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Il futuro della tecnologia bioclimatica: paesaggi [in]sostenibili?

PARTE SECONDA

3.3 Il futuro della tecnologia bioclimatica: paesaggi [in]sostenibili?

Il problema del futuro delle tecnologie bioclimatiche è legato al fatto che alcuni manufatti energetici sono mantenuti sottoforma di “relitti storici”, suscitando alcune domande sulla irreversibilità dei loro carat- teri finali o definitivi, e sul rischio di essere classificati come rifiuti irre- cuperabili. In qualche caso la decadenza di questi relitti è determinata dall’impossibilità di adattamento al funzionamento delle nuove logiche di produzione. Le buone abitudini del rispetto ambientale, delle quali si parla al giorno d’oggi, conducono alla riabilitazione di ciò che c’è, o ad un riutilizzo della costruzione secondo altre logiche. Ma cosa succede ai paesaggi energetici quando diventano obsoleti? Il loro abbandono è inevitabile? Sono rifiuti non riciclabili? Per la maggior parte di essi esiste solo la possibilità che trovino un nuovo riutilizzo o una ricoloniz- zazione, ma in generale il loro futuro dipende dalla natura ed identità del tipo di “rifiuto”9.

9 Ivancic A., (2010), Energyscapes,

Land & Scapes Series, Gustavo Gili SL, Barcellona

Fig.3 Immagine della città di Cernobyl, la città fantasma

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Queste questioni, al momento, riguardano in primo luogo i manufatti industriali, figli dell’era dei combustibili fossili, che si trovano all’interno delle città, o addirittura in isole disperse e abbandonate negli Oceani (ad esempio Atlantide), e costituiscono le aree dismesse e di margine dei paesaggi contemporanei; ma anche l’era delle FER è caratterizza- ta da manufatti architettonici o tecnologici, che hanno un loro ciclo di vita: pertanto, chi afferma con assoluta certezza che non accadrà lo stesso che accade per i manufatti industriali, in un prossimo futuro per le tecnologie, figlie delle FER? E quali sono le soluzioni affinché questo non avvenga?

Il settore delle energie rinnovabili, in effetti, mostra molte somiglianze con la emergente industria elettronica degli anni ’80, quando gli im- pianti di produzione teoricamente “puliti” inquinavano le falde acquifere della Silicon Valley, causando malattie e morti alle comunità vicine. Questo è il motivo del parziale fallimento dell’industria “high tech” nel pianificare uno smaltimento dei prodotti, e tale fallimento ha lasciato in eredità un’enorme marea di rifiuti elettronici, causando un disastro ambientale di notevoli proporzioni, specie per i paesi in via di sviluppo, dove i rifiuti elettronici sono spesso trasportati per un riciclaggio più economico, e quindi di basso valore.

Fino a pochi anni fa il problema dello smaltimento delle tecnologie bio- climatiche, era poco trattato, anche a causa della giovane età delle tecnologie e della lunga durata degli apparecchi (ad esempio i moduli fotovoltaici hanno una durata di circa 25-30 anni). Poiché l’obiettivo delle tecnologie bioclimatiche è quello di produrre energia pulita, la società si aspetta che tale contributo per l’ambiente non venga meno alla fine del ciclo di vita della tecnologia, perché sarebbe una contrad- dizione troppo pesante da digerire.

In effetti le aziende o le industrie coinvolte nel settore delle tecnolo- gie verdi e sostenibili, come il fotovoltaico, devono obbligatoriamente sapersi distinguere da quelle operanti nel campo delle fonti fossili ed inquinanti, maggiormente legate allo sfruttamento ed al consumo del territorio, delle risorse naturali e dei materiali, dato che tale distinzione è proprio la fonte del loro successo. Pertanto se tali industrie vogliono essere realmente sostenibili ed ecologicamente corrette (come in effetti si proclamano), non possono assolutamente permettersi di trascurare i problemi derivanti dalla gestione “end of life” dei loro prodotti.

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Inoltre, un eventuale smaltimento delle tecnologie in discarica costitu- irebbe uno spreco di materiali e di energia, trattandosi di prodotti, che anche a fine vita possono rivelarsi ancora utili.

Ad esempio un tradizionale modulo fotovoltaico in silicio cristallino, è costituito da vetro per circa il 70% del suo peso, utilizzato per le su- perfici espositive e di protezione; da metalli, come l’alluminio, utilizzato per le cornici; da silicio, il materiale semiconduttore; e da altri metalli, come argento e rame, impiegati in piccole quantità per la realizzazione dei contatti elettrici. Sono tutti metalli preziosi il cui ciclo di vita non coincide con quello dei dispositivi fotovoltaici, nei quali sono incorporati e che pertanto potrebbero essere recuperati in vista di un loro ulteriore utilizzo, nella produzione di nuovi moduli o di altri prodotti, tramite, appunto, il riciclaggio. Infatti, essendo le tecnologie grandi contenitori di energia, anche alla fine della loro vita utile, il riciclaggio rappresenta l’unica soluzione in grado di valorizzare le risorse contenute, a patto, però, che non si limiti all’impiego di tecnologie di riciclaggio a basso valore. Le celle fotovoltaiche in particolare sono molto interessanti ai fini del riciclaggio, poiché rappresentano dei componenti ad elevato contenuto energetico (a causa della necessaria purificazione del sili- cio): un eventuale loro smaltimento in discarica costituirebbe, quindi, un notevole spreco di energia. Questo fa comprendere come sia neces- sario far divenire le tecnologie “Double Green”, cioè doppiamente verdi, come recita il sistema di riciclaggio che si sta cercando di avviare in Germania, con il PV Cycle, quindi a partire dalla tecnologia fotovoltaica, per evitare anche l’introduzione di misure legislative da parte dell’EU, e per scongiurare il pericolo che, sebbene l’impianto teoricamente possa funzionare per molto più tempo, si verifichi la formazione del cosiddetto “rifiuto elettronico”10.

Un progetto di riciclaggio dei prodotti solari e fotovoltaici è quello av- viato dalla Deutsche Solar in Germania, che prevede per i moduli solari un processo composto da due fasi: un trattamento termico ed un trat- tamento chimico.

Nella prima fase, molto delicata, si ottiene come risultato il disassem- blaggio degli strati del pannello (fase molto problematica per via della progettazione molto attenta alle infiltrazioni dei pannelli), e una purifi- cazione dei gas emessi per lo svolgimento di questa operazione. Dopo- diché i metalli e il vetro vengono inviati ai rispettivi cicli di riciclaggio, se

10 SVTC, “Toward a just and Su-

stainable Solar Energy Industry”, 2009, http://www.svtc.org/site/ PageServer?pagename=svtc_publica- tions

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necessario, invece le celle vengono sottoposte al secondo trattamento, quello chimico. Questo processo serve a recuperare il silicio che potrà essere impiegato in nuove celle, senza dover ricorrere nuovamente alla materia prima, o rischiare che si disperda nell’ambiente. E’ chiaro che questo processo non può valere per tutti i tipi di moduli, perché a seconda dei materiali di rivestimento utilizzati si dovrà ricorrere a trat- tamenti chimici differenti. Per quanto concerne gli aspetti ecologici del riciclaggio, ovviamente al processo termico sono associati gli impatti ambientali, dovuti principalmente alle emissioni in aria di inquinanti e al consumo di energia nel forno di incenerimento, nel post-combustore e nel depuratore. Per di più il sistema di depurazione consuma acqua e composti chimici, generando come output acque reflue, che dovranno essere adeguatamente trattate. A questi impatti si aggiungono anche quelli che il trattamento chimico produce in seguito all’uso dei vari com- posti chimici, nonché all’utilizzo di acqua ed elettricità. Tramite indagini accurate è stato però verificato che il consumo rispetto al guadagno è minore, pertanto effettivamente il sistema adoperato è un riciclaggio ecologico e realmente sostenibile11.