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le FamiGlie e la crisi: stili di Vita e Politiche di consumo resPonsabil

5.2 L’indagine IREF

Gli strumenti più importanti dell’economia dal basso, frutto dei predetti orientamenti e espressioni del consumo – non solo alimentare - responsabile, sono allo stato attuale quelli rappresentati dalla nascita e dalla proliferazione di banche etiche, della finanza etica e dalla crescita nei mercati di prodotti derivanti dal com- mercio equo e solidale.

Nell’analizzare i dati si è innanzitutto verificato se fosse possibile individuare, attraverso i comportamenti di consumo, un modello culturale specifico, uno stile di consumo, in grado di identificare in maniera univoca un gruppo di persone che condivide valori, opinioni, atteggiamenti verso il consumo.

In base a queste premesse, sono state identificate tre tipologie di consu- matori italiani (IREF, 2010), definiti tradizionalisti, narcisisti ed etici. I consumatori tradizionalisti rappresentano ben il 47,4% del campione e sono caratterizzati es- senzialmente da tre dimensioni: 1) l’auto-sostentamento, cioè l’atteggiamento per il quale il consumo viene concepito come un modo per procurarsi il necessario, dunque per soddisfare i bisogni primari; la pensano in questo modo il 59,6% dei tradizionalisti contro il 43,5% dell’intero campione; 2) la concretezza, cioè l’atten- zione agli elementi concreti del bene che porta i tradizionalisti a valutare, soprat- tutto, aspetti quali il prezzo (76,9% contro il 61,9% del campione) e la robustezza e facilità d’uso del prodotto (59,2% contro il 44%), senza ricercare altre gratificazioni

in esso; 3) la parsimonia, cioè la tendenza alla sobrietà, ovvero a un atteggiamento contrario allo spreco e al consumismo, che fa sì che i tradizionalisti siano disposti a limitare gli acquisti e a riutilizzare gli oggetti che già posseggono (97,9% contro l’89,4%).

In linea con queste tendenze, i tradizionalisti esprimono, quale principale preoccupazione, quella di non riuscire a risparmiare (26,4% contro il 21,9% del campione) e sono guidati, pertanto, nei loro acquisti dall’anticonsumismo e dall’esi- genza di cautelarsi contro gli imprevisti. In questa tipologia di consumatori preval- gono le classi di età fra i 55 e i 64 anni, e oltre i 64 anni, cioè coloro che sono nati immediatamente dopo il conflitto mondiale, figli della generazione che ha vissuto le privazioni della guerra, sviluppando un saldo senso di moderazione nei consu- mi. Questi consumatori sono soprattutto pensionati e casalinghe, concentrati nel Centro Italia, con un basso livello di istruzione e un basso livello di reddito (fino a 1.033,00 euro mensili). Queste caratteristiche svolgono una funzione di rinforzo della parsimonia nei consumatori tradizionalisti e li espongono a una maggiore vulnerabilità sociale.

All’interno del gruppo dei consumatori tradizionalisti sono scarsamente pra- ticati i modelli di consumo responsabile, soprattutto - ed è questo il rilievo interes- sante - a motivo della mancanza o della scarsa conoscenza di tali pratiche (38,2% contro il 31,1% del campione).

Al contrario, il gruppo dei consumatori etici sono coloro che adottano prati- che e atteggiamenti di consumo responsabile, con percentuali all’interno del grup- po e del campione come indicato nella tabella seguente.

Tabella 5.1 – Il profilo del consumatore etico (val. %)

Pratiche e atteggiamenti di consumo Nel gruppo Nel campione

Partecipazione a forme di boicottaggio 50,6 9,4 Comportamenti di consumo responsabile:

- commercio equo e solidale 69,5 19,9

- sobrietà 53,9 18,2

- consumo critico 49,3 10,4

Maggiore preoccupazione come consumatore:

- i processi produttivi inquinino ed esauriscano le risorse naturali 39,0 17,9 Aspetti che tiene in considerazione quando acquista:

- la presenza di informazioni su dove e come viene fabbricato 32,5 13,4 - il fatto che il prodotto e il suo imballaggio non inquinino 17,5 4,5

Ma quanto la crisi economica internazionale e le conseguenze sul settore agroali- mentare, soprattutto a partire dall’ultimo trimestre del 2009, hanno inciso nella capacità dei consumatori e delle famiglie italiane di proseguire nelle scelte etiche e solidali? Nu- merose indagini e sondaggi d’opinione hanno documentato, nel corso del 2009, lo stato di crescente malessere delle famiglie italiane per le conseguenze economiche e occu- pazionali della crisi economica globale; questi contributi, numerosi e qualificati, hanno avuto il merito di ricostruire, passo dopo passo, il clima d’opinione sull’andamento della crisi (IREF, 2010)64.

Nel febbraio 2009, nell’indagine realizzata dal Censis in collaborazione con la Confcommercio, si leggeva che «in una fase in cui la crisi mostra segnali di peggiora- mento, poco più della metà delle famiglie guarda al futuro con ottimismo, mentre il 30% si dichiara ancora pessimista; e se il 42% del campione ha mantenuto lo stesso livello di consumi negli ultimi sei mesi, per quasi il 44% la spesa ha subìto un incremento, spesso dovuto agli aumenti relativi alle tariffe delle utenze domestiche; il “sentiment” generale, comunque, è quello di una sostanziale prudenza, visto che per il 43% del cam- pione il modo migliore per affrontare la crisi è quello di risparmiare di più, mentre il 22% ha intenzione di ridurre i consumi. Insomma, crisi e incertezza sono reali e diffuse, ma esiste un capitale fiduciario privato che non deve essere disperso ma, anzi, opportuna- mente sviluppato perché, forse, è proprio da questo capitale che si potrà ripartire per costruire una strategia di ripresa della nostra economia» (Confcommercio/Censis, 2009). Quest’analisi, per quanto di carattere chiaramente congiunturale, poneva già la questio- ne della fine della crisi e dei modi per rimettere in moto il Paese. Tuttavia, finita la fase economico-finanziaria si è avviata la fase occupazionale della crisi, tuttora in atto, e le stime del Censis sono state ampiamente confermate dalla successiva ricerca contenuta

nell“Agenda delle famiglie italiane 2009” (IREF, 2010), secondo la quale quasi il 60% delle

famiglie ha percepito il 2009 come un anno più difficile rispetto al 2008 (Fig. 5.1).

La ricerca dell’IREF ha richiesto la realizzazione di tre indagini campionarie: la prima, conclusasi a maggio 2009, la seconda nel settembre dello stesso anno e la terza

terminata a febbraio 2010. Il questionario – somministrato telefonicamente a un cam-

pione rappresentativo di 1.500 famiglie italiane, per un totale complessivo di 4.500 in- terviste65 – conteneva quesiti riferiti ai tre mesi precedenti l’intervista. Il disegno della

ricerca ha preso le mosse da quanto già sviluppato nell’analisi delle condizioni di vita delle famiglie. In particolare, il questionario trae spunto da elementi tratti dalle prin-

64 Cfr. commento a cura di Zucca G. nell’indagine Agenda delle Famiglie 2009 (IREF, 2010).

65 La ricerca è stata condotta in collaborazione con Paolo Santurri e Raffaele Cassa della cooperativa di ricerca Codres di Roma che si è occupata della realizzazione delle interviste.

cipali indagini sulle famiglie realizzate negli ultimi anni in Italia: l’indagine multiscopo dell’ISTAT, la survey sui bilanci delle famiglie della Banca d’Italia e l’indagine longitudi- nale sulle famiglie italiane (ILFI) realizzata dall’Università di Trento. Oltre a questi riferi- menti e a contributi di ricerca qualificati, l’indagine dell’IREF recupera temi e soluzioni tecniche già sperimentate in una precedente ricerca realizzata dall’Istituto (Caltabiano e Morga, 2001).

Lo strumento di rilevazione è composto da una sezione fissa e da una sezione tematica. La sezione stabile, ripetuta tre volte fra il 2009 e gennaio 2010, ha riguardato le condizioni di vita delle famiglie, mentre la seconda sezione ha affrontato di volta in volta un tema specifico.

Guardando ai risultati, si rileva che nel Nord-Est e nel Sud dell’Italia si concen-

tra la maggior parte di famiglie che giudica il 2009 come un anno negativo: si tratta di una percentuale, rispettivamente, del 59,3% e del 60,1%. Le “regioni dei capannoni” e dell’economia diffusa si attestano, quindi, allo stesso livello delle aree sotto industrializ- zate del meridione: il tessuto produttivo italiano, per quanto fitto, non ha retto all’onda d’urto della recessione, cosicché la forza livellatrice della crisi ha accomunato aree del Paese molto diverse.

Figura 5.1 - La percezione della crisi delle famiglie italiane (val. %)

(domanda: dal punto di vista economico, per la sua famiglia il 2009 è stato…? )

Sul fronte delle famiglie che hanno dichiarato di aver “tenuto botta” alla reces- sione, nel Nord-Ovest si riscontra la quota più elevata (47,5%); anche in questo caso, la vocazione produttiva del territorio fornisce una buona cornice esplicativa. Il triangolo Piemonte-Lombardia-Liguria è ancora l’area della grande impresa italiana, ovvero quel segmento di produzione che ha avuto accesso agli ammortizzatori sociali e per il quale sono state stanziate anche delle risorse aggiuntive per allungare i periodi di cassa inte- grazione. Scomponendo i dati a seconda della tipologia familiare si può, inoltre, notare come i giudizi maggiormente problematici vengano espressi dalle famiglie con figli, il 60,2% delle quali afferma che il 2009 è stato un anno peggiore del precedente; un valore molto alto si riscontra anche tra le famiglie monogenitoriali (63,1%). Sono dunque i nu- clei con carichi familiari più grandi ad aver sofferto della crisi in misura maggiore.

Nel febbraio 2010, secondo il 40,8% delle famiglie residenti al Sud dell’Italia la crisi economica si è sentita molto nel posto dove vivono (Fig. 5.2); tale percentuale è dieci punti più alta di quella registrata nel Nord-Ovest del Paese (30,6%) mentre nel Centro si registra la quota più elevata di famiglie secondo le quali nella città dove abitano la crisi si è sentita abbastanza (54,6%).

Figura 5.2 – Ripartizione geografica della percezione della crisi delle famiglie italiane (val. %)

(domanda: quanto si è sentita la crisi nel posto dove vivete?)

Nel disegno della ricerca IREF si è pensato di tradurre operativamente le conseguenze più immediate e macroscopiche della crisi sulle famiglie attraverso due set di indicatori, uno relativo ai comportamenti di consumo (alimentare e non), l’altro alle strategie di risparmio. I comportamenti di consumo sono un punto di osservazione ravvicinato delle dinamiche di impoverimento, la reazione più imme- diata alla perdita di potere d’acquisto; si è quindi pensato di ipotizzare una serie di situazioni che fossero in grado di sintetizzare il livello di contrazione dei consumi, ovvero l’acquisto di prodotti a basso costo (low cost), il risparmio sulle utenze casa- linghe, il mancato pagamento di rate, mutui e bollette.

Figura 5.3 – Comportamenti di consumo delle famiglie italiane, confronto settembre 2009-febbraio 2010 (val. % affermativi)

(domanda: negli ultimi tre mesi vi è capitato di…)

Fonte: IREF, 2010

Confrontando, nella figura 5.3, il dato di settembre 2009 con quello di feb- braio 2010 riferito ai comportamenti di consumo delle famiglie italiane, si nota che rimane elevata ma stabile la quota di famiglie alle quali, nei tre mesi precedenti all’intervista, è capitato di acquistare prodotti a basso costo (rispettivamente 67,8% e 66,1%). La percentuale di intervistati che afferma di aver risparmiato sulla cura della propria persona passa dal 33% del settembre 2009, al 44,5% rilevato a feb- braio 2010; allo stesso modo si nota un incremento della percentuale di famiglie

che hanno risparmiato su acqua, luce e gas, pari al 32,1% nel 2010, rispetto al 20,6% del periodo precedente. Sostanzialmente stabile, rispetto al settembre 2009 è la percentuale di nuclei familiari che hanno dovuto rinunciare all’acquisto di una cosa che sarebbe servita (31,9% a febbraio 2010). In generale, le famiglie che sono venute meno a impegni come rate e bollette sono poco numerose, al contrario, più frequenti sono stati i tagli rispetto a quelle spese suscettibili di essere ridotte o au- mentate. In altre parole, per far fronte ai costi fissi le famiglie italiane hanno dovuto ridurre i costi variabili.

Per completare l’analisi delle dinamiche che hanno interessato la struttura di spesa delle famiglie italiane è stato preso in esame l’altro set di indicatori rela- tivo alle strategie di risparmio, nel quale sono state comprese le seguenti voci di spesa: vacanze e viaggi, abbigliamento, tempo libero e divertimenti, spesa alimen- tare, casa, trasporti.

Confrontando, nella figura 5.4, i risultati delle rilevazioni di settembre 2009 e febbraio 2010, relativi alle strategie di risparmio delle famiglie italiane, si nota che risultano pressoché stabili le percentuali di famiglie che hanno risparmiato su consumi alimentari (50,3% a settembre 2009 e 48,7% a febbraio 2010) e abbiglia- mento (dal 53% al 55,3%); mentre crescono, in modo sostenuto, le quote di famiglie che hanno ridotto le spese per vacanze e viaggi (dal 43% al 56%) e, soprattutto, per il tempo libero e i divertimenti (35,6% a settembre 2009 contro il 52,7% a febbraio 2010). In termini evolutivi è interessante notare come la contrazione dei consumi abbia prima interessato i beni di base e solo successivamente i beni voluttuari. Tale indicazione potrebbe apparire contro intuitiva poiché si suppone che in una situa- zione di difficoltà prima di arrivare a tagliare i consumi alimentari si cerchi di ri- durre le spese per vacanze e svaghi. Tuttavia, per comprendere questi dati, occorre riflettere sull’evoluzione dei bisogni familiari nella società dei consumi.

Secondo lo schema classico di Riesman (Riesman e Roseborough, 1969) gli individui hanno uno “standard package”, ovvero una quantità di spese di routine, vissute come obbligate per sentirsi parte del sistema sociale. Nel corso della se- conda metà del Novecento questo “pacchetto” è andato ampliandosi arrivando a inglobare un numero sempre crescente di beni e oggetti: dal frigorifero alla tele- visione, dall’automobile alla lavatrice. Progressivamente, tra i consumi standard, hanno cominciato a trovare spazio anche le spese legate al tempo libero (Duma- zieder, 1978) e al cosiddetto leisure time66. In questo senso, il risparmio alimentare

66 L’ingresso delle vacanze e dei divertimenti all’interno dei consumi di base è stato, peraltro, ratificato dalla legge n. 135 del 29 marzo 2001 con la quale si prevedono delle agevolazioni finanziarie (buoni vacanze) per le famiglie meno abbienti (www.buonivacanze.it).

e per l’abbigliamento va letto anche alla luce dei fattori stagionali e della diversa struttura dei costi. In altre parole, è possibile che nel corso dell’estate si sia rispar- miato per potersi permettere le cosiddette ferie; allo stesso tempo, bisogna notare che cibo e abbigliamento sono due beni di consumo che offrono una forte differen- ziazione dei prezzi per cui è possibile che la riduzione delle spese sia dovuta a scel- te d’acquisto improntate alla sobrietà. Sui consumi alimentari, in particolare, si è avuto modo di osservare, nei capitoli precedenti, come, oltre alle risorse disponibili, incidano preferenze, abitudini, prassi e aspettative polivalenti e del tutto soggettive. Figura 5.4 – Strategie di risparmio delle famiglie italiane, confronto settembre 2009-febbraio 2010 (val. % affermativi)

(domanda: negli ultimi tre mesi la sua famiglia ha fatto economia sulle seguenti voci di spesa?)

Fonte: IREF, 2010

Inoltre, sebbene la gerarchia dei consumi sia mutata, la riduzione dei consu- mi alimentari può rimandare a una situazione di povertà alimentare, un fenomeno che purtroppo continua a essere presente anche nel nostro Paese. Un’indagine della Fondazione per la sussidiarietà stima che: «nell’anno 2007 sono presenti in Italia poco più di un milione di famiglie - pari al 4,4% delle famiglie residenti nel complesso del Paese - che presentano una spesa alimentare insufficiente in rap- porto al costo del cibo nella regione di residenza» (Accolla e Rovati, 2009).

I dati della ricerca IREF evidenziano che a febbraio 2010 più di una famiglia su tre (34,8%) ha risparmiato sull’acquisto di generi alimentari di base (pane, pasta e carne); tale percentuale risulta sostanzialmente stabile rispetto a quanto fatto registrare a settembre 2009. Tuttavia, all’interno di un generale trend di risparmio, la riduzione dei consumi di pane, pasta e carne indica un ulteriore peggioramento delle condizioni di vita non solo delle famiglie meno abbienti ma anche di quelle con una solidità economica media e alta (Fig. 5.5) che non può essere certamente letta con la lente della sobrietà.

Figura 5.5 - Percentuale di famiglie che nei tre mesi precedenti l’intervista hanno risparmiato su pasta, pane e carne a seconda della solidità economica

Fonte: IREF e Acli/Caritas Italiana, 2010

In primo luogo, le dotazioni economiche di base condizionano in modo evidente le spese alimentari delle famiglie anche se i comportamenti di spesa sono determinati, sia nel livello che nella struttura, dalle caratteristiche del nucleo familiare. Tra le famiglie che hanno un alloggio di proprietà e dei risparmi, dunque con una solidità economica alta, la percentuale di nuclei che hanno ridimensionato la spesa sui generi di prima necessità è del 19,8%. Al diminuire della solidità economica cresce in modo molto forte la necessità di ridurre i consumi alimentari primari: si passa, difatti, dal 30,6% delle famiglie con una buona solidità economica al 68,4% delle famiglie economicamente molto fragili (Fig. 5.5). La progressione percentuale evidenziata chiarisce il ruolo dei costi fissi nella definizione dei comportamenti di consumo: se si deve far fronte a un

impegno di spesa periodico, come quello di un affitto o di un mutuo, occorre risparmiare un po’ su tutto, anche sui generi alimentari di base. Eliminando le situazioni estreme, è interessante notare come, in termini comparativi, le famiglie che possono contare su dei risparmi, anche se titolari di mutui o affitti, tendono ad avere una condizione migliore di quelle che, pur essendo proprietarie di casa, non riescono a risparmiare: difatti, il risparmio alimentare interessa, nel primo caso, il 30,6% delle famiglie, nel secondo il 47,8%.

Secondo i dati della ricerca IREF, dunque, la crisi economica ha colpito anche i consumi fondamentali e le famiglie economicamente più esposte hanno dovuto intac- care in modo evidente i consumi alimentari di base. Le difficoltà riguardano, in misura maggiore, le famiglie residenti nel Sud Italia (42,2%), le famiglie di pensionati (45,7%), le coppie monoreddito nelle quali la persona occupata ha una posizione professionale di livello basso (41,7%)67 e le famiglie che risiedono nella periferia di un’area metropolitana

(46,7%).

Si confermano, quindi, alcuni fenomeni ben noti come, ad esempio, la maggio- re vulnerabilità delle famiglie di pensionati e dei nuclei che vivono nel meridione; ma si evidenziano, anche, alcune significative, purtroppo in negativo, novità. Innanzitutto, l’ampliarsi della fascia dei cosiddetti working poor, ovvero persone che pur lavorando non riescono ad avere un tenore di vita adeguato: in Italia, la percentuale di lavoratori poveri continua a mantenersi tra le più pesanti in Europa, al pari di Lettonia e Portogallo, con il 10% degli occupati che vive al di sotto della soglia di povertà relativa, due punti percentuali al di sopra della media UE-25 (CIES, 2009). Un secondo elemento, in parte legato al precedente, è dato dal disagio delle periferie e delle cinture metropolitane: dal momento che nelle grandi città il costo degli alloggi è, negli ultimi anni, lievitato a dismi- sura – addirittura a Roma il costo degli affitti è cresciuto tra il 1999 e il 2008 del 145% (CGIL-SUNIA, 2009), le famiglie con meno disponibilità economica hanno cominciato a spostarsi nei comuni delle cinture urbane, compensando la spesa sui trasporti con il risparmio sulla casa. Secondo la ricerca IREF è aumentata la quota di famiglie che ha dichiarato di risparmiare anche sui trasporti, passata dal 24,2% del settembre 2009 al 30% del febbraio 2010; questo dato risulta più marcato tra le famiglie residenti nella pe- riferia delle aree metropolitane (58,2%), per le quali i trasporti sono una voce di costo si- gnificativa, al contrario di coloro che vivono in luoghi dove i tempi di percorrenza tra casa e lavoro sono più contenuti. È lecito supporre che le forme di risparmio abbiano previsto un più frequente uso dei trasporti pubblici a sfavore dell’automobile (D’Arcangelo, 2009).

67 Questi dati, peraltro, sono in linea con quanto emerge dall’indagine coordinata da Campiglio e Ro- vati in particolare per quel che riguarda il legame tra titolo di godimento dell’abitazione e il livello professionale della persona occupata (Cfr. Accolla e Rovati, op. cit., pp. 74-80).

Riguardo alla più generale contrazione dei consumi, è possibile concludere che la pressione della crisi abbia radicalizzato alcune tendenze ben conosciute nel contesto italiano. È noto che, in Italia, l’abitazione sia un elemento che condiziona in modo pesan- te i bilanci familiari. Sinora le famiglie avevano risposto al problema sottraendo reddito ad altri capitoli di consumo: in pratica, la voce “casa” tendeva ad attrarre buona parte delle risorse economiche. Sotto la spinta della crisi economica le operazioni di bilancio sono sempre più vincolate, per cui occorre innanzitutto onorare gli impegni di spesa as- sunti in precedenza; tale stato di cose è evidente dal dato relativo alla capacità di rispar- mio. Nella ricerca IREF alle famiglie è stato chiesto che importo avessero a disposizione una volta pagate le spese fisse (ovvero casa, rate, bollette e spesa alimentare): è emble- matico constatare che oltre il 52% del campione ha dichiarato che non rimane nulla o quasi (meno di 100 euro), il 36,9% ha affermato di avere risorse economiche comprese tra i 100 e i 500 euro e solo il 10,6% ha dichiarato di poter contare su oltre 500 euro.

5.3 L’orientamento dei cittadini verso forme di consumo alimen-