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TUTTI O QUASI DIGITALIZZAT

4.2 LE CATEGORIE DIGITAL

li adolescenti preferiscono relazionare, discutere e affaccendarsi nel web forse perché comporta loro una minore messa in gioco, all’interno della “ragnatela planetaria” si sentono più forti e meno giudicati dal mondo “vero”, mondo questo dove le relazioni faccia a faccia hanno un costo maggiore e dove è più facile ricevere ferite narcisistiche. A mio parere gli adolescenti vivono il web e i social network come veri e propri luoghi dove rifugiarsi e allontanare le proprie paure, una vera e propria sorta di nicchia impenetrabile e sigillata dove non si sentono messi in discussione: naturalmente tale comportamento rivela una estrema fragilità nell'affrontare il mondo e la crescita che spetta loro, ed è scontato quindi come sia facile per alcuni di loro cadervi in una vera e propria dipendenza psicologica. Anche il linguaggio messo in atto dall'universo giovanile sembra essere usato come una specie di cinta di fortificazione e di difesa, intraducibile quindi non giudicabile. Infatti la prima difficoltà da superare per capire i loro problemi è proprio la traduzione del linguaggio, gergale, sgrammaticato, frenetico e sincopato, un linguaggio reso ancora più difficile dalla sinteticità degli SMS, delle e-mail e delle espressioni dei rapper, altra difficoltà è la “traduzione” dei legami sociali che, attraverso un linguaggio simile si stringono3. I giovani di oggi sono sicuramente invidiabili per la destrezza che posseggono nell'uso degli strumenti tecnologici, ma credo che non debbano confondere il mezzo con il fine. Internet non è il mondo reale, è invece uno strumento da utilizzare con la conoscenza e per la conoscenza. Internet non serve a coloro che non hanno conoscenza, senza questa ne deriva infatti un uso improprio, smodato, negativo e pericoloso che può provocare gravi turbamenti psicologici e relazionali. Soprattutto la comunicazione web mediata, virtuale non

3P.G. Coslin, Adolescenti da brivido, Armando Editore, Roma, 2012, p.7(nota di P.

Bonanni).

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deve prendere il posto della comunicazione “carnale”, vera e fisica, semplicemente umana. Tuttavia, passando in rassegna gli studi e i pensieri di alcuni specialisti dell’argomento, lo scenario che ci troviamo di fronte non è assai roseo, poiché sembrerebbe che adolescenti e bambini, a differenza dei loro genitori, non hanno la facoltà di scegliere di aderire o meno alla “tecnoliquidità”, alle relazioni web mediate, alla interattività: essi sono destinati ad una conoscenza innata della tecnologia informatica che addirittura comportando in loro rilevanti cambiamenti a livello cerebrale ed antropologico. Cerchiamo allora di fornire alcune definizioni di rilevante importanza per comprendere appieno il punto della situazione ad oggi. Chi sono i tanto citati nativi digitali? A quando risale allora la comparsa dei nativi digitali? Qual è il loro identikit? Sono stati già sorpassati dalle generazioni degli ultimissimi anni, ovvero dai bambini in tenera età? Ed i genitori in quale posizione sono?

All’incirca, tutti coloro che sono nati alla fine degli anni Novanta sono «nativi digitali». È un’espressione presa a prestito dalla sociologia per individuare tutti quei ragazzi che, per così dire, «nascono imparati». Non appena posano le mani su di un computer o su qualunque altra diavoleria comprata, sanno esattamente come utilizzarla, conoscono già per istinto le funzioni di base e sono in grado di intuire dopo pochi minuti anche quelle più avanzate. Chi non appartiene a questa categoria fa parte della comunità (in via d’estinzione) degli «immigrati digitali», cioè coloro che hanno (ancora) bisogno di leggere il libretto di istruzioni. Ciò che cambia, tra questi due insiemi di individui, non sono la conoscenza o la capacità, bensì «il modo di pensare». È il pensiero a cambiare. La nuova generazione è una generazione plasmata dal web, si evolve assieme al web parallelamente, in una prospettiva sincronica, non solo ne fa uso come le generazioni antecedenti.

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selettivo del computer possono solo far sorridere coloro che sono nati e cresciuti nell’epoca dell’always-on e delle connessioni in mobilità: dal punto di vista dei nativi digitali, non ha problemi chi passa le proprie giornate sempre collegato Internet essendo questa la loro normalità, ma casomai chi ci si collega troppo poco o per nulla. Anche il sesso online è una normalità consolidata già da molto tempo (a cui nel libro “La vita sullo schermo” (Turkle, 1997) è dedicato un intero capitolo)4, che non dà né imbarazzo né fastidio a coloro che neanche si pongono il problema se esista un confine tra “reale” e “virtuale”. Da notare che le connessioni cerebrali dei bambini nativi digitali e quelle dei bambini di pochi decenni fa seguono sviluppi diversi (Longo, 2009; Cantelmi, 2010), quindi la trasformazione in atto è realmente profonda. Relativamente alla modificazione del sistema cervello- mente, i nativi digitali sviluppano ampie abilità visuo-spaziali grazie ad un apprendimento prevalentemente percettivo, ma viceversa non sviluppano adeguate capacità simboliche, sono dotati di un ragionamento più associativo e meno lineare ed utilizzano il cervello in modalità multitasking; sono abilissimi nel rappresentare le emozioni (attraverso la tecnomediazione della relazione), ma un po’ meno nel viverle; sono meno abili nella relazione face-to-face, ma molto capaci nella relazione tecnomediata; infine, sono in grado di vivere su due registri cognitivi e socioemotivi, quello reale e quello virtuale. I nativi digitali non hanno come riferimento la comunità degli adulti, poiché vivono in comunità tecnoreferenziate e prevalentemente virtuali, nelle quali costruiscono autonomamente i percorsi del sapere e della conoscenza (Cantelmi, 2010).

Se immaginiamo di chiedere a un uomo dell’Ottocento di scrivere al computer: tenterebbe probabilmente di fare segni sullo schermo con una matita a carboncino. Ad essi, invece, non verrebbe mai in mente: sanno che, quando sei di fronte a un monitor, lo schermo è come un foglio, ma per scrivere devi utilizzare una tastiera! Per i figli è ancora

4S.Turkle, La vita sullo schermo. Nuove identità e relazioni sociali nell’epoca di

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differente: quando vedono un foglio elettronico lo considerano «un foglio elettronico», non lo paragonano al pezzo di carta. Come noi mai ci sogneremmo di pensare alla matita, allo stesso modo loro non si sognerebbero mai di pensare neppure al pezzo di carta! Non facendolo guadagnano in immediatezza: il loro cervello va più veloce perché ci sono dei passaggi logici che, semplicemente, non perdono tempo a fare. Per loro scrivere su «Word» significa «usare Word» e non scrivere «per mezzo» di un programma».

Gli immigrati che hanno imparato un’altra lingua pensano nella propria, mentalmente la traducono e poi parlano nell’altra. Qualcuno ci riesce meglio, altri con grande difficoltà. I nativi digitali non pensano alla macchina da scrivere quando scrivono, alla busta da lettere quando mandano mail, alla pellicola quando fanno foto. Come i madrelingua, non devono tradurre o pensare per analogie.

È un po’ la differenza tra chi ha vissuto il passaggio Lira/Euro e chi non ha mai maneggiato le Lire.

Il vantaggio dei nativi digitali resterà tale finché i loro figli, ovvero la neonata touch generation (che non conoscerà più il concetto dello scrivere con le mani) non li guarderanno basiti e un po’ inorriditi usare ancora una tastiera con le dita. L’inconveniente è che, pur senza farlo apposta, i maldestri tentativi di apprendimento di alcuni suscitano l’ilarità e talvolta lo scherno e il disprezzo di figli e nipoti.5

A disegnare l’identikit di «nativi digitali, immigrati digitali e generazione pre-digitale» è lo psichiatra Tonino Cantelmi, già citato all’inizio del capitolo, il quale affronta in maniera più dettagliata l’argomento nel volume “Tecnoliquidità”. Lo psichiatra ha cercato di tracciare il confine temporale che separa gli Immigrati Digitali dai Nativi Digitali attraverso un’utile schematizzazione, laddove in realtà, come vedremo in seguito, si è trattato di un processo molto graduale. Alcuni studiosi pongono una linea di confine nel 1985, l’anni in cui fu rilasciata sul mercato la prima versione del sistema operativo di Bill

5L. Ait, Tutta colpa di Internet, Odio il computer ma non ne posso più farne a meno,

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Gates: Windows (Marc Prensky, che ha coniato nel 2001 la definizione di “digitals natives”, la poneva infatti nel 1985, cioè in coincidenza con la diffusione del sistema operativo Windows; questa data è probabilmente troppo anticipata, nel senso che all’epoca i pc erano presenti soltanto in un numero ristretto di luoghi, negli uffici, per esempio. Più ragionevole è invece sostenere che sia stata l’introduzione di Internet nelle case a determinare la data di nascita dei “nativi digitali”; seguendo questa linea, possiamo asserire che essi esistono in Italia, probabilmente, dal 2000-2001). Tuttavia Cantelmi preferisce osservare l’emersione della mente tecno-liquida partendo dai baby boomer degli anni Cinquanta, gli analfabeti dell’era tecnologica, per arrivare, seguendo lo sviluppo non sempre lineare della permeazione tecnologica della società, ai “native speakers” digitali di oggi. Un baby boomer, ovvero un adulto nato tra il 1945 e il 1964 nel mondo occidentale avanzato, oggi non esita a chiedere al nipote come collegarsi ad internet.6

Oggi, i baby boomer, possono essere afflitti dal digital divide, l’ormai nota differenza tra chi è in grado di accedere alle nuove tecnologie e chi ne è incapace del tutto o in parte. Di solito è “tecno escluso”chi è anziano o povero. Nel nostro caso specifico questo fenomeno di distribuzione delle conoscenze rilevante dal punto di vista antropologico taglia la società longitudinalmente, separando i giovani dagli anziani e non più trasversalmente, come accadeva al tempo in cui solo in pochi potevano accedere all’informazione.

Cantelmi prosegue nella sua categorizzazione, definendo la seconda generazione del dopoguerra: la cosiddetta “Generazione X” ovvero i nati dalla fine degli anni Sessanta alla fine degli anni Settanta “cresciuti con i panini di McDonald’s e le canzoni dei Duran Duran”. Lo psichiatra afferma che la generazione in oggetto, composta in prevalenza da insaziabili consumatori, affronta l’odierno problema del

6 T. Cantelmi, Tecnoliquidità. La psicologia ai tempi di Internet:la mente tecno

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rischio di sorpasso in modalità differente contribuendo attivamente, ovvero dirigendo l’offerta di tecnologia costosa divenuta status symbol: dall’iPad, al tablet, allo smartphone all’ultimo grido. La Generazione X è la prima generazione che ha giocato con i videogiochi e per Cantelmi è più di ogni altra, la generazione senza identità. Subito dopo passa in rassegna la “Generazione Y”: «Per loro non sono più i soldi a dare la misura del successo, ma la capacità di far emergere e risaltare il proprio stile davanti a una telecamera, a una webcam, nel proprio blog»7.

Per Cantelmi questi sono i bambini nati tra gli anni Ottanta e i primi anni Novanta, cresciuti con il web, già da sempre abituati ad avere una finestra sul mondo intero da cui curiosare, osservare e conoscere, spesso anche usata per farsi ammirare da tutti ad esempio attraverso il proprio profilo di Facebook - «La linea di divisione tra successo e insuccesso è, allora mille volte più “liquida” e viene attraversata ripetutamente, a seconda che si sia più o meno popolari sui media»8. Le categorie che menziona lo psichiatra non terminano qui: tra il 1994 e il 2004 il genere umano subisce un’ulteriore evoluzione ed ecco arrivare la “Generazione Z”- «il passaggio dall’Homo sapiens sapiens ai Nativi Digitali – una nuova umanità figlia di cellulari e videogiochi, dotata di un cervello che sfrutterà in modo diverso dal nostro»9. Dal punto di vista cognitivo, le loro modalità di apprendimento sono più percettive, meno simboliche e le abilità visivo-motorie poiché allenate dall’assiduo gioco con i videogames risultano eccezionali. Dal punto di vista personale e relazionale, tuttavia, la costante immersione digitale renderà difficile raggiungere la dimensione della separatezza e dell’autonomia, data l’abitudine alla condivisione estrema di pensieri, parole, emozioni. L’esercizio della costruzione di sé e dell’interazione del singolo e della sua identità con una collettività o un gruppo è stata per molto tempo studiata sia dalla psicologia che dalle scienze sociali.

7

Ivi, p.42.

8 Ibidem 9 Ivi p.43

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Secondo alcune teorie sociologiche ci troviamo di fronte ad almeno due linee di forze che entrano in gioco. La prima è definita componente identificativa del processo di costruzione del proprio sé: io sono come gli altri, “noi” uguali chattiamo insieme, ci scambiamo materiale, ci raccontiamo online, usciamo assieme, condividiamo pressappoco le solite esperienze. Tale componente lavora sempre a coppia con un’altra: l’individuazione. Il gruppo con il quale mi sono identificato è diverso da tutti gli altri, ed io stesso sono diverso dagli altri membri del mio gruppo: sono unico, ho la mia identità. Ovviamente l’identità di ognuno è sempre immersa in un contesto sociale, ma in questo caso specifico il contesto non è più sociale bensì virtuale, diventano virtuali sia gli altri che noi stessi: tutti sono immersi in un contesto “tecno liquido”. Inoltre il mondo virtuale ha fatto saltare un tassello che automaticamente ha fatto saltare tutto. Nel mondo reale il mio “Io psichico” rimane sempre in un corpo, è inscindibile da esso, a qualsiasi ruolo io giochi il corpo rimane la forma esteriore della mia psiche. Una corretta integrazione dei processi psicologici di identificazione e di differenziazione dei quali si fa esperienza attraverso i limiti dell’io corporeo condiziona in modo specifico sia il tipo di personalità sia lo sviluppo dell’identità psichica. Potenzialmente potrei trasformare i miei ruoli e cambiare identità tutti i giorni ma solo sotto una specifica condizione: rispettare il limite che mi permette il corpo, ovvero dell’«abito del mio mondo interiore» – «Immaginiamo un bambino di 12 anni che voglia andare a scommettere in una sala slot con ingresso riservato ai maggiorenni. Egli dovrà andare fisicamente, con il suo corpo, nel locale e fingere di avere 18 anni, magari farà “la voce grossa”, si vestirà in modo studiato, userà un documento falso, ma è davvero difficile che il gestore creda che quel bambino abbia gli anni che dice di avere: il suo

corpo lo smentirà senza appello. Immaginiamo che lo stesso bambino

voglia scommettere online: accederà ad un’area riservata ai maggiorenni, ma per lui, superata la barriera del corpo, sarà molto più

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facile far risultare, o meglio, far credere, di avere 18 anni»10. Il mondo virtuale è riuscito ad abbattere anche i limiti del nostro corpo. Il corpo è sia il nostro limite sia il nostro confine che ci separa dall’altro; allo stesso tempo il corpo ci unisce all’altro ad esempio con un abbraccio. Il corpo inoltre funziona come barriera protettiva, separando l’esteriorità dall’ interiorità visto che possiamo decidere di non far conoscere a nessuno la nostra intimità. Ancora: il nostro corpo permette all’interiorità di affacciarsi all’esterno attraverso la comunicazione non verbale rendendo possibili socialità e relazione. Il mondo virtuale quindi ha rimosso questo importante confine generando confusione sul piano della conoscenza e coscienza di sé, soprattutto nella generazione digitalizzata più giovane, condizionandola anche dal punto di vista della gestione delle emozioni. Questi ragazzi, quando saranno adulti, saranno uomini e donne che incontreranno maggiori difficoltà nel riconoscere le proprie emozioni interne ma di contro, saranno molto abili ad esteriorizzarle, a rappresentarle davanti agli altri. E’ scontato ribadire che questa generazione in crescita, esperta nel sintetizzare con un’icona i propri messaggi indirizzati al gruppo di amici attraverso Facebook, Twitter e WhatsApp si trova ad esperire una condivisione digitale in cui la pressione del gruppo è fortemente percepita. Inoltre bambini e adolescenti attraverso Internet sperimentano varie personificazioni, giocano e fingono creando profili falsati. E allora viene da chiedersi: questi ragazzi «avendo perso parte del contro bilanciamento offerto dall’io corporeo» saranno in grado nel futuro di distinguere con chiarezza e rapidità il mondo reale da quello virtuale?11

Nell’era della «tecnoliquidità», lo scenario umano tende a cambiare: abbiamo visto che la mente dei giovanissimi è fatta in modo differente da quella dei genitori. Generazioni diverse a partire dal cervello. Il cervello dei nativi digitali ci rivela che siamo di fronte a una

10Ivi p.44,45 11Ivi p.47

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mutazione, una sorta di evoluzione dell’umanità, diventata mentalmente più rapida e davvero multitasking. Parliamo di ragazzini cresciuti a latte e tablet, in grado fin da piccoli di integrare meglio realtà e tecnologie, dominandole grazie alle sorprendenti capacità intuitive di utilizzo. «È ormai l’era della comunicazione tecnoliquida, il nuovo scenario tra web e realtà in cui le persone si muovono, ragionano e comunicano nell’era postmderna – riassume Cantelmi durante un’intervista del quotidiano La Stampa 12

- «Il fatto è che i nativi digitali, cresciuti con una dieta di tablet, videogiochi e computer, ormai sono dotati di un cervello più percettivo e meno simbolico rispetto a quello, per capirci, dei loro genitori. Si tratta di bambini e ragazzini davvero multitasking, in grado di distribuire l’attenzione su 4-5 dispositivi allo stesso tempo: studiano, ascoltano la musica, rispondono agli sms e guardano Facebook sul PC, senza nessuna difficoltà». Mente e mani dei ragazzini volano tra i dispositivi, esaltando la modalità «touch»: «Sono più efficienti e rapidi con telefonini e pc, e rischiamo meno degli altri di cadere nella trappola della tecnodipendenza - assicura lo psichiatra - Un problema che, invece, incombe sul 10% degli immigrati digitali, meno smart spontanei quando sono alle prese con i dispositivi high tech, tanto che leggono ancora i libretti di istruzione. Di fronte a questa netta superiorità della generazione digitale, cambiano anche i modi dell’apprendimento. I “nativi” imparano solo attraverso il gioco. La fatica e il sudore della fronte non sono più accettabili: tutto deve essere veloce e divertente». Tanto che «ci si cerca fra coetanei anche per studiare cose differenti: si creano grandi gruppi di amici, impegnati su testi diversi, che possono però scambiarsi battute, mostrare foto o mail, condividere messaggi. E dunque divertirsi studiando», dice Cantelmi. Un sistema che può risultare incomprensibile agli “immigrati digitali”, «meno smart e multitasking, abituati da sempre a fare una cosa alla volta, e scettici su questa

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modalità di studio». «Per i giovanissimi - prosegue lo psichiatra - tutto deve essere interattivo e nulla unidirezionale: è il loro cervello a richiederlo. E i genitori non li capiscono proprio perché la loro mente è fatta in modo differente». Come riconoscere, invece, gli “immigrati digitali”? «In aeroporto - spiega lo studioso - sono quelli che fanno le code al check-in, un concetto assurdo per i nativi digitali: esistono sistemi per fare i biglietti e i controlli online, tutto deve essere immediato. Addio anche alla fila alla posta, si paga sul pc. E il web offre mille modi per dribblare le di pc e telefonini. «L’umanità del prossimo futuro sarà composta anche dai predigitali, soggetti che usano il telefonino solo per fare chiamate, magari leggono (a fatica) gli sms ma non sanno scriverli, non usano il computer o lo fanno in modo sporadico e sono decisamente “monotasking”. Si tratta - conclude Cantelmi - di persone destinate ad essere disadattate in un futuro sempre più digitale. In cui troveranno spazio anche gli “intrappolati”: i drogati del web e delle chat».

Ricapitolando potremmo definire “nativi digitali” gli adolescenti che sono nati nel III millennio e sono sottoposti a profonde, pervasive e precoci immersioni nella tecnologia digitale. Ebbene, è possibile affermare che le osservazioni attuali già ci consentono di notare vere e proprie mutazioni del sistema cervello-mente. I nativi digitali imparano subito a manipolare parti di sé nel virtuale attraverso gli avatar e i personaggi dei videogiochi, sviluppano ampie abilità visuo- spaziali grazie ad un apprendimento prevalentemente percettivo, viceversa non sviluppano adeguate capacità simboliche (insomma, sono molto abili e forse piuttosto superficiali e si distraggono facilmente), utilizzano il cervello in modalità multitasking (cioè sanno utilizzare più canali sensoriali e più modalità motorie contemporaneamente), sono abilissimi nel rappresentare le emozioni (attraverso la tecnomediazione della relazione), un po’ meno nel viverle (anzi apprendono a scomporre l’esperienza emotiva e a viverla su due binari spesso non paralleli, quello dell’esperienza propria e

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quello della sua rappresentazione), sono meno abili nella relazione face-to-face, ma molto capaci nella relazione tecnomediata, e, infine, sono in grado di vivere su due registri cognitivi e socioemotivi, quello reale e quello virtuale. Inoltre non hanno come riferimento la