• Non ci sono risultati.

SOLITUDINE, AMICIZIA E SOCIAL NETWORK

SEMPRE CONNESSI SEMPRE PIU’ SOL

3.3 SOLITUDINE, AMICIZIA E SOCIAL NETWORK

’ era digitale sembra aver regalato all’essere umano una

nuova possibilità di “esserci” e di sperimentare se stesso attraverso una comunicazione di Sé e degli innumerevoli tratti del Sé che nel Web vengono messi alla prova, i quali trovano definizione e senso proprio nella possibilità di visualizzazione, risposta, condivisione e compartecipazione da parte della comunità virtuale. I social media rivestono quindi un ruolo chiave nelle relazioni interpersonali della società postmoderna: data la loro pervasiva diffusione e la loro straordinaria potenza comunicativa possiamo a pieno titolo considerarli il motore centrale che ha trasformato progressivamente la definizione della relazione di amicizia. Uno dei fattori che ha contribuito a tale stravolgimento è da attribuirsi alla rinuncia parziale dell’anonimato che aveva caratterizzato la nascita delle relazioni tecno mediate tramite chat. «Oggi con Facebook e Twitter la soggettività tecno-mediata torna ad essere personale e fa un balzo in avanti, consentendo al nativo digitale di entrare in relazione con ogni amico su due piani paralleli, face to face ed online. Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti: è più facile relazionarsi con il pc che nello spazio-tempo della nostra vita reale, così veloce e pressante da rimpicciolire sempre più l’area interpersonale e privata»28. La parola amicizia offre diverse interpretazioni di significato. Aristotele più di duemila anni fa faceva distinzione tra amicizia “autentica”, ovvero quella forma di amicizia basata sulla virtù e amicizia “non autentica” ovvero fondata sull’utilità, sull’opportunità e sul piacere, dove l’altro non è importante per se stesso ma per il bene che o il piacere che procura o

28 T. Cantelmi, Tecnoliquidità. La psicologia ai tempi di Internet:la mente

tecnoliquida,Ed. San Paolo, Milano, 2013, p.88

89

potrebbe portarmi. Gli amici veri ed autentici, asserisce Aristotele, «si vogliono bene reciprocamente in quanto sono buoni, e sono buoni di per sé»29, presentano quindi la bontà come un valore a se stante, non in relazione all’utilità e al piacere che ne potrebbero derivare; quindi sono legati da affetto e stima reciproci. Il filosofo nella sua opera aveva cercato di identificare diversi tipi di amicizia, arrivando alla conclusione che la distinzione più importante riguardo a questo importante sentimento è quella tra amicizia fondata sull’utile e il piacere e quella appunto fondata sulla virtù, l’unica che merita a pieno titolo ed esclusivamente l’appellativo di vera amicizia. Se cerchiamo la definizione di amicizia su un qualsiasi vocabolario, ciò che incontriamo non si scosta molto dalla specificazione di Aristotele, infatti leggiamo che «l’amicizia è il reciproco affetto tra due o più persone, generato da affinità spirituali e da stima», sentimento che accomuna tutti gli uomini “animali sociali” di ogni epoca, e considerato a volte più resistente e duraturo dell’amore. Nell’era digitale, il termine amicizia ha perso la sua forza, la sua solidità, si è liquefatto assumendo molteplici forme relazionali spurie: i semplici conoscenti, le persone con cui si è solidali perché appartenenti allo stesso partito o associazione, o perché hanno un problema in comune con noi, le relazioni professionali o i soci in affari. Tutte queste tipologie di amicizia vengono definite “amicizie” anche se poi di fatto non lo sono realmente, lo potrebbero tuttavia diventare se accompagnate da affetto, fiducia, stima e confidenza. Siamo disposti ad aiutare un vero amico senza aspettarsi niente in cambio, con un amico si trascorre spensieratamente e serenamente il proprio tempo libero, mostrando se stessi senza preoccupazioni, senza dover essere costretti ad assumere dei “ruoli” che priverebbero la relazione l’amicizia dell’ autenticità che la connota.

Dopo tali premesse legate al mondo reale viene ora da chiedersi: come è possibile parlare di amicizia autentica nei contesti virtuali dei social

90

network? In questi tempi di social networking - «l’amicizia si sta evolvendo, da relazione a sensazione. Da qualcosa che le persone condividono a qualcosa che ognuno di noi abbraccia per conto suo; nell’isolamento delle nostre caverne elettroniche, armeggiando con i tanti piccoli pezzi di connessione come una bambina solitaria gioca con le bambole. Eccoci sistemati tutti. Ecco perché, magari, dopo certi pomeriggi domenicali passati a chattare, non ci si sente appagati, casomai lievemente angosciati e col mal di testa»30. Questa cupa frase è di William Deresiewicz, ex professore di Yale e saggista, autore di un saggio su “The Chronicle of Higher Education” e una conferenza sulla “National Public Radio” dedicata alle «false amicizie». Qual è il punto? In sostanza, Deresiewicz si chiede se le nostre amicizie, una volta “relegate sui nostri schermi”, siano qualcosa di più di una “forma di distrazione”. La sua risposta è che l’amicizia si sta trasformando, sempre più, “da relazione a sensazione”: chiamiamo “amicizia” lo scambio di brevi post e la condivisione di video o altri contenuti multimediali, abituandoci per così dire a un’amicizia “generalista”, a messaggi collettivi in cui i legami affettivi e le storie non contano. Secondo Deresiewicz, Facebook, MySpace, Twitter e applicazioni simili avrebbero contribuito ad incrementare processi di “frammentazione della coscienza”, peraltro già esistenti nelle società contemporanee. In qualche misura, avrebbero anche dato sostanza all’idea di una “amicizia universale”, destinata proprio per la sua universalità a restare superficiale e vuota di relazioni effettive.

E’ questa l’amicizia al tempo di Facebook:non più legame affettivo e leale tra affini che fa condividere la vita e la morte, non più una frequentazione continua fatta di serate, discussioni, reciproche consolazioni. Casomai, un dialogo virtuale fatto di battute tra individui, che quando va bene si sono visti due volte, poi ci sono i ragazzini che stanno crescendo insieme ai social network, ma loro

30

W. Deresiewicz, Faux Friendship, in “The Chonicle of Higher Education”, December 6, 2009, articolo visibile sul sito http://chronicle.com/article/Faux- Friendship/49308/

91

sono, in parte, un’altra storia. Tale amicizia è assai più spesso un contatto collettivo labile che fa condividere video di Berlusconi, Lady Gaga e del proprio animale domestico. Chiunque è abitudinario di Facebook ne è perfettamente a conoscenza. Anche per le festività natalizie appena trascorse ne abbiamo avuto la conferma. Quest’anno si sono fatti meno auguri a voce e per telefono, sono diminuite anche le e-mail e gli sms; di contro tantissimi sono stati quelli via social networks e chat tipo WatsApp, magari urbi et orbi. Ci sono stati meno incontri anche brevi per salutarsi. In compenso, nei momenti di pausa tra un pranzo ed un regalo da scartare, appena si è presentata l’occasione ci siamo connessi per scambiare due chiacchiere con qualcuno, per annunciare sul proprio status che si è mangiato troppo e ci siamo sbronzati; per fare battute sugli ultimi strani eventi italiani; per rincuorare tutti, a metà pomeriggio del 25 Dicembre, con dei «forza e coraggio, tra poco è finita». Poi magari ci siamo riuniti con gli amici. I soliti. Non quelli, magari migliaia, che abbiamo su Facebook e che stanno portando la parte più evoluta del pianeta, insomma gli 1.23 miliardi di utenti solamente di Facebook31, a seguire quelli di Twitter e gli altri, a ridefinire il concetto di amicizia.

Deresiewicz infatti infierisce: «Essendo state relegate agli schermi dei computer, le amicizie sono qualcosa di più di una forma di distrazione? Quando sono ridotte alle dimensioni di un post in bacheca, conservano qualche contenuto? Se abbiamo 768 "amici", in che senso li abbiamo? Facebook non include tutte le amicizie contemporanee; ma di certo mostra il loro futuro». Morale: «L’immagine del vero amico, un’anima affine rara da trovare e molto amata, è completamente scomparsa dalla nostra cultura»32.

Degna di essere citata, in relazione all’argomento trattato è la teoria, molto interessante dell’antropologo Robin Dumbar, comunemente

31M.Serafini, Dieci anni di Facebook, Mark ringrazia 1.23 miliardi di utenti, in “Sei

gradi”, 4 Febbraio 2014, visibile sul sito http://seigrdi.corriere.it/

32W. Deresiewicz, Faux Friendship, in “The Chonicle of Higher Education”,

December 6, 2009, articolo visibile sul sito http://chronicle.com/article/Faux- Friendship/49308/

92

conosciuta come “Numero di Dumbar”. Robin Dunbar è attualmente direttore del gruppo di ricerca in neuroscienze sociali e evoluzionistiche presso il dipartimento di Psicologia sperimentale dell’Università di Oxford Fellow della British Academy e si occupa principalmente dell’evoluzione della socialità negli esseri umani e nei primati non umani. Dunbar, che integra l’attività di studioso a quella di divulgatore, ha raccolto gli articoli pubblicati nel corso degli ultimi anni in un saggio attraversato da un sottile sense of humour, tradotto in Italia con il titolo“Di quanti amici abbiamo bisogno? Frivolezze e

curiosità evoluzionistiche”33.

L’antropologo e psicologo evoluzionistico inglese ha provato a dare alcuni numeri, basandosi sulle caratteristiche peculiari del nostro cervello. Negli anni ’90, attraverso esperimenti all’avanguardia che hanno rivoluzionato la biologia evoluzionistica, egli ha dimostrato come, in qualsiasi contesto e periodo storico, gli esseri umani riescano a mantenere relazioni significative e stabili con un massimo di 150 individui. I suoi studi sembrano indicare che la neocorteccia cerebrale sia in grado di gestire non più di 150 relazioni, infatti 150 è noto come «numero di Dunbar», una sorta di misura del limite cognitivo oltre il quale i rapporti tendono inevitabilmente a deteriorarsi, fino ad annullarsi, per riduzione o mancanza di contatti (in termini comportamentisti, il legame si scioglie per effetto di un processo che è chiamato di «estinzione», per assenza di rinforzi reciproci legati all’interazione). Tale numero è stato calcolato in base a studi di sociologia e antropologia sulla dimensione massima dei villaggi neolitici, così come delle comunità hutterite e delle “unità base” all’interno delle legioni romane. Viene teorizzato, quindi, nella psicologia evoluzionista, che questo numero ricorrente viene interpretato come una sorta di limite superiore all’abilità media degli esseri umani di riconoscimento dei membri di un gruppo e di tenere

33 R.Dumbar, Di quanti amici abbiamo bisogno? Frivolezze e curiosità

93

traccia degli avvenimenti emotivi di tutti i membri appartenenti a questo. In alternativa, questa cifra potrebbe essere dovuta a una questione di economia e al bisogno di limitare gli sprechi che molto più facilmente abbondano in un gruppo numeroso nel quale si disperdono e risultano poco individuabili. Dunque il “numero di Dumbar” risulta essere una sorta di costante che resiste alle modificazioni spazio-temporali e tecnologiche presente già nei villaggi neolitici e presente tutt’ora nelle metropoli contemporanee. Tuttavia bisogna ancora testare a pieno la sua resistenza nelle neonate relazioni online su di una piattaforma sociale planetaria tipo Facebook. Il «numero di Dunbar» sollecita alcune riflessioni. Quanti sono i familiari, amici e conoscenti che costituiscono la «rete» sociale di cui facciamo parte? Abbiamo intenzione di includere le nuove conoscenze (compagni di viaggio, vicini di ombrellone sulla spiaggia, occasionali compagni di escursioni, nuovi vicini di casa, e così via) tra le nostre conoscenze più o meno stabili, mantenendo eventualmente i rapporti anche a distanza? E che dire degli entusiasti di Facebook che ritengono di avere migliaia di amici? Riguardo alla struttura di una rete ipotetica di contatti sociali, il professor Dunbar ipotizza che sia basata su multipli di tre. Se la coppia maschio-femmina è l’unità base della dimensione riproduttiva, il nucleo minimo di persone unito da legami molto stretti, con i quali rapportarsi nei momenti difficili (per consigli, conforto, richieste di aiuto morale o materiale) è costituito da circa tre o cinque persone. Poi, a mano a mano, la cerchia si allarga: oltre il primo gruppo se ne trova solitamente un secondo rappresentato da altre dieci persone. E poi un altro ancora, di approssimativamente trenta persone, e così via. Se si considera ciascuna cerchia comprensiva di tutte le cerchie più interne, esse sembrano formare una serie che cresce moltiplicando per tre. Per quanto riguarda gli amici sui social network, i dati scientifici sembrano confermare le statistiche di Facebook secondo cui l’utente medio presenta circa 130 amici. Le varie cerchie di conoscenze riflettono il grado di intimità e la

94

frequenza dei contatti (in senso strutturale, il legame è tanto più solido quanto più alta è la probabilità degli scambi e viceversa): la cerchia più interna è composta da familiari ed amici significativi con cui ci relazioniamo tutti i giorni o almeno una volta alla settimana; la seconda, da persone che contattiamo almeno una volta al mese, anche per scambiare delle semplici conversazioni del più e del meno, mentre entriamo in rapporto con il gruppo più esteso dei 150 almeno una volta all’anno, ad esempio, in occasione delle auguri per le festività, scambiandoci una sorta di carezza di mantenimento per tener viva la conoscenza (in analisi transazionale è carezza tutto ciò che, riconoscendo l’esistenza di un altro essere umano, comporta una comunicazione con una valenza affettiva anche minima). Ben oltre la freddezza dei dati numerici, gli studi di Dunbar mirano a mettere in luce la complessità del nostro cervello sociale che seleziona le persone di cui abbiamo bisogno per vivere e sviluppare le nostre potenzialità all’interno di società in continua evoluzione, creando legami basati sulla reciproca attrazione e sulla favorevole disposizione ad incontrarsi di nuovo, ad interagire, a divenire esseri dotati di senso (di un proprio senso unico) gli uni per gli altri. Cameron Marlow, resident sociologist di Facebook, in un’intervista a “The Economist” riguardo appunto alle amicizie virtuali su Facebook e al “numero di Dumbar”, afferma che all’interno dei social networks, sia pure in presenza di un ampio range di variabilità, ogni utente ha una media di 120-130 amici, e le donne hanno qualche amicizia in più rispetto agli uomini34. Quindi, per la studiosa, anche all’interno dei contesti virtuali dei social networks sembra confermata la validità del “numero di Dumbar”. E’ stato anche rilevato che per un utente medio esiste un sottogruppo di amici, un nocciolo duro formato da sette, dieci persone con le quali si condividono molto più spesso informazioni e commenti. Tornando agli studi di Dunbar riguardo il fenomeno delle relazioni virtuali sui

34

Primates on Facebook, in “The Economist”, from the print edition in Scienze and

Technology,Feb 26th 2009, visibile sul sito

95

social networks, infatti abbiamo visto come per lui sia praticamente impossibile, a causa di veri e propri limiti fisici della nostra corteccia cerebrale, instaurare o mantenere relazioni significative con più di 150 persone. Anche per i profili che hanno migliaia di amici lo studio dell’antropologo dimostra come, tendendo ad auto regolarsi, si interagisca solamente con un numero limitato di persone, muovendosi sempre all’interno delle centocinquanta. Tuttavia anche tra amici “autentici” si utilizzano le piattaforme sociali per scambiarsi un saluto, mettersi d’accordo per uscire, commentare video o foto, ma poi ovviamente si trascorre del salutare tempo insieme e si fanno quelle piacevoli attività che la Rete non è in grado fortunatamente di offrirci. L’uomo-animale sociale ha bisogno dell’amicizia come dell’amore ed è fisiologicamente e culturalmente portato a ricercare il contatto con gli altri. Non solo le critiche dei sociologi, ma i fruitori stessi della rete mostrano come il tema dell’autenticità dell’amicizia sia sentito profondamente. In molti blog si incontrano discussioni sull’amicizia, dove gli utenti si interrogano vicendevolmente su cosa sia realmente, parlano dei propri amici virtuali e di quelli reali e si confrontano portando ognuno esperienze personali di relazioni di amicizia basati su affinità di idee e stima reciproca. Secondo molti, il legame di amicizia è addirittura più stabile e duraturo di quello d’amore, tanto che la ricerca di un’amicizia sincera e di una relazione umana autentica rimangono tutt’oggi una necessità imprescindibile e insufficientemente appagata dalle relazioni virtuali e tecno-mediate.35 E’ strano e significativo che proprio in rete, attraverso i blog, individui che probabilmente non si conoscono, ma fanno parte di comunità virtuali, tuttavia si scambino opinioni sull’amicizia e parlino di quella autentica, affermando con forza che non è scomparsa assolutamente. Allora, nonostante le oscure previsioni degli studiosi che verranno passate in rassegna anche in seguito che immaginano un’umanità sempre più connessa, ma spazialmente e affettivamente isolata, il

35 T. Cantelmi, Tecnoliquidità. La psicologia ai tempi di Internet:la mente

96

colosso Internet non ha né aumentato né favorito l’isolamento sociale, proprio perché le relazioni “virtuali” non hanno soppiantato né tantomeno assunto lo stesso valore e lo stesso peso di quelle “reali”. Nell’era digitale il numero delle persone socialmente isolate è rimasto pressoché invariato; il numero degli amici invece, con cui si scambiano confidenze intime si è ristretto, secondo il Tess (Time

sharing Experiments for the Social Sciences, un programma che studia

e analizza le relazioni sociali, presso la Cornell University36) da tre a due, anzi con precisione a 2,03. Tali dati sono significativi, poiché attraverso tale studio è emerso che la maggior parte degli individui ritiene adatto a conversazioni importanti solo un ristrettissimo numero dei loro contatti. Aprirsi e potersi fidare dell’altro è un comportamento che nell’era digitale si riserva ancora a poche persone, magari proprio dopo essere rimasti delusi avendo dato eccessiva confidenza a “sconosciuti” o dopo aver litigato con toni accesi su una bacheca pubblica. Tutti noi potenzialmente potremmo visitare centinaia di bacheche e guardare le altrettante foto dei nostri amici virtuali, tuttavia ci limitiamo a visitarne quattro cinque, al massimo una decina. Solitamente guardiamo le foto di chi conosciamo ma non frequentiamo, soprattutto per curiosità, ma anche perché oramai siamo abituati dai reality televisivi a vivere le vite degli altri. Altre volte guardiamo foto di alcuni amici che non abbiamo la possibilità di incontrare e ci fa piacere rivederli, altre volte sbirciamo i profili per puro voyeurismo. Molto spesso poi, ci imbattiamo nei profili di chi non sopportiamo per criticare e giudicare traendone soddisfazione; ci può capitare addirittura di dare un’occhiata alle foto degli ex con un pizzico di invidia e di gelosia. Tuttavia in ognuno di questi casi, tutti

36Visibile sui siti: http://www.tessexperiments.org/ ,

http://www.news.cornell.edu/stories/2014/11/nothings-too-trivial-important- confidantes

97

troviamo sempre un po’ di tempo e un po’ di spazio per poter stare assieme, face to face, agli amici autentici, magari premendo il campanello di casa ma senza cliccare da nessuna parte.

Continueremo a tessere fili conduttori tra i vari studiosi e ad esplorare le connessioni tra la solitudine, l’uso di Internet e il rifugio nei social network citando alcuni passaggi di un interessante articolo di Elena Mulè. In questo articolo l’autrice commenta un video del designer Shimi Cohen il quale ha suscitato numerose polemiche. I contenuti del filmato si ispirano a un libro della sociologa Sherry Turkle, “Alone

Together”,
e a una ricerca dello psicologo Yair Amichai-Hamburgers, “The Invention of Being Lonely”. Mulè asserisce «Per ogni studioso che afferma, dati alla mano, che Facebook ci rende alienati, infelici e soli, ce n’è un altro che dimostra esattamente l’opposto, presentando la piattaforma come strumento che favorisce la fiducia e migliora le nostre relazioni - Dove sta la verità? Posto che siamo animali sociali, i cosiddetti social media assecondano questa nostra natura, o piuttosto

ci condannano alla solitudine? La tesi proposta è piuttosto semplice.

Più amici accumuliamo su Facebook, più follower contiamo su Twitter, più ci esponiamo al rischio di sentirci davvero soli … sembra che la radice del problema risieda nella tensione tra due forze opposte. Da un lato, c’è il nostro naturale bisogno di entrare in rapporto con gli altri e stringere relazioni intime e solide; sul fronte opposto, c’è il tempo che la società contemporanea ci chiede di

dedicare alla carriera, al denaro e agli status symbol che possono farci

apparire vincenti e guadagnare popolarità - Ora, se devo lavorare sedici ore al giorno per potermi permettere uno smartphone nuovo ogni tre mesi e piacere al resto del mondo, avrò certo meno tempo e meno energie da dedicare ai miei amici, alla mia famiglia o a

qualunque altro affetto»37. Qui entrano in gioco i social media poiché