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CAPITOLO 4. LA VIRTÙ DI CHECCHINA

4.2 Un pranzo con il marchese

La seconda e terza sequenza della novella costituiscono il cuore centrale dell’intreccio narrativo. Si è scelto così di trattarli in un unico paragrafo. Nel secondo atto della commedia fa l’ingresso sulla scena Toto Primicerio, il marito di Checchina. Di lui

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Paola AZZOLINI, Matilde, l'inaddomesticata, cit., p. 64

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Ivi, p. 66

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Piero LUXARDO FRANCHI, Le figure del silenzio, Padova, Cleup, 1989

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l’autrice non fornisce un ritratto iniziale, ma i dettagli del suo profilo sono disseminati nella novella, così che poco a poco solo con la lettura si può ricostruire per intero la sua figura. Il marito annuncia a Checchina l’invito a pranzo che ha rivolto al marchese d’Aragona, per poter avere qualche raccomandazione in più soprattutto con clienti benestanti. Primicerio nota la sorpresa della donna, ma reagisce, dicendo così:

− Ebbè, qui si contenterà e non morirà mica di fame. Aggiusta tu con Susanna – concluse Toto, con la bella tranquillità romanesca, andandosene all’ospedale di Santo Spirito a rassettare braccia slogate e a medicare piaghe purulente. Andò via, il dottore, ma nella casa stretta rimase la sua traccia, quell’invincibile fetore di acido fenico. (p. 215)

Il marito sembra non accorgersi della preoccupazione che ha portato alla moglie, la quale resta in pensiero su come poter organizzare la cena. Mentre Susanna in cucina borbotta, essa si rifugia nella camera nuziale, come se quello fosse il solo luogo in cui potesse avere un po’ di spazio per sé. Nelle sue riflessioni la prima immagine è quella dell’elegante marchese che aveva avuto modo di conoscere in villeggiatura a Frascati, perché era stato curato una volta dal marito. Il profilo aristocratico dell’uomo si connota sin da subito attraverso il suo prezioso abbigliamento:

Egli in costume di velluto verde oliva, cravatta di raso nero, speroni di acciaio e frustino nero. […] Era un bel giovane il marchese d’Aragona, alto, con una testa ricciuta e gli occhi malinconicamente espressivi. (p. 216)

La descrizione dell’aspetto fisico dell’uomo è preceduta dal dettaglio del suo abbigliamento, come se quest’elemento avesse una funzione prioritaria sulla caratterizzazione del personaggio. Già con il ricercato vestiario del marchese si vuole veicolare la sua alta estrazione sociale. Nella produzione seraiana tutti i personaggi hanno

.«un corpo socializzato al massimo grado perché gestito e gerarchizzato dal vestito come prerogativa di classe»211. Checchina è attirata dalla figura maschile proprio per il suo rango sociale superiore. La donna tuttavia comincia poi a pensare a come poter organizzare il pranzo e molte piccole difficoltà le si presentano nella mente: non disponeva infatti di una salsiera e di un’insalatiera coordinata al suo servizio da piatti, anche la padella per fare il fritto di pesce è inadatta. E senza dubbio non si poteva fare a meno dell’arrosto. Nel riflettere ritorna in lei la preoccupazione economica: «questo pranzo sarebbe costato una quantità di quattrini: come dirlo a Toto, quante cose ci mancavano nella casa!» (p. 217). Nell’elenco di tutto ciò che manca nella casa, sembra ripetersi come un ritornello nella mente di Checchina una «domanda accomunante l’indigenze alla ristrettezza, “Quanto costa?”»212

. La protagonista è presa dalla preoccupazione per le scarse risorse di cui può disporre, per organizzare la cena per il marchese e riflette sulle poche finanze che settimanalmente il marito le consegna, per provvedere alla spesa settimanale. È importante notare che tutti i motivi di apprensione

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Maryse JEULAND MEYNAUD, Immagini, linguaggio e modelli del corpo nell'opera narrativa di

Matilde Serao, cit., p. 58

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restino nella mente della donna e non trovino modo di esplicitarsi in parole, per permettere la comunicazione con gli altri. Checchina è infatti a disagio a domandare un maggior numero di soldi a Toto, che si dimostra avaro e sempre pronto a lamentarsi delle continue spese che deve sostenere. Anche la serva Susanna avrebbe fatto opposizione per la cena con il marchese, limitandosi a aiutarla il meno possibile.

Anche, per lasciare quelle tre lire, Toto borbottava; e Susanna, in cucina, giurava nel nome di Santorsola, patrona di tutte le vergini, che non ci si arrivava, non ci si arrivava, e i beccai erano tanti cani e i fruttaroli tanti ladri di strada. Come avrebbe fatto per chiedere a Toto tutti questi quattrini, pel pranzo del marchese? Giusto aveva prestato le sei lire, risparmiare a furia di stenti, a quella sventata d’Isolina: con sei lire qualche cosa si poteva fare… e a quest’ultimo pensiero, arrossì, ricordandosi. Poi si alzò, andò in cucina e stette a guardare distratta, Susanna che tagliava minuziosamente una pastinaca per metterla nel brodo. Non diceva nulla, tutt’assorbita. (p. 218)

Checchina non è in grado di manifestare le ragioni della sua preoccupazione, di fronte a Susanna che si lamenta delle continue ristrettezze con cui deve procurare i generi di necessità, contrattando il prezzo con ogni venditore. La protagonista è in grado di dire una cosa sola: chiede alla serva

− Li sapresti fare, Susanna, i riccioli sulla fronte? − Quali riccioli? − chiese l’altra sbalordita.

− Come quelli di Isolina – mormorò la padrona, a bassa voce. (p. 218)

Si risveglia nella donna il sentimento di orgoglio femminile, vorrebbe curare la propria persona per il pranzo con il marchese. Nel terzo atto della commedia si descrive l’arrivo del marchese e la cena. Checchina ha dovuto preparare da sola le cibarie e pensare a predisporre la casa per l’ospite, arriva dunque all’appuntamento serale con una certa stanchezza. Il nobile è connotato fin dal suo ingresso dall’abbigliamento elegante e ricercato con un atteggiamento sciolto e spigliato, al contrario di Checchina che nonostante il suo abito nuovo è ancora immersa nelle tante preoccupazioni che la cena le aveva procurato:

Il marchese era in soprabito chiuso, cravatta di raso bianco, con spillo di brillanti, a ferro di cavallo: si toglieva lentamente i guanti, donde le mani uscivano bianche e morbide, come quelle di una donna. Mentre ella restava in piedi, impacciata dal suo vestito nuovo di lana di foglia morta, con un’arricciatura di merletto al collo che le solleticava la nuca, pensava, disperatamente, che forse era meglio dargli del brodo invece degli gnocchi. (p. 219)

All’annuncio che la cena era servita, il marchese prende sottobraccio la donna e Checchina sente il profumo morbido e dolce del marchese, che inizia ad avere su di lei un effetto di seduzione. Il buon odore che l’uomo emana sembra quasi un prolungamento fine della sua persona che stordisce e cattura l’attenzione di Checchina. Anche in altri punti successivi della novella essa ricorda il profumo inebriante del marchese. La buona essenza che promana dal personaggio maschile è un ulteriore connotato del suo rango aristocratico. Maryse Jeuland Meynaud ha notato come nella produzione seraiana i dati

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olfattivi ricoprano una certa importanza213. Prendendo questo elemento dalla narrativa francese di Zola, l’autrice indica attraverso il profumo del personaggio la sua collocazione sociale. In particolare solo chi si trova in una collocazione sociale alta può permettersi il costo di fragranze dolci e profumate.

L’odore connota sociologicamente il corpo nella misura in cui, procurando un piacere olfattivo raffinato, è un lusso che la comune dei mortali non può pagarsi214.

Durante la cena sono servite le portate, Toto ha un atteggiamento di «grossa allegrezza di medico in festa, arrischiava lo scherzetto» (p. 219). Prende a raccontare del suo lavoro, accentuando i particolari più sgradevoli della professione. La moglie di fronte a questi argomenti manifesta una certa inquietudine, temendo che potessero annoiare l’ospite. Anche Susanna si dimostra molto sgarbata e poco cordiale, aumentando in Checchina il sentimento di disagio. Sembra di assistere effettivamente a una commedia. Ma il più alto grado di ridicolo si raggiunge nella sequenza successiva. Finito il pranzo, i personaggi si spostano nel salotto. Toto, abituato a riposare dopo il pasto, dapprima si appisola mentre il marchese sta parlando, poi esce apertamente dalla stanza, senza salutare, recandosi nella camera da letto. Tutto questo avviene sotto i vigili occhi di Checchina, che con sguardi fortemente espressivi cerca di ordinare al marito cosa fare. Il marchese e la donna restano allora soli nella sala. L’uomo prende ad avere un atteggiamento confidenziale con la protagonista e a esercitare il suo charme. Della figura infatti la donna percepisce due particolari di seduzione: innanzitutto l’uomo mostra «il piede aristocratico, calzato dalla calza di seta rossa e dalla scarpa di copale»; e poi la figura femminile è catturata da «quel molle profumo di violetta, che le dava un intenerimento ai nervi». (p. 221). È in atto il corteggiamento del marchese sulla donna. Il nobile per conquistare la donna ricorre dunque agli elementi che caratterizzano la sua condizione aristocratica, l’eleganza e la raffinatezza dell’abbigliamento e del profumo sono tutti elementi che esercitano su Checchina un fascino irresistibile, abituata com’era a una condizione di decente miseria piccolo-borghese. Un’altra arma che impiega il marchese per sedurre Checchina è la descrizione della sua sfarzosa abitazione:

La casa è solitaria – mormorò egli, di nuovo, guardando Checchina – in quella malinconica via dei Santi Apostoli. La conoscete? Sì?... mi fa piacere. […] Non vi è mai nessuno in casa mia. […] Il quartierino ha le triplici tende di seta gialla, di merletto bianco e di broccato che lo difendono dalla soverchia luce. Io amo molto la penombra, in cui si può sonnecchiare. Vi sono dei tappeti dappertutto, e la casa tutta quanta è un po’ foderata, un po’ imbottita, contro il freddo: il caminetto del salotto ha sempre una fiammata viva. Io sono molto freddoloso: nel calduccio mi sento felice. Sono sempre solo, in quella casa: per divertirmi, abbruccio una pastiglia orientale che profuma la stanza. (p. 222)

La descrizione della propria casa che il marchese offre alla donna si traduce apertamente come un invito a iniziare con lui una relazione adulterina. Il marchese esegue

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Maryse JEULAND MEYNAUD, Immagini, linguaggio e modelli del corpo nell'opera narrativa di

Matilde Serao, cit., p. 25

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in modo perfetto il suo ruolo di seduttore nella commedia. È interessante notare come lo spazio che descrive alla donna sia ancora un interno di salotto, certamente di lusso e arredato splendidamente. Ma la figura femminile è coinvolta nella proposta di un’altra relazione che ripete la sua collocazione in uno spazio chiuso e limitato, non prevede infatti l’apertura verso l’esterno. Si tratta per Checchina nuovamente di un’offerta di addomesticamento, certamente di lusso, ma pur sempre una dimensione in cui essa dovrebbe corrispondere ancora alla logica maschile, senza avere uno spazio per sé. Certamente emerge il vivo contrasto tra i due interni: se il primo è caratterizzato dalla freddezza e dalla decorosa miseria del contesto piccolo-borghese, il secondo si presenta come un vero e proprio nido caldo d’amore. L’opposizione tra i due ambienti appare ancora più netta se si riporta l’impressione di freddo provata dalla protagonista nel momento in cui, dopo il pranzo, il gruppo si sposta nell’altra sala:

Nel salotto, tutti tre tacquero un momento. Vi faceva freddo in quella stanzetta povera di mobili, senza tappeto, con quelle tendine grame grame. Come se si potesse riscaldarla coi lumi, Checchina fece portare l’altro lume che esisteva in casa; ma no aveva paralume e accecava, a guardarlo. Ella sedeva sul divano, ritta sul busto, sentendo per la prima volta la miseria di quella stanza e soffrendone acutamente. (pp. 220-221)

Il caldo che piace tanto al marchese si contrappone al gelo del salotto di Checchina, dato dall’assenza di tappeti, dalla scarsa luce e dal misero mobilio. Alle «tendine grame grame» del salotto borghese si oppongono le duplici tende riccamente ricamate con il merletto nel salotto del marchese. La terza scena termina con l’invito da parte del marchese e la risposta affermativa data da Checchina.