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Il neo soggettivismo del consumo alimentare

i ProFili di resPonsabilità sociale da Parte del consumatore

2.5 Il neo soggettivismo del consumo alimentare

L’attuale congiuntura economica ha messo ancora più in luce, accelerandolo, uno dei processi di trasformazione da tempo in atto nella società occidentale e in quella italiana in particolare: il progressivo allontanamento dei consumatori da quel modello di società opulenta e dell’iperconsumo a cui avevano per decenni, a partire almeno dagli anni Settanta, informato le loro scelte di acquisto. È da tempo, infatti, ben prima dello scoppio della crisi, che presso la platea dei consumatori si era iniziato ad assistere a comportamenti per certi versi anomali, rispetto a quelli tradizionali, come confermato

37 Il criterio della trasparenza implica che il consumatore sia consapevole e pienamente informato circa la destinazione di ogni componente del prezzo pagato per il prodotto. A tal fine la gran parte dei prodotti sono accompagnati da schede che, in dettaglio, riportano la composizione delle varie voci di spesa che vanno a comporre il loro costo finale (prezzo FOB, costi di trasporto, dazi, ecc.). Allo scopo di aderire al principio di trasparenza, l’etichetta del prodotto equo e solidale deve contenere tutta l’informazione reperibile relativa ai costi di produzione, al prezzo di vendita all’ingrosso e alle caratteristiche nutrizionali del prodotto.

dall’emergere di un orientamento critico rispetto alle logiche di fondo su cui il sistema era costruito, e molto più autonomo e distintivo rispetto a quell’orientamento massifi- cante che ha caratterizzato la costruzione della società dell’iperconsumo almeno dagli anni Ottanta in poi. Su questi “germi” la crisi si è innescata come un detonatore, facendo esplodere, tra le famiglie e gli individui, una vera e propria rivoluzione dei modelli di consumo, che proprio dal restringimento e progressivo assottigliamento della capacità di reddito e spesa delle famiglie ha tratto nuovo ossigeno ed alimento (Cfr. capitolo 1).

Quello che infatti si va sempre più affermando è un modello di comportamento in cui gli imperativi dell’opulenza cedono progressivamente il passo a quelli di sobrietà e austerità, da intendersi tuttavia non in senso riduttivo e pauperista, di risposta alla crisi, ma come crescente consapevolezza e rifiuto di un modello, di consumo e di crescita, non solo non più sostenibile, ma sempre più inattuale rispetto alle trasformazioni pro- fonde che hanno investito la nostra società.

La crescita degli acquisti fair trade, il sempre maggiore apprezzamento per la “capacità di durata” dei prodotti e dei servizi, l’orientamento verso prodotti di qualità, so- prattutto nell’agroalimentare, il ritorno del valore del risparmio, la lotta allo spreco, delle risorse energetiche come di quelle economiche, sono segnale di uno stile di vita che va vieppiù inglobando quelle trasformazioni da tempo in atto a livello globale, vale a dire: • il declino delle aspettative crescenti, ovvero dell’idea di uno sviluppo come irre-

versibile percorso di crescita, con l’equivoco di fondo, a questo connesso, di un benessere che si misura in termini di quantità dei beni consumati;

• l’esplodere delle emergenze – ambientali, sociali – e l’affermarsi assieme a que- ste di una logica di sviluppo sempre più orientata e improntata a principi di soste- nibilità e compatibilità ambientale, ma anche psicologica e sociale;

• una sempre maggiore attenzione alla qualità della vita, sotto il profilo sociale e relazionale, che sta progressivamente portando a riconsiderare anche il rapporto con il lavoro e con il reddito da questo generato, soprattutto quando non presenta rilevanti aspettative di crescita e di promozione;

• la trasformazione dei mercati e dei processi di vendita, indotta dalla globalizza- zione e dall’avvento di internet, che presentano, oggi rispetto a ieri, un’offerta di beni e servizi radicalmente diversa, perché molto più estesa, differenziata e soprattutto accessibile.

L’effetto più significativo di tali trasformazioni va rinvenuto nella progressiva pre- sa di distanza da parte dei consumatori da quei comportamenti orientati all’accumulo di beni e servizi, alla “quantità” insomma, e nella sempre più frequente ricerca di una qualificazione progressiva delle scelte di consumo, orientandole alla qualità e a un’at- tenzione sempre più marcata a tutti quegli aspetti relazionali, valoriali, che la connotano:

insomma, la ricerca di una sobrietà che non significa rinuncia, ma «presa di distanza dall’eccesso, dall’iperbole, dall’elitismo di un consumo gridato, ostentato o anche sol- tanto inutile e inutilmente cospicuo (Fabris, 2010)».

Tale cambio di atteggiamento comporta diverse conseguenze di ordine pratico nel comportamento di consumo, vale a dire:

• la crescente “soggettivizzazione” del consumo, che traspare dai comportamenti tanto della domanda quanto dell’offerta, tendendo entrambe a sfuggire a quella logica massificante che, come accennato, ha orientato il mercato fino a pochi anni fa;

• il downgrading del livello di consumo, all’insegna dell’imperativo categorico del “consumare meno, consumare meglio”, che comporta una maggiore attenzione

e cautela nello spendere, sconosciuta in passato;

• la crescente attenzione al prezzo, che deriva, come già sottolineato, non solo dal- la minore disponibilità economica da parte dei consumatori e dalle attese “de- crescenti” che caratterizzano sempre più le loro aspettative, ma anche da una maggiore consapevolezza che sia oggi possibile spendere meno, senza per ciò dovere rinunciare alle attese di qualità dei beni e servizi consumati;

• l’aumentato apprezzamento per la qualità del bene/servizio acquistato, e della durata come tratto distintivo di qualità e asse portante del nuovo sistema di valori cui sono improntate le scelte dei consumatori;

• la ricerca di canali di acquisto plurimi e diversificati, in cui il consumatore diventa vero protagonista delle scelte, arbitro unico del proprio consumo, districandosi nella giungla delle opzioni – sempre più articolate e differenziate – e dei luoghi di vendita e acquisto (dai discount, agli outlet, dagli spacci aziendali ai temporary shop, a internet, che più di tutti ha contribuito a determinare lo stravolgimento dei modelli e dei comportamenti di consumo);

• il progressivo slittamento del valore del consumo dal possesso all’uso, dal con- sumo come status, indotto dalla proprietà di un bene o servizio, a un’idea di con- sumo come effettiva fruizione dello stesso, il che significa la tendenza crescente non solo a sostituire l’acquisto con il noleggio, e la relativa esplosione di tutte le forme di acquisto disgiunte dalla proprietà (il leasing, l’affitto, ecc), ma anche la riscoperta dello scambio, del baratto e dell’usato, del valore del dono e della gratuità come nuova frontiera di consumo.

Tali trasformazioni appaiono in tutta la loro evidenza con riferimento ai consumi alimentari, che da sempre rappresentano un terreno privilegiato, ma al tempo stesso sottovalutato e trascurato, di esplorazione e analisi delle trasformazioni dei comporta- menti di consumo.

Sono interessanti da questo punto di vista i risultati della recente indagine Cen- sis/Coldiretti (2010), da cui emerge il diffondersi presso gli italiani di un atteggiamento decisamente nuovo e originale rispetto ai propri comportamenti di consumo alimentare, molto più critico e intelligente, connotato da un felice impasto tra attenzione alla qualità di ciò che mangiano, alla tutela della salute, della sicurezza e genuinità dei prodotti, e la più consolidata e incessante ricerca di convenienza a tutti i costi. Se le abitudini alimen- tari rispondono alla pluralità di esigenze e aspettative, difficilmente queste possono tra- dursi in abitudini alimentari di massa, ma sempre più rispecchiano un “politeismo” del consumatore degli anni Duemila, fatto di combinazioni di luoghi di acquisto dei prodotti, budget di spesa famigliari e diete alimentari; il rapporto con l’acquisto di generi alimen- tari appare, pertanto, una dimensione sempre più soggettiva, espressione dell’”io che decide” cosa, quanto, come e dove acquistare e consumare (Cfr. par. 1.2.1).

È interessante notare, come emerge dall’indagine citata, che oltre l’82% degli italiani dichiari che al momento in cui fa la spesa, conta molto sulle proprie capacità di scegliere i prodotti, prima ancora che sulla possibilità di risparmiare o di optare per prodotti di basso costo (Tab. 2.3). La capacità di arbitraggio individuale, di mettere in- sieme e ponderare da soli i tanti fattori che connotano il comportamento di consumo, orientandosi tra le alternative, a prescindere dalle sollecitazioni, espresse o implicite che provengono dall’esterno, costituisce pertanto il principale driver di orientamento nel consumo alimentare, addirittura più forte dell’attenzione al risparmio, che, tuttavia, viene immediatamente dopo.

Oltre il 79% degli intervistati afferma, infatti, di puntare a risparmiare dove è possibile e, tuttavia, su alcuni prodotti acquista solo quello che presenta caratteristi- che qualitative più elevate, senza badare al prezzo (Tab. 2.3). È un’indicazione di come, anche in un contesto in cui la spinta a risparmiare o comunque a ricercare l’opzione economicamente più vantaggiosa in termini di prezzo è molto forte, ci sia un approccio del tipo trading up; ovvero, gli italiani fanno una selezione dei bisogni e dei beni in grado di soddisfarli, enucleandone alcuni come irrinunciabili e strategici, decidendo, quindi, di investire su questi beni in misura maggiore che su altri.

In altre parole, la selezione porta a considerare alcune tipologie di beni, spesso appartenenti all’alimentare, come quelli che danno un beneficio soggettivo assoluto e marginale più alto, tanto da giustificare un impiego maggiore di risorse specifiche. In questi casi, la variabile prezzo diventa secondaria, non guida più la ricerca di informazio- ni e i transiti da un canale all’altro, perché l’obiettivo diventa avere la qualità considerata più alta. Ne consegue la complessità delle valutazioni e degli atteggiamenti che conno- tano l’atto di acquisto di generi alimentar, mettendo al riparo anche da facili e inganne- voli interpretazioni in chiave di consumo low cost, come confermato da oltre il 71% degli

italiani intervistati che ritiene che basso prezzo non vuol dire scarsa qualità, percentuale che al Sud-Isole sale a quasi il 76% (Tab. 2.3).

Se l’abilità del consumatore risiede sempre più nella capacità, espressa tra- mite le proprie scelte soggettive degli alimenti e dei luoghi di acquisto, di contem- perare esigenze diverse, di essere “protagonista intelligente” delle proprie scelte, ciò è tanto più vero in tempo di crisi. L’attuale congiuntura negativa ha supportato le dinamiche di più lungo corso, a cominciare dal rapporto meno compulsivo con i consumi. Alla richiesta di indicare come le famiglie italiane hanno reagito alla crisi, il 51,3% degli italiani, ha dichiarato di aver tagliato gli sprechi, mentre è solo il 33,1% a parlare di tagli ai consumi essenziali; in particolare, al Nord-est è più forte la convinzione che in questi mesi le famiglie hanno proceduto a razionalizzare, piuttosto che a tagliare consumi essenziali (Tab. 2.4).

Se il meccanismo prevalente di adattamento è stato il taglio degli sprechi, entrando nel dettaglio delle strategie poste in essere, la stragrande maggioranza degli italiani, quasi l’89%, dichiara di avere sostanzialmente cambiato il proprio modo di fare la spesa e di consumare (Tab. 2.5). Ancora una volta a prevalere è il richiamo a ridurre gli sprechi (44,5%) come strategia di razionalizzazione primaria anche nelle modalità di acquisto, seguita dalla corsa alle promozioni e alle offerte (indicata da quasi il 43% degli intervistati) e, ancora, dalla rinuncia ad alcuni dei beni che più pesano sui bilanci familiari (20,5%).

Quello che emerge è una pluralità di comportamenti che contribuiscono, in mi- sura e modo diverso, al tentativo di un downsizing morbido dei consumi, dove è evidente lo sforzo per massimizzare il potere d’acquisto del reddito di cui si dispone, cercando di spuntare un costo del carrello della spesa inferiore a quello dei listini.

Insomma, se la crisi ha accentuato e reso ancora più visibile quell’orientamen- to alla ricerca di qualità sostenibile, recentemente sempre più presente tra gli italiani, questa si è tradotta prevalentemente in un contenimento degli eccessi lungo tutta la filiera delle attività di acquisto e di consumo degli alimenti, stimolando i cittadini, al di là delle loro caratteristiche socio-demografiche e territoriali, sia a cercare le opportunità di acquisto più vantaggiose, sia a ridurre il consumo di alimenti, tagliando quelli che meno rispondono alle proprie aspettative. Consumare meno, consumare meglio diven- ta, pertanto, la parola d’ordine di tutti, il modo di rapportarsi alla spesa e ai consumi; ciò significa che non è solo la ridotta disponibilità del reddito a determinare il nuovo rapporto con i consumi, ma l’incertezza del momento esalta la sobrietà e anche l’astuzia dell’acquisto, indispensabili per salvaguardare il tenore di vita e, al contempo, la qualità del consumo alimentare (Cfr. par. 1.3). in un contesto di paura per il futuro e dove la ne- cessità di risparmiare torna a essere un’esigenza cruciale.

Tagliare, senza tuttavia rassegnarsi a una qualità non adeguata dei prodotti o ri- nunciare in alcuni momenti a soddisfare specifici bisogni, denota una nuova soggettività competente nella gestione dei consumi alimentari, che include la tendenza di ciascun individuo a selezionare tra i beni quelli sui quali si è disposti a investire di più per avere una qualità più alta.

Tabella 2.3 - Gli italiani e il rapporto con i prodotti alimentari, per ripartizione geografica (val. %)*

Quali tra le seguenti affermazioni caratte- rizzano maggiormente il suo rapporto con i prodotti alimentari? Nord Ovest Nord Est Centro Sud e Isole Italia

Conto molto sulla mia personale capacità di sce-

gliere i prodotti 89,8 92,8 87,1 88,0 82,2 Risparmio dove è possibile (offerte, saldi) però su

alcune cose prendo solo il prodotto a qualità più alta senza badare al prezzo

80,7 75,6 80,7 79,7 79,5 Basso prezzo non vuol dire scarsa qualità 72,4 70,0 69,9 75,8 71,3 Ogni tanto mi concedo piccoli o grandi sfizi acqui-

stando prodotti a prezzo molto più alto 48,2 37,3 43,5 43,6 43,6

* Il totale non è uguale a 100 in quanto erano possibili più risposte. Fonte: Indagine Censis/Coldiretti, 2010

Tabella 2.4 - Impatto della crisi sui consumi alimentari delle famiglie, per area geografica (val. %)

Riguardo ai consumi alimentari, secondo Lei con la crisi le famiglie italiane:

Nord Ovest Nord Est Centro Sud e Isole Italia

In realtà hanno tagliato gli sprechi 53,3 55,8 47,4 49,3 51,3 Hanno dovuto tagliare consumi essenziali 30,7 29,3 35,3 35,9 33,1 Non hanno dovuto cambiare granché, i consumi

alimentari sono grosso modo gli stessi 14,1 14,3 15,7 12,9 14,1 Hanno aumentato i consumi alimentari (perché

molti prezzi sono diminuiti, perché altri consumi si sono ridotti)

1,9 0,6 1,6 1,9 1,5

Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Tabella 2.5 - Impatto della crisi sul modo di fare la spesa delle famiglie, per tipo- logia familiare (val.%)

La crisi come ha cambiato il modo di fare la spesa della Sua famiglia? Unipersonale Coppia senza figli Coppia con figli Monogenitore/

altra tipologia Totale

Non ha cambiato il modo di fare

la spesa 15,9 17,1 9,1 8,3 11,2

Sì, ha cambiato il modo di fare la

spesa (*) 84,1 82,9 90,9 91,7 88,8

di cui:

Riduce gli sprechi 48,3 43,2 44,7 42,1 44,5 Ricorre a offerte e promozioni 34,4 36,7 45,4 46,6 42,8 Rinuncia ai prodotti più cari che

pesano di più sul bilancio familiare 16,5 20,2 21,4 20,4 20,5 Rinuncia alle marche più care 13,3 16,5 15,1 18,2 15,6 Riduce le quantità consumate 7,3 11,7 10,9 9,7 10,4 Si adatta a una qualità inferiore

per tutti i beni 4,3 5,3 5,9 10,1 6,2

* Il totale non è uguale a 100 in quanto erano possibili più risposte Fonte: Indagine Censis/Coldiretti, 2010

2.6 Il principio di equità e solidarietà applicato agli acquisti: il