processo comunicativo;; la trasmissione top down del messaggio viene sostituita da un circolo comunicativo tra produttori e audience.
Questa prospettiva orienta gran parte della ricerca attuale sui pubblici dei media (Capecchi 2004;; Hirsch 1992). Grazie, infatti, al contributo di studi empirici di tipo etnografico in seno agli audience studies, si afferma un frame di ricerca in cui il pubblico gioca una parte più attiva nel processo comunicativo, e la crescita e l’espansione d’internet fanno sembrare i suoi utenti come il più concreto e radicale esempio di audience attiva (Bennato 2011;; Pasquali e Scifo 2004).
Tuttavia il termine audience sembra sempre meno capace di rappresentare la realtà: nel momento in cui gli utenti dei media digitali condividono foto, video, editano testi, aggiornano contenuti, è difficile considerare queste attività semplicemente come ricezione27 (Bennato 2011). In altri termini come sostiene il sociologo dei media italiano Boccia Artieri:
Ora i pubblici comunicano sempre di più secondo logiche che potremmo definire bottom up, top down oltre che orizzontalmente tra pari. I pubblici possono reagire, rifare, ridistribuire partecipando alla condivisione di cultura e conoscenza attraverso le logiche del discorso e dello scambio oltre che quelle della sola ricezione mediale. (Boccia Artieri, 2009: 30).
Nell’opinione di Jenkins, uno dei principali studiosi dei nuovi processi comunicativi del web,
27 Il termine audience è stato a volte sostituito da quello di audience diffuse. Secondo questa impostazione l’individuo fa parte costantemente di un’audience “non importa se è coinvolto in una pratica performativa o sta fruendo di un contenuto. Le audience diffuse sono il frutto da un lato dell’enorme numero di ore passato consumando media, dall’altro della forte incorporazione dei media nella vita di tutti i giorni” (Bennato 2011: 9).
la cultura che si produce online è “una cultura partecipativa (che) contrasta con le vecchie nozioni di spettatore passivo. Anziché continuare a parlare di produttori e consumatori come se occupassero ruoli diversi, oggi potremmo considerarli come interagenti” (2007: 26).
Nel dibattito interno agli internet studies si sono inseriti termini quali quello di “prosumer” (Toffler 1980), crasi tra produttore e consumatore, e il più recente “produser” (Bruns 2008). Entrambi i termini vanno a definire quel fenomeno per il quale chiunque sia dotato di un dispositivo digitale di foto o videoregistrazione diventa un potenziale produttore di contenuti mediali.
Con l’affermarsi dei social media, un altro confine va sgretolandosi: quello tra audience e contenuti stessi. Il concetto di audience viene progressivamente sovrapposto a quello di interattività dei media digitali, in questo modo l’attività dell’audience è più che altro intesa come forma di scrittura piuttosto che lettura, come un ‘fare’ piuttosto che un ‘pensare’ (Athique 2013).
Dal momento che le ragazze sono il gruppo in maggiore espansione tra gli utilizzatori della rete, aver messo a fuoco il ruolo (sempre più attivo) dell’utente di internet è fondamentale per comprendere gli sviluppi della ricerca nel campo dei girls studies, in particolar modo, di quelli che mettono al centro la possibilità delle ragazze di esprimersi fuori dalle strutture di potere evidenziate precedentemente.
Secondo la studiosa di media e culture giovanili Sharon Mazzarella (2008) gli studi sulle adolescenti e i media hanno favorito un frame che vede le ragazze nel ruolo di vittime della cultura circostante:
(…) the norm for academic studies of girls had been to define girls as potential victims of the culture that surrounds them, a definition guiding much of the research examining how girls are affected by teen magazines, romance novels, popular music, and other forms of popular culture (Mazzarella 2008 : 75).
La stessa studiosa evidenzia una mancanza di “studies of girls as able to resist and navigate their way through a barrage of cultural messages as well as studies of girls as active producers of their own cultural artifacts” (Mazzarella 2008: 75).
Studiare l’uso della rete da parte delle ragazze come forma di cultura partecipativa (Jenkins 2006) significa, quindi, trovare un canale per ascoltare e comprendere il mondo di significati delle ragazze (Currie 2008). La riorganizzazione dei girls studies dal punto di vista delle nuove possibilità offerte da internet come spazio di produzione culturale ha fatto fare un salto in avanti alle riflessioni sul rapporto tra agency e strutture sociali: nel riconoscere le
ragazze come attive produttrici di testi e significati online, piuttosto che sole vittime di una cultura egemonica (Lemish 2010).
In una delle prime ricerche in questo campo, Susanna R. Stern (1999) ha studiato le home
page di blog di adolescenti e ha trovato che queste pagine forniscono alle ragazze uno spazio
unico in cui parlare di una serie di argomenti molto ampli e delicati, tra cui la sessualità. Attraverso foto, video e altri testi le ragazze trovano un modo per parlare di loro stesse e di connettere la propria soggettività all’espressione della propria sessualità (Stern 2002). In una ricerca successiva la ricercatrice nota come siano gli elementi della popular culture ad essere i soggetti più ricorrenti delle home page delle ragazze. Foto e video di celebrità popolano questi siti e suggeriscono che le ragazze provino una forma d’identificazione con queste celebrità, ma soprattutto che attraverso l’appropriazione delle foto, dei video e delle canzoni di personaggi famosi le ragazze si posizionino sia come produttrici, che come consumatrici di cultura. Altre ragazze, osserva Stern, vanno oltre e creano interi blog o siti web dedicati ai loro idoli. 28 Mazzarella (2005) considera questo processo di appropriazione dei teen idol attraverso le risorse rese disponibili dal web, come un modo in cui le ragazze creano uno spazio per loro stesse, protetto dall’atteggiamento spesso denigrante della cultura dominante degli adulti.
Per concludere, si è visto come il rapporto tra audience e testi mediali (il materiale prodotto dai media di massa) sia molto complesso, in particolar modo lo è la negoziazione dei significati che esso comporta. Le ricerche di Stern, Mazzarella e Kearney evocano il web come uno spazio in cui la produzione e la riappropriazione dei testi (foto, video e testi) da parte delle ragazze sono sinonimo di una forma di resistenza all’ideologia dominante, ma essere attivi non significa necessariamente mettere in pratica strategie di resistenza. Se come sostiene la studiosa inglese di media Sonia Livingstone (1990) la decodifica di un testo rappresenta sempre una trasformazione soggettiva dei significati e del senso di un testo, questo non significa per forza che l’interpretazione di un testo avvenga in maniera originale tale da creare nuovi significati (Capecchi 2004).
28 I gruppi di fan esprimo le culture partecipative più intense e sono stati l’oggetto di numerose ricerche (Jankins 2006). Il pubblico composto da fan (i fandom) è sempre molto coinvolto attivamente nella produzione di contenuti, ciò che conta è che spesso questi contenuti sono anche alternativi a quelli ufficiali.