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IL CYBERSPAZIO: IL NON LUOGO DELLA VIRTUALITA’

TEMPO E SPAZIO NELL’ERA DIGITALE

2.3 IL CYBERSPAZIO: IL NON LUOGO DELLA VIRTUALITA’

cco che, tra i non luoghi tipici del nostro periodo ne incontriamo uno in particolare, che sembra comprenderli tutti, quello di cui si tratta in questo elaborato, il più gettonato ed il più dotato di appeal: il cyberspazio. Tale “non luogo” è regolato dal pensiero nomade, è uno spazio fluido governato dai flussi, nel quale sono i percorsi ad essere privilegiati. E’ uno spazio nomologico che sottende l’essere attraverso e che esalta invece il tragitto piuttosto che la meta. Ci troviamo di fronte ad uno spazio- sentiero che genera i luoghi attraversandoli e non viceversa. In uno spazio così concepito è impossibile radicarsi in un unico luogo, ritrovare in esso una personale forma identitaria, perciò si è costretti ad un perpetuo processo di localizzazione e rilocalizzazione, ed il pensiero si dispiega e si snoda nel continuo divenire. E’ possibile abitare il cyberspazio solo muovendosi: paradossalmente ad una massima mobilità della mente corrisponde la massima immobilità del corpo che rimane fermo, seduto davanti al display.16 Ma quale significato attribuire al termine “virtuale”?

Si potrebbe impulsivamente affermare che è virtuale tutto ciò che non è reale, ma tale definizione, oltre ad essere una perissologia, non è di alcuna utilità. Le prime pubblicazioni importanti sulla realtà virtuale risalgono per lo più agli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso (Krueger, 1983; Rheingold, 1991; Hamit, 1993; Pimentel, 1995; Packer and Jordan, 2002): è evidente che il concetto di virtualità si sia modificato nel tempo e che potrà ancora modificarsi in futuro, con scenari innovativi e ancora più immersivi rispetto a quelli attuali

16G. Lavenia, Internet e le sue dipendenze, dal coinvolgimento alla psicopatologia,

Ed. Franco Angeli, Milano, 2012, p.29.

50 (Madrigal, 2009).17

Un buon dizionario recente (Treccani, 2013) definisce la realtà virtuale come «cosa o attività frutto di un’elaborazione informatica che pur seguendo modelli realistici non riproduce però una situazione reale». In tale definizione dai confini poco precisi, possono rientrare ad esempio musei virtuali, biblioteche virtuali, visite virtuali a luoghi di interesse turistico o culturale, oltre a tutto quel vasto campo della ricerca scientifica che studia la realtà non solo nei modi più classici (osservazione sistematica, esperimento di laboratorio, elaborazione di teorie, ecc.) ma anche ricreandola dentro il computer, cioè simulandola (Parisi, 2001). Un limite di tale definizione è che non chiarisce se un social network tipo Facebook rientri o meno nella realtà virtuale, cosa che sicuramente non sarebbe possibile se si adottasse una definizione più ristretta di realtà virtuale, come quella del Business Dictionary, secondo cui si tratterebbe di una «simulazione al computer realistica, in tempo reale e tridimensionale. Anche altre fonti autorevoli come l’Encyclopædia Britannica (Britannica, 2013), indicano precisi connotati della realtà virtuale da cui Facebook è sicuramente escluso. C’è chi, più cautamente, cerca di andare al di là dei limiti di una definizione ristretta (Bhimani, 2008), e chi invece assume senza mezzi termini che Facebook rientri a pieno titolo nella realtà virtuale, rappresentandone addirittura il massimo esempio (Bingham, 2012). Un social network tipo Second Life, invece, rientra senza problemi nelle varie definizioni, essendo una realtà virtuale nel senso classico del termine, ovvero una ricostruzione di ambienti tridimensionali in cui muoversi tramite avatar che camminano, corrono, parlano, si vestono, mangiano, si svestono e fanno persino l’amore! (APC, 2008). L’impasse definitorio sembrerebbe agevolmente superato dalla definizione che Damer (Damer, 1997) dette ben sedici anni fa, secondo cui i mondi virtuali

17F.Galgani, Solitudine e Contesti Virtuali, Ricerca pubblicata su

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sono «ambienti grafici a due e tre dimensioni, abitati da utenti rappresentanti come attori digitali detti "avatars"». L’autore prosegue spiegando che, attraverso questi mondi virtuali, un’ampia varietà di utenti di Internet sta partecipando ad un esperimento sociale su larga scala e collaborando su una vasta varietà di progetti. Anche con la definizione di Damer, però, molti aspetti della virtualità oggi vissuta da miliardi di persone sarebbero esclusi.18

Non c’è uniformità nella definizione di realtà virtuale, che nel tempo si è trasformata ed allargata così tanto che, uscendo dal settore della ricerca in cui è nata, nel linguaggio comune è spesso e impropriamente sinonimo di “ciò che avviene su Internet”, come riporta un altro dizionario recente (Garzanti, 2013). Quest’ultima accezione, seppur assai imprecisa, perché mette sullo stesso piano una miriade di possibili attività diverse e difficilmente comparabili, è quella qui adottata.

Il concetto di “virtuale” infatti viene impiegato soprattutto per indicare ciò che è simulato e creato mediante l’uso di computer, dai videogiochi all’intera dimensione del World Wide Web, in queste rappresentazioni simulate in cui in maniera sempre più sorprendentemente realistica si ricrea la realtà il soggetto vive un’immersione totale nello schermo e nel PC, tale che la realtà effettiva sembra scomparsa nel non-luogo della virtualità.

Tale termine ha comunque origini antichissime, la sua etimologia deriva dal latino virtus, che significa forza, potenza, e di cui a sua volta la radice è vir, ovvero uomo. Tale termine fu usato, in primis da Tommaso d’Aquino e successivamente da tutti i filosofi come sinonimo di potenzialità, sostituendo il termine greco dynamis (in potenza) di Aristotele, coniato da quest’ultimo assieme al temine greco energeia (in atto) per descrivere ogni entità esistente sulla terra come attualizzazione di una potenzialità. Tutti i filosofi quindi

18F. Galgani, Solitudine e Contesti Virtuali, Ricerca pubblicata su

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impiegarono il termine virtuale per descrivere una qualità posseduta in potenza ma non in atto19. Anche Michelangelo utilizzò in maniera poetica il termine virtuale, quando affermò che nei suoi blocchi di marmo le sue sculture erano già racchiuse virtualmente, come segreti, come promesse di bellezza che da lì a poco l’artista avrebbe svelato, liberandole dall’ingombro della materia togliendone ogni “soverchio”20

.

Kant invece utilizza il termine virtuale per descriverlo come entità a se stante, del tutto scissa dall’ordine delle cose: per il filosofo tutto ciò che è virtuale è una “non- presenza spaziale”, come ad esempio le nostre percezioni che sono originate da immagini virtuali, le quali attraverso step successivi, prendono forma nelle azioni senso motorie. Il come se è il valore di verità della finzione, l'elemento che permette all'uomo di giocare kantianamente con le apparenze senza ingannarsi,e ha il merito di rendere le esperienze simulate un importante momento di apprendimento: è soltanto nell'esser coscienti che subentra la possibilità di acquisire conoscenza ed imparare21. Rispetto al concetto odierno di virtuale occorre fare alcune specificazioni perché esistono ben tre diversi usi di esso: uno relativo alla vasta serie di simulazioni di processi che possono avvenire tramite computer, come ad esempio la memoria virtuale; il secondo riguarda tutto ciò che accade dentro Internet, come ad esempio i social network; l’ultimo invece si riferisce a quella che viene detta realtà virtuale, espressione coniata per la prima volta da Jaron Lanier, in riferimento all’impiego di strumenti e sensori collegati al PC per la visualizzazione tridimensionale tipo guanti e caschi hi-tech che consentono una quasi totale interazione tra soggetto e macchina per la sperimentazione di mondi ed ambienti governati dal computer. La realtà virtuale così rappresentata

19R. Radice, La” metafisica” ragionata di Aristotele nel XX secolo, Bibliografia

ragionata e sistematica, “Centro di ricerche di Metafisica”, Milano, 1997.

20P.Toesca, voce Michelangelo Buonarroti, in Enciclopedia Treccani, visibile sul

sito http://www.treccani.it

21I. Kant, Inganno e illusione, in I.Kant, J.G. Kreutzfeld, Inganno e illusione Un

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sembrerebbe quindi una modalità e una dimensione propria dei nostri tempi.

Il filosofo Baudrillard ad esempio afferma «C'è un modello di realtà, un principio di realtà, che è stato costruito e che si può scomporre molto rapidamente. E' in effetti una sorta di costruzione quella che si è sgretolata sotto la spinta delle tecnologie moderne, delle nuove tecnologie in particolare. Ciò che viene chiamata la realtà virtuale ha senza dubbio un carattere generale e in qualche modo ha assorbito, si è sostituita alla realtà nella misura in cui nella virtualità tutto è il risultato di un intervento, è oggetto di varie operazioni. Insomma tutto si può realizzare di fatto, anche cose che in precedenza si opponevano l'una all'altra: da una parte c'era il mondo reale, e dall'altra l'irrealtà, l'immaginario, il sogno, eccetera. Nella dimensione virtuale tutto questo viene assorbito in egual misura, tutto quanto viene realizzato, iper-realizzato. A questo punto la realtà in quanto tale viene a perdere ogni fondamento, davvero si può dire che non vi siano più riferimenti al mondo reale. E infine tutto vi si trova in qualche modo programmato o promosso dentro una superformula, che è quella appunto del virtuale, delle tecnologie digitali e di sintesi.

Accade effettivamente che a un certo punto il reale ci sta pur sempre di fronte, e noi ci confrontiamo con esso, mentre con il virtuale non ci si confronta. Nel virtuale ci si immerge, ci si tuffa dentro lo schermo. Lo schermo è un luogo di immersione, ed ovviamente di interattività, poiché al suo interno si può fare quel che si vuole; ma in esso ci si immerge, non si ha più la distanza dello sguardo, della contraddizione che è propria della realtà. In fondo tutto ciò che esisteva nel reale si situava all'interno di un universo differenziato, mentre quello virtuale è un universo integrato. Di certo qui le care vecchie contraddizioni fra realtà e immaginazione, vero e falso, e via dicendo, vengono in certo modo sublimate dentro uno spazio di iper-realtà che ingloba tutto, ivi compreso un qualcosa che sembrava essenziale come il rapporto fra soggetto e oggetto - Voglio dire che nella dimensione virtuale non c'è

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più né soggetto né oggetto, ma entrambi, in via di principio, sono elementi interattivi. Parlo in termini un po' approssimativi perché non appartengo completamente a questo mondo, non ne faccio parte, ma in ogni caso posso parlarne nonostante tutto, e mi sembra di vedere determinate cose che succedono al suo interno. In questo universo il soggetto non ha più una sua posizione propria, una condizione vera, in quanto soggetto, di un sapere o di un potere o di una storia. C'è invece un'interazione, che vuol dire in fin dei conti uno svolgimento o un riavvolgimento di tutte le azioni possibili. Nella realtà virtuale tutto è effettivamente possibile, ma la posizione del soggetto è pericolosamente minacciata, se non eliminata»22.

Lévi, contrariamente, criticando questo punto di vista, fa risalire il processo di virtualizzazione a tempi molto più remoti. Esaminando il termine virtuale egli afferma: “Virtuale è un concetto che può essere espresso in vari modi, può significare illusorio, falso, possibile, immaginario; in senso prettamente filosofico invece sta a significare ciò che potrebbe essere, ovvero l’essere in potenza: un seme è un albero virtuale, lo è in potenza a anche se il seme muore e le sue potenzialità non si realizzano, la virtualità non viene meno – i mondi virtuali, pur non essendo reali nel senso comune del termine, sono realistici e lo prova il fatto che i nostri sensi si fanno ingannare volentieri dalle simulazioni. Quindi il termine “virtuale non va contrapposto tanto a “reale”, quanto ad “attuale”, mentre “reale” va opposto a “possibile”.23

Virtuale, attuale, possibile, reale, sono per Lévi quattro modalità dell’essere, presenti simultaneamente. Se virtualità ed attualità sono solo due modi diversi di essere, allora tra i due si instaura un legame dinamico: secondo il filosofo, gli individui tendono a muoversi dall’attuale al virtuale ed afferma: «Tre sono i processi di virtualizzazione che hanno caratterizzato l’apparizione

22J.Baudrillard, “Il virtuale ha assorbito il reale”, Intervista di Mediamente,

trasmissione televisiva e telematica sui problemi della comunicazione, Rai Educational, Parigi, 11/02/1999.

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della specie umana: lo sviluppo dei linguaggi, l’evoluzione delle tecniche e la complessificazione delle istituzioni».24

Tuttavia se abbandoniamo le definizioni del termine “virtuale” originarie e codificate dai filosofi contemporanei e ci accingiamo ad esplorare lo spazio virtuale impiegato dai navigatori della rete ci troviamo di fronte ad un nuovo vocabolo e ad un nuovo concetto: “cyberspazio”. Di che cosa si tratta? L’invenzione di questo termine si deve allo scrittore William Gibson che con il suo romanzo di fantascienza “Neuromancer” nel 1985 fu vincitore del Premio Hugo. Gibson in merito scrive: «Cyberspazio. Un allucinazione vissuta consensualmente ogni giorno da miliardi di operatori legali, in ogni nazione, da bambini a cui vengono insegnati i concetti matematici … Una rappresentazione grafica di dati ricavati dai banchi di ogni computer del sistema umano. Impensabile complessità. Linee di luce allineate nel non-spazio della mente, ammassi e costellazioni di dati. Come le luci di una città che si allontanano»25.

Il termine cyberspazio crea allora un’ambientazione che ha origine da un’allucinazione consensuale, un’esperienza quotidiana condivisa, una complessità che si irradia dalla mente e dagli estratti culturali degli esseri umani e di tutte le loro culture. Il cyberspazio quindi non è determinato strettamente da caratteri tecnologici, anzi R. Diodato (2005) afferma che il virtuale non è più il possibile, ma un complesso problematico, un nodo di tendenza da progettare che non ha uno sviluppo lineare, una necessità intrinseca del suo sviluppo, perché è legato all’interazione.26

Per concludere, non tutto può essere già dato e stabilito nelle potenzialità di calcolo della tecnologia poiché nell’uso del PC l’utente assume un ruolo interattivo. Lo spazio di Internet è stato per molti anni considerato come un modalità alternativa ed opposta dalla realtà: tradizionalmente si riteneva che attraverso la rete

24

Ibidem

25F.W., Gibson (1984), Neuromante, trad. it.(1991), Editrice Nord, Milano, 1991. 26R. Diodato, Estetica del virtuale, Mondadori, Milano, 2005

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fosse possibile svolgere un gran numero di attività, che andavano dalla ricerca di informazioni, alla comunicazione, alla fruizione dei dati, senza però prendere minimamente in considerazione gli aspetti relazionali ed umani, propriamente caratteristici del mondo “in carne ed ossa”. Oggi il confine tra il “mondo propriamente virtuale” e quello “propriamente in carne ed ossa”, si è assottigliato in maniera considerevole.27

Per meglio comprendere l’idea di virtuale, possiamo considerare che «tutto ciò che è creduto, è reale e come tale ha degli effetti»28, per cui la costruzione di una realtà basata su Internet, sempre più complessa e ricca di interazioni, dai messaggi, agli emoticons, alle comunicazioni vocali, ha portato un mondo che ha raggiunto livelli di dignità e importanza prima impensabili. Il virtuale diviene reale attraverso i canali del percepire e del sentire, questo dimostra che i medium tecnologici della nostra era non sono in grado di annullare le emozioni di chi ne fa uso. Tutto noi infatti litighiamo al telefono, ci emozioniamo di fronte ad un film e possiamo rimanere delusi per una mancata chat notturna al pari di un vero appuntamento in “carne ed ossa”. Pertanto è da ribadire che anche le emozioni che vengono a crearsi tramite Internet sono vere ed indistinguibili da quelle provate in contesti reali o in ambienti storicamente tradizionali. La realtà di Internet sembra essere diventata un “come se” incredibilmente ben riuscito, un virtuale che si è evoluto in reale liberandosi dal ruolo di artefatto di serie B. Le nuove tecnologie ci donano la possibilità di vivere esperienze in ambienti più o meno virtuali, i quali poi hanno ripercussioni, sia positive che negative, sulla vita reale offline. Non è un caso, infatti, che oggi si inizi ad utilizzare la realtà virtuale come mezzo volto al potenziamento di alcune capacità appartenenti al mondo reale, come la memoria, l’attenzione, il problem solving;

27G. Lavenia, Internet e le sue dipendenze, dal coinvolgimento alla psicopatologia ,

Ed. Franco Angeli, Milano, 2012, p. 36.

28G. Nardone, F. Cagnoni, Perversioni in rete: psicopatologia da Internet e il loro

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addirittura si sta iniziando ad usare la psicoterapia tramite chat ed e- mail. In queste tipo di esperienze il mezzo è virtuale, ma il miglioramento potrebbe essere possibile e reale. Tuttavia da un utilizzo continuativo e sconsiderato del Web possono sorgere seri problemi: durante le navigazioni online alcuni individui interagendo con altri utenti, possono comunicare e vivere situazioni relazionali molto più appaganti di quelle provate offline che possono addirittura portare ad un assoluto disinteresse verso la vita reale, la quale appare molto più noiosa, priva di stimoli ed inadeguata. Ecco che a questo punto la profezia trova il suo compimento: il virtuale si sostituisce al reale.29

Nel tratteggiare l’impatto psicologico della rete non possiamo tralasciare l’idea che navigando nel World Wide Web si va incontro ad un’esperienza itinerante entro uno spazio virtuale infinito analogo alle molteplici possibilità della mente e in grado di superarle e di trasmettere un’idea di potenziamento delle facoltà umane30

.

Suler definisce il cyberspazio come spazio psicologico in cui «ad un livello psicologico più profondo gli utenti descrivono il loro computer come estensione della propria mente e della propria personalità – uno “spazio” che riflette i propri gusti, atteggiamenti ed interessi»31

. Lo spazio virtuale viene esperito come espansione e dilatazione dei confini della mente: il fruitore sperimenta davanti a sé lo spalancarsi di nuove possibilità nell’estensione della fantasia e nella proiezione del proprio sé. «In condizioni ideali, gli individui impiegano tale opportunità per comprendere meglio se stessi, come mezzo per esplorare la propria identità coinvolgendo l’identità di altri soggetti. In condizioni meno ottimali, le persone usano questo spazio psicologico per sfogare o mettere semplicemente in atto le proprie fantasie,

29

G. Lavenia, Internet e le sue dipendenze, dal coinvolgimento alla psicopatologia, Ed. Franco Angeli, Milano, 2012, p.36.

30

Ivi, p. 64

31

J. Suler, Cyberspace as a dream world: illusion and reality at the ‘palace’, in “The

psicology of cyberspace”, hypertest book creato nel 1996 visibile all’indirizzo

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frustrazioni, ansie e desideri, i quali alimentano queste fantasie».32Suler definisce la dimensione psicologica dello spazio virtuale come luogo in cui gli utenti esperiscono una peculiare modalità di viaggio che coinvolge il proprio pensiero e che viene descritta in termini di metafore spaziali quali “andare in Internet”, “navigare”, “mondi”, “domini”, “spazi”. Quindi attraverso la Rete si accede ad uno spazio che viene colmato ed intessuto di significati e scopi ben definiti durante il percorso stesso intrapreso, moltiplicato e modificato negli infiniti link e collegamenti in cui ci si imbatte. Il

cyberspazio diviene anche “spazio transazionale, Suler prende in

prestito il significato psicoanalitico del termine per definire il ponte che si estende tra la propria realtà psichica e l’incontro con l’altro, ovvero un’estensione del mondo intrapsichico che si collega ad una zona intermedia tra sé e l’altro, in cui appunto si scambiano parti di sé e dell’altro. Proprio attraverso questa modalità il mondo virtuale ha ampliato i confini di come e quando gli individui possono interagire tra loro.33

Quindi, qual è il vero motivo per cui molti individui preferiscono consolarsi nello spazio virtuale 24 ore su 24, invece di trovare soluzioni per vivere meglio la propria vita nel mondo reale? E’ riduttivo ritenere che tale comportamenti e condotte dipendano esclusivamente dalla semplice noia.

La risposta va cercata dentro e fuori gli individui ed una volta trovata è facile comprendere che ciò che ci troviamo di fronte è un circolo vizioso e ben più complesso che si autoalimenta. Molti di questi soggetti hanno perso totalmente la fiducia in sé stessi e negli altri e di conseguenza si sentono demotivati ed incapaci di condurre la loro vita e di tessere relazioni nel mondo reale. C’é una sorta di smarrimento di

32 Ibidem

33J. Suler, Cyberspace as a psycological space, in “The psicology of cyberspace”,

hypertest book creato nel 1996 visibile all’indirizzo

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identità che fa sentire tremendamente diffidenti e soli ed è il timore del confronto faccia a faccia che fa da padrone nell'era dell'euro e della «privatizzazione» dell'Europa. Dal momento in cui è iniziata una progressiva accelerazione delle nostre esistenze determinata dalla