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CAPITOLO 4. LA VIRTÙ DI CHECCHINA

4.3 Il silenzio di Checchina

La quarta scena si apre il giorno successivo al pranzo con il marchese: si è scelto nel titolo di evidenziare la condizione di remissività e di mutismo che caratterizza la protagonista in questa sezione della novella. Il nobile manda alla donna un mazzo di fiori, che Checchina accetta. Continua il tono comico presente in tutta la vicenda. Infatti Checchina non ha la possibilità di mandare in risposta all’uomo un biglietto profumato e elegantemente scritto, ma dispone solo di «larghi fogli da ricetta, di suo marito, che portavano per intestatura: Antonio Primicerio, medico-chirurgo, consultazioni dall’una alle tre, Via del Bufalo: − larghi fogli che putivano di acido fenico». (p. 223) È grande l’abilità compositiva con cui Serao compone il racconto, riscrivendo la tradizionale trama dell’adulterio, sostituendo le ormai prevedibili mosse dei suoi attori con i piccoli impicci della vita quotidiana che Checchina affronta. Nota infatti Lucienne Kroha:

The rest of the novella is an account of Checchina’s anxieties, hesitations, and conflicting impulses as she struggles with her desire to accept the Marchese’s invitation […]. His debonair charms and the setting he offers promise a foray into the elegant world of the

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late-Romantic novel, but “reality”, and finally her own inhibitions, interfere constantly with Checchina’s ability to bring her plans to fruition215

.

Ricorre in particolare all’espediente di ristrettezza piccolo-borghese della protagonista. Inoltre la prassi comune prevedrebbe una lauta mancia al messo incaricato del dono d’amore, tuttavia la donna non dispone di larghe risorse e per di più deve scontrarsi con la serva, tutta volta a richiamare la donna al mondo reale, per poter dare alla fine la misera somma di otto soldi. L’effetto dei fiori segue però la tradizionale trama di seduzione femminile con cui la donna si lascia trasportare dalla dolce fragranza, sognando immaginazioni d’amore.

Checchina, fra le palpebre socchiuse, seguitava a guardare i fiori, a seguire il sottile traforo della lieve carta che li circondava. (p. 224)

La dimensione di sogno della donna scompare però subito e anzi l’attenzione è richiamata ancora una volta da un particolare pratico della realtà: dove poter mettere i fiori? In casa non hanno un recipiente adatto per contenerli. Susanna nel suo ruolo di antagonista della donna e di oppositrice alla sua storia d’amore con il marchese le rivela come una volta una donna avesse annusato pericolosamente i fiori, ne avesse avuto un gran mal di testa. Le consiglia anzi di non tenerli in casa, ma di donarli alla Madonna Immacolata come segno di rispetto, ma anche di purificazione. Susanna, animata da una religiosità popolana, afferma infatti: «già… non sia mai, fiori, dolci, gioielli, sono opera del diavolo e inducono in tentazione. Scansi il pericolo, mandi i fiori alla Madonna». (p. 225)

Checchina prova ad accennare al fatto che magari i fiori farebbero piacere al marito, ma subito la serva la contraddice, riportando la logica concreta e opportunistica di Primicerio con le esatte parole che qualche riga dopo verranno riferite dal medico: «i fiori costano troppi denari e non significano nulla». (p. 225). I fiori hanno però fatto l’effetto di seduzione trasognata su Checchina. Essa infatti è come colta da uno stato di torpore che la porta a immaginare il calore e l’affetto di cui godrebbe nel salotto del marchese. Emerge evidente l’opposizione tra la situazione attuale in cui si trova e quella che fantastica nella mente:

A Checchina le mani giacevano in grembo, inerti. Provava certi brividi di freddo per la persona, con una pesantezza vincente della testa. Sui mattoni grezzi del tinello, i piedi, calzati da un vecchio paio di stivaletti di prunella, s’irrigidivano […]. Aveva una voglia grande di sdraiarsi in una poltrona lunga e soffice, dalla stoffa liscia liscia di seta che scricchiola dolcemente, affondando i piedi in un tappeto caldo e molle. […] tutta raccolta, ella pensava che dovesse essere di bello, di confortante quel nido caldo, ombroso, profumato, dove si affondava nella piuma e non si udivano rumori. Le ronzava nella testa la voce di lui, così soave, così soave, mentre le parlava. (pp. 225-226)

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Nella citazione ritorna l’elemento della voce maschile come arma di seduzione nei confronti della donna. Checchina si risveglia nella modesta cucina con un brivido di freddo e pensa a fantasticare su quello che servirebbe e su quello che le manca: innanzitutto vorrebbe una pelliccia per stare più calda. È significativo che lo stato di sogno e di immaginazione colga la protagonista in due spazi ben precisi della casa: la cucina e la camera da letto. Sono stanze deputate a attività esclusivamente femminili, in cui dunque la donna può trovare rifugio. Katharine Mitchell mette in evidenza questo dei due luoghi:

The bedroom is conceived of as a private, middle class, and quite bare place. The kitchen and the bedroom have in common an identity as places where women can share their thoughts and feelings with another216.

I due luoghi domestici sono in effetti anche per Checchina due spazi in cui può rifugiarsi e dare spazio ai propri pensieri, che tuttavia ancora una volta non condivide con nessuno. Il fatto che non abbia un personaggio a cui confidarsi, neppure la serva diffidente Susanna, accentua il senso di solitudine e di isolamento che la circonda. Le considerazioni della donna si spostano dopo a analizzare con precisione il suo guardaroba. Passa in rassegna ogni capo e nota la scarsità del suo vestiario. Ella desidererebbe un nuovo abito nero, che per via del costo il marito le rifiuta sempre. L’aspirazione di Checchina ad avere un vestito nuovo può essere collegato al suo senso di femminilità che tuttavia è repressa e costretta a restare all’interno di uno spazio chiuso. Checchina non solo non esce mai, ma è obbligata dal marito a rinunciare ai connotati femminili di un abito elegante e di alcuni piccoli accessori di bellezza e di fascino, che il marito vede solo un altro costo, che peserebbe sulle ristrette finanze della famiglia. Questo dato deve essere considerato anche in relazione all’importanza che l’abbigliamento rivestiva per genere femminile. La donna è sottomessa a un marito avaro che di fronte alla sua richiesta di un vestito nuovo le dichiara il fatto che «questo civettio non serve più». (p. 227) Checchina ha quindi imparato a rassegnarsi e a accettare le umiliazioni del marito. Riguardo all’attenzione che la donna pone nel prepararsi per l’eventuale appuntamento, dato che offre un’importante spunto di riflessione, si può riportare un’osservazione fatta su un'altra figura femminile seraiana, Beatrice del romanzo Cuore infermo, ma che si può ben adattare alla protagonista della novella:

Beatrice vive un’avventura soltanto interna. Sfoga la sua sensualità e le sue aspirazioni sugli oggetti, di cui assorbe e sente fino allo spasimo i colori e gli odori, e con cui si identifica in un rapporto quasi d’amore217

.

Nella citazione si potrebbe sostituire al soggetto iniziale Beatrice, il nome proprio della protagonista Checchina. Anch’essa vive infatti il rapporto adulterino solo nell’immaginazione con gli oggetti che le vengono mandati dal marchese: i fiori prima, la

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Katharine MITCHELL, Italian Women Writers, Gender and Everyday Life in Fiction and Journalism

1870- 1910, cit., p. 70

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lettera dopo. La sua eccessiva preoccupazione per l’abbigliamento e l’ornamento necessari sono un modo con cui può esercitare il suo orgoglio femminile e la sua sensualità, a cui ha dovuto rinunciare, accettando una vita monotona e domestica con Toto. Il potere della donna è ancora una volta debole e inconcludente. Essa nonostante nutra il desiderio di un nuovo vestito, non parla con il marito, perché ne teme la reazione.

Ma non andavano più oltre le ribellioni della natura flemmatica e timida di Checchina. Ella si stringeva nelle spalle, si rassegnava, ricadeva nella sua apatia, riaccomodava i suoi vecchi vestiti, li faceva tingere, li faceva lavare. (p. 228)

Tuttavia ora proprio per l’appuntamento con il marchese, il desiderio del vestito nero si fa ancora più forte. Ella pensa a tutto ciò che le sarebbe servito per avere una bella apparenza, ma ancora una volta, tutti i suoi pensieri non sono esplicitati attraverso la parola, ma restano nella sua interiorità. Si rassegna a non chiedere nulla, credendo che anche se avesse domandato al marito, tutto sarebbe stato inutile:

Ecco ci sarebbe voluta una cappottina di velluto nero, semplice, con un piccolo diadema e un gruppetto sollevato di pennine nere, niente che un fiocchetto, e i nastri di velluto che si annodano sotto il mento: ne avevano tutte le modiste […]. Col vestito nero e con la pelliccia, sarebbe stata una cosa meravigliosa. Ma niente, niente: ella non aveva niente di tutto questo, non lo avrebbe mai avuto, tutto, tutto, era impossibile. (p. 228)

Nel dispiacere di non poter avere quegli oggetti necessari per esercitare il proprio fascino, Checchina decide di non confidarsi neppure con la serva, sprofonda nel silenzio. Fa anzi un tentativo per migliorare il suo cappello, ma invano, perché il risultato è peggiore della situazione di partenza. Ritorna dall’ospedale Toto Primicerio che, venuto a sapere dei fiori, si lamenta del gesto del marchese. Egli infatti sperava di ricavare dall’invito ben altro vantaggio economico, non certo un mazzo di fiori che «costano tanto denaro e non servono a nulla» (p. 230). L’uomo si lamenta anche per la mancia che le donne avevano dovuto lasciare all’emissario del nobile. Dopo aver pranzato, egli si reca nel suo scrittorio, dove avrebbe dovuto attendere le consultazioni, ma si addormenta sopra un libro. La scena è descritta dall’autrice con una tonalità comica. Checchina, dopo aver sistemato gli oggetti, usati per il pranzo, ritorna nella camera da letto, ripone in ordine i nastri e la stoffa che aveva preso per cercare di migliorare l’aspetto del suo cappello e di nuovo cade in un silenzio profondo, che esplicita tuttavia la sua situazione di disagio.

Si rassegnava, soffrendo in silenzio, pur di non udire quella grossa voce che calcolava il valore di un soldo e gliene rinfacciava la spesa, pur di non udire le domande sospettose di Susanna. […] Non poteva pensare a quello che le mancava per essere vestita bene: non voleva pensarci, per non affligersene più. A che contristarsene? Tutto era inutile, tutto. (p. 232)

La femminilità di Checchina è oppressa dal rigido controllo economico del marito e dalla ristrettezza finanziaria della sua estrazione sociale. Successivamente la donna resta sola nella casa, ma una volta che il marito e la serva non sono più presenti,

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ritorna in lei con un’intensità ancora maggiore il desiderio di un abbigliamento nuovo e più ricco. Con grande abilità compositiva Serao colloca il riaccendersi in Checchina di questo bisogno con l’improvvisa comparsa di Isolina, come se le aspirazioni d’amore e di eleganza della protagonista si materializzassero nel momento esatto nella figura dell’amica, opposta a lei nella condizione sentimentale. L’amica la saluta e la elogia come sempre, per ingraziarsela e per ottenere un altro prestito in denaro. Isolina le confida di essere passata a trovarla prima di andare a un altro convegno d’amore con l’amante, le serve infatti anche l’appoggio di Checchina, in caso il marito le domandasse dove si trovava l’amica. Isolina si presenta tutta ben vestita e elegante, la protagonista le nota le scarpette lucide dorate e i fazzoletti di batista. L’amica rivela a Checchina anche il gran dispendio economico per fare tutti questi acquisti:

− Non puoi credere, come si spende: è una rovina, ninuccia mia. Faccio una quantità di pasticci, d’imbrogli, di debiti, una cosa da impazzire. (p. 234)

Isolina confessa all’amica di aver chiesto del denaro in prestito a un’usuraia, pur di non rinunciare a quei piccoli accessori di fascino femminile, per sedurre l’amante. Si accenna nella novella alla figura della donna prestatrice di denaro a interesse, che diventerà una presenza più importante in O Giovannino o la morte o ad esempio in Il

paese di Cuccagna. La donna esige infatti il doppio della somma prestata e se non si paga

settimanalmente si mette a gridare, minacciando di dire tutto al marito. Nel secondo incontro con Isolina iniziano a emergere gli incomodi del dover mantenere relazioni extraconiugali che costringono la donna a spese costose. Tuttavia Checchina, una volta partita l’amica, è colta ancora da un senso di dolore, perché essa non dispone del ricco abbigliamento di Isolina, come del resto non ha la stessa dimensione di affetto. La sofferenza della donna per non avere gli oggetti materiali dell’amica deve essere letta anche come disagio nei confronti di un amore coniugale sterile e piatto.

Quando fu sola, nell’ombra del crepuscolo, Checchina si mise a piangere. Ella non aveva né le scarpette dorate, né i fazzoletti di batista, né il manicotto, né lo spillo a ferro di cavallo, né l’orologio. Piangeva, poiché non aveva niuna di queste cose che servono all’amore. (p. 235)

La situazione di Checchina può infatti essere descritta con alcune parole di Paola Blelloch che descrive così il destino delle donne piccolo-borghesi coniugate:

Né più fortunate erano le mogli della piccola borghesia, chiuse nel grigiore della loro vita domestica, sposate a uomini che non le amavano, appena arricchiti e ancora rozzi. Incomprese e pur sempre romantiche, sentimentali e spesso appassionate, come la maggior parte delle eroine della Serao, esse accettavano la propria condizione e si adeguavano alle regole del gioco, che talvolta tentavano di infrangere in segreto218.

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4.4 Checchina diurna vs Checchina notturna

Nel scegliere il titolo del paragrafo si è riportata un’espressione di Vittorio Roda, il quale mette in evidenza un aspetto interessante della novella, che si troverà anche nel successivo Il romanzo della fanciulla. Lo studioso nota nella novella:

un’ulteriore prova d’una femminilità sdoppiata e contraddittoria; di un’immagine artificiale sovrapposta all’effettiva; d’una maschera che entra in contrasto con l’«altro». Nella

Virtù di Checchina accade finache questo, che la duplicità femminile intrattenga sottili

rapporti col pattern del doppio. Esistono da un certo momento in avanti, due Checchine, l’una notturna l’altra diurna: piena di coraggio la prima, debole e impotente la seconda219

.

La citazione dello studioso ben introduce la quinta sezione narrativa della novella. La protagonista della quale si è già osservata la personalità strutturata sui due livelli (quello di simulazione davanti al marito e alla serva, quello autentico che però resta celato e silenzioso) accentua il suo tratto di duplicità a questo punto della narrazione. La sequenza esordisce nelle lunghe veglie notturne della protagonista, è proprio a partire dal quinto atto che si può vedere agire una Checchina notturna, insonne e inquieta. È forte in lei il desiderio di recarsi all’appuntamento amoroso con il marchese, essa acquista il coraggio e l’impeto di cui nella normale realtà non dispone per agire in modo risoluto:

Nella notte, nella solitudine, fissando gli occhi ardenti che l’insonnia spalancava, nelle tenebre, ella si sentiva piena di coraggio. […] I suoi nemici non le parevano più terribili. Andare sì, doveva andare, poiché aveva detto sì, quella sera, quando egli l’aveva baciata. (p. 236)

Del doppio notturno di Checchina Vittorio Roda ha dato una spiegazione di tipo psicanalitico, avrebbe infatti individuato nel doppio della donna la nozione freudiana di «ideale dell’io»220. Il concetto rappresenterebbe ciò che si vorrebbe essere, si tratta di un modello al quale il soggetto vorrebbe assimilarsi per volizione. La descrizione ben si adatta alla protagonista della novella: essa infatti nelle veglie notturne costruisce quell’immagine di sé sicura e determinata che vorrebbe essere, ma che di fatto non è. Un’altra riflessione interessante si può compiere sull’importante relazione che si crea in questo momento narrativo tra Checchina, il suo desiderio di recarsi all’appuntamento amoroso e lo spazio. Nella veglia notturna la donna infatti fantastica sul tragitto che la divide dal suo amante e medita il percorso migliore e più agevole per recarsi dal marchese. La camminata è connotata dalla brevità e dalla velocità con cui Checchina notturna, decisa e risoluta, saprebbe muoversi con sveltezza. La strada è così delineata spazialmente:

Infine che ci voleva dal Bufalo sino a via Santi Apostoli? Ci vorranno forse dieci minuti a piedi. […] Dal Bufalo a Santi Apostoli si fa una via scorciatoia, tutta a tratti brevi: si sale pel Nazzareno si discende per via della Stamperia […]. Un quarto d’ora, forse, ci si

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Vittorio RODA, Simulazioni, dissimulazioni e sdoppiamenti negli scritti di Matilde Serao, in Aa. Vv.,

Matilde Serao. Le opere e i giorni, Napoli, Liguori, 2006, p. 322

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metterà, andando piano per non dare nel’occhio. […] Meglio andare per le strade interne. E con la lucidità di visione dei cervelli che la veglia notturna esalta, ella si vedeva partire di casa, alle quattro, sorridendo un poco per la burletta che faceva a Toto e a Susanna, la serva che si vantava di essere tanto furba. (p. 236)

Nell’esaltazione e nella sicurezza notturna con altrettanto coraggio Checchina pianifica di costringere il marito a darle i soldi necessari per il nuovo abbigliamento. Nella mente si affollano vari progetti in cui tuttavia la salda volontà di parlare con il marito sfuma e svanisce sempre di più, sino al ricorrere alla sola Isolina come

escamotage per l’appuntamento romantico.

Sì, tutto le pareva facile, tutto le pareva semplice, tutto le pareva vicino, possibile, nella notte che eccita le forze dei temperamenti flemmatici. Progettava: domani faccio una grande scena a Toto e gli cavo dei quattrini, compro almeno dei guanti, gli stivalini, il manicotto. Oppure, domani vado da Isolina, mi faccio accompagnare dalla Coppi, che mi fa credito, e compro un cappellino; poi, quando sarà a pagare, per forza, Toto strillerà, ma dovrà cavare i quattrini. […] Oppure se per un giorno Isolina fosse tanto buona da prestarmi la roba sua? […] Domani, domani ci vado e le dico tutto. Le pareva di avere una forza nuova che non aveva mai sentito in sé, un coraggio grande, un’audacia che fa superare allegramente qualunque ostacolo, una volontà così ferma che nulla poteva vincerla o spezzarla. (p. 237)

Tuttavia al sorgere del sole, la sicurezza di Checchina si fa sempre più debole fino a scomparire. Tutti i progetti e i propositi che nella notte aveva deciso risolutamente di intraprendere sfumano in vaghe lamentazioni di insonnia e di debolezza. Pallida e inquieta la donna si alza dal letto con una cera cadaverica, tanto che il marito le consiglia di prendere qualche ricostituente. «L’io ideale, direbbe uno psicanalista di osservanza freudiana» della Checchina notturna svanisce e la posizione nelle «coordinate che le sono abituali, l’insicurezza, la timidezza, la mancata intraprendenza, il diuturno controllo colle difficoltà della vita»221. Gli ostacoli che le impediscono l’incontro con il marchese di giorno si ingrandiscono e si moltiplicano, a partire dalla difficoltà economica. Il marito non le avrebbe ceduto neppure un piccole prestito, anche Susanna così svelta e cauta, la protagonista «era sicura di non poterla ingannare, quella serva diffidente, sospettosa, dallo sguardo scrutinatore di beghina». (p. 238). Così durante le azioni che Checchina intraprende macchinalmente ogni mattina, pensa a quanto il progetto notturno avesse la dimensione del sogno. È interessante a maggior ragione analizzare anche come cambia la percezione spaziale della donna diurna rispetto a quella notturna: se durante la veglia Checchina medita un tragitto breve in cui sa muoversi con agilità, durante il giorno emergono tutti i minimi ostacoli che possono impedirle il felice congiungimento con l’amante:

Financo l’itinerario così semplice, di notte, le sembrava di giorno, tutta una confusione, un imbroglio. Quando veniva la sera, tutto era crollato, tutto era caduto, in