CAPITOLO 5. IL ROMANZO DELLA FANCIULLA
5.1 Novelle a scrittura biografica
5.1.1 Telegrafi dello Stato (Sezione femminile)
La prima novella della raccolta è Telegrafi dello Stato che reca fin da subito un sottotitolo interessante: (Sezione femminile). Si specifica cioè che lo sguardo dell’autrice si sofferma
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Francesco BRUNI, Nota la testo, cit. pp. VI-XIII
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UrsulaFANNING, Writing Women's Work: the Ambivalence of Matilde Serao, in «Italian Studies», XLVIII, 48, 1993, p. 66
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Francesco BRUNI, Nota la testo, cit. pp. VI-XIII
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soprattutto sull’ufficio femminile delle giovani ausiliarie, che costituiscono il coro di personaggi che animano la narrazione. Per analizzare la novella, si sceglie di seguire la ripartizione interna del testo attraverso la quale possono emergere tutte le riflessioni interessanti. Innanzitutto il racconto è strutturato in quattro capitoli che narrano lo sviluppo della vicenda delle protagoniste per l’arco di un anno. La novella si apre nell’inverno di un anno non precisato, per chiudersi nell’autunno successivo. È importante analizzare l’incipit del racconto. Si inizia con la narrazione del risveglio in particolare di una delle ragazze impiegate al telegrafo, Maria Vitale. Serao realizza un breve ritratto della fanciulla con cui è capace di cogliere i principali tratti fisici della figura, ma anche la sua preoccupazione:
Come Maria Vitale schiuse il portoncino di casa, fu colpita dalla gelida brezza mattinale. Le rosee guance pienotte; il corpo giovanilmente grassotto rabbrividì nell’abituccio gramo di lanetta nera: ella si ammucchiò al collo e sul petto lo sciallino di lana azzurra che fingeva di essere un paltoncino. (p. 7)
Già dalla prima immagine con cui la figura di Maria è offerta al lettore si intuisce dal suo povero abbigliamento la sua bassa condizione sociale. L’elemento del vestiario è infatti ancora una volta nella produzione seraiana dato connotante della situazione economica del personaggio. La ragazza ha il pensiero di essersi alzata troppo presto e infatti, non potendo disporre di un orologio, è uscita di casa circa un’ora prima del necessario. Il tanto zelo della fanciulla nello svegliarsi così in anticipo per il lavoro è spiegato poco dopo dalla voce narrante, la quale specifica che nel caso una delle impiegate al telegrafo faccia ritardo, essa subisce una multa. Vale la pena riportare anche questo passaggio testuale, poiché da esso emerge la precisione documentaria, ma anche autobiografica con cui l’autrice vuole porre sin dall’inizio il proprio lettore di fronte all’intento di denuncia dello sfruttamento delle giovani ausiliarie:
Malgrado questa sua premura, quattro o cinque volte era giunta in ufficio dopo le sette, perché non aveva l’orologio; la direttrice aveva segnato questo ritardo sul registro e Maria Vitale aveva pagato una lira di multa. Accadeva che dalle novanta lire di mesata, tra le sei che se ne prendeva il Governo per la ricchezza mobile e altre due o tre che se ne pagavano per le multe, si scendesse a ottanta, come niente. (p. 8)
L’attenzione alla scarsa retribuzione e alla facilità con cui le giovani impiegate vengono sottoposte a penalità economiche è fatta emergere dall’autrice sin dall’esordio. La tematica infatti significativa, che contraddistingue questa novella della raccolta, è quella del lavoro femminile. La tipologia della «donna che lavora» è ben rappresentata nella scrittura delle autrici di fine Ottocento: è descritta «qualche rara operaia, la modista, la sartina, la fine ricamatrice di bianco […] soprattutto il ceto medio, la maestra»253. L’elenco dei racconti che hanno per soggetto l’occupazione femminile potrebbe diventare esteso, in questo caso Serao analizza la condizione di giovani impiegate al servizio delle
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Patrizia ZAMBON, Il filo del racconto. Studi di letteratura in prosa dell'Otto/Novecento, cit., p. 39. In questo testo si può ritrovare un elenco preciso di tutte le novelle d’autrice che hanno per il soggetto il lavoro femminile.
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Poste. L’autrice nel trattare questa tematica si concentra soprattutto nel mettere in luce le condizioni di lavoro difficili, il ritmo frenetico e estenuante a cui sono sottoposte le ragazze. Denuncia la monotonia e la ripetitività del servizio, che non offre nessuna prospettiva di miglioramento o di stabilità economica. Serao tratta questo argomento anche negli articoli giornalistici, soffermandosi in particolare sulla dura condizione delle telegrafiste, «di cui sottolineava l’inadeguatezza igienico-sanitaria degli ambienti lavorativi, la meccanicità di un mestiere […] i servizi straordinari e le restrizioni imposte dalla direzione»254. La stessa attenzione per il mondo del lavoro femminile ritorna in questa novella, in cui si trova il resoconto delle condizioni delle impiegate sottosalariate e costrette a lavorare in uno spazio soffocante con una monotonia alienante. In Telegrafi
dello Stato sono presenti questi aspetti di denuncia di sfruttamento, ma sono presentati
con una diversa modalità compositiva: attraverso la forma della novella caratterizzata da una «intima liricità» e da «un corale quadro d’ambiente»255. L’autrice si pone infatti profondamente vicina ai suoi personaggi, che descrive sempre con uno sguardo di pietas, talvolta commossa. Nel racconto si offre inoltre uno sguardo su un coro di personaggi variegati e eterogenei, ma tutti accomunati dalla medesima attività lavorativa. Si potrebbero utilizzare le parole di Tommaso Scappaticci per sintetizzare meglio questa tematica seraiana:
È una fitta tipologia di figure colte nell’aspetto e nelle vesti, nella diversità dei caratteri e delle condizioni familiari, in cui la ripetizione di gesti e parole obbedisce all’intento di evidenziare l’atmosfera oppressiva di un ambiente chiuso e di un lavoro ripetitivo e poco gratificante256.
La vicinanza dell’autrice ai personaggi si rivela da come il narratore annota con attenzione gli stati d’animo delle giovani protagoniste. Maria Vitale, ad esempio, essendo uscita molto prima del necessario, si smarrisce nel gelo invernale e nel gran movimento dei venditori di frutta che preparano il loro banchetto. La fanciulla presa dallo sconforto decide di rifugiarsi nella chiesa di Santo Spirito, in cui si assopisce fino all’arrivo di una compagna:
Un’amarezza si diffondeva nella buona anima di Maria Vitale: le pareva di esser sola sola, nel vasto mondo, condannata a dormire scarsamente, condannata ad aver sempre freddo e sonno, mentre tutte le altre dormivano, al caldo […]. E l’amarezza era anche senso di abbandono, disgusto della miseria, dolore infantile: chinando il capo come a rassegnazione, entrò nella chiesa dello Santo Spirito, macchinalmente, per rifugio, per conforto.
Dalla sensazione di freddo e di sonno della ragazza si passa a indicarne uno sconforto più profondo, quasi esistenziale, legato alla miseria della condizione sociale della sua famiglia. A questo proposito si può notare come l’immagine della fanciulla offerta da Serao non rispecchia più la tradizionale figura sentimentale e delicata, tutta volta all’amore, presente nella tradizione dei romanzi, ma al contrario una giovane reale,
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Tommaso SCAPPATICCI, Introduzione a Matilde Serao, cit., p. 95
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Patrizia ZAMBON, Il filo del racconto. Studi di letteratura in prosa dell'Otto/Novecento, cit., p. 27
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sulle cui spalle ricade il peso della povertà familiare. È utile a questo proposito riportare il contributo di Piero Luxardo Franchi il quale osserva:
Quella che lentamente si costruisce e si delinea, attraverso questi racconti, è la fisionomia di una «fanciulla» che ha poco a che fare con i miti e i clichés letterariamente sfruttati in quegli anni; più che l’amore e la passione giocano un ruolo soverchiante nel matrimonio dote e status sociale, più che vocazione e dedizione al dovere contano, nella scelta di una professione, costrizioni economiche e modelli di riferimento concreti257.
La notazione fatta dallo studioso offre un’ottica interessante dalla quale poter osservare tutti i ritratti di fanciulle descritti nell’impostazione corale della novella. Le altre figure femminili vengono presentate esattamente nell’ordine con cui il primo personaggio le incontra. Si tratta di rapidi ritratti in cui si concentrano le caratteristiche essenziali delle ragazze. La prima a risvegliare Maria Vitale dal torpore mattutino è:
Giulietta Scarano, una fanciulla dai bei capelli castani, dalla testina piccola sopra un corpo grasso, dagli occhi chiari e sempre estatici, sorrideva mitemente, accanto a lei, guardando l’altare maggiore, dove lo Spirito Santo risplendeva in una raggiera d’oro. (p. 10)
Le due compagne si incamminano verso il luogo di lavoro e alla spicciolata viene offerta una breve presentazione di tutte le fanciulle della novella. Nell’androne del palazzo la coppia di amiche incontra Cristina Juliano, della quale viene precisato anche il vestiario che caratterizza la sua figura senza forme e mascolina:
Sembrava un brutto uomo, vestito da donna, con il suo grande corpo sconquassato, troppo largo di spalle, troppo lungo di busto, senza fianchi, con le mani grandi, i polsi nodosi e piedi enormi. Portava ancora il cappello di paglia bianca, dell’estate, abbassato sulla fronte per mitigare lo spavento che produceva il suo occhio guercio, bianco, pauroso: e per scoprire la dovizia meravigliosa di due treccioni neri, una ricchezza strabocchevole di capelli, che le tiravano la testa indietro, pel peso. (p. 12)
Un altro ritratto a cui Serao dedica attenzione è quello di Adelina Markò, di cui subito l’autrice dichiara l’appartenenza a quella particolare categorie di ausiliarie, composta dalle «due o tre felici signorine, che lavoravano solo per farsi i vestiti, per comprare la biancheria del corredo» (p. 12). Si tratta dunque di una situazione economica migliore rispetto all’indigenza che costringe invece le altre ragazze a trovare un’occupazione, per aiutare la propria famiglia. Se Cristina rappresenta una figura femminile sgraziata, goffa, Adelina incarna la bellezza della leggiadria e della flessuosità: Si lisciava, con la punta delle dita, i capelli biondissimi, ondulati che il vento aveva scomposti; ma il vento aveva reso più vivida la bella bocca dalle labbra delicatamente rialzate agli angoli, aveva colorito piacevolmente quella fine carnagione dorata di bionda. La leggiadra e flessuosa persona diciottenne era ben riparata in un vestito caldo e elegante di panno verde cupo. Una piuma volitante sul cappello di feltro verde, le dava un aspetto di amazzone giovanile, una figura di fanciulla inglese, aristocratica, pronta per montare a cavallo. Non era né povera né popolana. (p. 12)
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Oltre alle iniziali raffigurazioni delle fanciulle, viene riportata anche la descrizione del luogo in cui le ragazze lavorano. Ancora una volta nella scrittura seraiana si dedicano importanza e attenzione alla dimensione spaziale. Si tratta di un vecchio palazzo storico che già nell’aspetto è caratterizzato da un senso di oscurità e di chiusura:
Erano innanzi al palazzo Gravina: severo palazzo bigio, di vecchio travertino, di architettura molto semplice. Pareva, ed era, molto antico, certo aveva visto succedersi, dietro le sue muraglie profonde, casi lieti e casi truci […]. Ora le sue stanze terrene, sbarrate ermeticamente sulla via, si aprivano al pubblico, sotto il portico nell’interno del cortile e servivano da uffici postali: intorno ai suoi finestroni larghi e alti, sugli spigoli dei suoi muri oscuri era una fioritura verticale di funghi bianchi, gli isolatori telegrafici di porcellana. (pp. 11-12)
L’ambiente raffigurato dalla Serao si carica di un’aria di austerità e di isolamento, le ragazze, infatti, una volta entrate nel grigio stanzone nel quale passano l’intera giornata di lavoro, è come subissero una trasformazione. Entrano infatti in una dimensione spaziale contrassegnata dal buio, dalla polvere ma soprattutto da un senso di oppressione fisica quasi claustrofobica. L’autrice pone molta attenzione nel descrivere minuziosamente il luogo che acquista un significato di isolamento e di repressione, quasi si trattasse di un carcere. Non casualmente poco dopo nel testo le ragazze sono definite come «galeotte». Così è presentata l’entrata delle ragazze nel luogo:
Come entravano in quell’anticamera tetra, la burocrazia avvinghiava l’anima di tutte quelle ragazze, il frasario di ufficio, sgrammaticato e convenzionale, fioriva sulle loro labbra. Quelle già arrivate, chi seduta, chi presso la finestra per avere un po’ di luce, parlavano già di linee, di guasti, d’ingombri sui circuiti diretti. (p. 13)
Entrate nell’anticamera del luogo di lavoro, il senso del dovere, il pensiero di ciò che le avrebbe occupate per tutta la giornata si impadronisce di quelle ragazze. L’ambiente è tutt’altro che caldo e accogliente, al contrario quasi spoglio di mobilio, tetro. Vi è un’unica finestra che apre tuttavia di nuovo su un altro spazio chiuso, un vicolo, quasi ad amplificare la sensazione di separazione rispetto all’ambiente esterno. In questo spazio vuoto e grigio gli unici oggetti che emergono sono gli elementi di lavoro: le macchine telegrafiche, i regolamenti, gli editti editoriali. Aleggia nella stanza anche un forte senso di rispetto e ubbidienza all’autorità, che è finora presentata per il tramite cartaceo dei severi manifesti appesi alle pareti.
Lo stanzone era cupo ed esse sbassavan la voce, per istinto. L’unica finestra dava sullo stretto vicolo dei Carrozzieri; l’oscurità dell’anticamera era aumentata dal grande armadione diviso in tanti armadietti, dove le ausiliarie riponevano i cappelli, gli ombrellini […]. In mezzo allo stanzone, un grande tavolino di mogano: a una parete un divano di tela russa: nessun altro mobile. Negli spazi liberi delle pareti, chiusi in sottili cornici di legno nero, senza cristallo, pendevano l’indice alfabetico delle ausiliarie e delle giornaliere, il regolamento interno, l’ultimo editto editoriale, una carta geografica e telegrafica d’Italia. (p. 13)
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Apre alle ragazze l’inserviente dell’ufficio, Gaetanina Galante, di cui subito, quasi con una deformazione delle favole, si colgono nel «viso appuntito e olivastro di volpe maligna» l’astuzia e l’opportunismo. Esse, appena arrivate, non badano al regolamento o alle comunicazioni della direzione, ma cercano con una certa ansia il foglietto in cui il loro nome è affiancato dalla linea telegrafica con cui avrebbero dovuto tenere la corrispondenza tutto il giorno. Tuttavia, il turno di lavoro non è ancora iniziato, le ragazze attendono dunque nell’anticamera, badando a delle piccole occupazioni personali. Nelle diverse distrazioni delle fanciulle si coglie chi abbia la passione per il teatro, chi per la lettura e chi per il ricamo, ma dall’immagine delle ragazze rinchiuse in questa stanza d’ingresso, intente a piccole attività di svago, emerge anche un senso di frustrazione. La vivacità e il desiderio di allegria e spensieratezza che appartengono alle giovani paiono essere repressi dalla severità e dalla limitatezza del luogo. Si accenna in questa prima scena un altro tema importante della novella: lo spegnimento vitale che queste ragazze subiscono a causa del ritmo lavorativo duro e ripetitivo, che soffoca la loro vivacità e spensieratezza. I loro anni giovanili paiono consumarsi infatti nella «noiosa monotonia di un’attività che fiacca il loro fremente desiderio di vita»258. Questa tematica attraversa tutta la novella e si collega soprattutto ai progetti d’amore o di libertà che queste ragazze nutrono proprio in alternativa alla loro professione alienante ed estenuante. L’amore si configura per loro innanzitutto come una distrazione da un’occupazione che esige una medesima concentrazione per un lungo periodo di tempo. Ma esso diventa anche la dimensione in cui riporre la possibilità di una vita migliore, non solo sul piano affettivo, ma anche in quello sociale e economico. Nell’analisi del testo emergono con forza questi significati che l’autrice vuole trasmettere nella narrazione. Nel breve spazio di tempo che è ancora concesso alle ausiliarie, esse raccolgono per sé questo momento, per dedicarsi a quelle occupazioni a cui non potrebbero badare a causa dell’orario lavorativo prolungato e logorante. Nel descrivere l’attesa delle impiegate, Serao coglie l’occasione per ritrarre altri profili femminili della vicenda:
Queste galeotte del lavoro non si lagnavano ad alta voce, per superbia; ma se ne stavano ognuna in un cantuccio, imbronciate, senza parlarsi e senza guardarsi. Maria Morra si ripassava la parte di Paolina nei Nostri Buoni Villici […] Sofia Magliano, una brunetta, dal lungo viso caprino, covava il dispetto, lavorando a una sua stella, all’uncinetto; Serafina Casale, piccola, fredda, orgogliosa, pallida e taciturna, prendeva del citrato di ferro in un’ostia bagnata, per guarire dall’anemia che la minava; e Annina Pescara aveva la bella faccia rotonda tutta conturbata dall’idea di dover lavorare con quella noiosa di Serafina Casale. (p. 15)
Dal quadro appena riportato emerge un’altra caratteristica importante delle figure femminili nella novella: il silenzio, la reticenza con cui queste fanciulle non comunicano direttamente l’una con l’altra, tendono invece a contenere dentro di sé le proprie emozioni e i propri pensieri. La repressione della loro personalità in questa circostanza è dovuta alle piccole inimicizie presenti nel gruppo di ragazze, ma la situazione sin da subito pone
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all’attenzione del lettore un problema ben preciso: le ragazze, oltre che a subire una repressione fisica e lavorativa nello scuro ambiente in cui trovano, devono celare e sommergere i loro veri sentimenti, lasciando trapelare solo quell’immagine, che è per la verità una maschera, di precisione e puntualità e di grande senso del dovere fino al sacrificio personale per il lavoro. Ancora una volta, il femminile nella narrativa seraiana è collegato alla finzione, alla recitazione di una parte che le convenzioni sociali e, in questo caso, lavorative impongono alle ragazze. Arrivate le prime in ufficio chiedono infatti se la direttrice è già arrivata, alla risposta negativa delle serva, esse «respirarono. Era sempre meglio giunger prima della direttrice, per dimostrar zelo e amore d’ufficio» (p. 13). A questo proposito è utile riportare l’osservazione fatta da Vittorio Roda:
Il luogo di lavoro esige, da quel manipolo di ragazze, la repressione di tutta una parte di sé, sacrificata ad una maschera professionale che ha anche i suoi codici espressivi, il suo particolarissimo linguaggio259.
All’ingresso del palazzo Gravina, le ragazze devono infatti come indossare una sorta di maschera lavorativa, che impone loro una precisa immagine di ubbidienza e di dedizione al lavoro, soffocando però così la componente autentica delle loro personalità. In altre occasioni, come si vedrà nella lettura del testo, emerge il contrasto tra la vitalità che anima queste figure femminili che nutrono speranze e progetti autentici per il loro futuro e viceversa la repressione che esse subiscono da un ambiente che richiede loro di indossare la maschera del decoro, del massimo rispetto all’autorità e del grande zelo per il lavoro. L’indossare questo ruolo può tuttavia comportare dei rischi: il primo è la spersonalizzazione che esse subiscono dovendosi adattare a un’immagine altra da sé. In secondo luogo il contenimento a cui devono sottoporre le loro emozioni le può condurre allo spegnimento del loro slancio giovanile, come si vedrà nel caso del turno obbligatorio della notte di Natale. La caratteristica di finzione, di mascheramento di queste figure femminili è stata definita dallo studioso Vittorio Roda come «anti-epico» e «romanzesco», poiché una peculiarità del genere epico è «l’indivisa unità del personaggio», quella del romanzo al contrario «la divisione, la disgregazione, la non coincidenza dell’uomo con sé stesso»260. Merito dell’autrice è infatti la sua capacità attraverso l’analisi delle figure femminili «di far interagire il sé di superficie ed il sé profondo; di sorprendere nelle sue impiegate il difficile equilibrio fra i due sé»261.
Un’altra scena della prima sequenza degna di nota è quella dell’ingresso della direttrice nel palazzo. Anche la donna è sottoposta a una precisa descrizione iniziale e alla successiva indagine di scavo psicologico con cui si mostra la duplicità del personaggio. Si riporta per interno la citazione, dalla quale poter poi ricavare le opportune riflessioni.
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Vittorio RODA, Simulazioni, dissimulazioni e sdoppiamenti negli scritti di Matilde Serao, cit., p. 321
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Ibidem
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A un tratto, sulle voci irose, lamentose e strascicate nella noia […] un zittio passò: entrava la direttrice. Subito, in coro, a voci digradanti, più basse, più alte, acute, lente, frettolose o in ritardo, queste parole si udirono:
− Buongiorno, direttrice.
Ella salutava col capo, con un sorriso amabile sulle labbra di rosa morta. I fini capelli