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CAPITOLO 4. LA VIRTÙ DI CHECCHINA

4.5 La rinuncia di Checchina

Anche la protagonista del romanzo ricorre come Checchina allo spazio della notte e del silenzio per abbandonare la maschera, che solitamente indossa all’interno della famiglia, per far emergere la sua autentica personalità e per guardarsi allo specchio, riscoprendo la propria bellezza.

La vicenda della novella riacquista poi i toni della commedia, incorrono infatti una serie di piccoli ostacoli che impediscono alla donna di recarsi dall’amante: innanzitutto piove e l’ombrello non si trova. Dopo averlo inutilmente ricercato per tutta la casa, Susanna e Checchina concludono che deve averlo portato con sé Toto, uscendo per l’ospedale. La protagonista tenta allora di chiederne uno alla portinaia, pur vergognandosi della povertà della sua situazione. La portinaia tuttavia non le può dare in prestito il suo, perché lo ha il marito. La donna decide allora di aspettare la fine della pioggia. Tuttavia cessato il maltempo, quando finalmente Checchina si risolve a uscire, arriva la lavandaia per portare i panni puliti e per riscuotere il pagamento. Lucienne Kroha nota a proposito della serie comica di impacci in cui incorre la protagonista prima di uscire:

Each of these impediments occasions a long naturalistic description which undermines the story’s progression toward the opposite, late-Romantic genre224

.

La sequenza continua e incalzante in cui si presentano alla donna gli ostacoli per lasciare la casa sembra effettivamente costituire l’intreccio di una scena comica che si oppone, come ha osservato la studiosa, alla tradizionale trama del genere tardo romantico. La visita della lavandaia che doveva essere rapida si trasforma in un lungo e movimentato litigio tra la donna e Susanna a causa del mancato recapito di un lenzuolo e dello scambio di un fazzoletto. Per questa serie di banalità Checchina, per quanto decisa ad andare dal marchese, finisce per ritardare. La protagonista si ostina a uscire, Susanna, non ritenendo conveniente che uscisse sola, vuole accompagnarla. Checchina a questo punto non ha via di scampo e deve recarsi sul serio fino da Isolina, la quale tuttavia non è a casa. La giornata si conclude così a vuoto, rendendo impossibile l’appuntamento tra i due amanti.

4.5 La rinuncia di Checchina

La sesta sequenza e l’ultimo atto della novella si aprono con la precisa rassegna di Susanna di tutti i cartocci comprati nella spesa, di cui si specifica anche il valore economico. Nella busta della spesa si trova anche una lettera per Checchina, che a contatto con gli alimenti si è sporcata di sugo, il particolare aumenta la comicità della novella, infatti se la busta è confrontata con le eleganti lettere d’amore di altre novelle

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Alba DE CÉSPEDES, Quaderno proibito, Bergamo, Euroclub, 1980, p. 163

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sentimentali, questa si offre alla destinataria sporca e imbrattata di pomodoro. L’oggetto è trattato da Checchina con particolare riguardo e la lettera stessa diventa una sorta di personificazione del marchese. La donna, dopo aver letto il contenuto del messaggio, sembra essere colta da un malore, tanto forte è l’intensità del sentimento che la lettera veicola:

D’un tratto, dopo la lettura, a Checchina parve di vederselo inginocchiato innanzi, il bel marchese d’Aragona, in quella cucina umida e buia; e cominciò a tremare tutta e tutto le girò intorno, vorticosamente, la casseruola sul focolare, la graticola sospesa al muro, i ferri da stirare […], le parve una tempesta. (p. 249)

L’oggetto acquista un’importanza decisiva, si delinea come un prolungamento della persona aristocratica e raffinata del marchese. Ne condivide lo stile elegante e il profumo. Attraverso la lettera Checchina sembra entrare in contatto con l’amante deluso della mancata presenza della donna all’appuntamento. La protagonista, ricevuto il messaggio ha però il terrore di essere scoperta, decide di rifugiarsi allora nella stanza della casa che è scrigno della sua interiorità: la stanza da letto. Essa riprende il messaggio e lo rilegge più volte.

Oh quella bella lettera, con quella corona di marchese, semplice semplice, scritta con quel caratterino così sottile, così signorile, con l’inchiostro azzurro asciugato dall’arena di oro! Le parole si allungavano languidamente, voluttuosamente, tenendosi per mano, legate da certe lineette esili esili; sotto la grande firma, chiara e larga, come sonante e squillante. Due o tre volte, ella ripeté sotto voce: Ugo di Aragona. (p. 249)

La lettera elegantemente scritta e profumata dimostra essere, oltre che un’efficace e tradizionale arma di seduzione, una personificazione del marchese stesso. L’importanza che gli oggetti rappresentano nella narrativa è riportata anche da Paola Blelloch:

In questa prosa è delegata agli oggetti la funzione di parlare e di raccontare la storia. […] L’oggetto non ha soltanto un valore materiale, non evoca semplicemente un’atmosfera, ma contiene in sé l’ambiente e i personaggi; e, come tale, non è più soltanto corollario della storia ma è esso stesso la storia225.

Se Checchina non ha diritto di parola ed è anzi costretta al silenzio, è la lettera a rivelare la sua passione amorosa verso il marchese. Il suo amore verso Ugo d’Aragona non è mai dichiarato esplicitamente, neppure dalla voce narrante, ma è alluso dall’attenzione che essa dedica al suo scritto.

È importante aggiungere sempre in relazione alla lettera un’altra osservazione interessante. Checchina una volta riletta e studiata come oggetto d’amore, deve affrontare il problema di nasconderla. Pensa innanzitutto di poterla memorizzare, per poi distruggerla, ma si rende conto di non riuscirvi. Prende allora in esame i diversi posti

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dove avrebbe potuto celare il messaggio, ma ben presto si accorge di non avere per tutta la casa un solo spazio per sé:

Pensò un momento di nasconderla in qualche posto, ma dove? Del cassettone e dell’armadio, Toto le chiedeva ogni momento le chiavi per prendere qualche cosa; la tavola da pranzo aveva il cassetto col pomo di legno, senza serratura, e il tavolino da giuoco, nel salotto non aveva cassetti. Era inutile, era meglio tenerla in tasca, stava più al sicuro […]. (p. 250)

La considerazione di non avere neppure un luogo a propria disposizione, in cui poter riporre i propri oggetti, accomuna Checchina a un'altra figura femminile, oppressa nella dimensione domestica della casa. Si tratta ancora una volta di Valeria in Quaderno

proibito. La donna non deve nascondere la lettera di un amante, ma il proprio quaderno in

cui annota giornalmente tutti i propri pensieri. Come Checchina, anche Valeria si accorge ben presto di non avere in tutto lo spazio domestico un solo angolo per sé:

“Lo metterò nell’armadio” pensavo, “no, Mirella lo apre spesso per prendere qualcosa di mio da indossare, […]. Il comò, Michele lo apre sempre. La scrivania è ormai occupata da Riccardo”. Consideravo che non avevo più in tutta la casa un cassetto, un ripostiglio che fosse stato mio. Mi proponevo di far valere da quel giorno i miei diritti226.

La condizione che accomuna le due donne è quella di non poter disporre di uno spazio per sé: questo avviene non solo in senso concreto, non avendo Checchina e Valeria un ambiente in cui poter conservare del proprio materiale, ma anche a livello più profondo. Le due donne non hanno cioè il modo di dar voce ai propri pensieri, alle considerazioni della propria femminilità: per Valeria è possibile ricorrere alla scrittura, a Checchina non resta che mantenere il silenzio sul magma profondo di emozioni che le sconvolgono l’interiorità. La protagonista decide infatti di tenere la busta in tasca e assume un atteggiamento nervoso e inquieto. Checchina annuncia a Susanna di voler tornare a far visita all’amica, ma il silenzio della serva la insospettisce. La donna anziché indagare maggiormente su quanto Susanna potesse immaginare decide ancora una volta di non dire nulla. È il narratore a rivelare al lettore la sua preoccupazione:

Checchina s’impensieriva ancora di Susanna. Che avesse sospettato qualcosa? Non ci mancava che questa. Ella si fermava, abbottonandosi il vestito, presa da una fiacchezza e da una sfiducia: poi la musica triste che era nelle parole scritte dal marchese, le toccava certe fibre del cuore per cui trasaliva e si sbrigava a vestirsi. (p. 251)

All’uscita di Checchina dalla sua attenzione prende di nuovo il sopravvento nella novella la tonalità di commedia. Innanzitutto la protagonista si dimentica la lettera nella veste di casa e nell’aprirle la porta Susanna ha proprio tra le mani il vestito. Checchina le dice di essersi dimenticata di portare con sé il messaggio, perché vuole farsi spiegare da Isolina alcune cose. Tuttavia la donna non è certa di avere ingannato del tutto la serva.

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Ritornando in strada verso il quartiere del marchese, incontra un amico di Toto, che in tono scherzoso le dice:

− Ci ha degli affari, lei, sora Checca? Lo dirò al sor Toto, sa, che stia attento – disse l’altro, con la sua grossa malizia romanesca. (p. 252)

L’affermazione dell’amico è una battuta spiritosa, che tuttavia coglie esattamente in pieno il motivo dell’uscita di Checchina, la quale si affretta a spiegare che si sta recando dalla sarta per un vestito. Il conoscente le crede e la saluta. La donna è poi presa da una grande ansia di essere scoperta a tradire il marito che una serie di preoccupazioni le si affollano nella mente:

Ella riprese la strada, sempre più agitata. Adesso anche il sor Sandro che sarebbe venuto, che avrebbe detto, che avrebbe raccontato, che avrebbe scherzato di nuovo – e Susanna, a casa, che aveva forse letta la lettera e che dalla finestra l’aveva vista voltare per il Nazzareno, invece che per S. Andrea. E chissà per le vie, quante persone che conosceva l’avevano incontrata e notata ed ella non se n’era accorta! (p. 252)

Con questi pensieri Checchina continua a camminare, con lo sguardo a terra, senza avere il coraggio di guardare in viso i passanti. Ad un tratto una voce femminile la chiama, avendola riconosciuta. Si tratta di Isolina, la quale non è come al solito vestita con eleganza e con un abbigliamento prezioso, ma al contrario «vestita male, con un cappello vecchio e coi guanti ricuciti» (p. 253). Al lettore appare evidente il segnale di trasformazione della donna, la quale confessa a Checchina:

− O nina mia cara cara, io dovrei starmene in letto, tanto mi sento male. Che vitaccia da cani è mai questa! Quanti dispiaceri abbiamo da inghiottire! Se sapessi, se sapessi… quell’infame di Giorgio, l’amore mio, che mi sta facendo… (p. 253)

L’amante di Isolina tradisce infatti la donna con una cameriera e al dispiacere di essere tradita in una relazione adulterina si aggiunge il peso dei debiti che la donna ha dovuto contrarre, per avere sempre vestiti eleganti e oggetti raffinati. Anche in Isolina si può scorgere dunque il profilo di una femminilità sconfitta, perché si adegua alla legge patriarcale che la usa e la vince in base alla sua logica opportunista. La donna infatti quando non è più di gradimento all’amante è abbandonata a sé stessa e a lei non si devono spiegazioni. Checchina le confessa la visita che sta per fare al marchese e la donna ne condivide con lei la gioia, ammonendola però di prestare attenzione. In seguito Checchina si avvia verso i Santi Apostoli .«col suo passo saltellante di uccellino frivolo». (p. 256) Tuttavia all’ingresso della scala che dovrebbe portare al quartiere del marchese trova il portinaio a bloccare l’entrata. Essa non si scoraggia e prova a fare due o tre volte il percorso dell’isolato. Tornando, rivede sempre in quella posizione l’uomo e al terzo tentativo la donna decide di rinunciare. La rassegnazione di Checchina e il finale fallimento del suo incontro con il marchese è stato uno degli elementi più studiati dalla critica che ne ha fornito interpretazioni diverse. Si può partire dal parere di Francesco Bruni, il quale sostiene che nonostante la donna si fosse avviata all’appuntamento, non

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era del tutto convinta. Nel momento decisivo in cui avrebbe dovuto chiedere al portinaio di lasciarla passare, avrebbe agito su di lei .«uno strato ancor più profondo della sua coscienza […], sul quale è rimasto depositato un patrimonio di dettami e regole morali»227. Ciò che avrebbe frenato Checchina dal salire le scale verso l’amante sarebbe stato dunque un dettato di tipo morale. Per Lucienne Kroha la rinuncia della protagonista è funzionale a avvicinare ancor più le due tipologie di femminilità rappresentate da Checchina e da Isolina. L’obiettivo è quello di dimostrare che i ruoli della moglie fedele e dell’adultera non sono poi così diversi. Tutte queste riflessioni mostrano spunti interessanti, che aiutano a delineare una figura letteraria complessa qual è Checchina. La spiegazione forse più in linea con la ricerca che ci si è proposti in questo lavoro è quella di Paola Azzolini. La studiosa dice infatti che la donna rinuncia a commettere l’adulterio con il marchese, non perché spinta da un impulso morale o di altro tipo, ma per esplicito atto di ribellione. Serao infatti attraverso Checchina ribalta con l’ironia l’immagine stereotipata della donna che la logica patriarcale si è fabbricata per sé, per lasciare intendere che la vera femminilità è altra. Checchina rinuncia e si ribella al primo addomesticamento impostole dal marito e a un secondo che rappresenterebbe per lei una seconda prigione, in cui vivere, che per quanto dorata, resterebbe pur sempre un carcere. Una conferma di ciò è il valore antifrastico della parola virtù nel titolo. Paola Azzolini ne offre una lettura nuova. Non si tratterebbe infatti della virtù coniugale, ma con la qualità femminile propria della donna, che in questo caso è

senza merito, perché senza libertà. È la cosa che applicata a Checchina non esiste, perché è stata stabilita in sua assenza, in assenza delle donne228.

Ancora una volta, in questo caso nel titolo, il femminile si connota all’insegna della privazione e dell’assenza: la protagonista non dispone di quell’attributo indicato dal titolo non per una sua responsabilità mancata, ma perché non ha la possibilità di dimostrarla. Una conferma della corretta lettura da dare alla novella proviene dalle parole dell’autrice stessa, nella lettera indirizzata a Sonnino, già citata all’inizio del capitolo. L’autrice esplicita chiaramente l’intenzione compositiva di Checchina, bastano le sue parole a ritenere valida l’opinione di Paola Azzolini:

Infine Checchina non è assolutamente priva di idealità. Io volevo qualche cosa, oltre l’arte, scrivendola: volevo dimostrare quanto sia infelice la vita borghese e come si svolga monotona, senza lucentezza di sentimenti, tutta vincolata dalle piccole cose, consumata nella noia, in cui lo stesso peccato è privo di poesia e la colpa appare più brutta, perché più meschina229.

Anche in un altro contributo di Lucienne Kroha emerge il significato che l’autrice voleva veicolare attraverso il personaggio letterario di Checchina. La figura

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Francesco BRUNI, Il romanzo della fanciulla, cit. p. XXXV

228

Paola AZZOLINI, Matilde, l'inaddomesticata, cit., p. 66

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femminile, «troppo realistica»230 e totalmente diversa e opposta alle protagoniste dei romanzi sentimentali tardo romantici offre un’immagine nuova e più autentica del femminile.

The ironic tale of the all-too-human Checchina’s adulterous non-adventures is generally considered one of Serao’s more fully-realized works. […] Serao was indeed aware of the radical inadequancies of literally images of women and was anxious to arrive at some compromise between these images and “reality”231.

Il cammino verso la rappresentazione della “vera femminilità” era però appena iniziato per Serao, la scrittrice avrebbe continuato realizzando il suo intento con l’opera successiva, Il romanzo della fanciulla.

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Lucienne KROHA, The Woman Writer in Late-Nineteenth-Century Italy, cit., p. 116

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