• Non ci sono risultati.

CAPITOLO 2. LEGGENDE NAPOLETANE

2.1 Il mito dell’amore: le origini

L’ordine seguito dalla Serao in Leggende napoletane e nelle successive edizioni è di tipo cronologico. Se il volume è «una sorta di fenomenologia dell’amore, seguendo una rinnovata metamorfosi ovidiana»99, è necessario ripercorre il mito di Parthenope dalle sue remote origini, per proseguire in un secondo momento con lo studio del periodo della dominazione angioina e aragonese. Proprio l’origine dell’amore è l’argomento della prima novella Parthenope (La città dell’amore). Fin dall’incipit della novella, si crea un particolare legame tra il sentimento e spazio naturale. Il racconto è suddiviso in cinque sezioni, con cui Serao ha deciso di ripartire la narrazione, creando un ritmo ben preciso. Innanzitutto l’autrice inizia, come in tutti gli altri racconti, con un appello diretto al lettore:

Mancano a noi le nere foreste del Nord, le nere foreste degli abeti, cui l’uragano fa torcere i rami come braccia di colossi disperati; mancano a noi le bianchezze immacolate della neve che danno la vertigine del candore; mancano le rocce aspre, brulle, dai profili duri ed energici; manca il mare livido e tempestoso. (p. 29)

Con poche pennellate Serao descrive un paesaggio nordico che costituisce il tipico sfondo delle novelle tardo romantiche. La scrittrice tuttavia accenna a questo ambiente connotato dal freddo, dalla neve e dalla percezione dell’ostilità della natura, per metterlo in contrasto con il panorama offerto dalla città napoletana:

qui una natura reale, aperta, senza nebbie, ardente, secca, eternamente lucida, eternamente bella che fa vivere l’uomo nella gioia e nel dolore della realtà. Lontano si sogna nella vita; qui si vive in un sogno che è vita. (pp. 29-30)

Nel confronto i paesaggi nordici appaiono sognare e ambire ad un’atmosfera altra, i luoghi meridionali invece offrono di per sé stessi una natura da sogno, in cui poter vivere ogni giorno. Anche la conclusione dell’invocazione è interessante, mostra in nuce il messaggio e il senso sottesi a tutta l’opera:

Ma a questo dramma, a questa vittoria cruenta dello spirito sul corpo, vien dietro un altro dramma […] dove il pensiero e il sentimento non vincono la vita, ma vi si compenetrano e vi si fondono; dove l’uomo non uccide una parte di sé per la esaltazione dell’altra, ma dove

99

74

tutto è esistenza, tutto è esaltazione, tutto è trionfo: il dramma dell’amore. Le nostre leggende sono l’amore. E Napoli è stata creata dall’amore. (p. 30)

Serao accenna al dualismo tra mente e corpo-sentimento presente nella cultura del suo tempo. La sua scrittura, che aveva già definito nella prima edizione «d’immaginazione e di sogno», vuole eseguire una composizione unitaria delle due dimensioni, senza che l’una escluda l’altra. L’elemento che è in grado di fondere la realtà mentale e emozionale è proprio l’amore, dal quale nasce la città di Napoli, nella quale continuano a persistere i segni tangibili di questa procreazione.

La seconda sezione del testo narra la vera e propria vicenda del mito classico dell’amore tra Cimone e Parthenope. L’autrice riprende la storia del patrimonio greco, evidenziandone gli aspetti più significativi con una sensibilità tardo-romantica. La descrizione della fanciulla rispecchia esattamente i criteri di bellezza della classicità: il suo fascino femminile è paragonato a quello di una dea.

Invero era bellissima: era l’immagine della forte e vigorosa bellezza che ebbero Giunone e Minerva, cui veniva rassomigliata. La fronte bassa e limitata di dea, i grandi occhi neri, la bocca voluttuosa, la vivida candidezza della carnagione; lo stupendo accordo della grazia e della salute in un corpo ammirabile di forme, la composta serenità della figura, la rendevano tale. (pp. 30-31)

In particolare Parthenope è descritta nell’atto di contemplare l’orizzonte, con lo sguardo diretto al mare, pensando all’«ignoto, il mirabile, l’indefinibile» (p. 31). La mente della giovane è presa dalla dimensione del sogno, l’atmosfera che la circonda ha infatti contorni vaghi e rarefatti. La ragazza non percepisce la carezza del vento, né il rumore delle onde, pare anzi essere immersa in una dimensione sovrasensibile. La descrizione dell’ambiente risponde perfettamente ai gusti del romanticismo:

Ella godeva sedere sull’altissima roccia, fissando il fiero sguardo sul mare, perdendosi nella contemplazione delle glauche lontananze dello Ionio. Non si curava del vento marino che le faceva sbattere il peplo, come ala di uccello spaventato; non udiva il sordo rumore delle onde che s’incavernavano sotto la roccia; scavandola poco a poco. L’anima cominciava per immergersi in un pensiero. (p. 31)

Essa s’innamora di Cimone e l’amore determina in lei il passaggio all’età adulta. I due giovani decidono di partire e di lasciare le sponde della Grecia, dove la loro unione era contrastata dalle famiglie, per andare verso l’ignoto. La terza sequenza si apre, dando ancora una volta un’importanza significativa allo spazio, che quasi diventa personaggio, un complice aiutante della nuova coppia. La natura infatti sembra aver anticipato e atteso il loro arrivo, preparandosi da molto tempo per la loro venuta:

Sono mille anni che il lido imbalsamato li aspetta. Mille primavere hanno gittata sulle colline la ricchezza inesausta, rinascente della loro vegetazione – e dalla montagna sino al mare si spande il lusso irragionevole, immenso, sfolgorante di una natura meravigliosa. (p. 33)

75

La narrazione procede poi, mostrando come i due innamorati, giunti a Napoli, abbiano trasmesso il loro amore all’ambiente circostante, individuando in modo preciso i luoghi naturali della città:

Parthenope e Cimone vi portano l’amore. Dappertutto, dappertutto essi hanno amato. Stretti l’uno all’altra, essi hanno portato il loro amore sulle colline, dalla bellissima, eternamente fiorita di Poggioreale, alla stupenda di Posillipo; essi hanno chinato i loro volti sui crateri infiammati, paragonando la passione incandescente dalla natura alla passione del loro cuore […] (p. 34)

Cresce il loro amore in ogni stagione. Nella leggenda si passa dal mito all’orizzonte della storia antica. Il racconto narra infatti l’arrivo della famiglia di Parthenope, che partendo dalla Grecia giunge nel luogo che la fanciulla ha scoperto. Si registra anche lo sbarco di popoli lontani, che accorrono, dopo aver sentito la notizia di questa terra fertile e amorosa. Serao, così facendo, vuole spiegare le origini greche della propria città. L’autrice non indaga in profondità le informazioni storiche, ma mantiene piuttosto uno sguardo poetico, quasi epico su questi personaggi. Descrive così l’arrivo dei migranti e la formazione del primo nucleo del villaggio:

Sulle fragili imbarcazioni accorrono colonie di popoli lontani che portano seco i loro figliuoli, le immagini degli dei, gli averi; alla capanna del pastore sorge accanto quella del pescatore; la rozza e primitiva arte dell’agricoltura, le industrie manuali appena sul nascere, compiono fervidamente la loro opera. (p. 35)

La scrittrice racconta poi la storia della prima civiltà: il costituirsi di due villaggi su due colli, la creazione delle mura che cingono la città. Parthenope non è più ora solo fanciulla, ma donna, madre di dodici figli. Ha dunque esercitato pienamente la sua femminilità. È celebrata anche come «la donna per eccellenza, la madre del popolo, la regina umana e clemente» (p. 36). Serao pone l’attenzione sull’importanza di questa narrazione come mito fondativo della città, Parthenope determina per la sua civiltà il nome, la legge, il costume, l’esempio della fede e della pietà. L’azione della fanciulla richiama alla memoria gli antichi racconti di colonizzazione della Magna Grecia, probabilmente noti anche alla scrittrice. Il suo operato è molto simile a quello dei primi οἰκιστάι greci che a partire dal VI a. C. secolo iniziarono a fondare nuove città nell’Italia meridionale: l’arrivo dei popoli descritto nel testo ricorda lo sbarco dei primi migranti greci provenienti dalle regioni dell’Attica e dall’Eubea. Inoltre le prerogative che l’autrice attribuisce alla donna Parthenope sono quelle che venivano dichiarate nei contratti di fondazione delle colonie greche prima della partenza: l’impegno di porre nella nuova comunità una legge, di fondare le mura e di regolare il culto verso gli dei. Una sola differenza la contraddistingue rispetto ai mitici fondatori di cui si narra ad esempio nel testo tucidideo delle Storie: il genere femminile. In Parthenope Serao unisce con una sintesi del tutto originale i compiti che la storia classica attribuisce ai fondatori delle colonie greche e l’idea di una femminilità primitiva e procreatrice. Da questa figura straordinaria sarebbe derivato uno status di pace e di armonia, in cui gli opposti si fondono in un equilibrio, dato proprio dall’amore:

76

La più bella delle civiltà, quella dello spirito innamorato; il più grande dei sentimenti, quello dell’arte; la fusione dell’armonia fisica con l’armonia morale, l’amore efficace, fervido, onnipossente: è l’ambiente vivificante della nuova città. (p. 36)

Nell’ultima sezione della leggenda Serao ritorna a catturare l’attenzione del lettore, appellandosi direttamente a lui, come ha già fatto all’inizio del testo. A quanti soprattutto tra gli storici vorrebbero individuare il luogo di sepoltura della vergine, Serao risponde che al contrario Parthenope immortale non ha incontrato la sua fine. Essa vive ancora nell’aria viva e fresca, nella calda luce, ispirando un sentimento d’amore alla città intera:

Parthenope non ha tomba, Parthenope non è morta. Ella vive, splendida, giovane e bella, da cinquemila anni. Ella corre ancora sui poggi, elle erra sulla spiaggia […]. È lei, che rende la nostra città ebbra di luce e folle di colori: è lei che fa brillare le stelle nelle notti serene; è lei, che rende irresistibile il profumo dell’arancio […]. È lei che fa impazzire la città: è lei che la fa languidire ed impazzire d’amore […]. Parthenope, la vergine, la donna, non muore, non ha tomba è immortale, è l’amore. Napoli è la città dell’amore. (pp. 37-38)

Nella citazione la donna è definita come vergine, nonostante poco prima Serao nella novella specifichi che la protagonista ha avuto dei figli. L’autrice probabilmente attinge in questo caso a due varianti dello stesso mito, l’una prevede che la donna abbia dei figli con Cimone, secondo un’altra tradizione Parthenope sarebbe morta vergine. Nella novella Serao sembra appoggiarsi ad entrambe le tradizioni.

Un’altra narrazione della raccolta dallo spiccato carattere eziologico è La

leggenda d’amore. In essa ciascun luogo significativo della città viene spiegato attraverso

una relazione affettiva. Si toccano tutte le sfumature del sentimento:

L’amore umanizzato, di passione e teneri sentimenti, di Nisida e Posillipo, l’amore mai compiuto di quattro fratelli, Poggioreale, Capodimonte, San Martino e Vomero, per la stessa fanciulla, di Sebeto e Megara, l’amore di Vesuvio deluso e furioso per la bella Capri, per dirne solo alcuni100.

Anche per questo racconto, Serao ricorre a una ripartizione del testo in un’iniziale appello al lettore e la successiva narrazione dei miti. Nella prima parte, si trova una descrizione dello spazio cittadino ben dettagliata, funzionale a manifestare la potenza del sentimento d’amore. La leggenda si apre su uno squarcio di Napoli, delineata con uno stile quasi verista:

In questo pomeriggio lungo di luglio un grande silenzio regna intorno; nelle vie abbruciate dal sole non passa alcuno; ed i cittadini dormono nel pesante assopimento dell’estate; vicino, sotto la finestra, in un tegame dove bolle lo strutto, scoppiettano e friggono certi peperoncini verdi ed arrabbiati; lontano in una via trasversale, un organino suona un waltzer languido e malinconico […]. Noi siamo tristi, ed il sangue che sale al capo, ci dà la vertigine: noi abbiamo l’anima di piombo e la bocca amara […] (p. 57)

Lo spazio delle strade cittadine sembra attraversato da un sentimento di languore malinconico che prende anche chi osserva il paesaggio. Anche la natura circostante pare sospirare d’amore:

100

77

Tutto è luce vivida, tutto è intensità di colore, ogni cosa si condensa; pare che si debban spaccare le pietre, che le case debban sbuzzar fuori, che le colline vogliano slanciarsi al cielo, che il mare voglia cangiarsi in metallo liquefatto e che la montagna voglia eruttare lave di fuoco – e tutto rimane immobile, tetro e grave. È per l’amore: voi, certamente, sapete che tutte le cose in Napoli, dalle pietre al cielo, sono innamorate. (p. 58)

Nell’ultima citazione si scorge un altro tratto caratteristico del racconto: oltre a rilevare l’importanza del dato eziologico, i luoghi naturali, poggi, scogliere, il vulcano sono spiegati come la trasformazione di innamorati che nel mito hanno subito questa trasformazione fisica. È ravvisabile nel testo una forte influenza delle metamorfosi ovidiane sulle vicende narrate. I protagonisti di La leggenda d’amore hanno una sorte simile ai personaggi della mitologia classica: a causa dell’infelicità della loro storia d’amore, molti di essi vengono mutati nell’aspetto in specie vegetali o in luoghi rimasti simbolici. Serao compie la stessa operazione mitopoietica che Ovidio esegue per il patrimonio dei miti classici, l’autrice invece si limita a quello delle leggende napoletane: passa infatti in rassegna i luoghi emblematici della città, spiegandoli attraverso la metamorfosi di personaggi sventurati in amore. Il destino di Dafne, Leda, Eco, figure femminili contenute nell’opera classica, non è poi così diverso da quello di Nisida, Mergellina, Megara e Capri. Rispetto ai personaggi classici i protagonisti seraiani presentano una localizzazione geografica più precisa, proprio perché l’autrice vuole dare una spiegazione eziologica ai luoghi fisici e leggendari di Napoli. L’incipit della seconda sezione della leggenda mostra un tono colloquiale, caratteristica che è stata rilevata anche da Marie Gracieuse Martin Gistucci come peculiarità della raccolta101:

Non conoscete la storiella dei quattro fratelli? Io ve la narrerò (p. 58)

Si racconta per prima la sorte di quattro fratelli, «belli, giovani, freschi, aitanti della persona», i quali si innamorano della stessa fanciulla (p. 58). Sarebbe sorta tra loro sicuramente un’aspra guerra, se la ragazza non fosse sparita un giorno, senza essere più ritrovata. I giovani sono rimasti ad aspettarla da migliaia di anni. L’autrice narra così la loro metamorfosi:

Sono cangiati in quattro colli ameni e fioriti che dal loro nome di chiamano di Poggioreale, di Capodimonte, di San Martino, del Vomero – e l’uno accanto all’altro, immobilmente innamorati, aspettano il ritorno di colei che amano. (p. 59)

La seconda vicenda riguarda un «giovanetto leggiadro e gentile», amato da tutti, che si innamora di una ragazza fredda e insensibile (p. 59). Nonostante la sua forte passione, la giovane non gli concede nessuna attenzione. La fanciulla si chiama Nisida e abita di fronte al giovane Posillipo. Una mattina egli decide di gettarsi nel mare, per non dover più sopportare la vista di lei e la sua indifferenza. Posillipo tuttavia non muore. È interessante notare che in questo caso Serao riporta alla volontà degli dei la decisione di trasformare i due ragazzi rispettivamente in un dolce pendio e in un’isola, su cui era situato al contrario un carcere di sicurezza:

101

78

Decisero però diversamente i Fati e rimasto a mezz’acqua il bel giovanetto, vollero lui mutato in poggio che si bagna nel mare e lei in uno scoglio che gli è dirimpetto: Posillipo poggio bellissimo dove accorrono le gioconde brigate, in lui dilettandosi, lei destinata ad albergare gli omicidi ed i ladri che gli uomini condannano alla eterna prigionia – così eterno il premio, così eterno il castigo. (p. 60)

Si parla anche dell’amore come passione folle, «un prodigioso abbagliamento, un miraggio fatale» (p. 60). Si narra infatti del protagonista, un semplice pescatore che non aveva mai conosciuto l’amore, il quale si innamora di una figura femminile fantastica, una Ninfa marina:

Dal corpo bianco e provocante, dai lunghi e biondi capelli che il vento sollevava, dallo sguardo verde e terso come il cristallo; ella cantava soavemente e le sue candide dita volavano sulla cetra. (p. 61)

La descrizione della figura è simile a quella di un personaggio della mitologia classica: la sirena. La fanciulla sorge infatti «dalle glauche acque» e il suo principale strumento di fascino, oltre alla bellezza, è il canto (p. 61). Il pescatore sull’imbarcazione, colpito dall’apparizione, si getta nel mare, così come vorrebbe fare Odisseo al canto delle sirene. Simbolico è anche il numero di tre volte con cui il protagonista cerca di abbracciare la donna e con cui invano ricade sotto i flutti. Anche questa vicenda termina con un riferimento di tipo topografico-eziologico: il luogo in cui il pescatore trova la morte fu chiamato Mergellina dal nome dello sventurato. E ancora è possibile nelle notti estive vedere la sirena. La narrazione successiva è definita come una «pietosa istoria dell’amore felice che è combattuto e vinto dalla morte» (p. 61). Sebeto è infatti un ricco signore che abita nella campagna di Napoli in un prezioso palazzo, egli è lo sposo innamorato di Megara, dalla quale era a sua volta corrisposto con tenerezza. Avviene però una triste tragedia, durante un viaggio in barca nel golfo di Napoli, la feluca, su cui la donna si trova, si capovolge, facendola annegare. Anche in questo caso si attua una metamorfosi:

Verso la riva Platamonia, dove il mare è sempre tempestoso, mentre i marinai volevano far forza contro il vento, la feluca si capovolse e Megara si annegò, diventando uno scoglio. (p. 62)

La reazione del marito è quella di disciogliersi in lacrime sul mare dove la sua compagna aveva trovato la morte, per Sebeto e Megara si registra dunque una doppia trasformazione come per Posillipo e Nisida. Per somiglianza con il pianto dell’uomo, Serao passa poi a narrare le origini di molte fontane napoletane, tutte legate all’infelicità di qualche personaggio:

E tutte le fontane di Napoli sono lagrime: quella di Monteoliveto è formata dalle lagrime di una pia monachella che pianse senza fine sulla Passione di Gesù; quella dei Serpi sono le lagrime di Belluccia, una serva fedele innamorata del suo signore; quella degli Specchi è fatta dalle lacrime di Corbussone, cuoco di palazzo e folle d’amore per la regina cui cucinava gli intingoli. (p. 62)

Anche nel passare in rassegna le fontane della città si possono scoprire le infelici storie d’amore che hanno portato gli innamorati a lacrime di tristezza. L’ultima vicenda

79

che Serao narra è caratterizzata dalla passione. Un signore di nobile origine, «appartenente ad uno dei primi seggi della nostra città», si innamora di una fanciulla che discendeva però da una famiglia avversa (p. 62). Il motivo della giovane coppia innamorata, ostacolata da antipatie familiari, era già stato svolto nella novella In

provincia in Dal vero. Rispetto a quella vicenda, Serao si concentra qui nel tessere una

narrazione fantastica, spiegando la nascita fisica del Vesuvio e dell’isola di Capri. Il giovane, di carattere focoso, insiste con i genitori della ragazza, i quali gli rifiutano il matrimonio con la fanciulla. È anzi deciso di mandarla su un’isola poco distante, proprio per allontanarla dallo sguardo del ragazzo. La donna, addolorandosi della partenza, sceglie, dopo una breve preghiera, di gettarsi nelle acque, non potendo sopportare il distacco dall’amato. Essa si trasforma però nell’isola solare e verdeggiante di Capri. Ancora più spettacolare è la metamorfosi del cavaliere:

Quando seppe della nuova crudele, cominciò a gittar caldi sospiri e lagrime di fuoco, segno della interna passione che lo agitava e tanto si gonfiò che divenne un monte nelle cui viscere arde un fuoco eterno d’amore. (p. 63)

Ancora oggi Vesuvio sta infatti esattamente di fronte alla bella amata Capri, vorrebbe raggiungerla, ma non può. Allora talvolta erompe d’ira, eruttando lava di rabbia. Interessante è infine la finale invocazione al lettore, in cui si conferma l’idea dell’amore come malattia che colpisce anche i più sani:

O anime trafitte, o anime sconsolate, o voi che per l’amore portate nel cuore sette spade di dolore, non vi sorrida la speranza di guarirvi qui. Qui amano anche le pietre: gli uomini sani si ammalano d’amore e gli infermi ne muoiono. (p. 64)