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CAPITOLO 1 LA DISOCCUPAZIONE IN ITALIA NEGLI ULTIMI VENTI ANNI: UN PROBLEMA

2.2. LA VISIONE ECONOMICA POST-KEYNESIANA

2.2.2. IL PIENO IMPIEGO NELLE VISIONE POST-KEYNESIANA

Secondo le parole di Forstater69

per molti economisti il termine pieno impiego non corrisponde alla definizione zero disoccupazione. Questo dipende dal considerare la presenza del NAIRU, quindi, in questo caso, la piena occupazione indica quel livello di occupazione compatibile con la stabilità dei prezzi, anche se vi sono individui pronti a lavorare, al saggio di salario corrente in termini reali, ma disoccupati. Per altri autori, come Pasinetti, il pieno impiego

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Forstater, Mathew (2002), Full Employment Policies Must Consider Effective Demand and Structural and Technological Change: A Prime Point of Pasinetti, Political Economy,A Post Keynesian Perspective on 21st Cen-

corrisponde a una disoccupazione pari a zero. Egli afferma70

: “The aim is clear: achieving the full utilization of available labour, i.e. full employment”.

Vi sono numerosi argomenti a favore della piena occupazione. Il primo è che la disoc- cupazione crea costi diretti e indiretti causati dalla perdita permanente nell’output potenziale; genera problemi economici, sociali, psicologici; fa aumentare la criminalità; deteriora la abilità e la produttività dei lavoratori. Quindi, i costi per il raggiungimento del pieno impiego sono superati dai vantaggi che questo arreca alla società. Il secondo elemento a favore del pieno impiego è che il lavoro rientra tra i diritti umani, civili e politici che sono inalienabili.

Nel sistema economico si hanno diversi modi di interpretare la piena occupazione: essa può essere intesa come un’assunzione base, come una tendenza logica o teoretica o come un risultato da raggiungere. Il primo caso, assumere il pieno impiego come un’affermazione di base, si ha con la teoria neoclassica tradizionale, in base alla quale sotto certe condizioni un’eco- nomia di mercato tenderà alla piena occupazione. Tuttavia questa teoria è non è abbastanza realistica e i possibili motivi sono due: o essa è sbagliata oppure esistono imperfezioni di mer- cato e rigidità che impediscono ai meccanismi di auto-aggiustamento di lavorare in modo ade- guato. Se la teoria è errata se ne può formulare una nuova, come hanno già tentato di fare Key- nes e i post-keynesiani, che hanno cercato di dimostrare che persino in una situazione di salari flessibili il sistema economico ha la tendenza ad avere una disoccupazione persistente dovuta a un livello insufficiente di domanda aggregata. Per questo è importante l’intervento dello stato per raggiungere il pieno impiego e la crescita economica. Con queste affermazioni si può de- durre che la teoria neoclassica è errata e non solo le sue conclusioni sono sbagliate, ma anche la politica economica che ne deriva. Il pieno impiego viene visto come una tendenza logica o teoretica sempre nel caso neoclassico in cui si afferma che esso non è raggiunto a causa della presenza di rigidità o imperfezioni create talvolta dall’intervento del governo come la regola- zione del lavoro, le leggi sul minimo salariale o l’esistenza di unioni sindacali. Il terzo caso, in cui il pieno impiego è visto come un risultato da raggiungere, è estraneo alla politica main- stream. In questo caso il pieno impiego deve essere raggiunto con altri strumenti diversi dal semplice affidarsi al meccanismo di mercato.

Sempre nel medesimo articolo Forstater si pone due domande: la prima riguarda il fatto se in un’economia vi è disoccupazione, esistono meccanismi di auto-regolazione che ten- dono a portare la stessa in una condizione di pieno impiego, e se tali meccanismi non esistono quali sono le politiche che devono essere seguite; la seconda riguarda le condizioni sotto le

quali il pieno impiego può essere mantenuto anche in presenza di cambiamenti tecnologici e strutturali o della composizione della domanda finale. Per Pasinetti le condizioni che permet- tono a una moderna economia di mantenere il pieno impiego sono di due tipi: la prima riguarda la domanda effettiva, la seconda i cambiamenti nell’accumulazione di capitale. Queste due con- dizioni corrispondono a due diversi tipi di disoccupazione: la disoccupazione keynesiana, do- vuta a carenza di domanda, e la disoccupazione marxiana dovuta ai cambiamenti tecnologici. Un’adeguata politica per il raggiungimento del pieno impiego dovrebbe cercare di contrastare entrambi i tipi di disoccupazione.

Esistono diversi approcci al problema della mancanza di lavoro: i più importanti sono quello comportamentalista e quello strutturalista. Quando si guarda il problema con queste vi- sioni si cerca di motivare i disoccupati insieme alla promozione di una maggiore flessibilità del mercato del lavoro che dovrebbe ridurre le frizioni presenti nello stesso. Un altro modo di ve- dere la disoccupazione è di tipo keynesiano: essa è dovuta a una carenza di domanda aggregata. Tuttavia, come indicato da Minsky, le politiche volte ad aumentare la domanda aggregata non avrebbero eliminato la disoccupazione e la povertà perché esse non avevano come caratteristica fondamentale la volontà di creare lavoro. Inoltre il voler incentivare la crescita avrebbe favorito solo i settori più avanzati dell’economia, quelli con lavoratori più qualificati e pagati, incre- mentando di conseguenza le disuguaglianze. Infine, egli sosteneva che alti investimenti volti a incrementare la domanda aggregata sarebbero stati insostenibili perché generatori di instabilità macroeconomica.

Se cercare di incrementare la domanda aggregata è fonte di instabilità, rimangono due modalità attraverso le quali cercare di aumentare l’occupazione: la creazione di lavoro in modo indiretto attraverso incentivi dati al settore privato, oppure la generazione diretta di posti di lavoro da parte del governo. Se si scegli la prima modalità il governo deve verificare che i sussidi date alle imprese vengano effettivamente utilizzate da queste per assumere nuovo per- sonale piuttosto che per ridurre i costi dei lavoratori già presenti. Inoltre, dato che la disoccu- pazione spesso riguarda soggetti socialmente svantaggiati, si dovrebbe cercare, con i fondi sta- tali, di assumere tali individui, che altrimenti non sarebbero impiegati. Inoltre il pagamento dei sussidi da parte dello stato creerebbe delle distorsioni nel mercato, dato che alcune imprese sarebbero in grado di approfittare dei vantaggi che derivano da tali sussidi e altre no.

Esistono varie proposte all’interno del pensiero post-keynesiano per raggiungere la piena occupazione e una di essa è quella effettuata da coloro che propongono che lo Stato as- suma il ruolo di occupatore di ultima istanza, employer of last resort (ELR) nella letteratura anglosassone. Tale proposta si basa sui precedenti elementi che caratterizzano il pensiero post-

keynesiano soprattutto per quanto riguarda l’agire sul lato della domanda e il ruolo attivo da parte dello Stato che interviene in modo diretto nel settore del lavoro. Prima di giungere alla definizione di occupatore di ultima istanza alcuni studiosi hanno elaborato altri programmi re- lativi al pieno impiego.

In base a quanto affermato da Kaboub71

numerosi autori hanno collegato il pieno im- piego con progetti statali legati all’incremento dell’occupazione. Tra questi è possibile ricordare Pierson, Wernette e Lerner.

Pierson elaborò la sua proposta per il pieno impiego a partire dal 1941 per poi arrivare a un progetto più definitivo nell’opera “Insuring Full Employment: A United States Policy for Domestic Prosperity and World Development” del 1964. Questa si basava su una proposta de- finita Economic Performance Insurance (EPI) in base al quale il governo doveva cercare di garantire il pieno impiego. Pierson studiò tale meccanismo su due fronti: da una parte esso garantiva un insieme di lavoratori di riserva per determinati lavori, dall’altro lato essa permet- teva di mantenere il livello della domanda aggregata elevata. Alla base della proposta di Pierson vi era la necessità per lo Stato di coprire, attraverso la fornitura di attività lavorative e reddito, del volume di consumi compatibili con il livello di pieno impiego. La proposta di Pierson guar- dava anche ad aspetti di tipo internazionale, dato che egli pensava che attraverso tali programmi si sarebbe ridotta la preoccupazione di trovare sbocchi per le merci vendute all’interno, dato che queste avrebbero trovato acquirente interni in relazione alla maggiore domanda generata attraverso l’applicazione della sua proposta.

Wernette si occupò di pieno impiego a partire dal 1945 con l’opera “Financing Full Employmen”. Egli proponeva di creare un nuovo sistema fiscale e monetario per raggiungere il pieno impiego da chiamare Full Employment Standard (FES). Wernette sosteneva la necessità di finanziare il piano di pieno impiego attraverso l’emissione di moneta.

Anche Abba Lerner sosteneva il principio della finanza funzionale invece di quello relativo alla neutralità della stessa, che sarà descritto anche in seguito, per raggiungere la piena occupazione. Lerner sosteneva che la moneta è una creatura dello Stato che è creata quando effettua spese e distrutta quando tassa gli individui. Il principio della finanza funzionale è che il governo deve gestire la sua politica fiscale solo in base ai risultati che essa ha sull’economia. Tale gestione, in base a quanto definito da Lerner, può avvenire solo con una moneta sovrana non soggetta a cambi fissi. La gestione della politica fiscale è necessaria per combattere la di- soccupazione. Questa è presente perché non vi è abbastanza spesa nel sistema economico. E

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quindi il compito del governo è quello di mantenere il livello di spesa abbastanza elevato da raggiungere la piena occupazione attraverso il suo potere di poter adeguare le imposte e la spesa pubblica in modo discrezionale.