i ProFili di resPonsabilità sociale da Parte del consumatore
2.4 Il valore etico del consumo
Nelle società economicamente più sviluppate il consumo è il fenomeno che più di altri caratterizza la vita sociale degli individui. Il consumo soddisfa bisogni in- dividuali e utilitaristici dell’uomo e, allo stesso tempo, svolge un ruolo di creazione e mantenimento delle relazioni sociali, assurgendo i beni di consumo a strumenti simbolici di appartenenza a un gruppo sociale (De Luca, 2009). Negli ultimi anni, tuttavia, si sono manifestati approcci più critici verso le pratiche di consumo, deter- minati da una crescente consapevolezza della non neutralità dell’atto di acquisto e dell’esistenza di nuovi doveri sociali accanto al semplice perseguimento di utilità e piacere. Tra i fattori che hanno favorito lo sviluppo di una nuova coscienza dei con- sumi vi è sicuramente una perdita di fiducia nelle imprese, provocata dal verificarsi di disastri ambientali (Seveso, Chernobyl), di crack finanziari fraudolenti (Enron, Parmalat) e di episodi di violazione di fondamentali diritti umani (Nike). Inoltre il flusso di informazioni, grazie alle nuove tecnologie comunicative, è divenuto globa- lizzato, consentendo una maggiore conoscenza e sensibilità verso problematiche inerenti l’umanità nel suo complesso (cambiamenti climatici, organismi genetica- mente modificati, guerre e carestie, fenomeni di allarme per la salute generale quali Sars, BSE, influenza aviaria). I consumatori non sono più esclusivamente de- stinatari di flussi informativi unidirezionali veicolati dalla comunicazione commer- ciale, ma diventano a loro volta in grado di inviare segnali al mondo della produ- zione, segnali che facciano conoscere la loro attenzione ai temi della salvaguardia ambientale, della giustizia, dei diritti umani e a tutto ciò che riguarda il contenuto etico delle attività commerciali.
Tabella 2.1 - Cosa deve garantire un’azienda per essere considerata etica?
Difesa ambiente 18,6%
Rispetto leggi 17,9%
Qualità dei prodotti 15,4%
Rispetto diritti lavoratori 22,2%
Trasparenza per consumatore 15,3%
Prezzo equo 5,5%
Difesa deboli 4%
Fonte: rilevazione Episteme, 2009
Il consumo definito di volta in volta “critico”, “responsabile”, “consapevole”, abbraccia una modalità di scelta del bene che prende in considerazione gli effetti sociali e ambientali del ciclo di vita del prodotto e si discosta dal semplice consumo
utilitaristico, perché valuta oltre a prezzo e qualità altre componenti del prodotto e, in particolare, gli effetti della sua produzione e commercializzazione sull’ambiente e sulle persone. L’attenzione del soggetto nell’atto di acquisto è quindi rivolta alle modalità di produzione del bene, alle caratteristiche del soggetto che lo produce e allo smaltimento del prodotto, privilegiando, di conseguenza, processi di produ- zione e fasi di post-consumo meno inquinanti, che non comportino un depaupera- mento delle risorse naturali e lavorazioni in cui non siano stati violati diritti umani o norme a tutela delle condizioni di lavoro, quali quelle relative a lavoro nero, impiego di minori, orario, salute e prevenzione.
Si viene così delineando un nuovo modello di consumatore-cittadino, che attribuisce alle sue scelte economiche una valenza diversa e ulteriore rispetto al consumatore-cliente. Il concetto di qualità di beni e servizi per tali consumatori assume una veste nuova e finisce per comprendere anche qualità etica del bene e responsabilità sociale dell’impresa produttrice: secondo un’indagine Episteme condotta nel 2009 (Tab. 2.1), i consumatori legano l’etica dell’impresa soprattutto alla legalità, al rispetto del diritto dei lavoratori e alla difesa dell’ambiente (De Luca, 2009).
Il sistema agroalimentare, per alcune intrinseche peculiarità, più di altri set- tori è passibile di implicazioni di carattere etico. Le motivazioni sono rinvenibili, in letteratura, in diverse argomentazioni, di cui si riportano quelle più significative:
• il cibo soddisfa un bisogno primario ed è maggiormente deperibile rispetto ad altri, pertanto, si presta a operazioni quali quelle del Progetto Last Minute Mar- ket per evitare sprechi e soddisfare i meno abbienti (www.lastminutemarket.org); • il cibo è cultura e ha un alto valore simbolico. La conservazione dei “giaci-
menti del gusto” è attaccamento alle proprie radici, da difendere dalla mas- sificazione del gusto alimentare, come testimoniato dalla nascita di movi- menti quali Slow Food (www.slowfood.it);
• gli scandali alimentari (mangimi alle farine alimentari, polli agli antibiotici, ecc.) hanno reso rischioso il consumo di cibo e acuito la necessità di garan- tire in tutta la filiera elevati standard di igiene e sicurezza;
• il consumatore è sempre più interessato ai metodi di produzione e alle con- dizioni di vita degli animali allevati;
• l’uso di bioteconologie e in particolare degli OGM per scopo alimentare ha sollevato questioni etiche relative alla necessità di applicare il principio di precauzione e alle ripercussioni sulla salute umana, sull’ambiente e sulle economie dei Paesi poveri (Cappellotto, 2001);
ni nel settore primario (Becchetti, Trovato, 2002);
• gli alimenti costano poco quindi considerazioni etiche possono superare quelle economiche, anche per consumatori con vincoli di spesa più strin- genti;
• il cibo si presta più di altri beni a operazioni di marketing territoriale; • il settore agricolo è quello più distorto nel commercio mondiale: il sostegno
dell’agricoltura intensiva nei Paesi sviluppati crea povertà nei Paesi in via di sviluppo e blocca l’accesso ai mercati internazionali (Bianchi, 2003).
2.4.1 I confini del consumo etico e la responsabilità sociale di impresa
Il consumo responsabile mostra diverse sfumature: dalla scelta di acquista- re solo specifiche categorie di prodotti o marche in funzione del grado di approva- zione verso la condotta socialmente responsabile dell’azienda al non consumo, che assume il significato di “sanzione” verso quei prodotti o quelle marche non coerenti con il proprio sistema di valori.
Il consumo responsabile, pertanto, indaga tutte le caratteristiche del pro- dotto e rappresenta una naturale evoluzione della pratica del consumo critico, ba- sato non tanto nel rispetto di criteri predeterminati ma nell’abitudine di porsi delle domande prima di scegliere un prodotto.
I criteri del consumo responsabile investono la dimensione etico-sociale e quella dell’impatto ambientale, in particolare:
• le condizioni dei lavoratori: vengono evitate le produzioni in Paesi in cui non sono garantiti i diritti dei lavoratori in termini di condizioni di lavoro, orari, salari o che non assicurano un giusto compenso ai produttori delle materie prime e agli altri soggetti della filiera;
• le politiche ambientali: vengono evitate le aziende impegnate in progetti ri- tenuti dannosi per l’ambiente, mentre vengono preferite quelle che hanno ottenuto certificazioni che attestano una gestione aziendale a basso impatto ambientale;
• il ciclo produttivo: vengono evitati prodotti e imballaggi la cui produzione ri- chiede grandi consumi di energia o risulta altamente inquinante;
• l’imballaggio: vengono preferiti i prodotti alla spina o sfusi o comunque con pochi imballaggi, per ridurre il consumo di risorse utilizzate per produrli ed evitare lo smaltimento di rifiuti;
consumo di energia dovuto alla coltivazione in terra e al trasporto da aree lontane;
• la provenienza: vengono preferite i prodotti locali o di aree limitrofe, per so- stenere la filiera locale e ridurre il consumo di energia e l’emissione di gas di scarico causato dai trasporti.
Al riguardo, in Italia, almeno 3 consumatori su 10 ritengono di dover essere informati dei comportamenti scorretti delle imprese riguardo alla sicurezza e ai diritti dei lavoratori, a forme d’abuso di potere, a eventuali attività condotte nel ter- zo mondo, all’impatto delle produzioni sull’ambiente e all’utilizzo di OGM; inoltre, almeno 2 consumatori su 10 vogliono essere informati di comportamenti illeciti e fraudolenti e dell’eventuale uso di etichette e messaggi ingannevoli (Unioncamere, 2004).
Il modello del consumo responsabile, tuttavia, non ha confini univoci e non è facile stabilirne il numero di praticanti. Nel 2000, il 58% dei cittadini europei rite- neva che il mondo economico non fosse abbastanza responsabile sul piano sociale, il 25% degli intervistati giudicava molto importante, al momento dell’acquisto, la responsabilità sociale e l’impegno dell’impresa produttrice e il 44% si dichiarava disponibile a pagare di più per acquistare prodotti socialmente ed ecologicamente connotati 31.
Per quanto riguarda la tendenza in Italia, secondo un’indagine condotta nel 2008 dalla società Ethos dell’istituto Lorien Consulting, il 69 % degli intervistati di- chiara di aver compiuto almeno un acquisto socialmente responsabile negli ultimi mesi, contro il 31% rilevato dallo stesso istituto nel 2003 e il 59% nel 2005, rivelando una fisiologica crescita del fenomeno. Una rilevazione realizzata nello stesso perio- do dalla società Episteme, descrive un consumatore disposto a pagare di più per un prodotto qualora la produzione rispetti l’ambiente (per il 23,4% degli intervistati) o qualora vengano rispettati i diritti dei lavoratori che lo producono (16,5%). La stessa indagine rivela che, se nel 2008 tra più marche il 56% sceglie quella che difende l’ambiente, il dato nel 2009 cresce al 63%.
I consumatori costituiscono uno degli stakeholder delle imprese, insieme a dipendenti, azionisti, fornitori, investitori, istituzioni, comunità locale e territorio, capaci di condizionare in modo incisivo la decisione di un’impresa di adottare scelte imprenditoriali socialmente responsabili. Il Libro verde della Commissione europea (CE, 2001) si muove in questa direzione, sostenendo che «il consumatore-cittadino, stakeholder fondamentale del sistema di consumo, è uno dei più importanti sog-
getti di stimolo e controllo alla RSI; può infatti esercitare una pressione importante: dall’indignazione alla denuncia, dal consumo responsabile al boicottaggio». La RSI rappresenta, infatti, una leva di differenziazione ormai irrinunciabile per l’impren- ditore che voglia considerare le molteplici richieste del mercato verso un’agricol- tura che garantisca adeguati livelli di protezione sociale e rispetti l’ambiente, che contribuisca allo sviluppo sostenibile del territorio e fornisca cibi sicuri e di qualità.
In Italia, la percezione dei consumatori rispetto alle aree aziendali sulle quali la responsabilità sociale d’impresa dovrebbe agire è stata efficacemente indagata dall’istituto Lorien Consulting; dopo il profilo etico-morale, come si evince dalla tabella 2.2, i rapporti con il personale e la gestione aziendale rappresentano gli am- biti che i consumatori vorrebbero maggiormente interessati da azioni socialmente responsabili da parte dell’impresa stessa.
Tabella 2.2 - Percezione rispetto alle aree aziendali sulle quali la responsabilità sociale d’impresa dovrebbe agire
Profilo Etico-Morale 40,3%
Attenzione ai bisogno della società 18,8%
Responsabilità 9,8%
Onestà, correttezza,eticità 8,3%
Rapporti con il personale 25,6%
Tutelare i dipendenti 3,2%
Rispettare il personale 12 %
Tutelare diritti dei lavoratori 2,2%
Attenzione ai bisogni dei dipendenti 1,8%
Gestione aziendale 25,2%
Creare occupazione 22,6%
Buona gestione 13,5%
Rispettare le esigenze dei clienti 6 %
Rispetto delle normative 20,7 %
Rispetto dell’ambiente 11,6 %
Rispetto delle leggi 7,9 %
Rispetto delle norme per la sicurezza dei dipendenti 3 %
Produzione 9,4 %
Attenzione alla produzione 5, 2 %
Fornire un buon prodotto 4,5 %
2.4.2 La sensibilità ambientale nel consumo agroalimentare
Secondo le tesi sostenute a livello internazionale, il consumo del mondo svi- luppato è globalmente insostenibile e non sarebbe possibile replicare nei Paesi in via di sviluppo i livelli e il modello di consumo dei Paesi industrializzati. L’economia del mondo, come più volte dimostrato dall’impronta ecologica nei principali studi di settore, non può crescere nello stesso modo in maniera illimitata. L’evidenza dei rischi per l’ambiente, la consapevolezza dell’uso insostenibile delle risorse e una generale presa di coscienza delle conseguenze dell’azione umana sull’ambiente, hanno portato la collettività, negli ultimi venti anni, a una crescente sensibilità per le questioni ambientali e per i temi dello sviluppo sostenibile32.
Anche le istituzioni pubbliche promuovono lo sviluppo sostenibile attraverso il controllo delle esternalità negative provocate dall’attività umana sull’ambiente; i sistemi economici industrializzati hanno solitamente utilizzato gli strumenti nor- mativi, ma negli ultimi anni si assiste a un’inversione di tendenza e gli strumenti di natura economica sembrano ottenere maggiore importanza. Uno degli strumenti individuati a livello mondiale e comunitario per indirizzare il modello produttivo ver- so un modello di sviluppo sostenibile, è rappresentato dalla certificazione ambien- tale volontaria, basata sul comportamento “proattivo” delle imprese, stimolate dal mercato a migliorare le prestazioni ambientali dei propri prodotti e servizi. I consu- matori dei Paesi a più alto reddito, infatti, sono sempre più consapevoli del degrado ambientale provocato dagli attuali sistemi produttivi e, essendo potenzialmente in grado di sollecitare comportamenti maggiormente responsabili delle aziende, si orientano verso prodotti a più basso impatto ambientale, scegliendo quelli garantiti dalla certificazione di un soggetto terzo e indipendente. Se il consumatore rappre- senta, quindi, un elemento chiave nell’insostenibilità dell’attuale sistema econo- mico, può altresì diventare il punto di forza di un sistema completamente diverso, attraverso l’esercizio della propria sovranità di consumatore e svolgendo una fun- zione attiva d’indirizzo produttivo.
In tal modo s’instaura tra le imprese una nuova forma di concorrenza, ba- sata non più sulla sola competizione di prezzo (price competition) ma anche sulle
32 Nel 1987, con il documento dal titolo “Our Common Future”, elaborato nell’ambito dell’ONU, dalla World Commission on Environment and Development, presieduta da G.H. Brundtland, si giunse ad una definizione di sviluppo sostenibile come quel «processo attraverso il quale è possibile soddi- sfare le necessità delle generazioni presenti senza compromettere le necessità delle generazioni future». Negli anni Novanta si assiste alla creazione dell’International Society for Environmental Ethics (ISEE), che partecipa al congresso dell’ONU sull’ambiente e sullo sviluppo a Rio de Janeiro nel ’92: inizia, così, l’epoca dello sviluppo sostenibile.
scelte sociali e ambientali che possono contribuire a differenziare notevolmente un prodotto da un altro (non price competition). In tal senso, i parametri per la scelta di un prodotto c.d. “verde” si basano sull’impatto ambientale della produzione e si riferiscono tanto al prodotto quanto al comportamento del produttore.
I prodotti “verdi” sui quali si orienta l’opzione di acquisto del consumatore responsabile ricoprono una vasta gamma di offerta; tra.questi, si possono senz’al- tro annoverare: i prodotti che riducono l’inquinamento e/o che risparmiano energia nell’uso o nella produzione; i prodotti riciclabili o riutilizzabili e quelli realizzati con materiali riciclati; i prodotti con meno packaging; i prodotti con meno emissioni dannose; i prodotti realizzati con materiali naturali e biologici; i prodotti realizzati con meno materie prime; i prodotti certificati come green; i prodotti non testati su animali.
Il modello prevalente di consumo “verde” si ispira alla logica dell’“usa e get- ta”, del monouso e quindi del sovra-sfruttamento delle risorse, con un’attenzione particolare agli imballaggi e al loro smaltimento33.
In Europa, l’indagine svolta nel 2008 da Boston Consulting group per indaga- re la sensibilità ambientale dei consumatori, ha rilevato che secondo il 75% degli intervistati le aziende dovrebbero fornire informazioni sull’impatto ambientale delle loro attività, dovrebbero avere una buona tracciabilità ambientale (73%) e dovreb- bero offrire prodotti “verdi” (66%); il 34% degli intervistati, inoltre, ha dichiarato di ricercare sistematicamente prodotti “verdi” e il 24% ha ritenuto accettabile pagare un prezzo maggiore per questi prodotti
Nel settore agroalimentare in Italia, le strategie di comunicazione commer- ciale basate sulla sostenibilità e sul valore ambientale della merce (green mar- keting) e sulla valenza salutistica del prodotto alimentare (cura e prevenzione del corpo) hanno fatto leva, negli anni, sulle scelte di acquisto dei consumatori verso i prodotti biologici che, sin dalla loro comparsa sul mercato, hanno incarnato questi valori (Cfr. par. 1.3.3).
Nella grande distribuzione, ciò si è tradotto nella crescita della superfici di vendita destinate ai prodotti biologici e ai prodotti ecologici (Box 2.1), mentre hanno
33 Nel mondo si consumano dai 500 ai 1.000 miliardi di sacchetti di plastica ogni anno; in Europa 100 miliardi, di cui almeno 15 in Italia. La media del consumo di sacchetti di plastica pro capite si aggira, nei paesi industrializzati, tra i 200 e i 500 pezzi all’anno. Sostituendo i normali sacchetti di plastica con altri sacchetti riutilizzabili si eviterebbe di disperdere nell’ambiente 1 milione di tonnellate di plastica all’anno, si risparmierebbero 700 mila tonnellate di petrolio e si ridurrebbero le emissioni di CO2 di 1,4 milioni di tonnellate. A partire dal 2011, tenuto conto della non conformità degli attuali sacchetti in plastica alle norme tecniche EN 13432 sugli imballaggi, in Italia sarà vietato l’uso di tali sacchetti.
fatto la loro comparsa, accanto alla vendita diretta e a varie opzioni di filiera corta (Cfr. par. 2.2), modalità di vendita sostenibile che rinunciano all’uso degli imballaggi (Box 2.2).
Box 2.1 - La linea Vivi Verde Coop
Allo scopo di sensibilizzare i consumatori sui temi della salvaguardia dell’ambiente, Coop Italia ha deciso di rag- gruppare tutti i prodotti a marchio provenienti da agricoltura biologica e quelli non alimentari a basso impatto (linee “bio-logici Coop” ed “eco-logici Coop”), realizzati con criteri sostenibili e di compatibilità ambientale, sotto un unico brand: Vivi Verde Coop.
Vivi Verde Coop comprende 300 referenze di prodotti biologici a marchio, per i quali Coop ha deciso di escludere dalla lista degli ingredienti sia i grassi tropicali sia gli aromi, anche se naturali, e i prodotti Coop garantiti dal mar- chio europeo di qualità ecologica Ecolabel, come i detergenti per la pulizia della casa, i prodotti in carta riciclata al 100% e le nuove lampade a risparmio energetico.
Box 2.2 - I distributori di latte sfuso
Da qualche anno è possibile acquistare latte fresco, in alcuni Comuni, distribuito mediante erogatori, proveniente dalle aziende di allevamento locali e trasportato sfuso. I distributori sono collocati all’interno di negozi, supermer- cati o in prossimità di luoghi pubblici e il contenitore può essere acquistare presso lo stesso punto di distribuzione ed è riutilizzabile.
Scegliere il latte fresco ha il vantaggio di inquinare meno grazie a una riduzione del trasporto, dei consumi ener- getici e dei rifiuti.
2.4.3 Le implicazioni sociali nella catena di fornitura: il commercio equo e solidale Alcuni fenomeni tipici degli ultimi decenni hanno posto l’attenzione sull’importanza di includere criteri etici nella gestione delle catene di fornitura lungo l’intera filiera. Il processo di globalizzazione dell’economia mondiale ha dato alle imprese dei Paesi industrializzati la possibilità di delocalizzare le fasi di produzione delle proprie attività in Paesi in cui i bassi costi della manodope- ra permettono di conseguire consistenti vantaggi di costo.
A tale processo si accompagna il progressivo snellimento delle strutture aziendali e la crescente importanza dell’outsourcing al fine di concentrare le risorse aziendali sulle attività che consentono la maggior creazione di valore. Tale tendenza si è tradotta, soprattutto per le imprese operanti in alcuni setto- ri manifatturieri e agro-alimentari, nella concentrazione delle risorse interne sulle attività di product development e design, sulle fasi logistiche e distribu- tive della catena del valore, sulle attività di marketing e comunicazione e, di
riflesso, nell’esternalizzazione delle attività a basso valore aggiunto, tipica- mente quelle a monte della catena del valore connesse ai processi produttivi (Guidotti, 2006).
La delocalizzazione suscita una forte competizione volta ad attrarre in- vestimenti e capitali occidentali sia tra i Paesi, sia tra i produttori dello stesso Paese. Ne consegue una “corsa al ribasso” nella tutela dei diritti fondamentali dei lavoratori impiegati nelle produzioni (Guidotti, 2006). I livelli minori di tutela consentono un abbassamento del costo medio della manodopera attraverso diversi fattori: le retribuzioni al di sotto dei livelli minimi stabiliti dagli ordina- menti nazionali e dai trattati internazionali; l’impiego di categorie di lavora- tori (ad esempio migranti, donne e minori) che per condizioni socio-culturali accettano una situazione di lavoro disagiata quanto a sicurezza, orari, ecc; le limitazioni alla libertà associativa dei lavoratori al fine di eludere lo strumento della contrattazione collettiva.
A partire dai primi anni Novanta del secolo scorso l’opera di sensibiliz- zazione svolta da alcune organizzazioni della società civile attive per il rispetto dei diritti umani ha portato a conoscenza del grande pubblico numerosi casi di violazione dei più basilari diritti dei lavoratori impiegati all’interno di siti produttivi dislocati nei Paesi asiatici e dell’America Latina. Tale opera, favorita dall’attenzione data dai media, ha avuto la sua manifestazione più evidente in numerose azioni di pressione finalizzate a spingere le imprese ad assicurare il rispetto dei diritti fondamentali dei lavoratori all’interno di tutti i siti che com- pongono le rispettive catene di fornitura.
Lo sviluppo di forme di commercio diverse da quelle tradizionali e basate su finalità mutualistiche costituisce una delle principali novità del panorama economico attuale. Come già sottolineato, il fenomeno del consumo etico si configura come l’introduzione, nelle determinanti di consumo, di motivazioni che condizionano l’acquisto non in quanto migliorano l’utilità o il benessere dell’acquirente, ma in quanto determinano un miglioramento del benessere di altri soggetti (Sali, 2004).Ovvero, vengono introdotti nelle azioni di consumo elementi di decisione dipendenti da scelte altruistiche e, pertanto, diventando significativa la difesa di diritti di altri, ciò costituisce un valore per l’intera col-