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Sviluppo e limiti del diritto di famiglia comunitario

2. Famiglia di fatto e diritto comunitario

2.3. Sviluppo e limiti del diritto di famiglia comunitario

Fortunatamente il diritto comunitario ha assunto nel tempo una posizione decisamente più incisiva sulla questione, facilitando in generale la tutela dei diritti fondamentali e di conseguenza anche quella delle famiglie non coniugate.

Per tutto il corso del XXI secolo è avvenuta un'intensa proliferazione normativa attraverso atti di diverso genere. In effetti proprio a partire dallo stesso anno in cui è stato approvato il regolamento europeo che abbiamo precedentemente analizzato e criticato, si è assistito ad un importante cambio di rotta.

Il Parlamento Europeo il 16 marzo 200059 ha adottato un'importante

raccomandazione per le coppie di fatto e più in generale per il rispetto dei diritti umani. Le considerazioni da fare sono diverse.

Innanzitutto, è stata ribadita la necessità di affermare i diritti umani come diritti propri ed indipendenti di ogni persona, ed inoltre è stata sollecitata l'esigenza di garantire l'uniformità d'applicazione degli stessi promuovendo l'opportunità di creare un'apposita Carta dei diritti fondamentali in Europa.

Ma soprattutto ciò che emerge, è la volontà di occuparsi direttamente delle coppie di fatto. Infatti, come si legge nella risoluzione parlamentare è necessario « garantire alle famiglie monoparentali, alle coppie non sposate e alle coppie dello stesso sesso parità di diritti rispetto alle coppie e alle famiglie tradizionali, in particolare in materia di legislazione fiscale, regime patrimoniale e diritti sociali.» 60

Il Parlamento inoltre si sofferma sugli Stati che hanno proceduto al

59 Raccomandazione del Parlamento europeo del 16 marzo 2000 sul rispetto dei diritti umani

60 Riferimento alla stessa Raccomandazione del Parlamento europeo del 16 marzo 2000.

riconoscimento giuridico delle coppie non coniugate, anche dello stesso sesso, elogiando il loro operato ed esortando gli Stati che non l'avessero ancora fatto a fare lo stesso.

Si tratta di una posizione netta rispetto al passato dove la parità dei diritti tra famiglia legittima e di fatto emerge finalmente come obbiettivo vero della politica europea. Chiaramente l'intervento va letto come sprono verso i singoli Stati membri e per questo non va disprezzato per l'inevitabile “genericità” che ha contraddistinto i suoi precetti.

Forse anche più importante è la risoluzione parlamentare del 2001 61

sulla “situazione dei diritti fondamentali dell'Unione Europea”. Qui l'istituzione comunitaria si riferisce ancora espressamente alle relazioni non coniugali esortando gli Stati membri a riconoscere gli stessi diritti tra coppie unite in matrimonio e relazioni non coniugali.62

La politica Europea di protezione dei diritti dell'uomo raggiunge la massima espansione con la proclamazione della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, la Carta di Nizza.

Al suo interno si possono osservare differenti disposizioni che interessano la famiglia di fatto. Per cominciare l'articolo 1 della Carta richiama il concetto di “dignità umana” come diritto inviolabile dell'uomo e perciò, prioritariamente, da tutelare e rispettare essendo un presupposto logico-giuridico per il riconoscimento di tutti gli altri diritti. Si può dire che la Carta pone la persona al centro del mondo. La Carta va detto, si pone il linea di continuità con la CEDU, e per questo molte sue disposizioni ricalcano il contenuto di quelle già prefigurate dalla Convenzione. Ad esempio l'articolo 7 della Carta di Nizza richiama il diritto al rispetto di ogni individuo della propria vita familiare e domiciliare esprimendo lo stesso concetto dell'articolo 8

61 Risoluzione del Parlamento europeo sulla “situazione dei diritti fondamentali

dell'Unione Europea”del 12 dicembre 2002, (2001/2014-INI)

CEDU.

Proseguendo, di particolare importanza pare l'articolo 9 della Carta di Nizza. Il testo della norma recita : «Il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio.» Anche in questo caso si nota chiaramente un rinvio alla CEDU, nel momento in cui si fa riferimento al diritto di sposarsi nel rispetto delle normative nazionali, e più in particolare alla scissione sviluppata nel testo della norma tra “diritto di sposarsi” e diritto di “fondare una famiglia”. Questa distinzione prelude chiaramente alla volontà di tutelare anche altre tipologie di aggregati familiari diverse da quelle matrimoniali.63

Però il problema principale che non riguarda solo la Carta di Nizza è quello relativo all'efficacia del diritto comunitario nell'ambito del diritto di famiglia delle normative nazionali.

Già facendo riferimento all'articolo 52 (1ºcomma) della Carta di Nizza, in virtù del “principio di conciliazione”, si osserva l'elenco delle possibili limitazioni nel confronto gli ordinamenti nazionali. In particolare si fa riferimento a criteri di contemperamento quali proporzionalità, protezione di altri diritti, libertà, necessità e finalità di interesse generale. Si fa salvo invece l'obbligo per le leggi nazionali di rispettare il contenuto essenziale, vale a dire il cosiddetto “nocciolo duro” dei diritti e libertà prescritte dalla Carta di Nizza.

Purtroppo però, nel diritto comunitario, non esiste da nessuna parte il parametro su cui misurare tale livello di “essenzialità”. Così questo

standard potrebbe ovviamente variare da stato a stato a svantaggio

dell'uniformità dei diritti fondamentali in generale e delle coppie di fatto in particolare.

Per esempio, nel caso del nostro ordinamento, un dubbio inevitabile si frappone tra l'articolo 9 della Carta di Nizza e l'articolo 29 della Costituzione, poiché all'interno dell'articolo costituzionale italiano si

tutelano effettivamente “altri” diritti e libertà che rappresentano per l'appunto un ipotesi di contemperamento invalicabile e questo genera confusione sulla scelta del diritto d'applicare.64

Allora la soluzione al problema non può che cercarsi altrove. In particolare si può e si deve far riferimento ad una pronuncia della Corte costituzionale65 attraverso cui si propone un'interpretazione

sistematica ed estesa di entrambi gli ordinamenti, per cui vale il principio di reciproca integrazione e completamento. Ciò detto sta a significare che la lettura dei principi dell'uno e dell'altro sistema normativo è finalizzata ad una comune espansione di tutela che praticamente si traduce nell'obbiettivo di sviluppare al massimo le potenzialità dei diritti e delle libertà fondamentali considerate in assoluto.

Ma perché questo meccanismo integrativo abbia effettivamente successo è necessario un forte supporto ad opera non solo del legislatore nazionale, ma anche e soprattutto dal lavoro delle Corti e più in generale da tutta la dottrina.66

Nello specifico si può dire che un forte ostacolo all'effettiva attuazione del diritto comunitario inteso in tutte le sue forme, e quindi considerando le Carte, le direttive e quant'altro, sia da attribuire ad un principio generale operante alla base dell'Unione Europea; il principio di attribuzione.

Nell'esercizio delle sue funzioni, l'ordinamento comunitario non può andare oltre quanto convenzionalmente stabilito per la propria competenza e capacità di agire. Quando invece non gli vengono specificatamente attribuite competenze, l'intervento comunitario è possibile solo in virtù del principio di sussidiarietà per cui l'ingerenza

64 V. Scalisi, Le stagioni della famiglia dall'unità d'Italia ad oggi, parte seconda:

«Pluralizzazione» e «riconoscimento» anche in prospettiva europea.p.1304 e

ss,. in Riv.Civile, 2013.

65 Corte Cost., 13 ottobre 1999. n.388, in Giur. Cost, 1999, 2991 66 Vincenzo Scalisi, Op.Cit., p. 1305-1306

dell'Unione si giustifica se diretta al miglioramento degli obbiettivi che gli Stati membri da soli non riescono a realizzare.

Quindi nell'esercizio delle funzioni di competenza esclusiva le Istituzioni non sono tenute a giustificare il proprio operato, mentre quando si tratta di materie concorrenti l'intervento dell'Unione è ammesso solo quando; la portata degli obbiettivi assume una dimensione europea e i singoli Stati non siano in grado di realizzarli da soli, in modo che il sostegno dell'operato comunitario si dimostri un vero e proprio valore aggiunto.67

Proprio per il fatto che il diritto di famiglia risulta un ambito escluso dalla competenza esclusiva comunitaria, è possibile comprendere perché i provvedimenti europei in questo settore siano meno incisivi che in altri.

Il risultato è rappresentato da un inevitabile inorganicità normativa che ostacola l'uniformità, obbiettivo primario della politica europea. In questo senso, un passo in avanti è rappresentato dall'introduzione dell'articolo 81 TFUE68 attraverso cui, nelle materie del diritto di

famiglia aventi implicazioni transnazionali, si permette al Consiglio europeo di prendere decisioni adottando una procedura speciale (quella appunto prevista dall'articolo 81 TFUE) in deroga a quella ordinaria.

Ciò nonostante il diritto comunitario rimane troppo volte incartato nell'incapacità di dare veramente seguito allo sviluppo del proprio diritto.

Per fare un esempio tale limite si palesa evidente in un importante direttiva sulla libertà di circolazione e soggiorno (direttiva 2004/28). Questo atto normativo è molto interessante anche per quanto riguarda la tutela delle coppie di fatto in quanto, si propone di garantire il

67 A.Valvo,"Il contributo della normativa europea in materia di unioni di fatto", in"Rivista della Cooperazione Giuridica Internazionale", (§ 7), 2013 Aracne, Roma.

ricongiungimento familiare non solo dei coniugi, ma anche dei conviventi ogniqualvolta lo Stato ospitante proponga un pur minimo riconoscimento giuridico delle convivenze. Benchè come abbiamo visto si tratti di un ambito non riservato alla competenza esclusiva dell'Unione Europea e quindi lasciato all'autonoma applicazione degli Stati membri, si apprezza comunque il tentativo promosso alla tutela della vita familiare anche non matrimoniale. Infatti nella direttiva è presente un'esplicita sollecitazione affinché gli Stati eliminino gli ostacoli posti alla circolazione e al soggiorno nei confronti di quegli individui che per effetto delle legislazioni nazionali non sono considerati familiari. L'obbiettivo comunitario è quello di proteggere l'unità familiare che assume importanza e considerazione considerando il “fatto stesso” della relazioni, includendo quindi anche isolatamente fattori quali dipendenza economica o “fisica” dei soggetti.

Quindi l'Unione Europea pur non potendo sanzionare le incompatibilità sussistenti tra le normative interne e la direttiva, non manca di giudicare espressamente sproporzionate e quindi anche discriminatorie le prospettive che valutano in modo eccessivamente stringente l'insieme dei componenti familiari.

Quanto al nostro ordinamento l'adattamento è avvenuto con il Decreto legislativo n.30 del 6 febbraio 2007 che a prima vista sembrerebbe equiparare la situazione del coniuge a quella de partner convivente. In realtà il decreto contiene una restrizione non prevista dalla direttiva in quanto nella nozione di “familiare” ammette solo il cittadino europeo che, nello Stato da cui proviene, gode dell'attestazione della stabilità della propria relazione e comunque, subordina il riconoscimento alle condizioni stabilite dallo Stato membro ospitante.69

Non diversamente si può parlare di un'altra direttiva europea sul ricongiungimento familiare, la direttiva 2003/86. In questo caso

l'Unione Europea include nella nozione di familiare solo il coniuge ma comunque considera la possibilità per gli Stati di autorizzare liberamente i ricongiungimenti anche nei confronti dei partner dei conviventi. Il recepimento di questa direttiva avviene in Italia con il Decreto legislativo n.5 8 gennaio 2007, in cui come si potrebbe facilmente intuire, ciò che emerge è la volontà di mantenere la restrizione nella nozione di familiare al solo coniuge, mentre della possibile estensione alla circolazione anche ai conviventi mediante autorizzazione non si fa affatto menzione.

Ma del resto non è che l'Italia rappresenti l'unica “voce fuori dal coro”. No anzi, la situazione europea che a qualcuno70 piace definire

di quasi « babele » indica una forte frantumazione del concetto di famiglia. In Europa il modello maggiormente diffuso rimane quello fondato sulla famiglia monogamica matrimoniale, ma più o meno intensamente si è assistito a normative di Stati membri che riconoscono convivenze sia registrate che di fatto come pure quelle

same sex, oppure a normative che anche per lo stesso “modello

tradizionale” riscontrano notevoli differenze sul piano dei rapporti personali o patrimoniali. Dunque tra Stato e Stato gli espressi riconoscimenti, anche di situazioni uguali, vengono poi sottoposti a differenti discipline.71

Proprio per questa disorganicità, vale la pena ripetere, la politica comunitaria ha preso a cuore la questione cercando di porvi rimedio attraverso principi serventi e correlati in cui la “forza” dell'Unione Europea si fa sentire maggiormente, come il principio di libera circolazione appunto o come quello di non discriminazione.

Si tratta di assiomi su cui nasce l'idea stessa di diritto comunitario e

70 V. Scalisi, «Famiglia» e «famiglie» in Europa, p.7 in Riv.civile, 2013. L'autore vuole indicare una situazione caotica in cui si assiste ad una “frantumazione” del concetto di famiglia. Si tratta di un concetto che riprende dal Busnelli in :

La famiglia e l'arcipelago familiare. Riv.Civile, 2002. Si veda riferimenti alla

premessa di questa ricerca. 71 V.Scalisi, op.cit., p.7-8

che pertanto hanno segnato l'identità propria della politica dell'Unione. Ovviamente si tratta di principi che si prestano ad interpretazioni estese che, come nel caso della direttiva 2004/38, talvolta lambiscono il diritto della famiglia.

Del principio di libera circolazione abbiamo già detto a proposito del ricongiungimento familiare, ma importanti spunti possono giungere anche dal principio di non discriminazione.

Questa volta è il caso di fare riferimento all'operato della Corte di giustizia europea. Nella sentenza del 10 maggio 201172 (procedimento

c 147/08) la Corte di giustizia affronta una controversia in materia di pensione di vecchiaia e stabilisce che un pensionato che abbia convissuto con un'altra persona (peraltro dello stesso sesso) in regime di unione registrata ha diritto allo stesso trattamento cui avrebbe diritto il coniuge. Questa decisione arriva perché in Germania, dove ha luogo la controversia, dal 2001 è stato introdotto un istituto che permette la registrazione delle coppie di fatto a cui consegue la sostanziale equiparazione con le coppie matrimoniali rispetto agli obblighi di contribuzione, mantenimento e assistenza. Per cui, giustamente, la Corte ravvisa una obbiettiva uguaglianza delle due situazioni che si tramuterebbe in una violazione del principio di non discriminazione una volta concesso un diritto (in questo caso la pensione di vecchiaia) all'una e non all'altra tipologia familiare73.

Purtroppo però lo spirito di contraddizione ha macchiato anche la Corte di giustizia che, su una stessa questione, si è espressa in modo diverso. Il riferimento è ad una sentenza del 2001, sempre relativa ad una controversia sulla pensione di vecchiaia in Germania: “Maruko v Versorgungsanstalt der deutschen bühnen”. Questa volta la Corte ribadisce si il rispetto del principio di non discriminazione, ma opera

72 Corte di giustizia europea, “Jürgen Römer v. Freie und Hansestadt Hamburg”, C-147/08, 10 maggio 2011.

un rinvio alle legislazioni nazionali per quanto riguarda la concessione di diritti sociali alle coppie registrate, esprimendo la necessità di rispettare le normative degli Stati per quanto riguarda diritti civili e prestazioni.

Un atteggiamento simile è ravvisabile anche nella Corte europea dei diritti dell'uomo, dove due diverse pronunce che hanno ad oggetto la realtà familiare e il principio di non discriminazione , si contraddicono tra loro.

In “Petrov c. Bulgaria”74 la Corte di Strasburgo è chiamata a

pronunciarsi sulla normativa di una casa circondariale. Precisamente al detenuto “Petrov” era stata negata la possibilità di chiamare per due volte al mese il proprio partner perché , secondo la normativa bulgara, era un diritto riservato ai soli coniugi. La Corte pur riconoscendo la libertà di apprezzamento della normativa nazionale, si sofferma sulle ragioni che fondano questo tipo di scelta e le giudica ingiustificate. Secondo il parere della stessa in effetti una situazione di stabile convivenza, peraltro consolidata dalla generazione di una figlia come nel caso del signor “Petrov”, rende del tutto immotivato un trattamento differenziato rispetto alle coppie unite in matrimonio valutandolo discriminatorio richiamando l'articolo 8 CEDU e l'articolo 9 CEDU su cui ci siamo soffermati.

Un'altra pronuncia della Corte di Strasburgo invece non appare di “larghe vedute” e come preannunciato si contraddice con quella appena richiamata.

In “Van der Heijden c. Olanda”75 la Corte è chiamata a giudicare il

novero dei possibili astenuti come testimoni in un processo penale. La legge nazionale olandese prefigura questo tipo di diritto in capo esclusivamente ai familiari, in cui non si comprende il “convivente”.

74 Corte europea dei diritti dell'uomo, “Petrov c. Bulgaria”,22 maggio 2008, n. 15197/02

75 Corte europea dei diritti dell'uomo, “Van der Heijden c. Olanda”, 3 aprile 2012, n.42857/05

La considerazione da fare è che contrariamente al ragionamento sviluppato nella precedente sentenza, qui la Corte del tutto inspiegabilmente, non ravvisa una violazione del principio di non discriminazione previsto all'articolo 14 CEDU. Questo perché, la possibilità di astenersi dal testimoniare in un processo penale va individuata nell'esigenza di preservare il rispetto della vita privata e familiare che risulterebbe compromessa nel momento in cui una persona si dovesse trovare a decidere tra il dovere di testimoniare e la volontà (diritto) di conservare il proprio rapporto col partner. Insomma, secondo la Corte il “dilemma morale” tra testimoniare e non testimoniare che vale come motivo di astensione accompagnerebbe solo la realtà matrimoniale.

Questa decisione appare probabilmente più emblematica delle altre precedentemente analizzate perché colpisce il “cuore” della famiglia di fatto negando l'esistenza di un complesso di valori sentimentali e d'appartenenza in grado di giustificare, come nella famiglia legittima, una deroga al diritto. Una considerazione importante che mette gravemente in discussione la posizione raggiunta nel tempo dall'Unione Europea.

Il diritto giurisprudenziale delle Corti europee dunque riconosce alternative al matrimonio e in quanto tali altre valide forme di “vita familiare” sia etero che omosessuali,76 ma ci riesce solo parzialmente

con evidenti incertezze e senza trovare un minimo comune denominatore.

L'orientamento di entrambe le Corti si è sviluppato secondo un

76 Il riferimento va a due importanti decisioni della Corte europea dei diritti dell'uomo: “Christine Goodwin c. Regno Unito”, 11 luglio 2001, n. 289/57 e “Shalk e Kopf c. Austria”,24 giugno 2010, n. 30141/04. Nella prima la Corte stabilisce la violazione dell'art. 8 e 14 CEDU nel momento in cui uno stato, pur ammettendo l'operazione chirurgica per la rettifica del sesso, non consente poi la rettificazione anagrafica dello stesso. Nella seconda, pur escludendo che il diritto al matrimonio previsto dall'art. 12 CEDU si estenda anche alle coppie omosessuali, esplicita per la prima volta in modo chiaro che le stesse godono del diritto alla vita familiare previsto dall'art. 8 CEDU.

approccio puramente casistico per cui, in riferimento a precise e definite situazioni, si è deciso dell'estensibilità anche ai partner di unioni non coniugali di benefici tradizionalmente concessi solo alle coppie coniugate sulla base del principio di non discriminazione o in applicazione dei diritti fondamentali.

Così talvolta si affronta il tema pensionistico optando per l'equiparazione dei diritti,77 talaltra in considerazione del pubblico

dovere di testimonianza78 si conserva una posizione conservatrice che

ammette distinzioni nel godimento di certi privilegi suscitando spirito di contraddizione.

Una logica che procede secondo valutazioni comparative di ragionevolezza, verificando l'attinenza e la riferibilità del diritto in discussione alla particolare situazione considerata, invece che premettere la qualificazione della realtà familiare e quindi la compatibilità del diritto. Un rovesciamento di impostazione.

Perciò inevitabilmente nel lavoro delle Corti manca un “progetto identitario” che possa prefigurare una nozione unitaria di famiglia nei suoi contenuti essenziali come la funzione, il rapporto di coppia, la filiazione. Questo atteggiamento agnostico della giurisprudenza mette in discussione ogni tentativo di armonizzazione della materia, ma soprattutto quello che emerge è la volontà di garantire i diritti fondamentali anche in ambito familiare più che considerare la famiglia in quanto tale79.

La giurisprudenza comunitaria presuppone un concetto che non indaga e che non definisce; nelle proprie pronunce non pare mai chiedersi in definitiva cosa sia una famiglia e perciò è certamente difficile trovare una risposta risolutiva ad una domanda non posta. Le

77 Vedi nota n. 25 78 Vedi nota n.28

79 V. Scalisi, Le stagioni della famiglia dall'unità d'Italia ad oggi, parte seconda: «Pluralizzazione» e «riconoscimento» anche in prospettiva

corti affrontano numerose questioni che implicitamente presuppongono il concetto di famiglia, ma questo invece non è definito ed è lasciato alla libera prospettiva delle normative nazionali, senza di che appare problematico e sempre discutibile ammettere o non ammettere valori nuovi, quindi proteggerli e consolidarli.

Questo meccanismo “vorrei ma non posso” accompagna il diritto delle Corti e quello delle Carte arrestando inspiegabilmente un processo di evoluzione che sembrava giunto ad una definitiva svolta.

2.4. La Francia come modello di riferimento: la