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CAPITOLO 2. LEGGENDE NAPOLETANE

2.3 Il mistero, l’occulto e il mito di Pigmalione

Occorre analizzare a parte altre due novelle della raccolta che mostrano delle peculiarità intrinseche. La prima è intitolata Barchetta fantasma ed è legata in particolare al senso del mistero e del mondo dell’occulto. Invece Leggenda di Capodimonte è una sorta di riscrittura moderna del mito classico di Pigmalione con un’atmosfera particolare.

In Barchetta fantasma si è notata una vicinanza allo spiritismo tardo-romantico-decadente, che già era stato sperimentato in quegli anni da Fogazzaro in Malombra (1881)108. La caratteristica è stata rilevata da Rosaria Taglialatela:

Qui la Serao sviluppa la trama con immagini e stilemi che rinviano ad un gusto gotico da romanzo d’appendice, sia nelle atmosfere che nelle descrizioni e nei brevi dialoghi dei protagonisti della vicenda: le notti cupe e profonde, il pallore cadaverico della donna, il mare nero109.

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Elena CANDELA, Amor di Parthenope, cit., p. 16

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Rosaria TAGLIALATELA, Il fantastico "umano" delle «Leggende napoletane» di Matilde Serao, cit., p. 109

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Come di consueto, Serao divide il testo in più sequenze narrative, che fa precedere da una premessa con un appello diretto al lettore. Nell’incipit l’autrice utilizza una descrizione spaziale per delineare un’atmosfera rarefatta, in cui i colori della realtà sembrano farsi quasi pastosi e ruvidi, gli odori e l’aria sembrano essere immobili e senza freschezza. Questa particolare condizione è dovuta alla mancanza del sogno, all’impossibilità di poter sognare.

Li conosci tu? Li conosci tu questi giorni fangosi e sporchi, quando la Noia immortale prende il colore bigio, l’odore nauseante, la pesantezza opprimente della nebbia invernale, quando il cielo è stupidamente anemico, il sole è una lanterna semispenta e fumicante, i fiori impallidiscono e appassiscono, le frutta imputridiscono, le guance delle donne sembrano di cenere, la mano degli uomini pare di sughero, la città putisce di acquavite e la campagna di siero? (p. 73)

In particolare la scrittrice descrive questi giorni di assenza di creatività e di immaginazione con la personificazione della poesia e dell’arte in due fanciulle.

In questi giorni la poesia, la delicata ed esile fanciulla, irrimediabilmente ammalata, s’illanguidisce, declina il capo e muore senza un gemito, senza un respiro – e l’arte la robusta fanciulla colpita mortalmente, agonizza, torcendosi le braccia, offerendo in lugubri lamenti la sua disperazione. (p. 73)

L’autrice individua però una soluzione possibile per questi giorni di sterilità nella produzione artistica: parlare d’amore. Serao trova dunque anche un espediente con cui introdurre la tematica principale della novella. Anche in questa sede l’autrice non manca di offrirne una teorizzazione attraverso una definizione del sentimento:

A te, fantasma fuggevole ed inafferrabile, essere divinamente malvagio, umanamente buono, infinitamente caro, bello come una realtà, orribile come una illusione, sempre lontano, sempre presente, che vivi nelle regioni sconosciute, che sei in me: chimera, persona, nebulosa, nome, idea odiosa e adorabile da cui parte ed a cui ritorna ogni minuto della mia vita! (p. 74)

Anche nella prima sequenza del testo in cui inizia la narrazione vera e propria, Serao continua la riflessione sul sentimento d’amore. La scrittrice sostiene infatti che l’intensità della passione è sempre la stessa, sia al variare delle epoche storiche sia al variare della condizione economica. Quest’ultima sicuramente ha una certa influenza, ma non è un elemento del tutto determinante.

Il dramma dell’amore è multiforme e unico. Batta il cuore sino a spezzarsi sotto una toga di lana, una corazza di acciaio o un abito di velluto, il suo palpito precipitoso non rovinerà meno o diversamente un’esistenza. (p. 75)

Dopo aver compiuto quest’ulteriore riflessione d’ingresso, la scrittrice passa a presentare la protagonista, Tecla, caratterizzata da un grande pallore sul viso e da una folta chioma di capelli bruni. La donna è sempre stata estranea all’amore e infatti questo sentimento le è del tutto sconosciuto. Significativi sono gli aggettivi che l’autrice usa per definirla da ragazza prima e da donna poi: «fanciulla orgogliosa e indifferente» e poi «moglie glaciale e superba» (p. 75). Al contrario il marito di Tecla, Bruno nutre verso di lei un amore coniugale appassionato e soffre a causa del freddo atteggiamento della

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sposa. Si anticipa poi un pensiero che fa Bruno, quello di uccidere la moglie, che tuttavia non viene attuato, poiché non si può eliminare una donna che conservasse la virtù.

Serao inizia la seconda sequenza in cui è ripartito il testo, narrando l’innamoramento di Tecla per un uomo altrettanto eccezionale:

Ma come ogni altezza ne trova un’altra che la superi e la vinca, fino a che non si arrivi all’invincibile ed all’incommensurabile, così dinnanzi alla virtù di Tecla giganteggiò, immenso, l’amore. […] Era singolarmente bello, Aldo, un fascino irresistibile vibrava nella sua voce armoniosa, le sue parole struggevano come fuoco liquido, il suo sguardo dominava, vinceva, metteva nell’anima uno sgomento, pieno di tenerezza. (pp. 76-77)

I due personaggi si incontrano una sera in una stanza ben illuminata e basta loro uno sguardo intenso, per creare tra di loro un legame indissolubile. Tecla a causa del nuovo amore passa molte notti insonni, assume un’aria languida e malinconica. Anche la descrizione dello spazio esterno diventa sempre più imprecisato e rarefatto. «In una notte cupa e profonda» Tecla si alza dal letto, poiché sente misteriosamente un richiamo d’amore di Aldo (p. 77). I due si rincontrano sul terrazzo della casa. Ancora una volta Serao sceglie come luogo per l’appuntamento illecito della coppia, uno spazio “non istituzionale”, in grado di sfuggire al rigido controllo del marito. Come lo spazio è descritto con le categorie attinenti al genere fantastico e del tardo-romanticismo-decadente, così anche la figura della donna è ritratta a metà tra la sembianza di un cadavere e di un fantasma:

E muta, rigida, con l’incesso uniforme e continuo di un automa, col lungo abito bianco che le si trascinava dietro come un sudario, col passo ritmico che appena sfiorava il suolo, coi lunghi capelli disciolti sugli omeri, con gli occhi spalancati nell’oscurità, ella attraversò la casa ed uscì sul terrazzo che dava sul mare. (p. 78)

Tecla sembra un’immagine funerea, quasi una vergine destinata al patibolo che esegue con ritmo cadenzato i suoi ultimi passi. Già nella specifica modalità del suo incedere, Serao anticipa il presagio di morte che sta per abbattersi sulla donna. Nella quarta sezione del testo l’autrice compie una scelta singolare; decide infatti di bloccare per il momento l’intreccio per descrivere la bellezza del sentimento d’amore vissuto dalla nuova coppia di Tecla e di Aldo. Ritrae l’intensità della loro passione, ricorrendo a una dettagliata descrizione dell’ambiente napoletano esterno. Dipinge la gioia del loro stare insieme in tutte le stagioni:

O indimenticabili notti create per l’amore! O eternamente bello Golfo di Napoli, dall’amore e per l’amore creato! Nelle notti di primavera, quando il fermento della terra conturba i sensi e tenta l’anima, quando nell’aria vi è troppo profumo di fiori, si può discendere al mare, entrare nella barca […]. Nelle torbide notti estive, che seguono le giornate violente e tormentose, […] felice colui che può farsi cullare in una barca, come in un’amaca; mentre il forte profumo marino gli fa sognare il tropico […]. Nelle meste e bianche notti invernali, quando la luna malaticcia si unisce alla candida malinconia del cielo, al languido pallore delle stelle, alla nebulosità ideale delle colline […]. Nelle notti tempestose d’inverno, quando il temporale della città ha tutta la grettezza e la miseria delle stradicciuole strette e delle grondaie piagnucolose. (p. 79)

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Questa scelta compositiva lascia volutamente imprecisata la durata del loro amore, ma la proietta in una dimensione che sfugge alla rigida definizione cronologica. La narrazione vera e propria riprende nella quinta sequenza, in cui si consuma il dramma della vicenda. Tecla e Aldo sono soli su un’imbarcazione e si scambiano promesse d’amore. Il barcaiolo che li trasporta resta però stranamente nell’ombra e in silenzio, il che insospettisce la coppia. Ad un tratto, il misterioso personaggio si rivela essere Bruno, che, accecato dalla gelosia, vuole eliminare gli amanti. La barca si capovolge nell’esatto momento in cui i due si scambiano un bacio. Nell’ultima parte del testo, si può scorgere ancora un forte legame tra l’esperienza d’amore e lo spazio. La voce narrante confessa infatti che è tuttora possibile assistere al passare della Barchetta fantasma in alcuni precisi luoghi della città. C’è tuttavia una condizione per poterli vedere, di nuovo collegata alla dimensione erotica, ovvero può osservarla solo chi abbia amato bene e intensamente.

In una certa ora della notte, sulla bella riva di Posillipo, su quella gaia di Mergellina, su quella cupa del Chiatamone, su quella fragorosa di Santa Lucia, su quella sporca del Molo, su quella tempestosa del Carmine, la barchetta fantasma appare, […] gli amanti si baciano lentamente, la figura dello sposo si erge sdegnata […]. Ma non tutti li vedono, Dio permette che solamente chi ama bene, chi ama intensamente possa vederla. (pp. 81-82)

La leggenda di Capodimonte offre altri spunti di riflessione sulla produzione

seraiana del fantastico. Nella prima parte, che funge da premessa al testo, l’autrice presenta un ritratto della collina napoletana lontana dalla città. Il luogo fin dal subito assume tutti i connotati del locus amoenus ed è rappresentato come un ideale luogo d’amore. La vegetazione era folta e rigogliosa, ricca di anemoni profumati. I piccoli abitanti della selva si muovono veloci tra le fronde. Per i sentieri ricavati tra rami intricati e cespugli spontanei, è possibile scorgere un’ombra femminile, quasi un fantasma e nel fruscio di una foglia si coglie il rumore dello schiocco di un bacio. Anche in questa scena, Serao mostra lo spazio, partendo da dati realistici, per avanzare poi sul piano dell’immaginario, intuendo tra i tronchi degli alberi una presenza misteriosa. È proprio questo l’ambiente individuato da Rosaria Taglialatela all’interno della narrazione:

Il clima che si respira nel La leggenda di Capodimonte rinvia, piuttosto, a ciò che si è detto «fantastico puro»: atmosfera rarefatta, condizione di sospensione, stato di allucinazione prossimo al sogno, senso di mistero110.

Nella sequenza successiva inizia la vicenda del protagonista, che non viene descritto fisicamente con i consueti connotati delle altre figure maschili della raccolta. Non ne viene specificato il nome, l’estrazione sociale, di lui viene detto solo che è «pallido e triste», perché una malattia lo aveva colpito. L’infermità da cui era stato colto risulta essere il sentimento d’amore non verso una fanciulla ben delineata e precisabile, ma al contrario si tratta di un profilo vago e dai contorni sfumati.

Egli amava lontano, in un punto indefinito, in un paese sconosciuto, con un amore sconfinato e ignoto, una creatura misteriosa che egli aveva creata. (p. 155)

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Rosaria TAGLIALATELA, Il fantastico "umano" delle «Leggende napoletane» di Matilde Serao, cit., p. 115

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Solo dopo sono specificate le coordinate temporali e sociali in cui porre l’anonimo protagonista della novella. Si viene a conoscere che si tratta di un nobile cavaliere che, dopo aver lasciato il palazzo e la madre, si era messo alla ricerca del proprio amore, dimenticandosi del suo ruolo e dei suoi compiti. In questo Serao riprende il motivo classico della letteratura medievale romanza del chevalier in cerca di fortuna. L’errare del giovane non lo porta però ad affrontare pericolose avventure nelle quali viene messo alla prova il suo coraggio, al contrario si tratta di un vagabondaggio irrequieto e senza meta, animato da un «fatale e insanabile amore dell’Ideale» (p. 156). Ben presto nella narrazione si passa dal piano realistico a quello dell’immaginazione e del sogno. È infatti stato notato:

All’attenzione per il particolare realistico subentra qui l’ossessione di uno stato d’animo turbato da una visione paranormale e la perdita di consistenza del protagonista è contraddistinta anche dall’assenza di nomi111.

Al giovane si manifesta un’apparizione femminile in un’atmosfera del tutto rarefatta e irreale. Egli sebbene abbia percepito appena quella presenza, se ne innamora.

Nella nebulosità di un viale, dove si elevava un velo opalino ed iridescente, in un mattino d’inverno, egli la vide. Era una forma snella, senza contorni, fatta aria, ondeggiante; fu un baleno lieve, un luccicore, un istante solo di luce. (p. 156)

Il protagonista prende a desiderare la figura femminile fantasma, che gli appare ogni giorno, sempre più delineata:

Lentamente, con un processo di gradazione, in cui la narrazione all’imperfetto sottolinea e accompagna il senso di distanza e di scarto tra reale e irreale, il narratore onnisciente segue la progressiva materializzazione dell’immagine femminile, attraverso gli occhi del protagonista112.

La figura femminile si contraddistingue per il candore quasi diafano della sua persona e del suo vestito, essa appare sempre nella luce fulgida. Il protagonista prende a frequentare il fantasma come in una sorta di sogno o allucinazione, tasta il terreno, dove ha visto passare la figura, le parla e le dichiara il suo amore. Tutti i loro incontri finiscono però con l’improvvisa partenza della fanciulla di ritorno al castello, lasciando solo il giovane. Durante i loro colloqui la fanciulla non può rispondere al giovane, non si può scorgere sul suo candido viso neppure un’espressione di assenso:

Non parlava la fanciulla, nei colloqui d’amore. Ella ascoltava, immobile, bianca, pronta sempre a partire; ogni tanto un sorriso indefinito le sfiorava le labbra, una mestizia le compariva in volto; ma sorriso e mestizia non erano spostamento di linee, non corrugamento di fronte, o espansione di labbra; era espressione, luce interna, quasi una lampada soave si accendesse dietro un velo. (p. 159)

La ragazza prende a fermarsi sempre di più e a lungo tace, ascoltando le parole del suo innamorato. Il ragazzo in queste occasioni sembra intento a un «soliloquio

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Rosaria TAGLIALATELA, Il fantastico "umano" delle «Leggende napoletane» di Matilde Serao, cit., p. 115

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allucinato assai prossimo alla follia»113. La situazione cambia, quando l’uomo decide di dichiararsi alla donna:

Ma in un crepuscolo d’autunno, egli trovò le frasi più eloquenti per esprimere la propria disperazione: batté la fronte a terra, sparse le lacrime più cocenti, adorò la fanciulla. Ella parea si trasformasse; dietro il candore della pelle pareva cominciasse a scorrere il sangue. (p. 160)

La fanciulla dà al giovane una risposta affermativa e questi, preso da un grande slancio vitale, la abbraccia, ma, così facendo, si accorge che la donna era fatta di porcellana, che con l’urto va in frantumi. L’ultima scena in cui è diviso il testo presenta una dimensione del tutto onirica. La scena che si raffigura presenta le statue del museo di porcellana di Capodimonte che decidono infatti di vendicarsi sul ragazzo per la morte della protagonista. Ne organizzano prima l’omicidio e poi la sepoltura.

Il finale della vicenda è stato diversamente interpretato. C’è chi come Rosaria Taglialatela ne ha dato una spiegazione, sottolineando l’appartenenza del racconto al genere fantastico. In particolare, nell’abbraccio dell’uomo verso la donna che va in frantumi si dovrebbe scorgere la frattura del «sogno dell’uomo nella vana ricerca dell’Ideale». Il lettore resterebbe così di fronte all’«inesplicabile»114. C’è anche chi ha scorto nel testo il mito dell’arte, il mito di Pigmalione o della statua vivente. Elena Candela esplica così il significato della novella:

La Serao aveva captato che nella sua forma classica, il mito trasformato nelle varie epoche, non è quasi mai una storia del passato, ma è, forse sempre, un atto di vita e una esperienza del presente, è una possibilità di «trasformare il senso in forma». La statua di porcellana nella leggenda seraiana riporta il mito classico a un senso moderno, esistenziale, incarnato nella vergine fanciulla che cercava di attirare nel mondo dell’arte il giovane idealista115.

Questo è il senso del mito attribuito anche a Rousseau ne La nouvelle Eloise e da André Gide in Sinfonia pastorale116. Si raffigura nella storia la vendetta dell’arte sull’uomo che ha voluto oltrepassare il confine tra arte e vita ed è per questo punito dalle altre statue di porcellana del museo di Capodimonte.

113 Ivi, p. 116 114 Ibidem 115

Elena CANDELA, Amor di Parthenope, cit., p. 11

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